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portata come la disintermediazione e la titolarizzazione (securitization) dei
mezzi di finanziamento che hanno rivitalizzato i mercati mobiliari. Lo svi-
luppo dei mercati finanziari, sia come volumi sia come tipologie di prodotti
e servizi offerti, ha provocato, tra le altre cose, elevata volatilit� dei saggi
d'interesse e, anche se in misura relativamente minore, dei rapporti di cam-
bio tra divise. La crescente internazionalizzazione dell'attivit� finanziaria
ha influito sul'instabilit� dei medesimi saggi di mercato, parimenti altri fe-
nomeni causativi dei fenomeni anzidetti sono stati i mutamenti intercorsi
tra le politiche monetarie dei principali paesi industrializzati, i quali si sono
serviti e si servono tutt'ora, di uno strumento come il tasso d'interesse per il
controllo degli aggregati monetari. Si � assistito quindi ad un profondo pro-
cesso di cambiamento che ha interessato il sistema economico nei suoi a-
spetti reali e finanziari: lo sviluppo degli intermediari finanziari, la nuova
impostazione dell'autorit� di vigilanza e le sempre pi� mature ed articolate
richieste della clientela, hanno costituito per gli intermediari finanziari uno
stimolo ed un vincolo ad innovare il proprio modo di esistere e di collocarsi
rispetto ai diversi interlocutori dell'ambiente esterno. In particolare le im-
prese d'assicurazione nell'ultimo periodo hanno notevolmente diversificato
la struttura di bilancio. Si sono accentuati i rischi globali a carico degli in-
termediari stessi connessi, sia ad una maggiore vulnerabilit� alle variazioni
dei saggi, sia all'ampiezza degli squilibri tra la composizione temporale del-
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l'attivo e quella del passivo. In base alla necessit� dei mercati esse devono
quindi indirizzare le condizioni delle operazioni in termini di scadenza,
modo di rimborso, modo di determinazione del risarcimento ed eventual-
mente di valuta di denominazione, per assecondare in tal modo le esigenze
della clientela. Da quanto appena detto, consegue una sostanziale differen-
ziazione, definita mismatching, tra la struttura dell'attivo e quella del passi-
vo dell'azienda d'assicurazione, differenziazione che genera la serie dei ri-
schi tipici dell'attivit�, quali: rischio d'interesse, di liquidit�, tecnico assicu-
rativo e, secondariamente, di cambio. E' agevole a questo punto compren-
dere l'esigenza, da parte delle imprese d'assicurazione, d'adeguati sistemi di
gestione e di controllo dei rischi soprattutto di mercato.
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2. L'Asset and Liability Management
Questi mutamenti hanno avuto notevoli ripercussioni sui principali modelli
di gestione, ed in questo senso vanno intese la progressiva introduzione e
applicazione nelle imprese d'assicurazione di strumenti d'analisi gestionale
gi� diffusi presso le imprese industriali, pur con uno sforzo d'adattamento
di tali modelli di lettura ai caratteri peculiari delle imprese in oggetto. Que-
ste tecniche sono note con il nome di asset and liability management
(ALM) traducibile in prima analisi con gestione integrata dell'attivo e del
passivo. Traendo spunto dalle numerose definizioni di ALM in letteratura,
� possibile cercare di evidenziare due dimensioni: operativa e strategica. Si
tratta di due dimensioni correlate, ma anche profondamente diverse. L'asset
and liability management strategico (ALMS) � legato all'operativo (AL-
MO) poich� ad esso successivo e conseguente nell'evolutiva storica degli
studi teorici in materia. Gli elementi distintivi sono innanzi tutto rinvenibili
nell'impostazione di fondo. L'ALMS, infatti, si configura come una filoso-
fia di gestione integrata, caratterizzata da un approccio globale e unitario,
volta al conseguimento di un obiettivo di dimensionamento ottimo pro
tempore dei mezzi propri che consenta la massimizzazione del R.O.E. e sia
la base per una massima capacit� (potenziale) di autofinanziamento.
L'ALMO diversamente rappresenta una tecnica operativa avente una pro-
spettiva parziale riconducibile, ma non sovrapponibile alla gestione finan-
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ziaria in senso stretto. Da quest'aspetto discende che, mentre all'ALMS
fanno capo le decisioni dell'impresa nel suo complesso (e pertanto i rischi
che la stessa in quanto tale deve fronteggiare), i problemi di implementa-
zione della stessa e la successiva fase di controllo dei risultati conseguiti,
all'ALMO compete la traduzione nella realt� operativa di ogni giorno delle
decisioni prese dall'alta direzione (si pensi alla gestione del rischio di tasso
di interesse). Si noti pertanto che la distinzione tra ALMS e ALMO non si
basa sulle diverse grandezze monitorate, ma piuttosto sul concetto di pro-
cesso di gestione (sotteso all'ALMS) e quello di tecnica di gestione (AL-
MO). Diverso � dunque l'orizzonte temporale di riferimento, di lungo pe-
riodo nel primo caso, di breve periodo nel secondo caso. Infine la distin-
zione in oggetto trova conferma anche da un punto di vista organizzativo:
mentre l'ALMS � riferibile agli organi direzionali con compiti di decisione,
l'ALMO compete a organi collocati su un livello gerarchico inferiore e a-
venti compiti operativi. Concludendo quindi si pu� desumere che l'ALMO
pu� essere identificato come quella tecnica operativa di gestione dell'im-
presa avente l'obiettivo di predisporre un insieme ottimale e coordinato di
attivit� e passivit� di bilancio che consenta il perseguimento congiunto de-
gli equilibri finanziario ed economico, l'ALMS invece come livello di ana-
lisi pi� ampio rispetto a quello operativo � rinvenibile come un approccio
integrato alla gestione dell'impresa, piuttosto che come semplice tecnica di
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conduzione aziendale. Mentre l'ALMO quindi si limita all'analisi degli e-
quilibri economici finanziari, l'ALMS si riferisce anche all'equilibrio di
struttura finanziario e pertanto costituisce un livello di analisi che pu� defi-
nirsi strategico proprio per l'obiettivo, l'orizzonte temporale e le variabili
oggetto di gestione che lo contraddistinguono.
A.L.M.O. A.L.M.S
Obiettivi e
contenuti
Gestione attivo/passivo in
funzione sia dei tassi di inte-
resse sia degli squilibri mo-
netari. Conseguimento con-
giunto degli equilibri eco-
nomico e finanziario.
Gestione attivo/passivo in funzione
di variabili strutturali esogene ed
endogene. Perseguimento dell'equi-
librio di struttura finanziaria uni-
tamente al raggiungimento degli
equilibri economico e finanziario
Orizzonte
temporale
Breve
Periodo
Lungo
Periodo
Aggregati oggetto delle scel-
te di gestione
La composizione delle attivi-
t� e passivit� e le condizioni
di tasso e tempo praticate
L'ottimizzazione dell'uso dei mezzi
propri in funzione della dimensio-
ne, composizione e livello di ri-
schiosit� dell'attivo e del passivo e
l'allocazione del capitale alle unit�
operative
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3. Processo di interazione tra ALMS ed ALMO
L'ALMS avendo contenuto decisorio precede l'ALMO che diretto all'im-
plementazione, concreta le decisioni prese e si conclude con un ritorno al-
l'ALMS volto al monitoraggio dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi
prefissati. La prima fase coinvolge il Consiglio di Amministrazione e l'alta
direzione, poich� si tratta di definire gli obiettivi di reddito entro un dato
quadro finanziario di riferimento dell'impresa stessa. In questo senso si rea-
lizza un momento di raccordo fra il vertice e le macro unit� intermedie sot-
tostanti costituite dalla direzione commerciale e finanziaria. Nella seconda
fase le decisioni contenute nei documenti strategici e di lungo periodo,
debbono essere tradotte in piani operativi (budget annuali). Si pone pertan-
to un problema agli organi gerarchicamente inferiori di tradurre in decisioni
concrete le decisioni prese, compatibilmente con il patrimonio netto azien-
dale a disposizione. La terza ed ultima fase consiste nel monitorare l'attivit�
effettivamente realizzata e nell'eventuale notifica degli obiettivi stabiliti, at-
traverso un processo di feed-back. Si crea cos� un flusso di ritorno che rac-
corda la componente operativa con quella strategica.
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CAPITOLO II
IL VALUE AT RISK
1. Definizione
Spinte dall'esigenza di conoscere e controllare in modo pi� rigoroso e si-
stematico il grado di rischio connesso alla negoziazione di portafogli finan-
ziari caratterizzati da una crescente complessit� in presenza di un'accresciu-
ta volatilit� dei mercati finanziari, le principali istituzioni finanziarie statu-
nitensi hanno iniziato, sin dai primi anni ottanta, ad elaborare modelli stati-
stici per la misurazione e la gestione dei rischi assunti. La principale rispo-
sta a tale esigenza di misurazione e controllo del rischio � venuta dall'intro-
duzione dei modelli comunemente denominati del "valore a rischio" o "ca-
pitale a rischio". (VaR o CaR). I due termini sono spesso usati come sino-
nimi, in realt� il termine VaR � pi� utilizzato quando si fa riferimento ad un
criterio semplice di misurazione dei rischi di mercato. Quando invece il si-
gnificato del termine � esteso all'assorbimento di capitale connesso ad una
certa posizione o ad un portafoglio, diviene pi� frequente e pi� appropriato
il termine CaR. Nascono cos� una serie di tecniche di rilevazione che pur
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utilizzando varie modalit� di calcolo hanno tre caratteristiche fondamentali
che ricorrono:
-la massima perdita potenziale che una posizione o un portafoglio possono
subire
-con un certo livello di confidenza
-in un determinato orizzonte temporale.
In particolare si distinguono due particolari categorie di modelli: la prima �
quella dell'approccio varianze covarianze che � chiamato anche metodo a-
nalitico o parametrico, i modelli appartenenti a questa categoria si caratte-
rizzano perch� il rischio � misurato sulla base di due parametri fondamenta-
li
1. Sensibilit� della posizione a variazioni dei fattori di mercato
2. Variabilit� dei valori di mercato e loro correlazione.
La seconda categoria di modelli � quella che si basa su di un approccio si-
mulativo e che pur condividendo la definizione di rischio come perdita po-
tenziale in un certo orizzonte temporale con un certo livello di confidenza,
si basano su logiche di full valutation, cio� nello stimare le variazioni po-
tenziali di singole posizioni o portafogli di mercato, non si ricorre a para-
metri espressivi di tali sensibilit�, ma si stimano, utilizzando appropriati
modelli di pricing, i valori (potenziali) delle posizioni o degli interi porta-
fogli alle nuove condizioni di mercato simulate. Ne consegue perci� una
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pi� precisa seppur pi� onerosa misura di perdita potenziale. Altra rilevante
differenza con l'approccio parametrico riguarda il criterio di determinazio-
ne dell'intervallo di confidenza desiderato. Nel caso delle simulazioni, si
determina semplicemente tagliando la distribuzione effettiva dei profitti e
delle perdite generate dalla simulazione in modo da isolare il percentile de-
siderato. Nell'approccio parametrico la determinazione del VaR � basata
sull'ipotesi di normalit� della distribuzione dei rendimenti dei fattori di
mercato, che consente di ottenere la variazione worst case utilizzando il
multiplo opportuno della deviazione standard. La finalit� ultima di questi
modelli � per tutti in ogni modo quella di gestire il rischio. Riassumendo
quindi il Valore a Rischio (VaR) � la massima perdita potenziale che un'i-
stituzione finanziaria prevede di sopportare in un determinato periodo con
un certo livello di confidenza. Per esempio, se un'istituzione finanziaria
calcola un valore di VaR giornaliero per il suo portafoglio di strumenti fi-
nanziari di un milione di dollari con un intervallo di confidenza del 98%,
allora evidentemente prevede che per 98 giorni su 100 le perdite non supe-
reranno il milione di dollari, che potrebbe essere superato solo in due giorni
su cento considerati.
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2. Modalit� di applicazione del VaR (dimensione,finalit� e utilizzo)
Se tentiamo di individuare le dimensioni chiave che possono definire le
modalit� di applicazione della metodologia del VaR., due fra tutte rivesto-
no un'importanza decisiva. La prima dimensione � rappresentata dall'ambi-
to di applicazione. In una prima fase, infatti, la stima della massima perdita
potenziale e quindi dell'assorbimento del capitale pu� essere confinata sol-
tanto ai rischi di mercato nell'area del trading; un livello di sviluppo suc-
cessivo � l'estensione del VaR anche al portafoglio di propriet�, il terzo sta-
dio, infine, � rappresentato dall'applicazione di tale metodologia al com-
plesso della combinazione dell'attivo e del passivo. E' chiaro d'altro canto
come con il tempo la metodologia del VaR tenda ad estendersi naturalmen-
te anche al di fuori dell'area dei rischi di mercato, che pure ne rappresenta il
primo e pi� naturale ambito di applicazione. Pertanto essa potr� essere via
via adottata anche nell'ambito dei rischi di credito, dei rischi legati all'atti-
vit� di finanza straordinaria, di quelli derivanti dall'offerta di servizi alla
clientela e cos� via. D'altro canto, l'estensione dell'ambito di applicazione
non rappresenta che la prima dimensione rilevante; la seconda � rappresen-
tata dalla finalit� di utilizzo dei modelli VaR. Infatti, possiamo distinguere
quattro differenti e progressive finalit� con le quali si pu� fare ricorso ad
essi:
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1. La misurazione dei rischi assunti a livello di singola operazione e dell'in-
termediario nel suo complesso (misurazione dei rischi di mercato)
2. Il controllo del livello di rischio complessivo assunto dalla banca me-
diante l'imposizione e la revisione dei limiti per le diverse unit� organiz-
zative (controllo dei rischi di mercato);
3. La corretta rilevazione delle performance prodotte dalle diverse unit� al-
l'interno dell'Area Finanza e dall'assunzione dei rischi di mercato nel suo
complesso, basata non solo sulla rilevazione dei risultati economici ma
anche sul profilo di rendimento-rischio (misurazione delle risk adjusted
performance);
4. Una gestione efficiente del capitale proprio, come risorsa chiave, fino ad
istituire un processo periodico di riallocazione interna del capitale com-
plessivamente disponibile, in funzione sia delle capacit� gestionali sia
delle opportunit� di mercato sia si offrono ad ognuna di esse (rialloca-
zione del capitale)
5. Analisi dell'adeguatezza patrimoniale dell'impresa (solvibilit�)
E' chiaro a questo punto come da un'opportuna scelta delle dimensioni
chiave, si possa utilizzare questa metodologia non solo nell'ambito di un
approccio ALM sia esso strategico o operativo, ma come strumento dello
sviluppo di un sistema di risk management.
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3.Analisi dell'adeguatezza patrimoniale
Un'ultima finalit� alla base dell'utilizzo di modelli di analisi del rischio co-
me il VaR � quella di verificare se la disponibilit� di patrimonio dell'istitu-
zione finanziaria, e in questo caso l'impresa di assicurazione, � coerente con
la misura di rischio che emerge dall'analisi. La logica sottostante a tale fina-
lit� � relativamente semplice: poich� la misura di rischio che emerge dai
modelli rappresenta, con un certo livello di confidenza, la perdita massima
inattesa che la singola impresa di assicurazione dovrebbe essere in grado di
sopportare, � naturale che tale valore debba trovare copertura nel patrimo-
nio dell'istituzione stessa. Cos� come le perdite attese devono trovare coper-
tura in riserve esplicite appositamente accantonate, le perdite inattese do-
vrebbero infatti trovare copertura nel patrimonio e risultare cos� a carico
degli azionisti. Il fatto che il valore a rischio sia calcolato subordinatamente
a un certo livello di confidenza e che dunque il patrimonio fornisca coper-
tura, seguendo questa logica, solo ad una quota, seppure elevata, delle per-
dite, risulterebbe d'altronde giustificato dal fatto che nessuna istituzione fi-
nanziaria sarebbe in grado di garantire la copertura patrimoniale del 100%
delle possibili perdite future. Ci� significherebbe infatti, per esempio, fi-
nanziare l'attivit� di impiego esclusivamente con capitale di rischio o anco-
ra non negoziare alcuni strumenti derivati. Va da s� poi che un'analisi del-
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l'adeguatezza patrimoniale � una valutazione della solvibilit� dell'impresa
di assicurazione.