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Introduzione
Il traduttore è esperto nel pensiero altrui e nei modi di esprimerlo. Il
traduttore è esperto nel confine tra il proprio modo di vivere e di
vedere il mondo, e il modo di vivere e di vedere il mondo altrui. Il
traduttore è esperto nella differenza, e nella difficoltà di
comunicarla. Il traduttore è esperto nelle sfumature di senso. Il
traduttore è esperto nell’arte di adattarsi, di adattare.
1
La traduzione esiste da sempre. Da sempre permette la comunicazione tra
popolazioni, culture e soprattutto lingue diverse. Da sempre è testimonianza
che le differenze tra individui esistono, ma non sono certo insormontabili.
Anzi, sono proprio queste a permettere l’approfondimento e la diffusione delle
conoscenze, a rendere accessibili, attraverso le opere letterarie, anche gli angoli
più remoti del mondo.
Spesso si considera la traduzione come una semplice copia,
un’imitazione dell’originale, la cui importanza dipende direttamente dall’opera
di letteratura su cui si basa. In realtà, è fondamentale restituire al traduttore la
sua meritata dignità: il suo è un compito creativo, che rende possibile la
circolazione dell’arte e lo scambio di nozioni e idee tra persone che altrimenti
non avrebbero modo di entrare in contatto le une con le altre. Il potere della
traduzione è proprio questo: avvicinare mondi diversi, contribuendo a
diffondere la conoscenza delle culture tradotte e arricchendo le lingue e le
culture riceventi.
Lo scopo di questa dissertazione è esplorare il concetto di fedeltà nella
traduzione letteraria e nella traduzione intersemiotica, in particolare
nell’adattamento cinematografico di testi di letteratura. Questo elaborato si
propone di sottolineare come le differenze tra testo originale e risultato non
siano un tradimento del messaggio dell’autore, anche nel caso siano necessari
accorgimenti per rendere il testo scorrevole e più facilmente accettabile dal
1
B. Osimo, Il manuale del traduttore. Guida pratica con glossario, Milano, Hoepli, 2011, p.
293.
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pubblico d’arrivo. Si prenderà come esempio il racconto breve Brokeback
Mountain, dell’autrice americana Annie Proulx, la sua traduzione italiana a
cura di Mariapaola Dèttore e la trasposizione sul grande schermo a opera del
regista Ang Lee, sulla base della sceneggiatura di Larry McMurtry e Diana
Ossana. Il testo preso in considerazione è la prova evidente che una traduzione
fedele non corrisponde necessariamente al testo di partenza parola per parola,
ma che non si può mai considerare fedele una traduzione se non trasmette lo
spirito e il sapore dell’opera originale, se non riesce a comunicare ai lettori
della traduzione le stesse sensazioni provate dai lettori nel contesto in cui
l’opera è nata.
Così come la pellicola cinematografica permette di capire chiaramente
come sia possibile esprimere emozioni complesse e tormentate, drammi che
forse non saranno mai del tutto comprensibili se non si proveranno sulla
propria pelle, ambientazioni culturalmente molto marcate e distanti dalle
circostanze più familiari al pubblico d’arrivo, tutto questo attraverso dialoghi
brevissimi e scarni, paesaggi infiniti e silenzi carichi di tutti i significati del
mondo.
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La parola tradurre deriva dal latino transduco, is, duxi, ductum, ere:
1
“condurre di là, trasferire”. Etimologicamente, quindi nel suo significato
originale e profondo, tradurre significa condurre qualcosa all’altro lato, da una
sponda all’altra, da un qualsiasi luogo a un altro.
Secondo il dizionario Treccani, tradurre significa “volgere in un’altra
lingua, diversa da quella originale, un testo scritto o orale, o anche una parte di
esso, una frase o una parola singola”.
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In queste definizioni “tecniche” non ci si pone il problema di precisare il
concetto di traduzione fedele. Questione che invece si presentò, da subito
molto pressante, agli studiosi della teoria della traduzione e ai traduttori stessi.
Ci si domandava, infatti, se, al momento di tradurre, fosse necessario dare più
peso all’equivalenza formale e stilistica oppure a quella contenutistica.
Per molti esperti, soprattutto nei primi anni dalla nascita della teoria della
traduzione, il tradurre era un atto meccanico, matematico, e la traduzione ne
era semplicemente il prodotto, risultato del passaggio da una lingua di partenza
a una di arrivo. La traduzione era per questo considerata una produzione
secondaria dell’opera d’arte, una riproduzione dell’originale.
Si considerava fedele una traduzione che rendeva l’originale
letteralmente, parola per parola, dandole un carattere informativo più che
creativo.
Criterio di una traduzione “corretta” divenne però, nel corso della storia,
l’equivalenza comunicativa tra l’originale e il testo in lingua d’arrivo. Venne
introdotto quindi un criterio normativo non più verificabile, in un certo senso
soggettivo: l’equivalenza di significati. Lo stile e le strutture formali di una
traduzione iniziarono a essere considerati elementi secondari, da analizzare
solo in quanto portatori del contenuto.
Non si è ancora giunti a una soluzione di questa annosa controversia, ma
in generale, si potrebbe definire la traduzione in lingua d’arrivo come un’unità
1
L. Castiglioni, S. Mariotti, Il vocabolario della lingua latina, Torino, Loescher, 2007.
2
AA. VV. Il Vocabolario della lingua italiana, Roma, Treccani, 2009.
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di forma e contenuto, come un rapporto che si instaura di volta in volta tra
l’opera e un determinato orizzonte di ricezione, il quale comprende la lingua, la
tradizione letteraria, la situazione storica, collettiva e individuale.
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1.1 Equivalenza
Se si considera il senso generico della parola, equivalenza indica
un’uguaglianza di significati. Nel contesto della teoria della traduzione, invece,
equivalenza è la conservazione delle informazioni semantiche, stilistiche e
comunicative, nel passaggio da un testo originale a uno in lingua d’arrivo.
Secondo il principio di traducibilità, si deve considerare impossibile
raggiungere un’identità totale del testo tradotto con l’originale, ma questa
consapevolezza non deve influenzare l’efficacia della comunicazione
interculturale. Le perdite legate alla difficoltà di trasformare le particolarità del
testo in lingua di partenza sono inevitabili, ma ciò permette di capire che le
unità semantiche di partenza non sempre possono essere sostituite in traduzione
con unità perfettamente corrispondenti. Costruire un testo tradotto identico al
testo di partenza è impossibile; ciò non significa che la traduzione in sé debba
essere considerata impossibile.
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Equivalenza formale e dinamica
Varie sono le definizioni di equivalenza fornite da studiosi e critici nelle
varie fasi della teoria della traduzione. Eugene Nida
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individua principalmente
due tipi di equivalenza:
3
P. Newmark, Teoria e pratica della traduzione, in Id. La traduzione: problemi e metodi,
Milano, Garzanti, 1988.
4
http://www.confcontact.com/2010spec_tezi/ia_butir.php, consultato il 10/03/2012.
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(1914 – 2011) a Nida si deve la teoria dell’equivalenza dinamica applicata alla traduzione
della Bibbia. Laureato alla University of California, lavorò come linguista presso l’American
Bible Society. Collaborò con il Vaticano per produrre traduzioni della Bibbia in tutto il mondo.
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Since there are, properly speaking, no such things as identical equivalents,
one must in translation seek to find the closest possible equivalent. However,
there are fundamentally two different types of equivalence: one which may
be called formal and another which is primarily dynamic.
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L’equivalenza formale si concentra sul messaggio, considerando sia la sua
forma sia il contenuto. Orientandosi verso questo tipo di equivalenza, il
traduttore deve assicurarsi che il messaggio in lingua d’arrivo corrisponda il
più possibile agli elementi del messaggio in lingua originale. In una traduzione
di questo tipo il traduttore cerca di riprodurre il più letteralmente e
accuratamente possibile la forma e il contenuto del testo originale. Una
traduzione simile dovrebbe permettere al lettore di identificarsi completamente
con i lettori inseriti nel contesto della lingua originale, così da comprenderne
gli usi, il modo di pensare e di esprimersi.
Al contrario, una traduzione che cerchi di produrre un’equivalenza
dinamica si basa sul principio dell’”effetto equivalente”.
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Il traduttore deve far
sì che la relazione tra recettore e messaggio sia la stessa per i lettori della
traduzione e per quelli dell’opera originale. In pratica, l’opera tradotta
dovrebbe generare nel lettore lo stesso effetto che il messaggio originale
generava nel lettore del testo in lingua di partenza. Lo scopo è raggiungere uno
stile naturale, che possa mettere in relazione il lettore con il contesto della
lingua d’arrivo, senza necessariamente obbligarlo a comprendere la cultura o la
forma mentis di partenza.
Secondo l’autore, tra i due poli dell’equivalenza formale e dinamica
esistono varie sfumature che rappresentano comunque traduzioni accettabili.
Equivalenza potenziale e traduttiva
Il linguista e traduttore Vilén Naùmovič Komissarov distingue tra due
tipi principali di equivalenza.
6
E. Nida, Toward a science of translating, Leiden, Brill Academic Publishers, 1964, p. 159,
“Dal momento che non esistono equivalenti identici, in traduzione occorre cercare gli
equivalenti più simili. Tuttavia, esistono fondamentalmente due tipi di equivalenza: una che
potremmo definire “formale” e una che è principalmente dinamica”. (trad. personale).
7
E. Nida, Toward a science of translating, cit., pp. 159-160.
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Occorre distinguere i termini «equivalenza potenziale raggiungibile», con
cui s'intende la massima comunanza di contenuto di due testi eterolinguistici
ottenibile per mezzo delle differenze delle lingue in cui sono codificati questi
testi, ed «equivalenza traduttiva», la reale vicinanza di senso dei testi
dell'originale e della traduzione, ottenuta dal traduttore nel processo
traduttivo.
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Occorre cioè distinguere il potenziale massimo da ciò che effettivamente un
traduttore riesce a conseguire nella pratica, perché ogni versione realizzata ha
un modo di essere, per così dire, "equivalente" diverso e un grado differente di
equivalenza.
Ogni traduzione conserva elementi diversi, e di conseguenza ne perde
alcuni. Ogni versione tradotta di un testo originale si distingue per gli elementi
conservati, e per questo le corrispondenze ed equivalenze sono sempre diverse.
È il traduttore stesso a dover scegliere cosa conservare: consapevole del fatto
che un’equivalenza totale è impossibile, deve necessariamente optare per la
perdita meno deprivante e onerosa.
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Le relazioni di equivalenza si stabiliscono, secondo Komissarov, tra i
livelli di significato rilevanti di entrambi i testi. Lo scopo finale del traduttore è
garantire la massima equivalenza possibile a ognuno di questi livelli.
A seconda della parte del contenuto trasmessa nella traduzione per
garantirne l'equivalenza, si distinguono vari livelli (tipi) di equivalenza. A
ciascun livello di equivalenza la traduzione deve garantire una
comunicazione interlinguistica.
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Il primo livello corrisponde all’intenzione comunicativa: il traduttore deve
conservare solo le parti del testo originale che rappresentano lo scopo della
comunicazione, e che devono provocare nel lettore della lingua d’arrivo le
stesse reazioni suscitate nel lettore dell’opera originale. Questo tipo di
8
V. N. Komissarov, Teorija perevoda (lingvističeskie aspekty), Moskvà, Vysšaja škola, 1990,
p. 51, trad. it. di B. Osimo in Id. Corso di traduzione, Modena, Logos, 2000.
9
Ibidem.
10
Ivi, p. 51.