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Capitolo 1
Introduzione all’asset allocation
“Asset allocation is a decision-making process in which
the investment funds of an individual or a group of individuals
are allocated to investment categories rather than to individual assets”
Keit V. Smith
1.1. Definizione generale
Nell’ambito della costruzione di un portafoglio titoli diversificato, il
processo di asset allocation riveste un ruolo essenziale, rappresentando il
momento in cui si effettuano le scelte di investimento ai fini
dell’ottenimento di obiettivi espressi in termini di rischio-rendimento.
Studi svolti nei primi anni ‘90 da Brinson e Beebower hanno dimostrato
che il 90% della performance di portafoglio scaturisce dalle strategie
manageriali di asset allocation: dall’osservazione di alcuni fondi pensione
e fondi comuni essi hanno constatato che la quasi totalità delle variazioni
dei rendimenti era connessa al metodo di scelta delle categorie
d’investimento piuttosto che ad operazioni di “fine tuning”
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settoriali.
Molteplici sono gli studi e gli approcci all’analisi proposti.
La suddivisione del mercato dei titoli piø semplice per l’asset allocation è
in due categorie: le azioni (stock), titoli di rischio che conferiscono la
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Per fine tuning si intende una perfetta sintonia e, nel caso di specie, si rimanda ad una
classificazione specifica per settore.
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partecipazione patrimoniale attiva in una società, e le obbligazioni (bond),
titoli a rendimento fisso generato dal capitale dato a titolo di prestito.
Lo schema piø diffuso tende ad incorporare anche la liquidità immediata
(cash), ossia titoli considerati nella gestione del portafoglio come free risk
(quali, ad esempio, nel caso italiano, i BOT a 3 mesi), sicchØ le società di
gestione del risparmio tendono a fornire delle combinazioni ottimali
d’investimento in percentuale su queste tre grandi categorie.
Una tassonomia piø accurata dell’asset allocation è ricostruibile partendo
dalle analisi di Sharpe (1986).
Linee guida di questa struttura sono:
l’orizzonte temporale di riferimento, ossia il tempo che intercorre fra
la decisione d’investimento iniziale e quella successiva;
le diverse reazioni del gestore del portafoglio al modificarsi degli
scenari di investimento.
¨, così, possibile distinguere tra:
approccio buy-and-hold: la strategia con la gestione piø passiva tra
quelle analizzate, poichØ non implica alcun movimento rispetto al
mix di portafoglio di partenza;
asset allocation strategica: processo di scelta volto a minimizzare il
rischio sotto vincoli imposti al rendimento. In sostanza, si cerca, per
un rendimento target il minimo rischio possibile, espresso in termini
di volatilità degli asset.
L’investitore mantiene pressochØ costante la sua posizione in
portafoglio, manipolandola solamente in maniera marginale e ad
intervalli di tempi molto lunghi. I pesi con i quali entrano in
portafoglio i vari asset sono funzioni dell’utilità dell’investitore:
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sono direttamente proporzionali al livello di ricchezza che
restituiscono e inversamente proporzionali all’avversione al rischio;
asset allocation tattica (AAT): gestione attiva e continua, secondo
cui, periodicamente, l’investitore riallinea la propria posizione
partendo dall’informazione a sua disposizione in quel momento.
Anche se l’AAT non possiede una definizione precisa ed
universalmente riconosciuta, secondo Philips, Rogers e Capaldi
(1996) il suo obiettivo è quello di ottenere un rendimento migliore e
una volatilità inferiore rispetto a quelli che si hanno in un portafoglio
di benchmark, cioè di riferimento.
La principale differenza consiste, perciò, nel fatto che l’AAT si pone
nell’ottica di quei soggetti professionisti che effettuano
l’investimento per conto terzi e hanno l’unico obiettivo di replicare e,
se possibile, battere il benchmark in termini di rischio-rendimento.
In altre parole, essa rappresenta una strategia dinamica che,
attraverso le previsioni sui rendimenti e la conseguente variazione
sistematica della composizione del portafoglio, deve permettere al
manager di conseguire tale risultato.
Grinold e Kahn (2000) aggiungono che l’abilità manageriale è una
componente importante soprattutto perchØ, nell’AAT, la numerosità
delle attività in portafoglio non è elevata, quindi tutti gli obiettivi
devono essere conseguiti attraverso la scelta e la gestione di pochi
titoli.
La performance di portafoglio è, perciò, influenzata in modo
notevole da quella dell’asset manager che, in quest’ottica, ricopre il
ruolo di attore principale.
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Da questo punto di vista risultano fondamentali due caratteristiche:
1. La AAT è una strategia di breve periodo che consente al
manager di variare il proprio mix di portafoglio in qualsiasi
momento. Se, da una lato, la libera circolazione dei capitali nei
mercati e la possibilità di comprare/vendere titoli in qualsiasi
istante favoriscono il ricorso alla AAT, dall’altro, il livello
dell’informazione di ciascun asset manager
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influenza in
modo decisivo la performance che da essa scaturisce.
2. La AAT è una strategia che genera risultati che devono essere
valutati in termini comparativi, cioè la performance del
gestore va confrontata con quella del portafoglio di benchmark
da battere. In quest’ambito, oltre alle decisioni di
investimento, risulta fondamentale anche la scelta del
benchmark.
Da questi due punti emerge il ruolo essenziale dell’informazione
accessibile al gestore, che deve essere in grado di effettuare
previsioni e di “scommettere” sulla loro effettiva realizzazione.
Un altro elemento essenziale risulta essere il ruolo svolto dal
portafoglio di benchmark come riferimento per l’attività manageriale
e, soprattutto, come elemento rappresentativo dell’intero mercato nel
quale tale attività è svolta.
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L’asset manager è comunemente identificabile con il gestore di portafogli.
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G. Palomba, “GARCH multivariati e approccio di Black-Litterman nell’asset allocation
tattica: un’analisi empirica”, Quaderni di ricerca n. 185, 2003.
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1.1.1. Focus sull’asset allocation tattica
A partire dagli anni ’70, in America cominciarono a diffondersi i servizi
finanziari, offerti dalle principali società di intermediazione mobiliare, che
permettevano agli investitori di intervenire periodicamente sulle loro
posizioni in azioni e obbligazioni. Con l’introduzione dei contratti derivati,
le strategie di portafoglio dinamiche, supportate anche dalle prime felici
esperienze, presero sempre piø piede nelle forme piø diverse, quali:
la portfolio insurance, di cui fa parte l’option-based strategy, vale a
dire la costruzione di un portafoglio che si prefigga un rendimento
minimo dopo un periodo, pari alla somma investita per il tasso privo
di rischio, e lo ottenga replicando un portafoglio composto da azioni
e relative opzioni call;
la constant-proportion strategy, costruita, come la precedente, su un
floor, ossia un rendimento minimo: essa impone come successivo
vincolo da rispettare il riallineamento dei pesi degli asset in
portafoglio al rapporto che li lega in partenza.
Nonostante questi prodotti siano oggi largamente diffusi, come già
enunciato, non esiste ancora una definizione univoca del principio
sottostante di AAT.
¨ chiaro che il ruolo dell’allocazione tattica entra in gioco quando sono
state svolte scelte di allocazione strategica, quando cioè si è scelto un
portafoglio di riferimento costruito su un orizzonte temporale lungo
(potenzialmente infinito), partendo da determinate assunzioni di equilibrio
per rendimenti e rischi di mercato.
L’AAT può certo venire offerta a fianco della gestione passiva, anche
quando alcune classi di titoli non sono presenti (in questo caso la gestione
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del portafoglio avviene tramite scambi di futures con i quali modificare
l’esposizione al rischio futura), ma non si può parlare di allocazione tattica
senza avere a disposizione una struttura di portafoglio con una propria
performance e struttura informativa, operando sulla quale si cerca di
riorganizzare la composizione ottimale di portafoglio.
Dunque, l’AAT è una strategia attiva che cerca di migliorare le
performance totali cambiando i pesi di portafoglio in risposta alle
variazioni dei possibili scenari offerti dai mercati.
In un’ottica markowitziana di media-varianza, la definizione di AAT
assume una connotazione diversa. L’AAT diventa uno strumento che
permette di migliorare i risultati della strategia passiva di replicazione del
benchmark attraverso un incremento della media (o una diminuzione della
varianza) del portafoglio: quindi, una strategia che, attraverso le previsioni
sui rendimenti e la conseguente variazione sistematica della composizione
del portafoglio, punta a conseguire un rendimento superiore rispetto al
benchmark e una volatilità inferiore.
Naturalmente, in un simile contesto, l’abilità decisionale ricopre un ruolo
fondamentale: è necessario saper disporre al meglio del proprio set
informativo per effettuare “scommesse” rispetto al benchmark, che deve
essere fissato in maniera adeguata al raggiungimento di risultati positivi.
Consentendo all’ asset manager di variare i pesi di portafoglio in ogni
momento, l’AAT è da considerarsi una strategia di breve periodo e, in
quanto tale, genera risultati da valutare in termini comparativi, non assoluti.
Ecco perchØ l’efficacia dell’AAT è misurata non in termini di performance
totale, attraverso misure quali l’indice di Sharpe, ma in termini di
performance relativa, ossia confrontata all’andamento del benchmark.
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Ecco alcuni degli strumenti che vengono comunemente utilizzati per
esprimere dei giudizi sui risultati dei gestori:
si definisce alpha l’extrarendimento generato da decisioni attive
rispetto al benchmark. Solitamente si preferisce un’alpha
annualizzato, una media degli alpha mensili, poichØ riduce la
volatilità ed è, perciò, piø indicativo delle abilità del gestore;
con l’espressione tracking error si individua la componente del
rischio di portafoglio generata dall’AAT, calcolata come differenza
tra il rischio di portafoglio e il rischio del benchmark; in altri termini
rappresenta la deviazione standard degli alpha, e viene anch’esso
annualizzato.
Queste due misure risentono, però, dell’aggressività del singolo gestore:
uno piø propenso al rischio può ottenere alpha maggiori di uno piø
prudente, ma non per questo essere considerato il piø efficiente. Tuttavia,
se considerate indipendentemente, queste non sono misure oggettive della
performance.
Si può, a questo punto, definire l’information ratio (IR), ossia una misura di
performance indipendente dal grado di aggressività del gestore, come il
rapporto tra un alpha e il suo tracking error, anch’esso annualizzato:
=
( )
( )
×√12
Alla luce di questi strumenti possiamo ridefinire le AAT come strategie che
mirano ad un information ratio positivo attraverso la modifica sistematica
dell’allocazione di capitali.