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INTRODUZIONE
«Ormai c'è uno spazio abnorme, nei telegiornali e nei
notiziari, dedicato alla cronaca nera e giudiziaria. Queste
notizie hanno preso il posto di notizie essenziali come, ad
esempio, le informazioni internazionali, spesso sottaciute»,
così affermava poco più di un anno fa il Capo dello Stato
Giorgio Napolitano in visita al quotidiano L’Eco di Bergamo
e continuava ammonendo: «occorre una informazione più
responsabile, più pacata, affinché ci sia un clima politico di
maggiore correttezza e sobrietà» (Napolitano: «Nei telegiornali
troppo spazio a nera e giudiziaria», in Corriere.it, 2 febbraio
2011). Il giorno successivo i direttori dei principali
telegiornali nazionali, pur non sentendosi chiamati
direttamente in causa, si affrettavano a dichiararsi in
perfetta sintonia con le raccomandazioni del Presidente
della Repubblica, tutti, da Augusto Minzolini del Tg1 a
Clemente Mimun del Tg5, da Emilio Fede del Tg4 a Bianca
Berlinguer del Tg3, passando per Errico Mentana del
TgLa7, sembravano perfettamente concordi con le parole di
Napolitano e ognuno di loro si affrettava a mostrare come il
proprio Tg non fosse uno di quelli a cui evidentemente il
Presidente si riferiva nel proprio monito. Il direttore Mimun
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tentava anche di spiegare le ragioni di determinate scelte
editoriali riflettendo su come l’interesse dei telespettatori
italiani sia andato concentrandosi negli ultimi anni molto di
più verso i misteri, i delitti e la cronaca giudiziaria che non
verso i fatti relativi alla politica, specie internazionale. Per
suffragare la sua considerazione, poi, sosteneva che
bastava andare a confrontare i risultati dei dati di ascolto
degli speciali dedicati ai casi di Avetrana, Cogne e via Poma
con quelli degli speciali dedicati invece alle crisi in Tunisia
ed Egitto per rendersi conto del fatto che sono gli stessi
telespettatori a richiedere un determinato tipo di notizie a
scapito spesso di altre e naturalmente il direttore di un
telegiornale non può non tenere in considerazione tali
evidenze (Cavalli Giovanna, E i direttori dei tg: ha ragione,
noi però non c' entriamo, Corriere della Sera, 3 febbraio
2011, pag.2).
Ma stanno davvero così le cose? La cronaca sta davvero
diventando la regina dei nostri telegiornali?
Se così fosse vorrebbe dire che a mutare in modo radicale
sono le stesse modalità di selezione delle notizie, il così
detto newsmaking, non solo quindi le modalità di
rappresentazione dei fatti, ma la scelta stessa dei fatti da
trattare, in quel processo di negoziazione tra emittente -
nella sua dimensione identitaria - destinatari e contesto nel
quale tale processo si realizza, in cui a prevalere non
sarebbero più i tradizionali criteri di notiziabilità già
standardizzati e routinizzati, ma nuovi criteri che darebbero
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molto più spazio a fatti relativi alla cronaca, in modo
particolare quella nera, che non alla politica, come
tradizionalmente avveniva, almeno per quanto riguarda
l’informazione televisiva. A cambiare sarebbe quindi lo
stesso processo che trasforma un fatto in notizia, in evento
degno di essere rielaborato in formato giornalistico e
inserito nella scaletta di un telegiornale.
Compito di qualsiasi telegiornale è senz’altro quello di
sottolineare alcune notizie, eliminarne altre, catalogarle,
sceglierle e riproporle al pubblico. Scegliere quindi tra
migliaia di notizie che arrivano dalle agenzie, dai
comunicati stampa o da altre fonti e stabilire quali fornire
ai propri telespettatori; tale processo di selezione non si può
sicuramente definire obiettivo - il mito dell’obiettività è
ormai da tempo considerato impossibile da raggiungere - è
certamente viziato da scelte di tipo ideologico o
semplicemente editoriale, finalizzate a difendere una
determinata visione del mondo o precisi interessi, operate
da ciascuna testata, così come tra l’altro avviene in
qualsiasi giornale. Ma qual è la ragione di un mutamento
così importante, se davvero c’è stato?
La televisione, sede privilegiata dell’intrattenimento,
principale luogo della formazione dei gusti e delle mode
culturali di massa, ma anche importante agenzia formativa
e informativa per larga parte dei telespettatori, nonché
arena politica per eccellenza in cui, ben più che nelle
deputate sedi istituzionali, gli attori politici si misurano
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davanti agli elettori, starebbe dunque ripensando parte di
quella che era stata fin’ora la sua stessa natura? I
telegiornali, strumenti principali, insieme ai programmi di
approfondimento giornalistico, dell’informazione televisiva,
starebbero ridisegnando le proprie strategie comunicative e
dunque anche il proprio sistema di rappresentazione della
realtà? Si starebbe quindi rompendo tra l’informazione
televisiva, specie quella pubblica, quello che Enrico
Menduni, nel saggio Il giornalismo televisivo, contenuto nel
libro a cura di Carlo Sorrentino Il giornalismo in Italia.
Aspetti, processi produttivi, tendenze edito da Carocci nel
2003, definisce “il cordone ombelicale con la classe politica
e in particolare con il governo, unico effettivo referente fino
alla riforma Rai del 1975 che sposterà parte di questo verso
il Parlamento”?
Per cercare di capire se davvero questo cambiamento stia
avvenendo ed eventualmente quale entità esso stia
assumendo, dopo aver ripercorso la storia dei telegiornali
italiani dai primi tentativi degli anni Cinquanta, all’inizio
dell’era Bernabei negli anni Sessanta, passando per la
riforma degli anni Settanta, alla lottizzazione degli anni
Ottanta, ed in fine alla scesa in campo di Berlusconi negli
anni Novanta, ho analizzato i dati relativi ai principali
telegiornali nazionali negli ultimi quattro anni, dal 2007 al
2010, prodotti dall’Osservatorio dell’Isimm Ricerche
1
,
1
L’Isimm Ricerche effettua dal 2005 per conto dell’AGCOM l’attività di
monitoraggio quotidiano delle principali televisioni nazionali (Rai 1, Rai 2, Rai
3, Rete 4 Canale 5, Italia 1, La 7 MTV, All Music, RaiNews 24 e SkyTg 24), al
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confrontando tra loro i comportamenti informativi dei vari
telegiornali nazionali, con particolare attenzione riguardo al
confronto tra i tempi di argomento destinati da ognuno ai
macroargomenti “Cronaca” e “Politica e Attività
Istituzionale”.
L’intento non è certo quello di pervenire a conclusioni di
tipo scientifico ma di confrontare in una prospettiva
diacronica la cospicua mole di dati offerta dal lavoro
dell’Isimm Ricerche cercando di individuare le tendenze che
i telegiornali hanno seguito nel periodo di tempo
considerato.
La televisione rappresenta senza dubbio uno dei mezzi
principali per la costruzione dell’opinione pubblica, è in
grado di esercitare un potere enorme, molto più ampio e
pervasivo di quello della stampa; per molti essa rappresenta
il principale se non l’unico mezzo per conoscere ed
interpretare la realtà. Proprio per questo credo sia
importante provare ad analizzare quali siano le tendenze
assunte dai principali telegiornali nazionali negli ultimi
anni. Provare a capire se davvero i telegiornali siano affetti
da una sorta di bulimia da cattive notizie provenienti dalla
cronaca nera e giudiziaria che ha finito per fagocitare anche
un po’ di quello spazio tradizionalmente dedicato alla
politica sia interna, sia estera; in una dimensione in cui il
cittadino, si fa sempre più spettatore, atomizzato e
fine di verificare il rispetto del pluralismo politico-sociale, degli obblighi di
programmazione e della normativa in merito alla tutela dei minori.
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impaurito. Un processo iniziato molto tempo fa, non
certamente figlio solo degli ultimi anni, che ha portato
gradualmente il cittadino a allontanarsi dalla dimensione
collettiva per preferire sempre più quella individuale,
favorito negli anni Ottanta dall’avvento della televisione
commerciale, famoso in questo senso il jingle di quegli anni
che diceva “torna a casa in tutta fretta c’è il biscione che ti
aspetta” che invogliava proprio a raccogliersi in casa a
guardare la televisione lasciando fuori dalla porta tutti i
pericoli e le insidie della vita quotidiana.
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PARTE PRIMA
BREVE STORIA DEI TELEGIORNALI ITALIANI
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CAPITOLO 1
Struttura e organizzazione di un telegiornale
La televisione rappresenta senza dubbio in primo luogo
uno dei più amati strumenti di svago e divertimento, una
“compagna” per trascorrere piacevolmente il tempo, un
rumore di fondo che riempie la stanza e che fa sentire in
qualche modo meno soli; ma essa può essere ed è anche un
importante mezzo per istruirsi, informarsi e fare politica.
Una frazione importante del tempo che gli italiani dedicano
alla TV viene infatti riempita con informazioni. Ogni rete
nazionale trasmette fra 1 e 2 ore al giorno di notiziari, circa
50 edizioni diverse di TG vanno in onda tutti i giorni sulle
maggiori reti nazionali, senza contare le trasmissioni
informative e giornalistiche diverse dai TG, che occupano
all’incirca altrettanto tempo.
Secondo il Nono Rapporto Censis/Ucsi sulla
comunicazione, datato 13 luglio 2011 (reperibile sul sito
internet del Censis: www.censis.it), la televisione è e rimane
il mezzo più diffuso nel panorama mediatico del Paese, con
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un’utenza pari al 97,4% (Tabella 1.1). Mentre per quel che
riguarda la carta stampata, sebbene i quotidiani in generale
non flettano la percentuale di utenza grazie soprattutto alla
performance delle free-press, il rapporto evidenzia una
grave flessione per i giornali a pagamento che perdono il 7%
dei lettori nel confronto tra il 2011 e il 2009, percentuale
che raggiunge il 19,2% confrontando i dati con quelli del
2007.
Tab. 1.1 - L’evoluzione del consumo dei
media:televisione e giornali, 2009-2011 (val.%)
2009 2011 Diff. %
2009-2011
Tv tradizionale 91,7 94,4 2,7
Tv analogica 91,7 64,6 -27,1
Tv digitale
terrestre
28,0 76,4 48,4
Tv satellitare 35,4 35,2 -0,2
Web tv 15,2 17,8 2,6
Iptv 5,4 2,0 -3,4
Mobile tv 1,7 0,9 -0,8
Televisione in
generale
97,8 97,4 -0,4
Quotidiani a
pagamento
54,8 47,8 -7,0
Free press 35,7 37,5 1,8
Quotidiani on
line
17,7 18,2 0,5
Quotidiani in
generale
64,2 66,6 2,4
Fonte: indagini Censis, 2009 e 2011
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Dati negativi per la lettura dei giornali che vengono
confermati anche dalle vendite: nella tabella 1.2 sono
riportate le vendite complessive dei giornali a pagamento in
Italia per gli anni 2009 e 2010 elaborati dalla Federazione
Italiana Editori Giornali. Considerando le vendite medie dei
quotidiani a pagamento nel periodo gennaio-novembre
2009, a confronto con le vendite delle stesse nello stesso
periodo 2010, si nota che i dati relativi al 2010 sono
negativi per ognuno dei mesi considerati con margini che
vanno dal -1,8% al -7,6% per una perdita media generale
pari a circa il 4,45% per l’intero arco di tempo considerato.
Tab. 1.2 - L’evoluzione della vendite medie dei
quotidiani: 2009-2010
Totale Var.%
Numero testate
Mesi
2009 2010 10/9
57 testate Gennaio 4.581.252 4.254.660 -7,1
57 testate Febbraio 4.560.006 4.214.404 -7,6
57 testate Marzo 4.482.533 4.246.725 -5,3
57 testate Aprile 4.374.393 4.213.862 -3,7
57 testate Maggio 4.406.038 4.268.168 -3,1
56 testate Giugno 4.445.510 4.214.650 -5,2
56 testate Luglio 4.529.159 4.355.802 -3,8
56 testate Agosto 4.735.650 4.617.338 -2,5
56 testate Settembre 4.452.321 4.251.617 -4,5
56 testate Ottobre 4.379.700 4.190.701 -4,3
56 testate Novembre 4.250.295 4.175.286 -1,8
Fonte: indagine FIEG 2010
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Se si considera poi che uno solo tra i principali
telegiornali riesce a catturare l’attenzione di un’audience
stimata tra i 5 e i 6 milioni di spettatori per l’edizione
serale, non si può non accorgersi del fatto che la prima
fonte di informazione, cioè di modelli di comportamento, di
idee, di conoscenza del mondo, di proposte politiche e di
mobilitazione di interessi, è per la grande maggioranza dei
cittadini italiani la TV (e per molti è anche l’unica).
Provando ora ad analizzare il prodotto giornalistico
televisivo, e quindi in primo luogo il telegiornale, si può
notare come siano molti gli aspetti di discontinuità, ma
diversi anche quelli di continuità, che connotano il
giornalismo televisivo rispetto a quello delle carta stampata
di cui rappresenta ad ogni modo una evoluzione.
Omar Calabrese e Ugo Volli, nel loro libro edito da
Laterza nel 1995 I telegiornali: istruzioni per l’uso, dedicano
ampio spazio all’analisi di tali differenze e ai motivi per i
quali tanti italiani hanno finito per scegliere proprio la
televisione e i telegiornali in particolare come prima fonte
d’informazione. Dalle parole degli autori appare subito
chiaro che la televisione per la sua stessa natura è in grado
di proporre al proprio pubblico qualcosa con cui i giornali
non possono competere ovvero “la messa in scena del
mondo”: con la possibilità di ricorrere alle immagini, di
andare in onda in diretta con i fatti proprio mentre
accadono, con la telecamera che diventa essa stessa
testimone diretta degli avvenimenti, la televisione acquisisce
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un vantaggio competitivo rispetto alla stampa decisamente
difficile da colmare e proprio per questo finisce per arrogarsi
il diritto di decidere quali siano i fatti del giorno: quali tra il
numero infinito di avvenimenti di una giornata siano degni
di essere trasformati in formato giornalistico e portati alla
conoscenza del grande pubblico. Diversamente dal
giornalismo tradizionale della carta stampata, la messa in
onda delle notizie ha la possibilità di sfruttare tutte le
potenzialità del mezzo televisivo: attraverso il ricorso a
immagini, animazioni, grafici e filmati, rende le notizie più
fruibili e soprattutto reali. In questo modo i diversi
linguaggi di cui si serve il giornalismo televisivo, ovvero il
linguaggio del testo, il linguaggio grafico e il linguaggio
iconico o delle immagini, più che interagire finiscono per
fondersi tra di loro, col risultato che il testo televisivo finisce
per comunicare indifferentemente con immagini e parlato.
Anzi, più immagini compaiono più la testata viene
automaticamente percepita come capace di documentare i
fatti rendendoli fruibili.
Andando ora a vedere più da vicino le differenze e le
somiglianze tra i due modelli di giornalismo, quello della
stampa e quello della televisione, Calabrese e Volli pongono
subito l’attenzione sulle differenze strutturali: il giornalismo
televisivo ha come mezzo la televisione e quindi è costruito
in base al tempo che esso deve occupare all’interno del
palinsesto, mentre la stampa – intendendo con il termine il
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giornalismo della carta stampata – costruisce il giornale in
base alle pagine che devono essere stampate.
Questa differenza, che può apparire meramente formale, ha
invece delle conseguenze che distinguono profondamente i
due tipi di giornalismo necessari a realizzare il prodotto
“giornale” piuttosto che il prodotto “telegiornale”. Se infatti
in un giornale la stessa notizia può essere letta più volte
dallo stesso lettore, in un telegiornale questo non è
possibile: una volta che la notizia è stata data non si può
più tornare indietro, il telespettatore che accende il
televisore in ritardo non può più recuperare le notizie che
sono già state date. Allo stesso modo, non necessariamente
lo spettatore di un telegiornale accende il televisore
appositamente per guardarlo - molto più probabilmente si
troverà sintonizzato su quel canale perché stava guardando
il programma precedente o è in attesa di quello successivo -
ma anche in questa circostanza è molto probabile che non
sia pienamente concentrato sui contenuti proposti. Mentre
in generale il lettore di un giornale è molto più attento e
interessato alla lettura proprio perché è il risultato di una
scelta precisa - è dovuto infatti uscire di casa e andare a
comprare quel giornale prima di poterlo leggere – e perchè
la stessa azione della lettura comporta uno sforzo maggiore
rispetto a quello di guardare o ascoltare la televisione.
Tendenzialmente dunque, secondo Calabrese e Volli, i
telegiornali sono inclini a dare più spazio al commento,
sorvolando sulle descrizioni (per le quali forniscono un
grande aiuto già le immagini); il linguaggio utilizzato è