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giudice; nell’ambito internazionale, ogni potere giudiziario si
esaurisce entro il territorio dello Stato, ed al di là dei relativi
confini non può spiegare né poteri, né attività.
E’ evidente, che tali principi non possono essere senza
eccezioni e quindi si afferma l’esigenza di una deroga al
criterio della territorialità dei poteri del giudice. La più
importante, anche se non la sola, di tali deroghe, è costituita
dalla commissione rogatoria, o “rogatoria” semplicemente.
La rogatoria, per chi scrive rappresenta il principio di
solidarietà tra le Nazioni sul tema della giustizia. Interessa
tutti gli ordinamenti, richiede il consenso degli Stati civili, la
parità giuridica e l’eguaglianza dei diritti e dei poteri.
Il fatto che lo studio sulla possibilità di rogatoria, sia collegato
non solo al codice di procedura penale, ma sia rispettoso
anche dei principi della Costituzione, come si vedrà, in merito
specialmente alla possibilità di ottenere l’estradizione, ne fa
una materia, di gran rispetto e considerazione.
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L’individuo, è tutelato totalmente, infatti, non è concessa la
sua estradizione per reati politici, o per motivi che si
riferiscono alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità,
alla lingua o in ogni caso ad atti che configurano violazione di
uno dei diritti fondamentali della persona.
Si nota, però che la rogatoria è un istituto in cui determinate
convenzioni bilaterali hanno un difetto di armonizzazione; il
che è un inconveniente assai grave, poiché nel processo
penale funziona in modo rigoroso il principio della prevalenza
delle convenzioni e degli usi internazionali sulle norme recate
dal Codice di Procedura Penale.
Infatti, l’art.656 del c.p. dispone che per quanto concerne le
rogatorie si osservano le convenzioni e gli usi internazionali e
solo se trattasi di materia non regolata da tali fonti si
applicano le disposizioni del codice.
Bisogna stabilire inoltre, l’efficacia degli atti stranieri nel
nostro Stato, infatti, se si tratta di rogatorie passive bisogna
verificare se l’atto straniero possa trovare esecuzione in
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Italia; invece se si tratta di rogatorie attive, quali effetti
giuridici possa produrre in Italia l’atto straniero compiuto a
nostra richiesta.
Quindi la rogatoria internazionale è lo strumento attraverso il
quale il principio di “ obbligatorietà dell’azione penale” trova
attuazione anche al di fuori dei confini dello Stato, oltre i limiti
“spaziali” della sovranità statale.
Rogatoria deriva dal verbo latino “rogare” (domandare,
richiedere, pregare qualcuno per ottenere qualcosa); è la
stessa radice dell’espressione latina ad introdurre l’idea di
una situazione di parità tra soggetti giudiziari che, restando
sullo stesso piano, sono chiamati a fornirsi reciproca
collaborazione.
La rogatoria va distinta, pertanto, dalla “delegazione di atti”
che implica la posizione di superiorità di uno dei due soggetti
(il richiedente) e che presuppone l’appartenenza di una
medesima struttura, all’interno della quale il soggetto
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richiesto si vede attribuire dal richiedente delle potestà
originariamente non di sua spettanza.
Per completezza va rilevato che esistono anche rogatorie
interne, cioè tra giudici di uno stesso Stato ma di sedi
diverse, e rogatorie in materia civilistica; ma queste restano
al di fuori del nostro esame, incentrato sulle sole rogatorie
internazionali in materia penale.
Poste queste premesse va subito evidenziato che la rogatoria
internazionale attua il principio di “assistenza giudiziaria
internazionale” come strumento per mezzo del quale gli atti
processuali necessari al procedimento sono richiesti e
assunti.
Fondamento di questo sistema è una serie di convenzioni
bilaterali o accordi tra comunità di Stati, in base ai quali si
garantisce ad uno Stato estero, a condizione di reciprocità, la
collaborazione nell’espletamento di atti con efficacia
probatoria e nell’esecuzione di provvedimenti giudiziari nel
territorio dello Stato rogato.
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Il problema dell’assistenza giudiziaria tra gli Stati nel campo
della repressione del crimine rappresenta attualmente una
delle esigenze maggiormente sentite in seno alla comunità
internazionale.
La criminalità internazionale sta assumendo sempre più
l’aspetto di una tentacolare “holding economico – criminale “
priva di confini, inserendosi in tutti gli ambienti economici che
le permettano moltiplicazioni degli utili e possibilità di
“riciclare” il frutto dei suoi illeciti traffici, attuando complicati
giochi di false fatturazioni, trasferimenti di capitali, società di
comodo etc.
L’esistenza di “paradisi fiscali” e di amministrazioni statali
(specie nei paesi cosiddetti “in via di sviluppo”), ha fatto si
che l’attenzione dei criminali “nostrani” si rivolgesse a dette
realtà, favorendo l’inserimento della n’drangheta, della sacra
corona unita, della camorra e di altre strutture criminali
associative negli anfratti lasciati da legislazioni poco accorte,
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o nelle voragini aperte grazie all’interessamento ed alla
copertura di funzionari corrotti.
Non di secondaria importanza, poi, è la tendenza della
criminalità organizzata dei paesi del blocco ex - sovietico ad
estendersi in Occidente, inserendosi prevalentemente nel
mercato degli stupefacenti, dello sfruttamento della
prostituzione, delle armi e da ultimo in quello delle sostanze
radioattive.
Ed è soprattutto con questi paesi lontani tanto sul piano della
cultura giuridica quanto su quello politico che sorgono
problemi di notevole gravità, considerando soprattutto il “gap”
creatosi negli anni della “guerra fredda”, periodo nel quale è
stato quasi totalmente nullo lo scambio di informazioni sul
fenomeno, peraltro negato o minimizzato per questioni di
prestigio internazionale da parte dei governi d’oltre cortina.
La situazione di profonda confusione creatasi in seguito allo
smembramento dell’U.R.S.S. ha fatto si che i problemi
assumessero gravità sempre maggiore, non essendo più
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possibile trovare, nei nuovi governi locali, interlocutori in
grado di garantire un serio confronto e un proficuo scambio
d’informazioni.
Non da ultimo, poi, si è manifestato, in tutta la sua
drammaticità, il fenomeno di “holding criminali” in grado di
controllare i governi e di paralizzare la controffensiva delle
forze dell'ordine, già poco efficace vista la scarsa motivazione
ed organizzazione delle polizie locali.
Inoltre, per quanto riguarda la cronaca italiana degli ultimi
anni, si è assistito, in seguito al dilagare incontenibile e
prorompente delle inchieste “mani pulite”, ad un numero
sempre maggiore di procedimenti caratterizzati dalla
necessità di investigare e bloccare patrimoni all’estero,
presso istituti di credito od altri enti ai quali gli illeciti proventi
di concussioni e corruzioni erano stati affidati allo scopo di
rendere meno controllabile la cospicua massa di denaro
accantonata.
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Il cosiddetto “Pool Mani Pulite” di Milano, negli ultimi anni di
inchieste, ha presentato un numero notevole di rogatorie
internazionali, il che dà una chiara idea della delicatezza e
dalla portata assunta dal problema della collaborazione
giudiziaria in materia penale.
Non va taciuto che, stante la difficoltà e le lungaggini proprie
dei meccanismi di cooperazione, si è proposto con
drammaticità il rischio della caduta in prescrizione dei reati
oggetto di indagine e l’esigenza sempre più pressante di una
norma che ponga in “quiescenza” le indagini e i termini di
prescrizione, permettendo di potere attendere gli esiti delle
richieste di informazioni trasmesse all’estero a mezzo di
rogatoria internazionale.
Particolare interesse assume poi, alla luce delle recenti prese
di posizione dell’autorità giudiziaria elvetica che hanno
portato al blocco dell’iter delle rogatorie internazionali
richieste dall’Italia, il problema dell’applicazione del “principio
di specialità” anche alle rogatorie internazionali.
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La questione è sorta nel corso di inchieste relative a
fenomeni di corruzione, per le quali l’autorità giudiziaria
italiana aveva richiesto una serie di rogatorie internazionali
tese ad acquisire la documentazione di movimenti dei capitali
impiegati per pagare le “mazzette”.
L’utilizzo di tali informazioni da parte degli ispettori del
“SECIT”, in seguito all’autorizzazione del magistrato rogante,
ha provocato il blocco degli ulteriori procedimenti per
rogatoria in corso con la Svizzera. E ciò fino all’ottenimento di
adeguate garanzie di rispetto del principio di specialità delle
rogatorie, con l’assicurazione che le informazioni acquisite
sarebbero state utilizzate esclusivamente nel procedimento
nel cui ambito s’inquadrava la rogatoria.
In questo contesto si inseriscono, in ogni caso, valutazioni di
carattere più propriamente politico che di diritto, in
considerazione soprattutto della particolarità dei principi
fondamentali degli ordinamenti giuridici nazionali e del
riflesso che su di essi assumono le attività di cooperazione
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giudiziaria internazionale nell’ambito della repressione dei
reati.
L’Unione Europea, attenta a tali problematiche, ha inteso
dare una risposta a questi fenomeni incentivando le forme di
cooperazione tra gli Stati membri (Convenzione Europea di
assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo
il 20 aprile 1959) e stabilendo di istituire una sorta di polizia
europea (Europol), composta di funzionari di polizia dei vari
Paesi, cui affidare compiti di raccordo tra gli uffici investigativi
nazionali, nonché funzioni di supporto e coordinamento
informatico; in particolare, è stata progettata l’istituzione di
una banca – dati comune (Servizio di informazione
Schengen) ed è iniziato un rapporto di collaborazione con i
Paesi dell’area ex sovietica.
Altra Convenzione, oltre quella di Strasburgo e di Schengen
è quella Europea di estradizione firmata a Parigi il 13
dicembre 1957. Poi abbiamo la Convenzione europea per la
sorveglianza delle persone condannate o liberate sotto
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condizione, firmata a Strasburgo il 30 novembre 1964; il
Patto internazionale sui diritti civili e politici aperto alla firma a
New York il 19 dicembre 1966; la Convenzione internazionale
contro la cattura degli ostaggi, aperta alla firma a New York, il
18 dicembre 1979; la Convenzione europea per la
repressione del terrorismo, aperta alla firma a Strasburgo il
27 gennaio 1977; la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il
sequestro e la confisca dei proventi di reato, aperta alla firma
a Strasburgo il 18 novembre 1990.
La prospettiva di maggiore interesse resta sempre però
appuntata al mutamento di concezione della politica di
cooperazione giudiziaria rappresentato dal Trattato
sull’Unione politica di Maastricht.
Con esso si realizza il passaggio delle Comunità economiche
europee alla Comunità europea e si rafforzano i profili
istituzionali dell’organizzazione comunitaria.
Per quanto riguarda l’ambito delle norme delle Convenzioni
internazionali, è evidente che in esse assumono una
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posizione di primo piano le disposizioni contenute nelle varie
Convenzioni europee e in particolare in quella relativa alla
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre del 1950.
Non va trascurato, comunque, che la materia è interamente
regolata da convenzioni tra gli Stati, le quali prevedono le
forme e i limiti della collaborazione tra i giudici e la polizia
giudiziaria dei diversi Paesi contraenti, e che la stessa
Unione Europea si è fatta promotrice di iniziative per
l’avvicinamento degli ordinamenti degli Stati membri e dei
Paesi non appartenenti all’Unione, al fine di rendere
maggiormente incisiva l’azione di prevenzione e repressione
dei reati commessi dalle organizzazioni criminali
transnazionali.
Ci si accorge, infatti, di quanto possa essere farraginoso e
disorganico un sistema basato su una serie di accordi tra gli
Stati, a volte risalenti addirittura alla fine del secolo scorso, e
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costretto ad una continua revisione per adattarsi ai mutati
scenari politico – sociali internazionali.
Inoltre va sottolineato che, perlomeno in Italia, vi è un ampio
potere discrezionale da parte del Ministro di Grazia e
Giustizia (organo politico e non giudiziario) in merito alla
valutazione dei presupposti delle richieste, alla loro
rispondenza alle norme delle convenzioni, al rispetto della
condizione di reciprocità e, non da ultimo, dei diritti
fondamentali della persona.
Ciò comporta una serie di valutazioni di carattere più politico
che tecnico – giuridico relative a situazioni che
richiederebbero la collaborazione fra due poteri dello Stato
frequentemente in contrasto tra di loro, il che contribuisce ad
originare non pochi problemi di gestione.
Scopo di questa trattazione sarà analizzare i procedimenti
preordinati al compimento di atti processuali validi in un
paese diverso da quello rogante, utilizzabili in sede
processuale, o comunque nel procedimento, evidenziando i
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criteri ricavabili dalle norme dell’ordinamento italiano e da
quelle contenute nelle convenzioni alle quali il nostro Stato ha
aderito.
Tutto questo discorso, parte dall’idea di un’amministrazione
universale della giustizia, ed il principio di reciprocità tra gli
Stati, costituisce un parametro valutativo di natura politica.
Oggi, l’utilizzo della rogatoria quale strumento di
collaborazione tra gli Stati comporta problemi di
armonizzazione tra ordinamenti giuridici diversi e proprio per
questo motivo, è considerata uno strumento normale, ma non
esclusivo , ricercando strumenti alternativi a tale forma di
assistenza giudiziaria.