Introduzione
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Introduzione
La sempre più elevata richiesta di energia a partire dal boom economico degli anni
’60 ha fatto si che in Italia ci sia stata una enorme diffusione degli impianti
termoelettrici, favorita anche da un allora ridotto costo del petrolio. In quegli anni la
produzione da idroelettrico, che rappresentava la maggiore fonte di produzione,
venne superata dal termoelettrico, fino ad andare a coprire i tre quarti del fabbisogno
energetico nazionale, situazione rimasta praticamente immutata fino ad oggi.
Nelle centrali termoelettriche, le turbine a vapore coprono circa il 65% sia in termini
di potenza totale installata che di produzione elettrica effettiva totale, mentre quella
da semplice turbina a gas sfiora il 10%. La restante percentuale è interessata da
impianti a ciclo combinato.
Fig. I.1 – Storico della produzione di energia in Italia dal 1950 [1]
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La generazione di vapore richiede l’utilizzo di combustibili fossili, tra i quali olio
combustibile, carbone, gas naturale. L’energia termica ottenuta dalla combustione
viene utilizzata in un ciclo termodinamico diretto, chiamato ciclo di Rankine.
L’acqua in ingresso caldaia raggiunge livelli di temperatura e pressione elevate (circa
550°C e 180 bar per gli impianti subcritici). La successiva espansione in turbina
consente uno scambio energetico tra fluido e organi mobili; in particolare si tratta di
una cessione di lavoro meccanico da parte del fluido alle pale rotoriche che
compongono la turbina.
Al fine di migliorare il rendimento del ciclo, dopo una prima espansione parziale in
una turbina ad alta pressione, il vapore viene rinviato in caldaia per un secondo
surriscaldamento, per poi essere definitivamente espanso nei gruppi di media e bassa
pressione fino alla pressione vigente nel condensatore. La potenza meccanica della
turbina in movimento viene trasferita ad un alternatore, ad essa rigidamente
collegato, che trasforma l’energia meccanica in energia elettrica, mediante fenomeni
di conversione elettromagnetomeccanici. L’energia così prodotta viene resa
disponibile alla rete di distribuzione.
Il nostro Paese non dispone di importanti riserve di combustibili fossili, ragion per
cui la quasi totalità della materia prima viene importata dall’estero. La richiesta di
idrocarburi si è accentuata sempre più, soprattutto dopo che l’Italia ha abbandonato
la produzione di energia da fonte nucleare, a seguito del disastro di Chernobyl
nell’aprile del 1986. Per quanto il metano risulti più efficiente, sia in termini di
rendimento energetico che di ridotte emissioni, il carbone ha costi di
approvvigionamento che risultano essere circa la metà e per questo è largamente
utilizzato nelle centrali termoelettriche. L’obiettivo delle società di gestione
dell’energia resta pur sempre quello di fornire energia a prezzi competitivi rispetto al
resto dell’Europa. Il carbone, dunque, è un elemento la cui presenza nel mix dei
combustibili utilizzati risulta necessaria. Fino al 2007 l’Italia figurava come settimo
importatore mondiale di petrolio e come nono di carbone. Il costo di produzione
dell’energia infatti dipende molto dal mix energetico utilizzato, ma anche dall’età e
dall’efficienza delle centrali.
Negli ultimi 30 anni le percentuali di utilizzo relative ai tre principali combustibili
sono cambiate radicalmente: per il gas naturale si è passati dal 10% al 45%, mentre
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per il carbone da 10% al 15%. Diversa la situazione dei derivati del petrolio, scesi
radicalmente dal 75% al 33%.
Le tecnologie odierne permettono di avere una combustione da carbone per così dire
“pulita”, nel senso che la presenza di dispositivi al camino quali denitrificatori,
desolforatori e altri, consentono di avere emissioni da inquinanti al disotto di ciò che
impone come limite la normativa vigente. Inoltre, gran parte dei prodotti reflui della
centrale possono essere riutilizzati come materia prima da altre aziende. A conferma
di tale situazione si ricorda che nel 2003 l’allora Ministro per le attività produttive
Marzano firmò il decreto con il quale si procedeva alla conversione della centrale di
Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia da olio combustibile a carbone. Ad oggi risulta
ancora impensabile poter ridurre drasticamente la dipendenza da combustibili fossili,
in quanto alla base della disponibilità di energia in tutto il mondo.
Il seguente lavoro di tesi ha come oggetto di studio una centrale termoelettrica con
generatore di vapore alimentato a polverino di carbone. L’obiettivo è quello di
sfruttare al massimo la centrale già esistente, attraverso un intervento di repowering.
L’idea è quella di utilizzare l’energia termica contenuta nei fumi di scarico della
turbina a gas, dotati di una notevole portata massica ed elevato livello termico, per
incrementare la produttività di un impianto a vapore esistente.
Fig. I.2 – Variazione percentuale di utilizzo da fonti di energia non rinnovabile [1]
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In questa sede si porrà particolare attenzione sul “Feedwater Repowering”, che
consiste nell’impiego dell’energia termica residua per il preriscaldamento dell’acqua
di alimento in ingresso al generatore di vapore, riducendo o eliminando alcuni
spillamenti di vapore in turbina. In tal modo si incrementa la portata di vapore,
soprattutto nella turbina di bassa pressione, aumentando la potenza dell’impianto
preesistente.
La simulazione verrà fatta mediante l’utilizzo di un software sviluppato dalla
multinazionale statunitense General Electric, il “GateCycle”, con il sussidio di un
foglio di calcolo Microsoft Excel. Si mostreranno i miglioramenti ottenuti in termini
di incremento di potenza totale dell’impianto e di rendimento marginale. A seguire,
si effettuerà un’analisi di fattibilità economica dell’investimento, in particolar modo
analizzando il costo finale del kWh prodotto.
Il lavoro di tesi è articolato in cinque capitoli, i cui contenuti sono di seguito
sintetizzati.
Il Capitolo 1 descrive il funzionamento di un impianto a vapore, analizzando i vari
componenti ed i concetti fondamentali per lo studio del ciclo termodinamico di
interesse. Viene esaminato il ciclo più semplice a vapor d’acqua, il ciclo di Rankine,
e le successive implementazioni, fino ad arrivare all’assetto delle moderne centrali.
Notevole importanza verrà data al concetto di rigenerazione per un impianto a
vapore.
Nel Capitolo 2 vengono analizzate le tecniche di repowering per un impianto a
vapore. L’attenzione è focalizzata principalmente sul feedwater repowering,
evidenziandone aspetti tecnici e limitazioni nell’impiego. Inoltre vengono introdotte
le principali grandezze attraverso cui è possibile definire l’efficacia del repowering;
prime tra tutte il rendimento marginale, ma anche il consumo specifico di
combustibile e l’energia specifica richiesta per la produzione di un kWh.
Nel Capitolo 3 si descrivono le caratteristiche dell’impianto a vapore subcritico sul
quale è svolta l’analisi di repowering. Inizialmente viene descritta la modalità di
l’utilizzo del GateCycle per l’analisi dell’impianto, mettendo in evidenza i concetti di
design ed off-design ed il collegamento con il CycleLink. In seguito viene descritto il
funzionamento dell’impianto base, focalizzando l’attenzione sulla linea rigenerativa.
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Infine vengono illustrate le motivazioni che spingono al lavoro svolto, con lo schema
finale d’impianto.
Il Capitolo 4 è dedicato all’analisi energetica delle diverse tipologie di feedwater
repowering proposte. In particolare viene analizzato il feedwater repowering
realizzato con una turbina a gas industriale, con una coppia di aeroderivative ed
infine con una coppia di aeroderivative ICAD.
Vengono valutate le condizioni limite cui potrà operare l’impianto, introducendo il
concetto del “fuel saving” dove necessario ed infine vengono mostrati i risultati
finali. Inoltre, sono evidenziate le modalità di dimensionamento degli scambiatori
che verranno inseriti nell’impianto.
Nel Capitolo 5 è proposta l’analisi economica dell’impianto per le varie
configurazioni di repowering adottate. Allo scopo di valutare il costo unitario di
produzione del kWh, vengono introdotti dei modelli che consentono di valutare il
costo di investimento dei componenti principali dell’impianto in funzione di
parametri caratteristici, tra cui la potenza, l’efficienza o le superfici di scambio
termico. Infine, il costo del kWh delle diverse soluzioni di repowering analizzate è
messo a confronto con quello dell’impianto base.
Impianti a vapore
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CAPITOLO 1
Impianti a vapore
Gli impianti a vapore forniscono oggi la maggior parte dell'energia elettrica prodotta.
Sono caratterizzati da valori del rendimento utile compresi tra 0.4 e 0.45 e, tra gli
impianti di produzione di potenza, sono quelli che forniscono la maggiore potenza
utile, esistendo realizzazioni da 100MW sino a 2GW, con portate di vapore di circa
1000 kg/s per 1 GW di potenza utile. Tali impianti sono a circuito chiuso e
combustione esterna: ciò costituisce un forte vantaggio, poiché vengono preservate le
parti più delicate dell’impianto (turbomacchine, scambiatori di calore) dal contatto
diretto con i prodotti “sporchi” della combustione. Sono alimentati tipicamente da
combustibili fossili; quantitativamente meno importanti sono le sorgenti di natura
termo-nucleare, geotermica e gli impianti combinati. I moderni impianti a vapore
sono a portata variabile, cioè presentano portata diversa nelle varie sezioni
dell'impianto, e risultano impiantisticamente più complessi.
1.1 Macchine termiche a ciclo diretto
Un impianto a vapore non è altro che una macchina termica: ha quindi il compito di
trasformare il calore fornito dall’esterno in lavoro utile, attraverso trasformazioni
cicliche . Il II° principio non consente una completa trasformazione del calore in
lavoro; essendo, infatti, il calore una forma di energia meno nobile, la sua
trasformazione in lavoro meccanico comporta inevitabilmente una “degradazione”
del calore stesso, ossia è necessario che si verifichi una contestuale restituzione di
parte del calore che non può essere trasformato in lavoro ad una sorgente a
temperatura più bassa.
Impianti a vapore
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La figura 1.1 chiarisce questo concetto per un ciclo bitermico, costituito cioè da una
sola sorgente calda e una fredda.
E’ intuitivo che per ottenere un rendimento elevato è necessario avere per quanto più
possibile un’ elevata temperatura della sorgente calda, comunque inferiore al limite
tecnologico, e un basso livello termico inferiore, condizionato dai limiti
dell’ambiente.
Quantitativamente, il lavoro prodotto in un ciclo termodinamico diretto è valutabile
mediante il I° principio della termodinamica, il quale definisce il concetto di
equivalenza tra calore e lavoro: qualunque trasformazione di calore in lavoro e
viceversa comporta una variazione dell’energia interna del sistema. In simboli:
Fig. 1.1 – Trasformazione del calore in lavoro
Impianti a vapore
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Per un sistema isolato (macchina + fluido motore), questo si traduce in:
(1.2)
Definendo una convenzione dei segni per la quale il calore è positivo se entrante nel
sistema e il lavoro positivo se uscente, si ottiene:
La differenza tra calore fornito dalla sorgente calda e quello ceduto alla sorgente
fredda si trasforma in lavoro utile in uscita dal sistema.
Per ogni ciclo termodinamico considerato è necessario che esso sia composto da
trasformazioni che rappresentino processi termodinamici realmente ottenibili
(fattibilità tecnologica). Inoltre dovranno essere compatibili con la tipologia e le
caratteristiche della sorgente calda e fredda (serbatoio termico), consentendone un
elevato sfruttamento. Infine si richiederà un rendimento termico di conversione più
elevato possibile, con limitata sensibilità agli effetti delle irreversibilità.
1.2 Trasformazione dell’acqua in vapore
Nelle centrali termoelettriche il fluido utilizzato per la conversione del calore in
lavoro utile è l’acqua allo stato di liquido e di vapore.
Le trasformazioni termodinamiche interessate sono le seguenti:
trasformazioni a pressione costante (isobare),
trasformazioni a volume costante (isocore),
trasformazioni a temperatura costante (isoterme),
trasformazioni senza scambio di calore con l’esterno (adiabatiche).
A seconda dei sistemi di coordinate prescelte, le trasformazioni sono rappresentate
graficamente dai seguenti diagrammi:
Impianti a vapore
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il diagramma (p, v), se le coordinate che rappresentano lo stato fisico del
fluido sono la pressione e il volume specifico;
il diagramma entropico (T, s), se le coordinate sono la temperatura
assoluta e l’entropia specifica;
il diagramma di Mollier (h, s), se le coordinate sono l’entalpia specifica e
l’entropia specifica.
L’ interesse è focalizzato sulla trasformazione di acqua in vapore. Questo processo
può essere descritto su ognuno dei diagrammi sopraelencati, in modo da definirne le
caratteristiche salienti. In figura 1.2 viene rappresentata sul piano (p,v):
La trasformazione dell’acqua in vapore in un generatore di vapore avviene a
pressione costante, dunque lungo una retta orizzontale. Durante la fase di
riscaldamento dell’acqua dalla temperatura iniziale fino alla temperatura di
ebollizione t
0
(relativa alla pressione considerata p
0)
, il volume dell’acqua aumenta
Fig. 1.2 – Diagramma di fase dell’acqua sul piano p,v
Impianti a vapore
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pochissimo, portandosi da v
0
a v
0
’, e la trasformazione è rappresentata dal segmento
AB. Continuando a somministrare calore, l’acqua vaporizza e la pressione rimane
costante fino alla completa trasformazione dell’acqua in vapore; il volume specifico
aumenta da v
0
’ a v
0
”. Questa fase di vaporizzazione è rappresentata dal segmento
BC. Fornendo ulteriore calore, si ottiene vapore surriscaldato: il volume e la
temperatura aumentano e il punto rappresentativo si sposta a destra di C
sull’orizzontale a pressione costante p
0
.
Se la trasformazione dell’acqua in vapore avviene ad un’altra pressione costante
p1>p0, la sua rappresentazione sul diagramma avverrà in maniera identica, ma su
un’altra orizzontale posta al di sopra della prima. Da notare però come in questo caso
la vaporizzazione inizierà ad una temperatura t
1
>t
0
e a un volume v
1
’>v
0
’, mentre
terminerà ad un volume v
1
”<v
0
”, poiché il volume specifico del vapore saturo secco
diminuisce con l’aumentare della pressione: la nuova trasformazione sarà
rappresentata dal segmento A’B’C’. Come da figura, si ottengono due curve che
delimitano i due passaggi di stato e sono dette “curva limite superiore” e “curva
limite inferiore”. Le due curve convergono verso l’alto in un punto K detto “punto
critico”, che rappresenta quello stato di fluido nel quale il liquido vaporizza senza
aumento di volume specifico. Le due curve limite dividono il piano in tre regioni, cui
corrisponde, da sinistra a destra, lo stato liquido, lo stato di vapore saturo umido, lo
stato di vapore surriscaldato.
Per l'acqua, il punto critico si ha per una temperatura di 647 K (374 °C) e pressione
di 221.2 bar [2].
In figura 1.3 è invece rappresentato il diagramma di fase sul piano entropico.
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Le curve limite del vapor d’acqua hanno andamento analogo a quello del diagramma
(p, v) e la fase di trasformazione dell’acqua in vapore è pure rappresentata da un
segmento orizzontale tra le due curve limite (trasformazione isobarica e isotermica).
Un parametro importante per lo studio dei cicli a vapore è il “titolo”, definito come
rapporto tra la massa di vapore e quella totale:
Fig. 1.3 – Diagramma di fase dell’acqua sul piano T,s