• INTRODUZIONE
Il presente lavoro si prefigge lo scopo di illustrare la fortuna, non solo
accademica, ma anche popolare, incontrata dai Bronzi di Riace fin dall'epoca
del loro ritrovamento.
Per fare questo, si è partiti da una breve analisi degli avvenimenti principali
che seguirono al ritrovamento delle due statue da parte di un sub non
professionista, Stefano Mariottini, nel 1972: dal ritrovamento vero e proprio,
fortuito e perciò fonte di grande interesse presso la popolazione di Riace e in
seguito presso i media nazionali, si è passati all'analisi dei vari passaggi del
restauro ed infine all'esposizione delle statue, prima a Firenze e poi al museo
di Reggio Calabria, che costituirà la sede definitiva dei Bronzi (a tale
proposito fu notevole l'attenzione data dai media sulla polemica suscitata
dall'indecisione, del tutto apparente, come si vedrà, circa la collocazione
definitiva delle statue). Nel capitolo dedicato al ritrovamento si è voluta
portare l'attenzione sulla discussione sorta relativamente al naufragio della
nave che trasportava le statue e all'ipotetica presenza del suo relitto sui fondali
di Riace: una discussione, articolata nella contrapposizione fra tesi ufficiale e
tesi alternative, che è certamente il primo sintomo dell'interesse accademico
suscitato dai Bronzi.
Ci si è successivamente soffermati sulle esame dei dati emersi dalle analisi
tecnico-scentifiche di vari materiali pertinenti ai Bronzi. Le analisi sulle terre
di riempimento e sui frammenti ritrovati sulle o nei pressi delle due statue
avevano lo scopo di tentare di stabilire una datazione o una provenienza
abbastanza sicuri per entrambe le statue: sfortunatamente, la frammentarietà e
l'apparente mancanza di specificità dei reperti non ha portato a risultati certi ed
incontrovertibili. Gli stessi risultati poco confortanti sono stati dati dalle
analisi su un frammento di chiglia ritrovato durante le ispezioni subacquee dei
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fondali di Riace del 1981: la lunga permanenza in acqua unita alla poca
specificità di tale reperto non hanno permesso di ricavare indicazioni sicure né
sulla nave che trasportava i Bronzi (ammesso che il frammento ritrovato
appartenesse ad essa) né sull'epoca del trasporto. Qualche risultato più utile ai
fini della datazione e della ricostruzione della “storia” delle due statue è stato
fornito dall'analisi delle leghe che le compongono, la quale ha fornito
informazioni circa il restauro subito in antico dai Bronzi e circa le officine che
li crearono.
Da qui si è passati all'analisi critica delle statue, con lo scopo di sottolineare
gli aspetti che legano e quelli che differenziano fra loro i due Bronzi nella loro
impostazione generale. Tale analisi consente anche, ovviamente, di avanzare
qualche ipotesi circa la datazione delle due statue, la cui produzione viene
collocata alla quasi unanimità durante il V sec. a.C.
Dopo un capitolo dedicato alla tecnica di fusione dei due Bronzi (tecnica a
cera persa eseguita secondo il metodo indiretto per buona parte delle parti del
corpo di entrambi), mirato nuovamente a fare luce, oltre che su alcuni dettagli
che possono costituire validi strumenti di datazione, sugli aspetti che paiono
legare indissolubilmente i due Bronzi, si è dedicato ampio spazio alle ipotesi
di attribuzione, alle proposte di datazione e di identificazione avanzate da vari
studiosi e basate su diversi metodi di analisi. Sebbene si sia rilevato un
generale accordo circa la datazione delle statue (non mancano certamente le
voci di dissenso), si è voluta illustrare la varietà delle ipotesi di attribuzione –
che vanno dall'assegnazione dei due bronzi ad un maestro come Fidia, se non
alla sua officia, all'affermazione della sostanziale impossibilità di conoscere il
o gli autori delle due opere – e delle possibili identificazione, a testimonianza
di quanto gli eroi di Riace abbiano stimolato la ricerca e l'interesse degli
studiosi, innescando un dibattito positivo che con ogni probabilità non vedrà
mai una conclusione.
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Per finire, ci si è dedicati al tema principale di questo lavoro, ossia il successo
dei Bronzi non solo presso gli intellettuali ma presso l'opinione pubblica. Dalle
forme quasi di devozione da parte di certa parte della popolazione di Riace,
agli spot televisivi e alla comparsa dei Bronzi sui francobolli delle Poste
Italiane, si è cercato di rendere conto di un fenomeno di fortuna di massa
verificatosi poche volte nella storia dell'arte e dei rinvenimenti archeologici. In
particolare, si è rivolta l'attenzione soprattutto all'impatto psicologico suscitato
dal ritrovamento e dalle notizie ad esso correlato (come la fantomatica
scomparsa degli scudi e di un elmo) e dall'aspetto stesso dei Bronzi. In sintesi,
si è voluta far luce su quello che Luigi M. Lombardi Satriani chiama il
“fenomeno Bronzi di Riace”, un fenomeno che a livello di massa sta forse
lentamente esaurendosi ma che non per questo risulta meno interessante.
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1. RINVENIMETO ED ESPOSIZIONE MUSEOGRAFICA
Il merito della scoperta dei due Bronzi fu di Stefano Mariottini, un chimico di
Roma che all'epoca si trovava in vacanza nei pressi di Riace. Nella mattinata
del 16 Agosto 1972, durante un'immersione nelle vicinanze della scogliera
sommersa detta Porto Farticchio, egli scorse nella sabbia quello che gli parve
un gomito umano: scavando nel fondale, mise in luce una statua di bronzo
nelle cui vicinanze ne trovò un'altra. Lasciò dunque sul posto un pallone di
segnalazione e la sera stessa, avendo compreso l'importanza delle propria
scoperta, prese contatti con la Soprintendenza, il cui direttore Dottor Foti
convocò a Reggio Calabria il rinvenitore per il giorno successivo. Il
Soprintendente, dal momento che la Soprintendenza della Calabria non
disponeva di strutture e mezzi adeguati per il recupero delle due statue, si
trovò costretto a richiedere l'intervento del Nucleo Carabinieri Sommozzatori
di Messina, i quali tuttavia erano già impegnati in una manifestazione sportiva
a Siracusa. Successivamente al primo sopralluogo dell'ispettore Dott. Guzzo
(convocato a Reggio dal Dott. Foti, che per precedenti impegni si trovò
costretto a lasciare l'Italia), avvenuto il 19 Agosto, terminato l'impegno in
Sicilia del Nucleo Carabinieri Sommozzatori in Sicilia, si poté procedere al
recupero dei bronzi, a partire dal 21 Agosto (Fig. 1). Delle due statue, la prima
ad essere recuperata fu quella avvistata per prima dal Mariottini (e più tardi
definita “statua B”), che poi fu immediatamente trasportata al Museo
Nazionale di Reggio Calabria, nel cui cortile si iniziò un primo lavaggio della
superficie. Il giorno successivo, 22 Agosto, venne invece recuperata la “statua
A”. Si potrebbe dire, provocatoriamente, che il recupero dei Bronzi fu
effettuato con mezzi inadeguati, quasi di fortuna; tuttavia, bisogna tenere ben
presente le circostanze del rinvenimento: un'assenza di strutture specializzate
nelle ricerche archeologiche subacquee, nonché la necessità di sottrarre il più
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rapidamente possibile le scoperte ad una folla di curiosi. La fantasia popolare,
infatti, istituì immediatamente una connessione tra il rinvenimento delle figure
maschili in fondo al mare e la leggenda locale dell'arrivo dal mare dei due
santi protettori di Riace, Cosma e Damiano: un preludio, questo, della futura
fortuna dei bronzi nell'immaginario collettivo (Fig. 2). Questo clima di fretta e
tensione va tenuto ben presente quando si analizzano i dati allora raccolti sul
modo di giacitura delle statue sul fondale: oltre alla loro posizione sulla
sabbia, descritta con precisione dal Mariottini, tutti gli altri dati (peso, distanza
fra le due statue, distanza dalla costa ecc.) risultano quanto meno
approssimativi. Per questo, dopo il recupero, fu sentita l'esigenza di un'attenta
esplorazione scientifica dei fondali del rinvenimento. Perciò, il Prof. Nino
Lamboglia, direttore del centro sperimentale di archeologia sottomarina
dell'Istituto di Studi Liguri (unico istituto scientifico in Italia che all'epoca si
occupasse di tale settore dell'archeologia) , che nell'estate del 1972 operava nei
mari pugliesi, concordò con il Soprintendente Foti un primo sopralluogo per il
mese di Novembre, i cui risultati furono tuttavia scarsi a causa delle cattive
condizioni del mare. Si poté procedere all'esplorazione dei fondali solo fra la
fine di Agosto e gli inizi di Settembre del 1973: l'intervento, volto ad indagare
per mezzo di idrovore il punto esatto del recupero (Fig. 3) e a verificare
l'eventuale presenza di altri resti dell'ipotetico naufragio portò al rinvenimento
della maniglia bronzea della statua A (che confermò l'esatta localizzazione del
punto di giacitura dei Bronzi) e di 28 anelli di piombo, che Lamboglia
considerò parti della vela dell'imbarcazione che trasportava le statue. Per
quanto riguarda i frammenti ceramici rinvenuti nel '72 a diretto contatto con le
statue, furono considerati dal Lamboglia come «pezzi vaganti portati dalle
correnti o comunque non collegabili per il momento con le statue»
1
: questo
1
C. Sabbione, “Dal rinvenimento all'esposizione museografica” in Due bronzi da Riace:
rinvenimento, restauro, analisi e ipotesi di interpretazione, I, a cura di L. Vlad Borrelli e P.
Pelagatti, Roma, 1984 (Bollettino d'arte, Serie Speciale, III)
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cauto giudizio fu presto messo in discussione, soprattutto perché compatibile
con l'ipotesi del naufragio proposta dal Lamboglia stesso.
Nel frattempo, con il ritorno del Soprintendente Foti a Reggio, ebbe inizio il
restauro delle statue: iniziò immediatamente la pulitura della seconda statua
recuperata (A), il cui volto e alcune parti del corpo erano coperti da
concrezioni ghiaiose (Fig. 4); la prima statua (B), non presentava invece
concrezioni tali da coprirne la superficie (Fig. 5-6). La rimozione della ghiaia
e della sabbia dalla statua A mise immediatamente in luce la raffinata tecnica
di lavorazione dei Bronzi. La Soprintendenza calabrese non disponeva però
delle necessarie attrezzature e di personale specializzato per portare a termine
né l'intervento conservativo né un'analisi avanzata dei dati emersi, così venne
deciso di trasferire le due statue a Firenze, cosa che avvenne il 17 Gennaio
1975. Durante il restauro le due Soprintendenze, quella Calabrese e quella
Toscana, rimasero in contatto, avviando forme di collaborazione: il
soprintendente Foti infatti seguì le varie fasi del lavoro e partecipò alle
decisioni più importanti, come quella riguardante l'asportazione dei tenoni di
piombo per consentire lo svuotamento delle statue e il trattamento
conservativo delle superfici interne. I lavori di restauro terminarono nel 1980 e
si ritenne opportuno allestire a Firenze una mostra che illustrasse i metodi e i
risultati del restauro. Il ripetuto rinvio della chiusura dell'esposizione, che ebbe
un notevole successo, diede adito, da un lato, ad accese polemiche sulla
collocazione definitiva dei Bronzi (anche se il Ministero dei Beni Culturali
aveva deciso fin dal 1973 di assegnare definitivamente le due statue al museo
di Reggio Calabria), e dall'altro rese chiaro come l'interesse per le statue
poteva costituire un “affare” turistico e commerciale non indifferente.
Nel frattempo, il Soprintendente Foti, prima della sua prematura scomparsa,
riuscì ad impostare nei dettagli la progettazione della sezione di archeologia
subacquea, ricavata dalla ristrutturazione di ambienti sotterranei, del Museo di
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Reggio: in tale sezione trovarono posto i Bronzi, in una stanza creata ad hoc –
infatti è stata denominata “sala dei Bronzi” - dall'architetto M. Semino. (Fig.
7)
1.2 IL NAUFRAGIO
Uno dei primi problemi ad essere dibattuti dopo il ritrovamento dei Bronzi fu
sicuramente quello riguardante il trasporto delle due statue e il motivo per cui
finirono in fondo al mare di Riace. Come si è accennato in precedenza,
l'esplorazione condotta da Nino Lamboglia nel 1973, lo portò a formulare
alcune conclusioni circa il trasporto e la sorte dei due Bronzi: essi, trasportati
via nave dalla Grecia o dalla Magna Grecia verso Roma, furono probabilmente
gettati in mare come carico ingombrante – nei pressi delle statue non fu infatti
trovato il relitto della nave, che poteva aver raggiunto la costa o comunque
essere naufragata lontano dal punto di ritrovamento dei Bronzi, disperdendo il
suo carico su di un'area più vasta - durante una tempesta, mentre l'albero della
nave con la vela sarebbe stato tagliato. A testimonianza del taglio ci sarebbero
i 28 anelli di piombo (Fig. 8) ritrovati nei pressi delle statue, i quali potrebbero
far parte della velatura della nave. A tale osservazione, Gerhard Kapitän
2
obbiettò che gli anelli in questione paiono troppo deboli per assicurare delle
vele.
La tesi avanzata da Lamboglia fu condivisa anche dal Sovrintendente Foti e
divenne presto la tesi ufficiale, che trovò d'accordo vari studiosi, fra cui A.
Gianfrotta, che tuttavia contribuì al dibattito con ulteriori valide conclusioni
personali. Egli osserva infatti che l'ipotesi che l'equipaggio della nave che
trasportava i Bronzi si sarebbe liberato del peso delle statue gettandole in mare
è valida in ragione anche e soprattutto di testimonianze giuridiche e letterarie
2
Gherard Kapitän (1924-2011): archeologo subacqueo di fama mondiale, noto soprattutto per le
sue indagini archeologiche subacquee condotte a sud della costa siracusana, in Sicilia, e per i suoi
studi sulle tecniche marittime delle antiche culture dell'area mediterranea.
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antiche, tra cui il Digesto
3
, in cui l'argomento del getto a mare è trattato
soprattutto nell'ottica dei numerosi problemi giuridici che esso poneva, quali,
ad esempio, il recupero delle merci più preziose. Nel caso dei nostri Bronzi, il
recupero non ebbe evidentemente luogo e ciò portò Foti e tutti i sostenitori
della tesi ufficiale a ritenere che la nave che li trasportava, malgrado si fosse
alleggerita delle due statue e del resto del carico, non si fosse salvata, ma fosse
naufragata in un punto lontano da quello del ritrovamento.
A quest'ultima ipotesi Gianfrotta, dopo essere venuto a conoscenza di alcuni
dettagli riguardante l'esplorazione del Lamboglia del '73, si oppone,
sostenendo che tali dettagli rivelerebbero chiaramente l'esistenza, passata o
forse ancora presente, di un relitto di nave naufragata. In primo luogo, lo
studioso osservò che i frammenti ceramici concrezionati sulle statue, che il
Foti aveva considerato come pezzi vaganti, difficilmente potevano essere tali
proprio in luce del fatto che non erano stati trovati nei pressi delle statue, come
sarebbe logico supporre nel caso di frammenti portati dalla corrente, ma si
erano persino incrostate sotto una di esse. A ciò si aggiungono, sempre
secondo Gianfrotta, gli anelli di piombo e il frammento di legno ritrovati
intorno alle statue: tutti elementi che fanno sospettare la presenza di un relitto.
Tuttavia, l'elemento che Gianfrotta considera determinante per dimostrare la
propria tesi è la posizione in cui furono ritrovate le statue: come testimonia il
Mariottini stesso, i due Bronzi si trovavano coricati, uno su un lato e uno sulla
schiena, in posizione quasi parallela fra loro. La posizione di giacenza quindi,
non sembra conseguente a un getto a mare durante un fortunale ma pare più
compatibile con una normale posizione di carico. Qualche tempo dopo
l'affondamento della nave, con la graduale decomposizione dello scafo, infatti,
la collocazione originaria dei Bronzi (ipoteticamente disposti fianco a fianco
sullo scafo della nave) potrebbe aver subito qualche lieve alterazione, in
3
In latino Digesta o Pandectae, è una compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi
romani realizzata su incarico dell'imperatore Giustiniano I.
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seguito al cedimento del ponte stesso e come conseguenza delle correnti. Nel
corso di tale assestamento, una delle statue si sarebbe sovrapposta,
schiacciandole, ad anfore collocate nella stiva, che distruggendosi sarebbero
andate a costituire le concrezioni del Bronzo A. Per quanto riguarda poi
l'assenza dello scafo, o almeno di parti di esso, bisogna tenere presente che i
relitti giacenti a scarsa profondità sono più esposti all'erosione dovuta al moto
ondoso e finiscono spesso smembrati su una vasta area; inoltre, le ricerche
condotte sul luogo di giacitura non sono state tanto approfondite da permettere
di escludere in maniera definitiva la possibile presenza di parti dello scafo: una
ricerca condotta da un ipotetico pronto intervento tecnico scientifico avrebbe
infatti potuto chiarire immediatamente il problema del naufragio dei Bronzi,
così come altri vari aspetti – su cui ora non è possibile soffermarsi – quali la
data del trasporto, la composizione del carico e la provenienza e la
destinazione della nave.
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