5
elaborati. Questi potrebbero essere inseriti in due grandi paradigmi, quello
trasmissivo e quello interattivo che, seppure con uno schema base
sostanzialmente uguale, danno una diversa spiegazione di come avvenga lo
scambio comunicativo. Mentre il primo paradigma spiega la comunicazione,
o meglio l’atto comunicativo, come un trasferimento di informazione lineare
e astratto fra emittente e destinatario, decontestualizzandolo. Il secondo, al
contrario, spiega la comunicazione come interattività e interazione in cui i
ruoli di emittente e destinatario sono interscambiabili e l’azione dell’uno
costituisce la premessa e l’effetto dell’azione dell’altro. Secondo il
paradigma interattivo la comunicazione implica una continua partecipazione
e cooperazione, che in modi diversi si esplica nel processo di codifica e di
decodifica, tramite una complessa operazione di decentramento sia
cognitivo sia affettivo.
La complessità del fenomeno comunicazione è dovuta anche alla sua
multidimensionalità, giacché comprende sia forme verbali, sia forme non-
verbali. Fino a tempi piuttosto recenti era prevalsa negli studi sulla
comunicazione una visione logocentrica di essa, considerando il linguaggio
parlato come il mezzo comunicativo per eccellenza e non, come oggi
unanimemente si ritiene, solo un aspetto della comunicazione, inserito in un
contesto più ampio.
Grazie in particolar modo agli studi etologici e ad approcci
disciplinari originali quali, ad esempio, la cinesica di R.L. Birdwhistell e la
prossemica di E.T. Hall, il linguaggio è considerato come il codice di
comunicazione più potente, ma all’interno di un sistema comunicativo
polimorfo, in cui giocano un ruolo rilevante di accompagnamento, di
sostituzione, di sostegno e, a volte, di disconferma, tutte quelle forme di
comunicazione non-verbale che con caratteristiche completamente diverse
6
dal linguaggio verbale, rendono lo scambio comunicativo più ricco ed
efficace.
La capacità di comunicare non solo in modo verbale ma anche per
mezzo delle diverse modalità non-verbali, come pure la capacità di
codificare e decodificare correttamente un messaggio, fanno parte insieme a
numerose altre conoscenze, prerequisiti e regole, della competenza
comunicativa.
Per quanto concerne l’acquisizione di questo tipo di competenza da
parte del bambino, gli studiosi attuali sono tutti orientati a considerare la
fase prelinguistica non anche come fase precomunicativa, e lo sviluppo di
una competenza comunicativa complessa e matura come dovuta ad una
continua interazione fra adulto e bambino, in uno scambio reciproco fra essi
nel quale anche il minore è da subito considerato come soggetto
comunicativo attivo.
In conclusione ed in forza di quanto appreso si procederà, tentando di
dare una base epistemologica alla comunicazione, nella riflessione
pedagogica. Si è scelto fin d’ora un orientamento interdisciplinare, facendo
particolare riferimento alla semiotica di U. Eco, alla psicologia pragmatica
della Scuola di Palo Alto (G. Bateson, P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D.
Jackson), alla psicosociologia di P. Ricci Bitti e B. Zani, all’interazionismo
simbolico del sociologo E. Goffmann, alla linguistica di F. De Saussure e
del più recente T. De Mauro, agli studi sul pensiero e il linguaggio di J.
Piaget e di L.S. Vygotsky, agli spunti linguistici e didattici di M. Berretta, ai
recentissimi studi di S. Pinker, allo studio sulla comunicazione educativa di
L. Pati, all’analisi sulla comunicazione non direttiva di M. Mizzau, allo
studio sugli effetti dell’aspettativa sull’altrui comportamento di R. Rosenthal
e J. Jacobson, e ad altri ancora.
7
Capitolo I
Ipotesi della comunicazione come scienza integrata.
I.1) Scienze vicine alla comunicazione. Una breve indagine.
Se l’osservatore non si rende conto delle relazioni esistenti tra un
evento e la sua origine, tra un organismo e il suo ambiente, attribuisce
all’oggetto della sua osservazione proprietà che l’oggetto può non avere.
Mentre nelle scienze naturali si tratta di un fatto consolidato, in quelle del
comportamento spesso si continua a considerare l’individuo come a sé
stante. E’ necessario, invece, spostare l’interesse dalle singole parti alla
relazione tra le parti di un sistema più vasto. << I dettagli considerati
isolatamente, sono senza significato come lo sono le lettere isolate
dell�alfabeto >>.
1
Nella nostra cultura, oggetto privilegiato di studio, di riflessione e,
quindi, anche d’insegnamento, sono quegli elementi della vita sociale
maggiormente codificati e governati da regole note; ma non quei
comportamenti quotidiani necessari alla vita sociale e molto meno spontanei
di quanto in genere si creda, come ad esempio salutare qualcuno da lontano,
scegliere il proprio posto all’interno di un’aula scolastica, comunicare in
modo proficuo con gli altri.
1
E. Leach, Cultura e comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1981, p. 127.
8
Scienze nuove o relativamente tali, come la sociologia, l’antropologia,
la psicologia, e altre appartenenti alla stessa sfera, hanno gradualmente
portato l’attenzione su questi ultimi aspetti, studiando quei fenomeni del
comportamento umano che erano rimasti esclusi dal campo dell’indagine
scientifica e che spesso erano trasmessi ed appresi nelle diverse culture in
modo inconsapevole.
Lo studio delle relazioni interpersonali rientra oggi nel campo di
numerose discipline, da quelle sociali a quelle naturali. Tuttavia, nonostante
sia possibile fare riferimento a diversi approcci teorici e a diversi tipi di
conoscenze, non esiste ancora una scienza integrata delle relazioni
interpersonali. Le diverse ricerche svolte, infatti, sono state generalmente
isolate, perciò manca fra esse una vera e propria coesione.
La mancanza di una scienza delle relazioni è dovuta all’esistenza di
diversi pregiudizi. Si ritiene che la comprensione di un’interrelazione sia
impossibile data la complessità del fenomeno, o che la conoscenza delle
relazioni interpersonali potrebbe distruggere un qualche loro valore (la
spontaneità ?); o ancora il fatto che ognuno di noi sa già, o meglio crede di
sapere, molte cose sulle relazioni interpersonali, per questo si crede che i
risultati di una ricerca su di esse debbano essere banali e scontati. Molti,
inoltre, sono gli impedimenti teorici interni alla scienza. Per la scienza sono
problemi degni d’interesse quelli chiari, per i quali si dispone di tecniche di
verifica precisa. Numerosi scienziati hanno però dimostrato che anche
fenomeni in cui non sempre è possibile ottemperare all’esigenza di rilevanza
e di chiarezza costituiscono fenomeni del tutto appropriati per la ricerca
scientifica.
Grande importanza, inoltre, ha per la scienza stabilire una solida base
di descrizioni, per sopperire all’indeterminatezza e all’indescrivibilità del
9
fenomeno comunicazione. <<[�]Sar� necessario parecchio tempo per
costruire una scienza delle relazioni umane in generale [�]. Ci� che
ritarder� di molto il lavoro nello studio sistematico delle relazioni umane, �
certamente il fatto che si dovr� disporre di una lunga serie di eventi
osservabili, relativi ad ambiti diversi tra loro per poter teorizzare>>.
2
Certamente rimane vero che i fenomeni relativi alle relazioni
interpersonali sono fenomeni di particolare complessità, ma ciò che è
importante è mettere in evidenza che le relazioni interpersonali sono tutte
diverse tra loro, e che innumerevoli sono le variabili interagenti che
influiscono su di esse e che da esse sono influenzate.
Nonostante le difficoltà ed i limiti, se si vogliono comprendere i
meccanismi complessi che costituiscono le relazioni interpersonali, se
vogliamo che le nostre relazioni siano fruttuose, se si vuole fare in modo che
la nostra società si strutturi su relazioni positive, è necessario elaborare un
corpo sistematico di conoscenze su di esse. La nostra vita, infatti, è una
dialettica continua fra il nostro sé, o ciò che crediamo d’essere, e le relazioni
che istituiamo con gli altri.
3
2
F. Jacques, “Per un interazionismo forte”, in C. Galimberti (a cura di), La conversazione, Guerini e
associati, Milano, 1992, p. 13.
3
R.A. Hinde, Le relazioni interpersonali, Il Mulino, Bologna, 1981.
10
I.2) Campo di studio della comunicazione.
Più specificamente per lo studio della comunicazione, essendo questa
talmente permeante per i diversi campi teorici e persone e cose che mette in
relazione, tale da suscitare l’interesse cognitivo delle scienze, più sotto
richiamate, ci si avvarrà degli studi sporadici e asistematici di alcuni autori.
Sono, infatti, diverse le scienze che si servono del concetto di
comunicazione o ne studiano uno dei suoi diversi ambiti: la semiotica, la
teoria delle comunicazioni di massa, la psicologia sociale, la sociologia, la
microsociologia, l’antropologia culturale, la scienza cognitiva, la
neurobiologia, l’ingegneria informatica, la psichiatria, la pedagogia ed altre
ancora. Tutte queste discipline non confluiscono in una teoria generale della
comunicazione, ma ciascuna di esse studia questo fenomeno così complesso
e ampio dal punto di vista pertinente. Ai problemi pratici che il fenomeno
comunicazione pone (comunicare nel modo migliore, in modo proficuo,
ecc.), cercano di dare risposta la pedagogia e la psicologia; ma di questo ci
occuperemo più avanti.
Altre scienze si sono accostate allo studio della comunicazione con
fini teorici, conoscitivi, in altre parole possono dirci che cosa è, e come si
svolge la comunicazione; ma, almeno direttamente, non ci dicono nulla su
quale sia il modo migliore di comunicare, di comprendere gli altri, di
insegnare a comunicare. <<Si tratta, infatti, di fare interagire le molteplici
scienze, sia le cosiddette scienze umane sia quelle fisico-naturali, sia quelle
logico-matematiche senza che ci siano prevaricazioni da una parte e
dall�altra. Questa loro interazione pu� avvenire nella maniera pi� profonda
e pi� efficace se �provocata� nella prospettiva semiotica dato che tutte,
11
indifferentemente hanno a che fare con i segni e con le interpretazioni.
Anzich� una super scienza o una filosofia con pretese ognicomprensive, la
semiotica diviene il luogo d�incontro delle molteplici scienze, ciascuna delle
quali in dialogo con le altre secondo la sua particolare fisionomia e in base
ai suoi particolari interessi [�] >>.
4
La semiotica ha a che fare con qualsiasi cosa possa essere assunta
come segno, cioè ogni cosa che possa essere significante di qualcos’altro.
5
In quest’ottica molte aree di ricerca possono essere incluse nel campo
semiotico, e numerose sono le discipline che già hanno svolto ricerche su
oggetti che sono unanimemente considerati propri del campo semiotico.
Tale campo di studio ha investito fenomeni più apparentemente
“naturali”, come anche processi ritenuti propri dell’area dei fenomeni
“culturali”.
La biosemiotica comprende la endosemiotica, cioè lo studio della
comunicazione all’interno degli organismi, ad esempio la comunicazione
cellulare e genetica; la fitosemiotica, lo studio della comunicazione delle
piante; e la zoosemiotica che considera il comportamento comunicativo di
comunità animali.
Tra mondo animale e mondo umano si collocano lo studio dei sistemi
olfattivi, della comunicazione tattile, dei codici del gusto.
Vi è quindi l’antroposemiotica, che comprende le numerose
semiotiche umane, e che a sua volta può considerarsi come parte della più
ampia zoosemiotica. Rientrano nell’antroposemiotica la cinesica che studia
il significato dei gesti e delle posture e la prossemica, che studia il
4
S. Petrilli, “Comunicazione e alterità”, introduzione a T.A. Sebeok, Come comunicano gli animali che
non parlano, Edizioni dal sud, Bari,1998, p.5.
5
U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975.
Secondo l’autore <<la semiotica � la disciplina che usa tutto ci� che pu� essere usato per mentire>>.
12
significato dello spazio utilizzato dall’uomo durante un’interazione, nate
entrambe in ambito antropologico, ma rapidamente affermatesi come
discipline semiotiche. La paralinguistica studia quegli aspetti del
comportamento che coadiuvano la comprensione degli aspetti linguistici
propriamente detti: le varie forme d’intonazione, la rottura del ritmo
dell’eloquio, il sospiro, i mormorii interlocutori, lo sbadiglio, ecc.; fino a
studiare come linguaggi i sistemi comunicativi che sembrano basati sulle
improvvisazioni intonatorie, come i linguaggi fischiati, o su una sintassi
ritmica priva di contenuto semantico, come i linguaggi tambureggiati.
Rientra nel campo semiotico anche lo studio dei sistemi più
apertamente culturalizzati e istituzionalizzati, quali i linguaggi formalizzati
(l’algebra, la chimica, etc.), i sistemi grammaticali, i sistemi musicali.
Naturalmente appartengono al campo semiotico anche gli studi sulle
lingue naturali, oggetto precipuo della linguistica, che sviluppa una linea di
pensiero da sempre presente nella filosofia.
Ancora, rientra nell’ambito semiologico lo studio delle comunicazioni
visuali che vanno dalla segnaletica stradale, alla fotografia, alla pittura, fino
alle varie grammatiche che sembrano strutturare la comunicazione
architettonica. Si passa, quindi, alle varie ricerche sulle grammatiche
narrative e sulle strutture del racconto che sono oggetto della semiotica
testuale.
A livelli più complessi, infine, la semiotica sfocia nell’antropologia
culturale, giacché fenomeni culturali come il mito, il rituale, le credenze,
sono trattati come elementi di un sistema di significazione che permette la
13
comunicazione: << Ogni fenomeno della cultura � pi� o meno
consapevolmente un processo di comunicazione >>.
6
A questo punto si è portati a pensare che la semiotica sia una
disciplina che tende ad occuparsi di ogni aspetto della realtà, di cui con
metodi diversi si sono occupate già altre discipline. Ma, soprattutto se si
accetta quel discorso elaborato dall’antropologia e fatto proprio dalla
semiologia, per il quale la cultura � comunicazione,
7
si vede come tracciare
un campo di argomenti in cui si possa utilizzare un’ottica semiotica, non
vuole dire che questi debbano e possano essere analizzati solo da tale punto
di vista, ma che “anche” quest’angolo visuale ci può aiutare a comprendere
la struttura della realtà che ci circonda e le sue leggi.
Abbiamo detto “anche” perché numerosi e diversi, anche all’interno
della stessa disciplina, sono gli approcci allo studio della comunicazione, in
particolare della comunicazione umana che qui c’interessa. Soltanto per
ricordare alcuni di questi approcci, e non certamente con la pretesa di essere
esaustivi, si deve fare riferimento all’orientamento pragmatico e a quello
psicoanalitico. Gli studiosi di orientamento pragmatico, che fanno
riferimento alla scuola del Mental Research Institute (MRI) di Palo Alto in
California, si propongono lo studio della pragmatica della comunicazione,
cioè l’analisi degli effetti della comunicazione umana sul comportamento e
attingono, fra l’altro, dagli studi di cibernetica, in particolare da W.R.Ashby.
Questa scuola assume epistemologicamente un punto di vista interpersonale
o relazionale, in contrapposizione a quello introspettivo proprio della
psicoanalisi, ritenendo che sia necessario riferirsi soltanto agli elementi
direttamente verificabili, come afferma P.Watzlawick: <<non abbiamo
6
A. Buttitta, Semiotica e antropologia, Sellerio, Palermo, 1979, p.39.
7
c.f.r. E.T. Hall, Il linguaggio silenzioso, Bompiani, Milano, 1969; E.T. Hall, La dimensione nascosta,
Bompiani, Milano, 1996; E. Leach, op. cit..
14
bisogno di ricorrere ad alcun�ipotesi intrapsichica (che � fondamentalmente
inverificabile) e possiamo limitarci ad osservare i rapporti di ingresso-
uscita, cio� la comunicazione.[�] il problema di come attribuire il
�significato�, che � senz�altro una nozione indispensabile per l�esperienza
soggettiva della comunicazione con gli altri; ma abbiamo appreso dalle
nostre ricerche che � una nozione oggettivamente indecidibile e quindi esula
dai fini che si prefigge lo studio della comunicazione umana>>.
8
Alla base
di tale pensiero è il concetto circa il quale l’individuo è assimilabile ad una
“scatola nera”, perché inconoscibile nella sua interiorità. Egli va sempre
considerato come componente di una rete di relazioni, che danno vita ad un
sistema circolare, in cui la variazione di un elemento si ripercuote su tutti gli
altri.
I due tipi di approcci, apparentemente incompatibili, sono in realtà fra
loro complementari, ed entrambi offrono suggerimenti validi per la
comprensione della comunicazione umana.
Da quanto finora detto si capisce come non sia possibile circoscrivere
lo studio della comunicazione interpersonale ad un unico ambito di ricerca,
ma piuttosto che è necessario attingere ai diversi modelli elaborati per
chiarire (fin dove sia possibile) che cosa è e quale funzione e valore abbia
nella nostra vita il rapporto comunicativo.
8
P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma,
1971, p.37.
15
Capitolo II
Che cos’è la comunicazione.
II.1) Filogenesi della comunicazione.
La capacità di comunicare, di entrare in relazione con gli altri, è
essenziale alla vita, alla sopravvivenza, sia come individui sia come specie,
<<si pu� dire che vita e comunicazione coincidono>>.
1
Lo stretto legame fra capacità di comunicare e sopravvivenza è
evidente anche nelle specie animali a noi vicine, quali il cane e il gatto, e
naturalmente negli animali sociali, le api, le formiche, e altri insetti che
vivono in gruppo. La comunicazione, soprattutto intraspecifica (fra individui
della stessa specie), assicura all’individuo la sopravvivenza e la riproduzione
(si pensi alla comunicazione fra cuccioli e madre o al corteggiamento), ed è
condizione indispensabile per il formarsi di gruppi gerarchicamente
strutturati.
<<L�uomo quale animale sociale per eccellenza � anche animale
comunicativo per eccellenza>>.
2
E’ pertanto necessario osservare la
comunicazione umana anche da un punto di vista evoluzionistico,
considerandone la nascita a partire dai primi ominidi, e lo sviluppo
successivo, che le ha permesso di differenziarsi da tutti gli altri tipi di
1
S. Petrilli, op. cit., p.1.
2
M. Berretta, La comunicazione. Problemi e spunti didattici, Micella, Galatina, 1980, p.39.
16
comunicazione presenti nelle altre specie. I sistemi di comunicazione
animale si basano su tre formule: un repertorio limitato di richiami ( uno per
segnalare i predatori, uno per indicare la presa di possesso di un territorio,
ecc. ), un segnale analogico continuo, o una serie di variazioni su un tema.
La comunicazione umana ha una struttura molto diversa, è innanzitutto
multidimensionale, nel senso che in essa sono compresenti diversi registri,
quelli verbali e quelli non-verbali, e in particolare tra i primi il linguaggio,
propriamente detto, che solo la specie umana possiede. Questo è reso
infinito da un sistema combinatorio discreto, detto “grammatica”, grazie al
quale non c’è limite al numero di enunciati di una lingua; è digitale, per cui
questa infinità è determinata dalla continua scomposizione e ricomposizione
di elementi discreti in combinazioni particolari; è composizionale, pertanto
ognuna delle infinite combinazioni ha un suo significato, prevedibile da
ognuna delle sue parti e dalle regole che le combinano.
Secondo l’ottica evoluzionistica si deve, innanzitutto, stabilire quali
siano i vantaggi evolutivi che un sistema complesso come la comunicazione
umana può dare agli individui.
Lo sviluppo della comunicazione tra gli ominidi pare abbia avuto due
funzioni, una rispetto al muoversi nel mondo, e una rispetto all’interazione
sociale. La prima consente a due o più individui di scambiarsi informazioni
sul mondo esterno e di favorire le attività comuni degli individui: la caccia,
la difesa, la protezione dei piccoli sono più efficaci se vi è un sistema di
distribuzione dei compiti e di coordinamento.
L’evoluzione della vita sociale è parallela, infatti, a quella linguistica:
tanto più complessa è la struttura sociale, tanto più evoluto è il sistema di
comunicazione. Infatti se il sistema sociale non è abbastanza complesso, non
17
si avrebbe nessun vantaggio evolutivo nell’usare un sistema di
comunicazione avanzato rispetto ad uno elementare.
La seconda funzione ha permesso a gruppi numerosi come erano,
appunto, quelli degli ominidi, che contavano fino a duecento individui, di
interagire fra loro, evitando i rischi dell’aggressività sociale e mantenendo
unito il gruppo. La comunicazione umana svolge quindi un ruolo che fra i
primati è svolto dal social grooming, ossia da attività di interazione fisica
(lisciarsi il pelo, spulciarsi), inimmaginabili nelle società umane per il loro
eccessivo investimento temporale, che avrebbe compromesso le attività di
sopravvivenza.
La comunicazione fra gli esseri umani non è una comparsa recente,
ma pare si sia strutturata circa due milioni e mezzo di anni fa a partire da
l’homo abilis.
Questo, infatti, è il primo ominide a mostrare la capacità cerebrale
indispensabile per supportare l’abilità linguistica (sviluppo delle aree
parietali e frontali, responsabili rispettivamente del controllo del linguaggio
e delle mani); ma alcuni studiosi ritengono che le prime tracce del
linguaggio potrebbero, addirittura, risalire all’australopithecus afarensis, che
è apparso quattromilioni d’anni fa, ed è il nostro antenato fossilizzato più
antico. L’incremento esponenziale della massa cerebrale è avvenuto
soprattutto a carico della corteccia cerebrale (si è passati dai 450 cc. degli
australopiteci agli attuali 1460 cc. con la comparsa circa trentacinquemilioni
d’anni fa dell’homo sapiens) e, cosa ancora più interessante, si è avuta
l’espansione di alcune regioni cerebrali rispetto ad altre, il cervelletto e la
neocorteccia, responsabili rispettivamente della coordinazione dei
movimenti e delle funzioni del pensiero, sono notevolmente cresciute,
mentre altre, come il talamo e l’ipotalamo, deputate al mantenimento dei
18
ritmi biologici, hanno avuto un incremento nettamente inferiore
3
. Tuttavia
questi dati sembrano ancora insufficienti a spiegare le enormi differenze tra
le capacità umane e quelle dei primati. Molti studiosi, di diversa natura,
hanno ritenuto che gli scimpanzé, i parenti più prossimi dell’uomo,
dovessero essere capaci di apprendere un linguaggio, seppure semplice, con
l’aiuto di un istruttore. In questa direzione sono stati fatti diversi tentativi,
con metodi diversi, ma i risultati sono stati in ogni caso assai deludenti, e le
affermazioni più entusiaste sul linguaggio degli scimpanzé sono ormai
ricordi del passato.
Questi tentativi di “umanizzare” gli scimpanzé derivano,
probabilmente, dal considerare l’evoluzione come una scala sulla quale sono
allineate tutte le specie e che ha come suo gradino più alto l’uomo; da qui il
paradosso per cui l’uomo possiede il linguaggio, mentre gli occupanti il
gradino immediatamente precedente il suo non hanno niente di simile.
Secondo questa concezione evoluzionistica si dovrebbe avere un passaggio
graduale da un gradino all’altro, invece si ha quello che alcuni studiosi
definiscono come l�equivalente cognitivo del big bang.
<<Ma l�evoluzione non ha costruito una scala, bens� un cespuglio.
Noi non ci siamo evoluti dagli scimpanz�: ci siamo evoluti, assieme agli
scimpanz�, da un antenato comune oggi estinto. L�antenato dell�uomo e
dello scimpanz� non si � evoluto dalla scimmia, ma da un antenato ancora
pi� antico dei due, anch�esso estinto . E cos� via, fino al nostro antenato
monocellulare.[�] Gli organismi che vediamo sono quindi cugini distanti,
non trisavoli>>.
4
3
B. Bara, I. Cutica, “Psicologia della comunicazione: dalla competizione alla cooperazione”,in Le
metamorfosi della comunicazione, 1996, http://www.cselt.it/Cselt/PUBBLI/metamorfosi/art.2.htm.
4
S. Pinker, L�istinto del linguaggio, Mondadori, Milano, 1997, p.336.