Introduzione
Quale è stato il contributo della fenomenologia alla comprensione di quel fenomeno di
straordinaria complessità che chiamiamo musica? Come e in che senso può darsi una
integrazione fra l’aspetto della percezione musicale e quello della riflessione filosofica?
Ancora, quale statuto ontologico viene attribuito all’opera musicale dalla
fenomenologia? E come si inserisce questo tipo di riflessione nel dibattito musicologico
ed epistemologico contemporaneo?
Queste sono solo alcune delle domande che costituiscono il principio generatore del
presente lavoro. Quest’ultimo, proprio a causa della vastità e trasversalità a discipline
diverse che lo ispirano, appare segnato da una persistente duplicità fra elaborazioni
teorico-concettuali di ambito teoretico e riflessioni più strettamente musicologiche.
D’altra parte, il fascino che emana dal tentativo di avvicinarsi ad una comprensione del
fenomeno musicale (e che ci auguriamo la nostra esposizione possa almeno non
soffocare, se non destare) consiste anche nella costante ricomposizione fra queste due
polarità, dove anzi esse sembrano stimolarsi a vicenda, in direzione di una sempre
maggiore qualità, profondità e “limatura” delle prospettive delineate, così come dei
nuovi interrogativi generati dal processo stesso di riflessione. Indizio, tutto ciò, di
autentica vitalità filosofica.
II
1. Aspetti del modello fenomenologico
Gli autori che prenderemo in esame, pur essendo tutti, in senso lato, dei
fenomenologi, guardano al modello husserliano da prospettive (temporali e spaziali
in primis) talvolta sensibilmente diverse. Avviene così che Conrad si rifaccia
direttamente al modello delle Ricerche filosofiche husserliane, a differenza di Schutz,
le cui riflessioni più importanti sorgono dal confronto con le Idee. Non parliamo di
Ingarden, il quale tenta di fondare addirittura una fenomenologia di impianto
“realista”, “attentando” così a uno dei centri nevralgici dell’impianto
fenomenologico. Su un diverso versante, gli autori appartenenti all’area statunitense
denotano un eclettismo metodologico che mette non meno in forse la loro
appartenenza ad un retroterra autenticamente fenomenologico. Tratteggiare alcuni
aspetti teorici fondamentali della fenomenologia sarà quindi, si spera, utile per tenere
fermo il quadro generale, in relazione al quale si potranno misurare le acquisizioni
(più o meno convincenti) che emergeranno dall’esame dei testi da noi presi in
considerazione. Considerando, adesso, che una fenomenologia della musica indaga,
in primo luogo, il dato estetico musicale così come esso si offre alla nostra
esperienza, non sorprenderà se nella nostra breve ricognizione prenderemo le mosse
proprio dalla nozione fenomenologica di dato
1
: sarà così agevole imbattersi nei
concetti fondamentali che ci saranno indispensabili negli sviluppi del presente lavoro.
Fin da ora è bene notare come almeno tre grandi presenze manchino all’appello. Si
tratta dei grandi nodi teorici costituiti dal problema dell’io trascendentale, dalla
temporalità fenomenologica e dalla matematizzazione della natura e dei plena. Circa
il primo punto, non riteniamo di dover qui accennare ad esso in quanto non investe in
modo cruciale il problema estetico musicale e non compare mai in nessuno degli
scritti da noi presi in esame. È bene infatti ribadire che in queste pagine intendiamo
accennare esclusivamente alle nozioni di cui ci serviremo in seguito. Per quanto
concerne la temporalità, gli aspetti rilevanti per una fenomenologia della musica sono
già sufficientemente messi in rilievo da praticamente tutti gli autori da noi considerati
e organicamente trattati all’interno del loro discorso, per cui si rimanda direttamente
alle nostre analisi successive. Dell’ultimo punto, infine, il concetto di plenum e il
trattamento che tale nozione riceve da Husserl, pur non sviluppato espressamente nei
1
La nostra ricostruzione dei fondamenti della fenomenologia è debitrice
all’impostazione fornita da R. Lanfredini, con particolare riguardo ai saggi La nozione
fenomenologica di dato (in A priori materiale, Guerini e Associati, Milano 2006) e Filosofa
della conoscenza (Le Monnier, Firenze 2007).
III
testi considerati, ci serviremo nell’ultimo capitolo cercando di estrapolarne lo spunto
più rilevante per una fenomenologia della musica.
1.1 Epochè fenomenologica ed evidenza
Com’ è noto, l’inizio della fenomenologia è un inizio cartesiano.
Husserl condivide l’istanza fondazionalista , la ricerca della
certezza mediante lo strumento dell’evidenza. Sia per Cartesio
sia per Husserl, inoltre, il fondazionalismo conoscitivo
comporta una critica metodica alla apparente certezza
dell’esperienza naturale. Critica che conduce, per Cartesio come
per Husserl, al terreno apodittico del cogito e delle cogitationes.
2
A differenziare però nettamente la prospettiva husserliana è la nozione di epochè
fenomenologica, vale a dire di sospensione dell’atteggiamento naturale: il mondo
come esso è dato, appunto, nella vita naturale, deve, in uno stadio iniziale, restare
senza valore. Si tratta di uno strumento profondamente diverso da quello scettico del
dubbio cartesiano: suo scopo non è infatti negare il mondo ma sospenderlo
(temporaneamente). La differenza si palesa nelle sue gigantesche proporzioni sul
terreno della trascendenza: dove il dubbio, negandola, la annichilisce, l’ epochè si fa
addirittura garante di essa, proclamandola a tutti gli effetti evidente, seppure ciò solo
in quanto strettamente connessa alla sfera dell’immanenza.
Indubitabili sono non solo le cogitationes, ma anche i cogitata qua
cogitata; gli oggetti, cioè, come si danno (e esattamente come si
danno) alla coscienza.
[…]
Perchè l’evidenza è non solo dell’immanenza ma anche della
trascendenza fenomenologica; non solo del contenuto dei
vissuti, ma anche dell’oggetto dei vissuti, di ciò che si dà alla
coscienza esattamente nei modi in cui si dà.
3
2
R. Lanfredini, Filosofa della conoscenza, op. cit., p. 19.
3
Ibid., pp. 21-23.
IV
Alla base di un concetto tanto esteso e raffinato di evidenza vi è una concezione assai
articolata della nozione di dato. Essa ha, nella fenomenologia, carattere primitivo,
prioritario: non a caso, quindi, uno dei termini più ricorrenti nei testi di Husserl è
datità (Gegebenheit). Generalità e indubitabilità del dato sono le due prime tesi
fondamentali che ruotano attorno a tale nozione
4
, tutte centrali per il nostro discorso.
Secondo la prima, la nozione fenomenologica di dato è da intendere in senso
generalissimo, non limitato alla sfera dell’esperienza percettiva: dato è infatti anche
ciò che si manifesta nell’immaginazione, nella fantasia e nel ricordo, oltre agli oggetti
non intuitivi di natura formale-concettuale. Dati sono infine, ciò che qui ci preme
sottolineare, gli oggetti culturali, estetici, sociali e così via. Bisogna notare che la
nozione di dato “puro” non è da intendersi nel senso della sua immodificabilità e
neutralità: essa piuttosto richiama l’intento fenomenologico di analizzare qualunque
dato così come esso si dà, nella sua piena evidenza.
Il termine «puro», che sempre si associa all’evidenza
fenomenologica, sembra avere una nota più privativa che
positiva e qualifcante: la descrizione del dato in quanto dato,
descrizione che costituisce l’essenza della fenomenologia, ha
infatti il compito non solo di rilevare ciò che si dà nella sua
piena evidenza, ma anche esattamente come si dà, o come si
manifesta, a esclusione di tutto ciò che effettivamente non si dà.
La purezza della descrizione sembra riferirsi a quest’ultimo
requisito.
5
La generalità si accompagna, inoltre, ad una modalità determinata del darsi: un dato
potrà essere percepito, immaginato, ricordato e appreso come chiaro o oscuro, dentro
o fuori dal raggio dell’attenzione. Certi aspetti verranno poi messi a fuoco più di altri:
nel caso della percezione, ad esempio, l’oggetto sarà percepito da una certa
angolatura-prospettiva, mentre l’oggetto di un atto immaginativo avrà certe
determinazioni ad esclusione di altre: Edipo potrà così essere inteso come l’assassino
di Laio o come l’amante di Giocasta. Anche le entità astratte sono poi determinate
secondo modalità differenziate: lo stesso triangolo può infatti essere determinato
come equilatero o come equiangolo.
4
Una terza, quella della analizzabilità, sarà fatta oggetto del nostro discorso nel §1.3.
5
R. Lanfredini, La nozione fenomenologica di dato , in A priori materiale, op. cit., p. 60.
V
La seconda tesi, quella della indubitabilità del dato, l’abbiamo già introdotta: essa
deriva infatti strettamente dall’abbandono dello strumento metodico del dubbio
scettico, che porta il fenomenologo ad affermare che del dato, nelle modalità e nei
limiti in cui esso si dà, non ha alcun senso dubitare. Il dubbio cartesiano viene così
sostituito da meccanismi riduttivi.
1.2 Riduzione trascendentale e intenzionalità
Il primo di tali meccanismi da mettere a fuoco potremmo definirlo riduzione
riflessiva. Essa appare però contenere, come sua interna articolazione, altre due
riduzioni, una noetica e una noematica. La prima precisa come non esista dato,
fenomeno, oggetto che non sia inteso: vale a dire che nel dato è effettivamente
contenuto il rimando ad un vissuto (ma non il vissuto stesso): la sedia percepita
rimanda ad una percezione di quella sedia, il suono del violino che sento rimanda ad
una determinata sensazione sonora, la proprietà pensata rinvia ad una modalità di
pensiero e così via. Se questa prima riduzione vede al centro la nozione di rimando ed
ha carattere metodologico, quella noematica sembra privilegiare la nozione di
intenzionalità e assumere carattere costitutivo. La si potrebbe così schematizzare:
Erlebnis Fenomeno
Il punto essenziale da mettere in evidenza è che con la nozione di intenzionalità si
riesce a
proporre una trattazione articolata di esperienza, che distingua
fra processo soggettivo dell’esperire e oggetto esperito, fra
sentire e sentito, fra percezione e percepito.
[...]
La teoria husserliana dell’intenzionalità, teoria che possiamo
defnire contenutistica, può essere caratterizzata nel modo
seguente:
1. il contenuto dell’atto è rigorosamente distinto dall’oggetto inteso o
oggetto dell’intenzione;
2. il contenuto è il solo elemento in grado di conferire intenzionalità a
un atto, cioè la possibilità di indicare qualcosa «al di fuori» di esso;
VI
3. uno stato mentale sarà intenzionale solo in virtù dell’avere un
contenuto, a prescindere dal fatto che esista effettivamente un oggetto
corrispondente;
4. il contenuto varia in conformità ai differenti modi di concepire o
apprendere l’oggetto dell’intenzione, determinando così non solo il che cosa
viene inteso ma anche il modo in cui viene inteso.
6
Il fatto che l’oggetto inteso non sia effettivamente contenuto nell’Erlebnis
intenzionale porta alla demarcazione fra due ben distinte sfere oggettuali: quella degli
oggetti immanenti
7
e quella degli oggetti trascendenti. La distinzione comporta il
possesso di caratteristiche essenzialmente diverse. Gli oggetti immanenti, in primo
luogo, sono perfettamente adeguati, nel senso di a-prospettici: essi si danno alla
coscienza senza residui, in modo completo. Gli oggetti trascendenti si caratterizzano
al contrario per il fatto di essere inadeguati, prospettici, essenzialmente unilaterali. Se
il sentire il suono del violino o l’avere una sensazione di rosso appartengono quindi
all’ambito dell’adeguatezza, il rosso visto e il suono eseguito dal violino cadono in
quello della inadeguatezza. Proprio a partire di qui si può comprendere come la
trascendenza noematico-fenomenologica si configuri come polo unitario sul quale
convergono sinteticamente tutti i possibili modi di datità e determinazioni
dell’oggetto in un processo aperto, costitutivamente senza fine.
Nessuna percezione di cosa è defnitivamente conclusa, resta
sempre spazio per nuove percezioni che determinerebbero più
precisamente le indeterminatezze e riempirebbero ciò che è
vuoto. Ogni sviluppo arrichisce lo statuto di determinazione del
noema della cosa che ininterrottamente appartiene alla
medesima cosa X. È un’evidenza eidetica che ogni percezione e
molteplicità percettiva può essere ampliata per cui il processo è
senza fne; quindi nessun afferramento intuitivo dell’essenza
della cosa può essere così completo da non ammettere una
successiva percezione che vi aggiungerebbe qualcosa di
noematicamente nuovo.
8
6
R. Lanfredini, Filosofa della conoscenza, op. cit., pp. 60-61.
7
«Che l’immanenza possa a sua volta essere trattata come ambito oggettuale distinto è
ancora una volta garantito dal principio di intenzionalità: gli oggetti immanenti sono
infatti, esattamente come gli oggetti trascendenti, oggetti di ulteriori stati intenzionali,
più specifcamente stati di coscienza rifessivi», R. Lanfredini, La nozione fenomenologica
di dato, in A priori materiale, op. cit., p. 63.
VII
1.3 Ideazione, gerarchia eidetica, a priori materiale
Bisogna adesso prendere in esame l’altro grande meccanismo riduttivo, quello che va
sotto il nome di riduzione eidetica. Ciò permette infatti di avanzare molto nell’analisi
fenomenologica del dato, soprattutto in merito a ciò che in esso è effettivamente
contenuto. Il dato non è infatti meramente generale e indubitabile, bensì anche
strutturato, dotato quindi di una complessità strutturale che per la fenomenologia non
collide minimamente col suo carattere primitivo e prioritario.
Qualsiasi dato è un’essenza: è questa affermazione che deve essere esplicitata per
capire in cosa consista la nozione di riduzione eidetica o ideazione.
Ciò che la teoria dell’ideazione sembra proporre è, innanzi
tutto, una esplicazione della nozione di dato e di ciò che in tale
nozione risulta effettivamente, analiticamente contenuto.
9
In effetti la messa a punto di questo dispositivo teorico da parte di Husserl risponde
all’esigenza di fornire un’adeguata descrizione fenomenologica della molteplicità
sensibile
10
. L’ideazione si configura, in altri termini, come una esplicitazione della
natura del dato, in un processo di natura non astrattiva che mantiene in vita il tratto
contenutistico che caratterizza la molteplicità sensibile dei fenomeni.
Ma come si può affermare la natura essenziale di tale molteplicità? Non è forse di
individui che noi facciamo esperienza? Secondo Husserl è indubbio che l’individuo
sia, in un certo senso, dato, ma non per questo è esso ad essere inteso: oggetto
immediato di un atto intuitivo è piuttosto quella essenzialità insita nella singolarità
stessa in grado di catturare i confini eidetici entro cui l’ individuum potrebbe variare.
Per Husserl il dato, qualsiasi dato, è essenziale, laddove
l’essenza può essere tecnicamente defnita, all’interno della
fenomenologia, come il campo di variazione eidetica di un
individuo. Il meccanismo della riduzione eidetica […] è in
8
E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una flosofa fenomenologica , vol. I,
Einaudi, Torino 1965, §131, p. 327.
9
R. Lanfredini, La nozione fenomenologica di dato , in A priori materiale, op. cit., p. 69.
10
Questo percorso è ottenuto da Husserl in aperta polemica con la teoria
dell’astrazione (nella duplice versione essenzialista ed empirista). Più o meno
contemporaneamente ad Husserl anche Cassirer lavorò alla messa a punto di
un’analoga critica, con l’intento, però, di pervenire ad una logica adeguata, non
arbitraria, del concetto. Cfr. Cassirer, Sostanza e funzione , La Nuova Italia, Firenze 1973.
VIII
realtà un meccanismo estremamente complesso. Il fondamento
di tale complessità è comunque rintracciabile nella
constatazione che, se privato della sua essenzialità
(fenomenologicamente intesa come unifcazione della
possibilità delle sue variazioni), il dato non potrebbe essere
discriminato; non potrebbe essere inteso.
[…]
In conclusione: l’ideazione è un processo intuitivo comprensivo
di un duplice movimento: quello che dall’individuo va
all’essenza e il movimento inverso. Il carattere intuitivo
comporta innanzitutto l’istantaneità del passaggio da
individuale a essenziale. In secondo luogo la non
identifcazione di criteri di unifcazione o di similarità fra
individui: la discriminazione di una singolarità (come una
determinata sfumatura di rosso cremisi) non comporta infatti la
necessità di isolare criteri concettuali rispetto ai quali quella
stessa singolarità possa essere identifcata come tale. Infne, la
relazione fra individuo ed essenza non presuppone una visione
dicotomica fra il piano della sensibilità e il piano della
concettualizzazione. La relazione fra individuo ed essenza si
muove, come si verifca in gran parte delle distinzioni
fenomenologiche, in un unico orizzonte ontologico: l’individuo
è il perno intorno al quale ruotano tutte le sue possibili
variazioni pur rimanendo lo stesso individuo; i confni eidetici
sono, in modo speculare, i confni all’interno dei quali
l’individuo può variare pur rimanendo tale. In questo senso
sembra lecito sostenere che è effettivamente contenuto nel dato
la sua essenzialità.
11
Il processo ideativo si accompagna ad un risultato di enorme rilievo: l’ammissione di
singolarità eidetiche o singolarità specifiche. Il punto è che se è vero che la
fenomenologia è scienza di essenze, queste ultime non si identificano affatto con
degli universali. Le essenze fenomenologiche sono piuttosto, in buona sostanza,
singolarità. Ripensando infatti a come nella determinazione di un singolo individuum
l’ hic et nunc (vale a dire i suoi momenti individualizzanti di temporalità,
localizzazione etc.) ci sia sostanzialmente indifferente, non vi è alcuna ragione di
parlare solo di una generalità specifica ad esclusione di una singolarità specifica. È
11
R. Lanfredini, La nozione fenomenologica di dato , in A priori materiale, op. cit., pp. 73-75.
IX
invece il ruolo di quest’ultima a dover essere fortemente sottolineato. Per capire
meglio il punto è bene evidenziare come la singolarità eidetica sia inserita entro una
gerarchia eidetica materiale («cioè contenutisticamente determinata»
12
).
Ogni essenza, sia essa materiale oppure vuota (cioè puramente
logica), si inserisce in una gerarchia di essenze, in una gerarchia
di specie e di generi. Questa gerarchia ha necessariamente due
limiti che non coincidono mai. Scendendo, giungiamo alle
ultime differenze specifche o, come possiamo anche dire, alle
singolarità eidetiche, salendo, attraverso le essenze di specie e di
genere, giungiamo a un genere supremo. Le singolarità eidetiche
sono essenze che hanno necessariamente sopra di sé essenze
“più generali” come loro generi, mentre non hanno sotto di sé
altre particolarizzazioni, rispetto alle quali sarebbero esse stesse
specie […]. Allo stesso modo, il genere supremo è quello che
non ne ha un altro sopra di sè.
13
Esempi di genere sommo potrebbero essere qualità sensibile, o figura spaziale. Da
queste si potrebbe scendere, per esempio, ai generi colore o estensione e di qui,
ancora, alle specie rosso o figura triangolare. L’ultimo passo è rappresentato dalle
ultime differenze specifiche: quella particolare sfumatura di rosso carminio o quella
particolare configurazione triangolare. Vengono così a determinarsi delle relazioni
“verticali” che sono chiare relazioni di inclusione.
Ogni individuo ha, secondo la fenomenologia, come sua essenza un concreto, da
intendere come singolarità eidetica corrispettiva.
Un’essenza non indipendente si dice astratto, una
assolutamente indipendente si dice concreto. Un questo-qui, la
cui essenza riempita è un concreto, si dice individuo.
14
La gerarchia materiale ha però bisogno anche di relazioni “orizzontali” di fondazione.
Esse sussistono fra quello che vengono definite parti non indipendenti dell’oggetto. È
qui precisamente alla teoria dell’intero e delle parti che bisogna rivolgerci per capire
bene il punto: parte è, in primo luogo, un costituente effettivo di un oggetto, dove
12
Ibid., p. 76.
13
E. Husserl, Idee I, op. cit., §12, pp. 32-33.
14
Ibid., §15, p. 37.
X
esso viene liberato dai nessi estrinseci in cui è naturalmente intessuto (che sia
esistente, ad esempio, non è parte dell’oggetto, mentre lo è il fatto che sia rosso e
rotondo).
Viene inoltre defnito parte non indipendente di un oggetto
ogni momento astratto di un intero, cioè ogni parte di esso che
non può essere un oggetto autonomo di una rappresentazione.
Saranno quindi parti non indipendenti della cosa fsica, ad
esempio, il colore e la forma le quali necessitano per essenza
(quindi a priori) di una connessione con le altre parti: il colore,
in altri termini, è destinato necessariamente a esistere come
momento di un oggetto colorato, a diffondersi in una certa
estensione. Tali parti o determinazioni dell’oggetto si dicono
anche disgiunti, «poiché nel loro contenuto non hanno nulla in
comune». Verrà infne defnita parte indipendente dell’oggetto
ogni «pezzo» di un intero, cioè ogni parte di esso che può
divenire oggetto autonomo di una rappresentazione a esso
rivolta.
Affermazioni come «un colore non può essere senza una certa
estensione», oppure «non vi è timbro senza durata» implicano
così modalità di connessione fra contenuti non-indipendenti,
modalità che si fondano sulla specifcità essenziale delle parti
che costituiscono l’intero. I momenti disgiunti del fenomeno
non si danno, quindi, se non in connessione con altri momenti
(e proprio per questo non possono essere rappresentati
separatamente), a differenza di contenuti che anche se non di
fatto possono in linea di principio essere svincolati da ciò che li
circonda.
In questo senso sembra sia lecito sostenere che l’integrazione fra
i momenti o parti non indipendenti soddisfa una legalità
materiale necessaria: l’impossibilità di rappresentare un colore
senza estensione è una impossibilità essenzialmente diversa
dall’impossibilità (empirica, di fatto) che ho di rappresentare il
dato visuale testa senza lo sfondo visuale da cui esso assume
risalto.
15
15
R. Lanfredini, La nozione fenomenologica di dato , in A priori materiale, op. cit., pp. 78-79.
XI