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Introduzione
Questo lavoro nasce da una sana passione per la psicologia e per lo sport, in
particolare per quelli di squadra come il calcio.
Il mio interesse a coniugare l’ambito della psicologia a quello dello sport mi ha
portato ad avvicinarmi alla Psicologia dello Sport, una disciplina che si occupa di
applicare alcuni concetti psicologici all’ambito sportivo, per quanto concerne sia lo
sport agonistico che l’attività sportiva che tutti noi dovremmo praticare per cercare di
mantenere in salute il corpo e la mente.
Visto il crescente interesse verso la figura dello psicologo sportivo all’interno di
sport agonistici, questa tesi può avere un’interessante rilevanza scientifica sia per
poter conoscere meglio le possibilità applicative di questa disciplina, ma anche
perché approfondisce la conoscenza sulle dinamiche di gruppo (in particolare nei
gruppi sportivi) che è di particolare interesse all’interno della Psicologia Sociale.
Questa tesi si focalizza quindi sulla Psicologia dello Sport, soffermandosi sui
fattori che entrano in gioco nell’attività sportiva, in particolare cercando di capire
quali siano quelli più importanti all’interno degli sport di squadra. Quindi, dopo una
presentazione generale delle dinamiche psicologiche, introdurrò una ricerca
compiuta da me e dalla mia collega, Deborah Landa, su alcune squadre di calcio
giovanile nel panorama del Nord-Ovest italiano.
Il primo capitolo tratta della Psicologia dello Sport in generale, cercando di
definire l’argomento partendo della storia (dalle origini a oggi) fino alla
determinazione della figura dello psicologo dello sport e i due principali ambiti in cui
egli può operare: lo sport agonistico dove si occupa di fornire agli atleti un
allenamento mentale (da affiancare a quello tecnico, tattico e atletico per poter
affrontare al meglio qualsiasi competizione) e l’ambito della salute dove studiare le
strategie migliori per fare avvicinare le persone allo sport (cominciando dai giovani,
ma cercando di raggiungere le persone di ogni età ed anche quelle con disabilità
fisiche e mentali) e favorire così lo sviluppo di uno stile di vita che migliori il livello
di salute fisica e mentale. La parte conclusiva del primo capitolo tratta delle
principali psicopatologie che possono svilupparsi o emergere all’interno delle attività
sportive e di come lo psicologo può lavorare con gli individui per affrontarle.
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Tornando sull’argomento dell’agonismo, nel secondo capitolo verranno
presentate le possibili applicazioni della Psicologia dello Sport all’interno degli sport
di squadra, analizzando le principali dinamiche psicologiche che intervengono negli
atleti che fanno parte di una squadra che cerca di competere al massimo delle proprie
possibilità in un campionato. Ci soffermeremo principalmente sulle dinamiche di
leadership, di motivazione (sia individuale nei singoli atleti che di squadra) e di
coesione nonché sull’importanza che esse hanno come fattori per “far dare il
massimo” in competizione.
Dopo aver cercato di definire i fattori psicologici principali all’interno delle
squadre, nel terzo capitolo mi soffermerò a parlare della loro influenza sul successo,
definendo in primis il significato di vittoria e, successivamente, andando a scoprire,
tramite una rassegna di ricerche effettuate soprattutto negli ultimi anni, come alcuni
autori hanno collegato queste dinamiche al miglioramento della performance o al
successo in ambito sportivo,
Dopo aver analizzato il rapporto tra alcune dinamiche psicologiche e il
successo sportivo, nella parte conclusiva della tesi passerò a presentare la ricerca
compiuta dalla mia collega e da me su alcune squadre di calcio giovanile. La ricerca
si sofferma sul rapporto, in squadre che partecipano a campionati di alto livello
(“Primavera Tim”) e di livello più basso (“Juniores Nazionale”), tra coesione di
squadra e successo, concentrandosi anche sull’analisi di altri fattori come la
motivazione e il benessere personale percepito dagli atleti.
Nel capitolo conclusivo verranno discussi i risultati della ricerca anche in
base alla rassegna bibliografica e presenterò quali potrebbero essere i risvolti
applicativi di questi risultati per il lavoro di uno psicologo dello sport in squadre
giovanili di calcio.
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1. La Psicologia dello Sport
1. Definizione di Psicologia dello Sport
La Psicologia dello Sport è una disciplina, abbastanza recente, all’interno dell’area di
progetto che si occupa di studiare la mente umana.
Uno degli scopi principali di questa disciplina è quello di studiare quali siano i fattori
psicologici associati alla prestazione nello sport per il conseguimento della vittoria.
L’interesse crescente verso un miglioramento della prestazione, ha portato, già nel
secolo scorso, a cercare quali potessero essere i fattori, oltre a quelli esclusivamente
fisici, che influenzano positivamente o negativamente il conseguimento di un
risultato sportivo.
Anche se la nascita ufficiale della Psicologia dello Sport avvenne a Roma solo nel
1965 durante il primo congresso promosso dalla Federazione Italiana di Medicina
Sportiva (evento presieduto dallo psicologo italiano Ferruccio Antonelli), già
dall’inizio del XX secolo molti studiosi avevano cominciato ad interessarsi
all’argomento; è in questo periodo, infatti, che si era iniziato a sviluppare alcune
ricerche pionieristiche sia sul campo che in laboratorio (Bäumler, 2009).
Queste ricerche vertevano inizialmente alla formazione di abitudini successive al
comportamento motorio.
Uno dei primi psicologi dello sport è sicuramente Coleman Griffith che, grazie ad
accurati studi su fattori psicologici (come personalità e leadership) orientati alla
performance sportiva (Nascimbene, 2011), ha sdoganato l’importanza di allenare con
lo stesso impegno sia il fisico che la mente.
Verso la seconda metà del ‘900, un’importante svolta, soprattutto in Europa
Occidentale, si verificò quando la Federazione Italiana introdusse, nelle Olimpiadi di
Melbourne del 1956, una diagnosi psicologica (psicopatologia e di personalità)
all’interno della valutazione degli atleti da selezionare. Lo psicologo che si occupò
delle diagnosi fu appunto Ferruccio Antonelli che, dopo quell’esperienza, decise di
convocare, qualche anno più tardi (nel 1965), tutti coloro che, all’interno delle altre
federazioni mondiali, fossero esperti (ed interessati) nell’ambito della Psicologia
dello Sport.
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Dopo il congresso del ’65, venne costituita l'International Society of Sports
Psychology (ISSP), cioè la prima associazione a livello mondiale di Psicologia dello
Sport.
1
In Italia, sempre sotto l’egida di Ferruccio Antonelli, un gruppo di colleghi diede
vita, nel 1974, all’AIPS (Associazione Italiana Psicologia dello Sport).
Dopo questa breve rassegna storica, penso sia importante cercare di descrivere in
maniera più accurata il campo di studi di questa disciplina in espansione.
Definire con precisione Psicologia dello Sport è un compito difficile poiché gli
psicologi dello sport svolgono diversi ruoli nei rapporti con gli atleti.
Possiamo però dire che i grandi campi di applicazione dello sport sono
principalmente due, infatti, dalla definizione che ne dà l’APA (American
Psychological Association) - “La Psicologia dello Sport è uno studio scientifico dei
fattori psicologici che sono associati alla partecipazione e alla prestazione nello
sport, all’esercizio e ad altri tipi di attività fisiche. Gli psicologi dello sport sono
orientati verso due principali obiettivi: (a) aiutare gli atleti a utilizzare principi
psicologici per aumentare la performance e (b) comprendere come la pratica
sportiva, l’esercizio e l’attività fisica influenzino lo sviluppo psicologico, la salute e
il benessere dell’individuo attraverso il ciclo della vita”- si può notare come
l’accento non sia posto soltanto sul miglioramento della performance degli atleti o
delle squadre sportive, ma, toccando anche il campo della Psicologia della Salute, si
cerca di utilizzare la pratica sportiva come veicolo, non solo di benessere fisico, ma
anche di benessere psicologico e sociale.
1.1 Mens Sana in Corpore Sano (e Salute)
Prima di parlare del primo obiettivo, ovvero della branca della Psicologia dello Sport
che si occupa di aiutare i “campioni” ad ottenere migliori risultati sportivi agendo su
alcuni fattori psicologici, vorrei soffermarmi su quanto sia importante anche operare
sui fattori psicologici (in ambito sportivo) delle “persone comuni”.
1
http://calciomeeting.it/news/56/60/Breve-storia-della-psicologia-dello-sport-in-Italia-e-nel-mondo
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Il riconoscimento della Psicologia dello Sport come veicolo di benessere ha aperto
nuove prospettive di lavoro in questo settore, infatti, se si considera la grande
quantità di studi e lavori che negli ultimi anni hanno portato all’espansione di una
disciplina quale la Psicologia della Salute, il passaggio dal paradigma medico a
quello bio-psico-sociale, ha comportato il cambiamento del concetto di salute che
non viene più considerata solo come assenza di malattia, ma anche? come ricerca
attiva del benessere.
Stili di vita sedentari e abitudini poco salutogeniche sono infatti molto pericolosi per
la salute dell’individuo poiché accrescono il rischio di malattie cardiovascolari
croniche.
Lo sport apre quindi nuovi orizzonti di educazione alla salute ed è stato perciò
riconosciuto anche dal Piano sanitario nazionale il suo ruolo determinante nel
favorire stili di vita più sani (Cei, 1998).
Nel 1996, lo U.S. Department of Health and Human Services ha pubblicato un
articolo (1996
2
) in cui veniva illustrato quanto un’attività sportiva regolare arrechi
benefici sia per la salute fisica – in quanto associata alla diminuzione dei rischi
derivanti da malattie cardiovascolari e dall’ipertensione arteriosa – che per quella
mentale: si ottengono infatti benefici quali il miglioramento dell’umore ed un calo
della depressione e dell’ansia.
Vista l’importanza di praticare uno sport, è fondamentale che ci sia un’educazione in
questo senso per quanto riguarda tutti i contesti di vita (scuola, lavoro, persone
anziane, ecc.). Il ruolo dello psicologo dello sport dovrà quindi essere quello di
favorire una sana educazione all’attività sportiva in modo da permettere alle persone
di incrementare il controllo sulla propria salute.
Nel campo della Psicologia della Salute sono stati proposti vari modelli di
educazione (Zani & Cicognari, 2000) che sono legati all’acquisizione di
comportamenti salutari di vita attraverso lo sport. Attualmente, i modelli principali di
educazione alla salute sono tre:
2
(U.S. Department of Health and Human Services (USDHHS). (1996). Physical activity and health: A report of
the surgeon general. Atlanta: U.S. Department of Health and Human Services, Centers for Disease Control and
Prevention, National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion.)
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1) fornire informazioni, è quello dominante nel campo sanitario ed è considerato
come approccio “preventivo”, esso infatti consiste nel fornire informazioni alle
persone (soprattutto pazienti delle ASL o del medico di base), mettendole in grado di
acquisire le conoscenze che le spingeranno a modificare i propri comportamenti di
vita non salutare. Il problema di questo modello è che, in alcuni contesti, in
particolare quello scolastico, esso non sembra avere tanta influenza sugli individui
poiché le informazioni vengono trasmesse ad un pubblico passivo il cui interesse non
viene sollecitato per il fatto che non ritiene di aver problemi riguardo al proprio stile
di vita (a differenza delle persone che si rivolgono ad un’ASL o al proprio medico di
base).
2) approccio del “self-empowerment” (o centrato sulla persona), si basa sullo
spostamento del punto di vista dell’”educatore” che passa da essere l’esperto che
fornisce informazioni ad un pubblico passivo ad agire come facilitatore, aiutando le
persone a riconoscere le proprie potenzialità; in tale modo esse potranno prendere
decisioni positive per la propria salute. In questo caso, il contesto scolastico è
l’ambiente perfetto per questo tipo di approccio perché in questo caso si agisce sui
processi decisionali degli studenti facendo in modo che essi arrivino autonomamente
a prendere delle decisioni sui propri stili di vita, mettendoli anche nella posizione di
resistere alle pressioni sociali che li spingono verso il contrario.
3) sviluppo della comunità, si focalizza, più che sul singolo, su un gruppo di persone
che hanno un problema o un bisogno comune. Si basa anch’esso sull’acquisizione di
self-empowerment, ma è sempre legato ad un accrescimento di capacità legate al
gruppo. Solitamente questo modello è basato sul lavoro di gruppi di minoranza
(femministe od omosessuali, per esempio) che adottano un approccio critico nei
confronti dei servizi esistenti e si concentrano sull’offerta di servizi alternativi, più
rivolti alle esigenze degli utenti.
Anche la Psicologia dello Sport favorisce l’educazione a uno stile di vita
sportivo per tutto il ciclo della medesima. Il contesto ottimale è, come già
menzionato, quello scolastico, sia perché è più facile poter reperire il “pubblico” a
cui è destinato il percorso educativo sia perché è possibile che un cambiamento di
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stile di vita in un adolescente possa essere portato avanti per tutto l’arco della vita
(Miller, 2008). Nei contesti scolastici è quindi importante promuovere l’educazione
allo sport in modo che essa diventi la base di un sistema d’acquisizione di
informazioni su come vivere al meglio utilizzando le proprie risorse fisiche e
cognitive. Miller, uno psicologo dello sport americano (2008), ha raccolto alcune
ricerche in cui emergeva, purtroppo, la preoccupante abitudine degli adolescenti
americani a non seguire i consigli del USDHHS di praticare almeno un’ora di attività
fisica al giorno, per almeno 3 giorni alla settimana; infatti, ben il 36% degli studenti
che frequentano le scuole secondarie non prende in considerazione questi consigli.
L’autore dell’articolo, prendendo spunto da questi dati, spiega come un programma
di educazione allo sport nelle scuole possa servire a promuovere uno stile di vita più
salutare incoraggiando gli adolescenti di dedicarsi ad un allenamento personale,
anche se non collegato ad uno sport agonistico.
Secondo Miller, un programma di Psicologia dello Sport all’interno di un contesto
scolastico deve essere attuato su due livelli: quello individuale – in cui si lavora sui
singoli studenti – e quello che agisce sul sistema in generale – in cui, con la
collaborazione del professore di educazione fisica, si cerca di agire a livello di classe.
Nel campo della Psicologia della Salute, lo sport può agire in diversi modi per
aiutare la ricerca del benessere, infatti, oltre ad essere un fattore molto importante
per mantenere il fisico in forma, esso può anche essere un ottimo alleato in contesti
di cura e riabilitazione (fisica e mentale).
L’individuo si troverà quindi in una situazione di pieno utilizzo delle proprie capacità
di vivere la vita nel miglior modo possibile, sia per quanto riguarda la salute fisica
sia in un contesto più generale di relazioni sociali.
1.1.1 Quando lo sport diventa un problema
Abbiamo visto come la Psicologia dello Sport, per quanto riguarda la salute, serva ad
educare le persone ad adottare uno stile di vita sano per migliorarne la qualità
diminuendo il rischio di malattie cardiovascolari e molti altri problemi causati dalla
sedentarietà.
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Negli ultimi anni (Lucchini & Cicerone, 2011), è emerso un problema opposto a cui
far fronte, succede infatti che, a volte, la pratica di uno sport si trasformi da essere un
piacere fino a diventare un’ossessione. Si parla infatti di sports addiction o
dipendenza da sport quando le persone lo praticano per migliorare costantemente il
proprio aspetto fisico, avendo di esso un’immagine distorta (molto spesso è un
problema associato anche all’anoressia o alla bulimia) tanto da provare un profondo
disagio se sono costrette ad interrompere una seduta o a saltarla completamente.
Secondo Giovanni Caputo, psichiatra e psicoterapeuta specializzato in dipendenze
(in Lucchini & Cicerone, 2011), ci sono tre livelli di tipologia di persone che
praticano sport in modo non equilibrato:
• I sani nevrotici, che provano un eccessivo ed ingiustificato senso di benessere
nella pratica sportiva;
• gli sportivi compulsivi che utilizzano lo sport come una routine per avere un
senso di controllo sulla propria vita;
• i veri e propri dipendenti da sport che utilizzano l’attività fisica come
regolatore dell’umore per attenuare uno stato di malessere provato al di fuori
dalla pratica sportiva.
Il lavoro dello psicologo dello sport, con persone che soffrono di dipendenza
dall’attività, deve essere coadiuvato dall’opera di uno psicoterapeuta dato che, prima
di lavorare in modo da cercare di trasformare l’attività sportiva eccessiva in una
pratica sana, bisogna cercare di individuare i problemi emotivi, cognitivi o relazioni
che si nascondono dietro alla dipendenza.
Riquadro 1: Campanelli d’allarme della sports addiction
Dedicare all’allenamento più di otto ore alla settimana (ovviamente se non
finalizzate ad uno sport agonistico).
Aumentare continuamente il tempo dedicato all’attività fisica.
Ridurre il tempo di lavoro o rinunciare a svaghi per mantenere costanti gli
orari di allenamento.
Ricevere spesso critiche da familiari o conoscenti per il tempo o i soldi
investiti nello sport.
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Provare una forte sensazione di disagio quando si deve interrompere o
saltare una seduta di allenamento .
Vedere l’attività fisica come l’unico modo per ottenere consensi positivi
dalle persone.
Dare eccessiva importanza alla muscolatura fino a vestirsi in modo
particolare per evidenziarla oppure per nascondere parti del corpo che non
piacciono perche non sono sufficientemente allenate.
Continuare ad allenarsi anche quando è sconsigliato dall’istruttore oppure
quando c’è necessità di riposo dopo un trauma o un affaticamento
eccessivo.
1.2 Allenare la Mente (Psicologia dello Sport come veicolo per la performance)
In Italia, da pochi anni, l’attenzione dei media si sta spostando verso lo studio della
mente come aiuto alla performance degli atleti, infatti, uno dei primi casi in cui si è
parlato di uno psicologo come “accompagnatore” di uno sportivo è stato quando
Federica Pellegrini, campionessa olimpica di nuoto, ha dichiarato di essere seguita da
uno psicologo dello sport.
In quel caso, lo psicologo Daniele Popolizio aveva aiutato inizialmente la Pellegrini
a superare un momento di crisi acuta dovuto ad attacchi di panico che si
manifestavano prima di alcune gare importanti e, quindi, aveva iniziato a seguire la
campionessa con un lavoro di mental-coaching che le ha permesso di migliorare le
prestazioni grazie ad una preparazione psicologia calibrata su di lei.
Una delle domande da porsi quando si considerano le applicazioni all’interno della
Psicologia dello Sport è : “Cosa fa uno psicologo dello sport?”
La risposta a questo interrogativo è complicata per via dei diversi ruoli che uno
psicologo dello sport può assumere all’interno del vasto campo del supporto
psicologico all’attività fisica.
Abbiamo visto come i due campi d’intervento privilegiati siano quello del sostegno
all’attività agonistica e quello della Psicologia della Salute, in cui è importante che
sia fornito un aiuto per promuovere adeguatamente l’educazione ad una vita sana
tramite l’attività fisica.
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Nel manuale di Psicologia dello Sport scritto dallo psicologo Alberto Cei (1998),
l’autore identifica otto aree di indagine di ricerca all’interno della disciplina:
1) Lo studio dei processi cognitivi che sono coinvolti nelle prestazioni sportive
per capire le differenze tra le diverse modalità di apprendimento delle abilità
motorie (ad esempio la differenza tra esperti e principianti)
2) Le differenti abilità psicologiche che entrano in gioco nelle diverse
discipline; l’autore identifica come abilità principali l’immaginazione
mentale, il goal-setting, l’autoefficacia, l’attenzione e le abilità interpersonali.
3) I processi motivazionali e quanto l’ambiente influisca sulla motivazione
intrinseca.
4) Il ruolo dell’allenatore e come viene organizzato l’allenamento in modo che
favorisca l’apprendimento.
5) I programmi volti a guidare i bambini verso esperienze sportive gratificanti
e psicologicamente positive.
6) Il benessere e la salute, cercando di promuovere stili di vita non sedentari
attraverso la partecipazione a programmi di attività fisica.
7) Le abilità interpersonali e le dinamiche di gruppo, in particolare gli stili di
leadership e i processi comunicazionali tra i membri di un gruppo sportivo.
8) I processi di autoregolazione, in particolare lo studio dello stress associato
alla competizione e l’ansia dovuta sia ad una dimensione psicologia
personale, sia ad un contesto sportivo stressante.
Il lavoro dello psicologo dello sport è quindi un lavoro multidisciplinare che
coinvolge diversi campi che spaziano dalla Psicologia della Salute alle Neuroscienze
passando per la Psicologia dei gruppi e le Scienze Motorie. Per questo motivo è
molto importante che ci sia una stretta collaborazione con gli esperti delle diverse
discipline.
All’interno di questa tesi voglio focalizzare l’attenzione sul ruolo dello psicologo
sportivo come supporto agli atleti in contesti agonistici e su come, lavorando su
determinati fattori psicologici, sia individuali che sociali, si possa incrementare la
performance dell’atleta o della squadra nelle manifestazioni sportive.
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La difficoltà principale che, molto spesso in passato, ha incontrato la figura dello
psicologo dello sport é che, solitamente, qualsiasi servizio di stampo psicologico era
associato a una situazione di malattia e non era vissuto come un utile supporto in
condizioni di buona salute, perciò gli atleti e squadre professionistiche evitavano di
approfittare delle risorse fornite dalla Psicologia dello Sport.
Come scritto precedentemente, solo dopo che sono stati visti i primi ottimi risultati di
un lavoro sui fattori psicologici per aumentare le performance degli atleti, il mondo
dello sport ha cominciato a cambiare idea e ad aprirsi alla possibilità di integrare i
sistemi di allenamento tradizionali (fisici) con un tipo di allenamento (coaching)
mentale.
Nel libro scritto dallo psicologo che ha seguito Federica Pellegrini (Popolozio,
2010), l’autore ha definito quattro livelli di preparazione con cui ha aiutato la
nuotatrice a tornare al successo e a migliorare ulteriormente le proprie performance:
Il primo livello è stato lo screening psicologico delle capacità mentali in cui
sono state analizzate le caratteristiche vincenti e perdenti della Pellegrini per quanto
concerne il nuoto.
Successivamente si è cominciato a lavorare affinché, una volta analizzate le
varie caratteristiche della sua personalità, l’atleta fosse mentalmente pronta a
reggere il pesante carico di allenamenti fisici che avrebbe dovuto affrontare
(ovviamente è molto importante coordinare la preparazione psicologica con il lavoro
dell’allenatore).
La terza fase è quella che viene applicata in prossimità delle gare ed è quella
che per lo psicologo corrisponde al vero lavoro di mental coaching.
In questa fase bisogna portare l’atleta a prepararsi all’avvicinamento ed al successivo
allontanamento dalla gara fornendogli gli strumenti necessari per superare i livelli di
stress.
La quarta ed ultima fase è infine quella di sostegno all’atleta dopo la gara. Il
lavoro consiste nell’aiutare l’atleta a possedere, tramite un lavoro cognitivo
comportamentale, la visione oggettiva del risultato; lavoro molto importante in caso
sia di vittoria che di sconfitta.
Antonelli, in un suo libro sulla Psicologia dello Sport (Antonelli & Salvini, 1987),
scrive che la preparazione mentale di un atleta è fondamentale per tre motivi: