4
Introduzione
Livio e la sua opera
Come è noto, nell’opera di Tito Livio appaiono accolti e applicati i precetti teorici sulla
storiografia esposti da Cicerone
1
: Livio non è solo un narrator, ma anche, o soprattutto, un
exornator rerum.
Delle vicende biografiche e dell’attività letteraria di Livio le fonti antiche dicono assai poco.
Le incertezze sulla sua biografia iniziano forse con la data di nascita, il 59 a.C., come stabilita da
Girolamo
2
, a Padova, ricco centro di provincia, di cui erano proverbiali i costumi austeri e le
tendenze conservatrici, tratti che avrebbero influito probabilmente sul carattere dello storico
3
.
Padova, infatti, era una delle più importanti città dell’Italia settentrionale; punto di transito e di
scambi commerciali con i paesi transalpini, la città conobbe un lungo periodo di grande fioritura
economica. Riallacciava, come Roma, le proprie origini a un fondatore mitico, il troiano
Antenore, che non a caso Livio ricorda all’inizio della sua opera
4
.
Egli trascorse gran parte della sua vita a Roma, vicino alla cerchia letteraria del principe, e in tale
contesto probabilmente avrebbe tenuto letture delle sue opere, suscitando l’interesse di Augusto
per la sua opera storica, come dichiara in I, 19, 3 e in IV, 20, 7. Nel primo caso, infatti, la
menzione ad Augusto si traduce quasi in un elogio del suo operato nel ristabilire la pace sulle
terre e sui mari; nel secondo, invece, si definisce espressamente Augusto quale conditor e
restitutor dei templa. Lo storico pertanto in questi passi sembra richiamare l’attenzione del suo
lettore sulla grande figura del contemporaneo princeps, autore della pax deorum. La menzione di
Augusto, pur senza cadere nell’adulazione, persegue chiaramente uno scopo elogiativo ponendo
l’accento sugli aspetti principali della politica del principe, che Livio doveva sicuramente
condividere: il ristabilimento della pace e la restaurazione degli antichi culti religiosi.
Le condizioni dell’autore furono certamente agiate ed egli poté, infatti, dedicare la sua intera vita
all’attività letteraria. Non risulta che ciò gli sia stato consentito dall’aiuto di protettori potenti di
cui godettero, avvertendone talvolta il peso, altri letterati dell’età augustea. Non avrebbe
1
Questi precetti si possono riassumere e sintetizzare nella formula historia opus oratorium maxime per la quale si
confronti Cicerone, Leg. I, 5, 21, come ha notato LEEMAN 1974, pp. 254-264.
2
Girolamo (347-420 d.C.) tradusse dal greco il Chronicon di Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.), un’opera in cui i
principali avvenimenti della storia universale erano disposti in tavole cronologiche sincroniche, a partire da Abramo
(2016-2015 a.C.). Nella sua traduzione Girolamo mantenne il medesimo punto di partenza cronologico, e arricchì il
testo con molte notizie relative alla storia e alla letteratura romane; inoltre proseguì l’esposizione dal 325 d.C., anno
a cui si fermava l’opera di Eusebio, fino al 378.
3
Come sostengono CARY-DENNISTON-DUFF 1962, s.v. LIVIO, pp. 496-499.
4
Si rimanda a Livio, Ab urbe condita, I, 1, 1-3.
5
partecipato in alcun modo alla vita pubblica, ma si sarebbe dedicato interamente agli studi e alla
composizione di una vastissima opera storica in 142 libri, che prendeva le mosse dalla
fondazione di Roma (Ab urbe condita) per giungere al 9 a.C.
Di quest’opera monumentale ci sono giunte alcune sezioni: i libri 1-10, che raccontano la storia
di Roma sotto i re e nei primi tempi della Repubblica; i libri 21-30, con gli eventi della seconda
guerra punica; i libri 31-45, che trattano dell’espansione di Roma nel Mediterraneo orientale.
Del resto dell’opera ci sono giunti solo riassunti schematici (periochae), composti probabilmente
tra il III e il IV sec. d.C., e che permettono di ricostruire il contenuto dei singoli libri perduti e ci
informano sommariamente su certi periodi per cui non abbiamo fonti più dettagliate.
A Livio mancò l’esperienza politica e militare che altri autori di storia potevano vantare: egli
rievocò gli avvenimenti passati mediante un accurato studio degli antichi scrittori di Roma, gli
annalisti, ma anche attraverso fonti antiquarie e mitiche, in modo da ricostruire non solo gli
eventi, ma soprattutto i mores che avevano consentito a Roma di trasformarsi da modesto
villaggio di pastori nella metropoli dei suoi tempi, centro della politica e della vita del mondo
antico.
Sarebbe giunto pertanto a Roma nel 30 o 29 a.C., verosimilmente per svolgervi le ricerche
preliminari alla sua opera storica, il cui primo libro fu composto e pubblicato tra il 27 e il 25
a.C., come si deduce da alcuni indizi interni
5
. Probabilmente fu proprio la pubblicazione del I
libro ad attirare sullo storico l’attenzione di Augusto, che dovette seguire con vivo interesse il
procedere dell’opera, pubblicata a gruppi di libri a mano a mano che veniva composta, e
intrattenne con l’autore rapporti d’amicizia, nonostante Livio non nascondesse i suoi sentimenti
repubblicani
6
. In effetti, già l’antichità stessa aveva riconosciuto i rapporti tra l’attività letteraria
di Livio e il principato augusteo, nonostante avesse messo a fuoco le caratteristiche singolari
della personalità dello storico. Egli, seppur attratto dal passato repubblicano, dai suoi valori, dai
suoi eroi, non si mostrò mai come un oppositore del principato di Augusto. Del resto, se è vero
che il controllo esercitato da Augusto sui letterati fu intelligente e quasi mai oppressivo, come
quello di molti suoi successori (ma non si dimentichi la vicenda di Ovidio), è altrettanto vero che
la stessa esaltazione degli ideali repubblicani non doveva affatto contrastare con l’immagine che
Augusto voleva dare di sé, presentandosi non tanto come erede di Cesare, quanto piuttosto come
restauratore delle istituzioni e custode dei valori della res publica.
5
La stesura dell’opera, e in modo particolare la prima decade, va collocata entro il 27 a.C. secondo LUCE 1965, le
cui tesi sono state accolte in maniera quasi univoca anche da SYME 1994 e STADTER 2009.
6
A sostegno di questa affermazione CARY-DENNISTON-DUFF 1969, s.v. LIVIO, rimandano a un confronto con
quanto detto su Livio da Tacito, Ann., IV, 34, dove lo storico augusteo viene definito Pompeianus.
6
In praefatio 5, Livio ci espone le motivazioni che lo avrebbero spinto a dedicarsi al racconto
della storia di Roma:
ego contra hoc quoque laboris praemium petam, ut me a conspectu malorum, quae nostra tot per
annos uidit aetas, tantisper certe, dum prisca illa tota mente repeto, auertam, omnis expers
curae, quae scribentis animum, etsi non flectere a uero, sollicitum tamen efficere posset
7
.
(Praefatio, 5)
In queste righe Livio mostra chiaramente le sue intenzioni: attraverso la sua opera egli vuole
conseguire l’obiettivo di distogliere il suo animo dalla contemplazione dei mali cui la sua età ha
assistito per tanti anni, per potersi rivolgere totalmente a quegli eventi antichi. Livio, dunque,
comincia la sua illustrazione dell’argomento accennando ai motivi soggettivi che lo inducono a
indagare il passato più lontano, il desiderio cioè di allontanarsi dal tempo più prossimo e dalle
preoccupazioni che incombono sul presente, che offre lo scenario di una crisi in cui Roma è
tormentata da guerre civili e rimedi non meno amari. Ciò tuttavia di per sé non fa di Livio un
oppositore delle soluzioni politiche che portarono al principato. In ogni caso l’opera di Livio
risultò in armonia con i temi della propaganda augustea, e arrivò a costituire di fatto un sostegno,
efficace ed autorevole per la notorietà raggiunta dall’autore, ai programmi di riforma avviati dal
principe, miranti al risanamento morale, al recupero degli antichi valori religiosi, al
ristabilimento dell’ordine e della pace all’interno dello stato.
La storia di Livio esprimeva l’esigenza di contemplare le gesta del passato, di rinnovare il modo
di sentire degli uomini che avevano fondato e reso grande Roma: essa s’inquadra bene in quel
recupero del mos maiorum
8
, letteralmente “il costume degli antenati”, che lo stesso Augusto
cercava di promuovere. Si tratta dunque di una narrazione che attinge al mito e alla tradizione,
ma anche a quegli scrittori che, alle origini della repubblica, avevano annotato gli avvenimenti a
loro di poco anteriori in uno stile sobrio e disadorno. La leggenda si propone quindi a Livio
come il serbatoio dei modelli etici propri di una società arcaica; in essa l’esemplarità della
condotta degli antenati virtuosi può riproporsi ai contemporanei dello storico illustrando le forme
della moralità delle origini, fondata sulla dedizione ai valori della famiglia, della patria e della
religione
9
, forme che sembravano cancellate dall’orrore delle guerre civili. Allo storico
7
Il testo latino, qui e in tutti gli altri casi, è stato tratto da The Packard Humanities Institute, CD ROM # 5.3, Los
Altos, CA 1991. In ogni caso il testo citato tenuto presente è quello di CONWAY-WALTERS 1914-1934 riprodotto
in VITALI 2004
10
per i libri I-III e in VITALI 2000
9
per i libri IV-VI.
8
Per un più approfondito significato etimologico del termine mos e dell’espressione mos maiorum si veda quanto
sostenuto da BENVENISTE 1976, pp. 386 e sgg.
9
Temi peraltro cari al passato repubblicano, incarnato dalla persona e dall’operato di Catone, il quale, rivestendo la
carica di censore, non aveva esitato a sottolineare e combattere l’immoralità dei costumi romani, attaccando i
senatori più illustri. Egli, autore della prima opera storica latina in prosa, Origines, giunta in frammenti, avrebbe,
come sostiene FERRERO 1949, avviato un modo di fare storiografia che Sallustio prima e Livio dopo avrebbero
perseguito. Sul tema si vedano anche MAZZARINO 1966
2
e LA PENNA 1968, pp. 124-137.
7
desideroso di prendere le distanze da un presente luttuoso non rimaneva che la rievocazione di
quell’età ormai lontana, sia per cercare un temporaneo ristoro alle amarezze del presente, sia per
rendere a quell’epoca una testimonianza adeguata. Egli, infatti, dovette riconoscere nel clima
moralmente sano del passato, da lui ricostruito nella sua opera, una sorta di “valore”, perché in
esso individuò un patrimonio che poteva diventare fondante per il presente. La cultura, infatti,
come sostiene Assmann
10
, lega l’uomo al suo prossimo creando uno spazio comune di
esperienze, di attese e di azioni ma lega anche il passato al presente, modellando e mantenendo
attuali i ricordi fondanti, e includendo le immagini e le storie di un altro tempo entro l’orizzonte
del presente, così da generare speranze e ricordo: questo aspetto della cultura, alla base dei
racconti mitici e storici, compare nell’opera liviana.
Lo scopo di Livio, infatti, non era quello di analizzare il corso della storia alla luce delle
istituzioni e dei fatti, bensì quello di offrire a Roma una storia degna, per stile e concezione, della
sua missione imperiale e della sua grandezza, ‹‹il cui influsso propagandasse la restaurazione
morale augustea››
11
.
Sotto l’anno 2033 (= 17 d.C.) Girolamo registra la morte dello storico a Padova; non sappiamo
se in occasione di uno dei suoi soggiorni nella città natale, o dopo essersi definitivamente ritirato
in essa nell’ultima parte della sua vita.
Sul piano documentario, dunque, vale per Livio quanto, in generale, occorre tenere presente per
tutta la storiografia romana: la sua opera è certo utilizzabile come una fonte preziosa per la storia
romana più antica, del periodo dei primordia, quello regio e quello della repubblica, e più di una
volta le notizie che egli ci fornisce sui luoghi e tradizioni hanno trovato conferma nei reperti
archeologici
12
; d’altra parte, essa offre una propria rappresentazione della storia di Roma, che
risente di un contesto di crisi e del bisogno, tipico di tutti gli autori della letteratura cosiddetta
augustea, di trovare una giustificazione al proprio presente.
Bisogna dunque tener conto di questa proiezione ideologica, se si vuole valutare correttamente la
narrazione che egli fa delle origini, e nello stesso tempo considerarla un documento prezioso e
diretto per conoscere il clima di restaurazione dei costumi tradizionali voluto da Augusto.
10
A tal proposito si rimanda agli studi condotti da ASSMANN 1997.
11
Si fa riferimento a quanto affermato da CARY-DENNISTON-DUFF 1962, s.v. LIVIO, p. 497.
12
Si vedano a proposito della questione delle origini di Roma MOMIGLIANO 1989, pp. 3-12; SERRES 1991 e
GABBA 2000. Anche ZIOLKOWSKI 2000, pp. 17-19, e CARANDINI 2003a hanno cercato di verificare il
racconto della nascita di Roma in conformità a recenti scavi archeologici.
8
1. Livio e il suo tempo
Per meglio comprendere il significato profondo dell’opera di Livio e della sua storiografia,
occorre per prima cosa indagare il contesto sociale, storico e culturale all’interno del quale
l’opera stessa si inserisce, cioè stabilire in che rapporti si collochi l’attività di Livio nei confronti
di Virgilio, Orazio, Properzio, Ovidio, Mecenate e il principe stesso.
E’ noto il giudizio di Syme, che lo definì ‹‹gloria fulgida della prosa augustea››
13
. Da questa
affermazione sembra derivare la tesi secondo la quale Livio rappresenti in realtà l’incarnazione
perfetta degli ideali propagandati nell’età augustea, paragonabili a quelli che vengono espressi
-in altre modalità e seguendo canoni diversi- da Virgilio e da Orazio.
Prima di procedere all’individuazione di possibili connessioni tra l’opera liviana e gli altri
prodotti della letteratura augustea, sarà opportuno contestualizzarla da un punto di vista
cronologico per meglio rappresentare le dinamiche ad essa soggiacenti.
Il primo libro di Livio ha una datazione certa; riferendosi alla chiusura del tempio di Giano,
avvenuta nel 29 a.C., subito dopo la battaglia di Azio, Livio allude al suo vincitore con il titolo
solenne che il senato gli avrebbe conferito il 16 gennaio del 27 a.C.; così, infatti, dichiara:
quod nostrae aetati Dii dederunt ut videremus, post bellum Actiacum ab imperatore Caesare
Augusto pace terra marique parta.
(I, 19, 3)
Secondo Syme
14
, Livio non cita qui la seconda chiusura del tempio verificatasi dopo le
campagne spagnole del 26 e del 25 a. C.; per cui ne conseguirebbe che il brano sia stato scritto
tra il 27 e il 25 a.C. A supporto di questa tesi lo studioso pone l’accento sulla prefazione, il cui
tono cupo e solenne denota che la salvezza di Roma non è ancora considerata certa, come
esplicitamente Livio sembra voler dichiarare:
donec ad haec tempora, quibus nec uitia nostra nec remedia pati possumus, peruentum est.
(Praefatio, 9)
Da questa affermazione liviana, come già è stato notato in precedenza, emerge chiaramente una
sorta di pessimismo nei confronti dell’età presente, il che fa pensare che ancora l’opera di
restaurazione dei costumi morali condotta da Augusto non abbia raggiunto la sua definitiva
attuazione, dal momento che lo storico sottolinea la degradazione morale della classe dirigente
romana, che le impedisce di continuare a gestire la res publica, mentre i remedia, ai quali fa
cenno, non sono altro che la soluzione autoritaria del principato, che si era sostituito con la forza
alla vecchia classe dirigente. Augusto e il suo principato dovevano apparire al contemporaneo
Livio come l’unico remedium in grado di fronteggiare e porre fine alle disastrose guerre civili,
13
SYME 1994, p. 6.
14
Si rimanda a quanto sostenuto da SYME 1994, pp. 29-55.
9
che avevano messo a rischio la res publica, come del resto sostengono alcuni studiosi
15
. Al pari
di Sallustio, Livio crede, dunque, che la crisi politica della repubblica aristocratica nasca dalla
corruzione dei mores della nobilitas, e quindi pensa che il principato, la realtà a lui
contemporanea, sia una soluzione dolorosa ma inevitabile.
Secondo l’opinione comune, sostenuta anche da Levi
16
, Petersen
17
e Mazza
18
, Livio avrebbe
iniziato a comporre la sua storia tra il 27 e il 25 a.C. Perciò Livio avrebbe cominciato a scrivere
la sua opera al tempo della battaglia di Azio, o per meglio dire, poco dopo questa.
Solo avendo presente questo scenario storico e culturale è possibile cogliere le motivazioni
profonde della storia delle origini, all’interno della quale lo storico si muove nel narrare e
presentare ai suoi lettori fatti e dinamiche che gli sembrano riflettere quelli del suo tempo.
Se in linea di massima la maggior parte degli studiosi concorda sulla cronologia dell’opera e
sulla struttura dell’opera stessa, meno unitarie risultano invece le posizioni sull’ideologia liviana,
sulla sua scrittura storiografica, sui suoi legami con il principato augusteo. Sorgono dunque
quesiti ai quali è necessario fornire delle plausibili, seppur non esaustive, spiegazioni.
Occorre certo chiedersi quale sia l’incidenza dell’ideologia nella pratica di chi scrive storia,
stabilire anche il rapporto tra le opinioni personali e la ricostruzione storiografica, che si
vorrebbe sempre scientifica e obiettiva; infine come sia possibile giudicare alla luce di questo
rapporto l’opera storiografica di Tito Livio. A questi interrogativi Mazza
19
fornisce possibili
risposte, dichiarando che la fede nella missione imperiale di Roma avrebbe dominato l’ideologia
degli autori augustei e che in modo particolare ‹‹in Livio, essa motiva e condiziona l’analisi della
crisi dello stato romano, punto di partenza, della sua indagine storiografica››
20
. Levi
21
, d’altra
parte, aveva già affermato che lo storico sarebbe stato animato da una comunione di spirito e di
cultura con l’ambiente colto e dirigente che lo circondava, e quindi avrebbe sentito l’esigenza di
celebrare la grandezza della storia romana e la vicenda del popolo cui apparteneva.
15
Per quanto riguarda la posizione di Livio rispetto al principato augusteo PETERSEN 1961, pp. 440-441, aveva
sostenuto che ‹‹From these doubtlessly correct observations it has been inferred not only that Livy in certain
passages expressed his approval of Augustus' aims and methods, but that throughout Livy wrote his History paying
close attention to Augustus' views, and in fact with the purpose of promoting the emperor's policies,even though
admittedly the historian's allusions to the present are quite subtle››. Per il rapporto tra Livio e il suo tempo, e in
modo particolare con Augusto si vedano anche SYME 1994; SEITA 1996 e CATAUDELLA 2004.
16
LEVI 1949, infatti, cercò di evidenziare lo stretto rapporto tra la storiografia liviana e gli ideali augustei.
17
Si veda PETERSEN 1961 per quanto riguarda il rapporto esistente tra Livio e Augusto.
18
Al riguardo si veda MAZZA 1966, in cui si sottolinea l’ideologia e la storiografia liviana in relazione agli ideali
del principato di Augusto.
19
Si rimanda ancora a MAZZA 1966.
20
MAZZA 1966, p. 177.
21
LEVI 1949, p. 15.
10
Secondo queste tesi, bisognerebbe interpretare la storiografia liviana in relazione all’ideologia
stessa del principato di Augusto, come per esempio sostiene Petersen
22
, ritenendo dunque che
Livio non fosse tout court un propagandista e panegirista dei progetti del princeps.
Dunque quando Livio si accinse, alcuni anni dopo il definitivo consolidamento del potere di
Ottaviano, intorno al 27 a.C., a scrivere a primordio la storia del popolo romano, erano mutati
con l’avvento del principato non solo la situazione politica e sociale in cui egli era venuto a
trovarsi, ma anche il ruolo stesso del letterato, la sua collocazione all’interno della civitas
romana. Nel periodo compreso tra il 44 e il 29 a.C. Roma era passata da una costituzione
repubblicana al principato, perdendo l’antica libertas, la quale si attuava attraverso la
partecipazione diretta del singolo cittadino alla vita politica della propria città, sebbene il
principe pensasse di imporre un nuovo ordine recuperando le antiche istituzioni. L’opera liviana
fornisce certo testimonianza di quel periodo storico nel quale l’autore, come tanti altri, avrebbe
operato per un unico obiettivo, ossia celebrare la grandezza di Roma, la fine delle guerre civili,
l’inizio di una nuova aetas, all’interno della quale collocare il risanamento degli antichi costumi,
i mores, del popolo romano.
La vittoria di Azio del 31 a.C. e la conquista dell’Egitto del 29 a.C. segnarono dunque l’inizio di
una nuova epoca, e di questo ebbero chiara percezione gli intellettuali del tempo, dai quali il
sentimento di essere entrati in un’epoca di pace, identificata nel ritorno alla mitica età dell’oro,
fu manifestato sinceramente, come hanno notato alcuni studiosi
23
. Il maggior merito di questa
nuova condizione sembra essere stato quello di avere assicurato la pace, e di certo la pax Augusti
sarebbe diventata uno dei motivi fondamentali della nuova ideologia. Tali avvenimenti, nonché
l’esistenza di un’opinione pubblica che esprimeva favore nei confronti del principato augusteo,
fornendogli sostegno e accogliendone le direttive ideologiche e politiche, non sono altro che
‹‹l’humus storico-politica da cui germogliò gran parte della produzione letteraria dell’epoca››
24
.
Importanti studi condotti su Orazio, Virgilio e Properzio con criteri di rigoroso storicismo hanno
evidenziato le diverse reazioni dei grandi poeti augustei di fronte all’ideologia del potere: si
tratta, in buona sostanza, di atteggiamenti che oscillano tra un consenso spontaneo e uno ottenuto
con la forza, per poi passare a una difficile ‹‹integrazione››
25
.
22
Si veda quanto sostenuto da PETERSEN 1961.
23
Per i rapporti tra i letterati del tempo e l’ideologia del principato augusteo si rimanda a CANALI 1975. Sul tema
inoltre si vedano LA PENNA 1963 e MARCHESE 2010 in merito all’attività di Orazio; PICONE 1973 e 1989 per
quanto riguarda le opere virgiliane; LA PENNA 1977 per Properzio.
24
Così C. Moreschini in SCANDOLA 1994
7
, p. 93.
25
Secondo l’espressione di LA PENNA 1977.
11
L’età di Augusto è il periodo in cui fioriscono poeti, come Virgilio e Orazio, diventati ben presto
“classici”, le cui opere furono accreditate di una validità perenne, proposte all’ammirazione e
all’imitazione per molti secoli. Insomma con l’instaurazione del principato la vita intellettuale
avrebbe trovato nel gestore del potere un imprescindibile punto di riferimento, giacché la
letteratura stessa ne sarebbe stata fortemente condizionata. E, in effetti, i grandi poeti dell’età
augustea - Virgilio, Orazio, Properzio - accolsero nelle loro opere temi tipici della propaganda
imperiale: per prima cosa il tema della pace, bene prezioso ritrovato dopo decenni di conflitti
laceranti, che gli stessi poeti avevano sofferto in prima persona; poi l’esaltazione del principato
come apportatore di concordia tra i cittadini, di prosperità e di benessere; ancora la necessità di
restaurare gli antichi costumi genuinamente romani e di ristabilire i valori morali e religiosi su
cui si fondava la grandezza di Roma; poi la difesa delle sane tradizioni italiche contro le minacce
di corruzione e d’imbarbarimento provenienti dall’Oriente; e ancora il culto della patria, degli
dei, della familia, la celebrazione della missione civilizzatrice di Roma nel mondo e la fede nella
sua funzione provvidenziale; ad esse si aggiungevano l’omaggio reso ai grandi Romani dell’età
repubblicana che quel potere avevano conquistato ed accresciuto, nonché per ultimo l’auspicio
che esso si espandesse ulteriormente grazie alle campagne militari promosse da Augusto.
Sarebbe tuttavia un grave errore considerare la poesia augustea come riflesso meccanico degli
orientamenti del regime. Ma, indubbiamente, per quanto riguarda il rapporto tra i letterati e lo
stato, l’atteggiamento dei poeti appare impegnato, poiché nelle loro opere compaiono la
speranza, la fiducia, talvolta persino l’entusiasmo, nei confronti dei destini di Roma. Virgilio,
Orazio, Properzio, facendo propri, con misure e registri diversi, gli ideali proposti dal principe,
intendono contribuire alla loro affermazione, e a tale scopo non si rivolgono soltanto ad una
ristretta cerchia di intenditori, ma ad un pubblico più vasto. L’adesione, però, alle parole
d’ordine del regime e la collaborazione con il potere non si attuano senza resistenza ed
ambiguità, anche nel caso di poeti più vicini ad Augusto, come Virgilio e Orazio. Essi, infatti,
formatisi negli anni delle guerre civili, divennero in qualche modo i mediatori dell’ideologia
augustea attraverso una evoluzione graduale, tradendo però un certo imbarazzo e disagio di
fronte alle pressioni dei potenti dei quali non si fecero mai strumenti passivi
26
.
Con la nostra indagine proveremo a mostrare come i medesimi temi siano presenti anche
nell’opera liviana, che d’altra parte, come abbiamo già precedentemente ribadito, risulta essere
stata prodotta nello stesso periodo storico, presumibilmente per lo stesso ambiente di
26
A tal proposito si rimanda a PICONE 1973 e 1989 per quanto riguarda Virgilio; LA PENNA 1963 e MARCHESE
2010 per quanto riguarda invece Orazio.
12
destinazione, e con il medesimo scopo. Ovviamente a cambiare non sono soltanto gli autori, con
i loro vissuti e le loro idee, ma anche le modalità espressive stesse, poiché l’opera di ciascuno di
questi autori sembra porsi come un unicum all’interno della produzione letteraria latina. Virgilio
con la poesia epico-didascalica, Properzio con le sue elegie
27
, Orazio con la sua poesia lirica
28
,
Livio con la storiografia esprimono una prospettiva comunitaria, non certo esaltando in maniera
pedissequa ed elogiativa le gesta di Augusto, ma rintracciando nel passato mitico, leggendario e
repubblicano i valori, le virtù, i buoni costumi che l’ideologia del principato augusteo intendeva
rievocare e risanare.
Significativo è pertanto il fatto che lo stesso genere epico-storico, luogo letterario deputato alla
celebrazione di Roma e delle gloriose imprese belliche dei suoi condottieri, non trovò cultori:
Virgilio fu l’unico a scrivere un poema eroico, ma non su fatti di storia contemporanea; il
protagonista dell’Aeneis non è infatti Augusto, ma il suo mitico progenitore troiano. Orazio e
Properzio declinarono in maniera elegante l’invito con una serie di recusationes, affermando la
propria inadeguatezza ad affrontare generi di poesia troppo elevati e impegnativi
29
.
A porre l’accento sulla complementarietà tra i vari letterati dell’età augustea, le cui opere, più
che fonti, sono per noi filtri attraverso i quali è possibile ricostruire in parte l’immaginario latino
del tempo, per meglio comprendere la civitas romana e le sue dinamiche, non sono soltanto gli
autori moderni, che si sono impegnati a far dialogare fra loro le singole opere, sottolineando gli
aspetti comuni, la convergenza di intenti e scopi; è infatti Livio stesso che colloca la sua opera
storica all’interno dello scenario augusteo. Così in maniera esplicita dichiara nella sua
prefazione:
cum bonis potius ominibus uotisque et precationibus Deorum Dearumque, si, ut poetis, nobis
quoque mos esset, libentius inciperemus, ut orsis tantum operis successus prosperos darent.
(Praefatio, 13)
Chiaramente dunque l’opera di Livio, il quale non a caso polemizza garbatamente con i poeti, dai
quali aveva voluto prendere le distanze al paragrafo 6, intende sposarsi con l’asciuttezza e
27
Specialmente la III, 4, dove è contenuta la celebrazione di Augusto, e quelle del IV libro, dove trova posto
un’ispirazione eziologica e comunitaria. Si tratta delle cosiddette “elegie romane” con le quali Properzio sembra
definitivamente in linea con i temi della propaganda ufficiale, come del resto hanno mostrato MAZZA 1966 e LA
PENNA 1977.
28
Si fa riferimento, come ha sostenuto LA PENNA 1963, alle prime 6 del III libro dei Carmina. Anche Orazio diede
il suo contributo alla propaganda augustea componendo carmi celebrativi e politicamente impegnati, fra cui
spiccano le “odi romane”, dove chiaramente emerge la tematica civile. In questi testi la condanna dei vizi
contemporanei e l’esaltazione delle virtù e degli eroi antichi si intrecciano con la glorificazione di Roma e di
Augusto. Anche nel IV libro questa tematica si accentua in maniera evidente, dove vengono celebrate le glorie
dell’imperatore e dei suoi generali, nonché la pace e la tranquillità che il principe ha saputo donare allo Stato.
29
Si rimanda a LA PENNA 1963 per il ruolo esercitato da Orazio; a LA PENNA 1977 per la posizione di Properzio;
CANALI 1975 per le dinamiche tra i letterati del tempo e il principato augusteo.
13
l’obiettività di chi si propone fini di accuratezza documentaria. Lo stesso Levi
30
commentando il
passo liviano aveva affermato che risulta evidente come Livio si ricolleghi allo stesso ambiente
in cui hanno lavorato Virgilio e Orazio, e mostri di condividerne le esigenze. Livio afferma di
lavorare per ampliare e approfondire le conoscenze sulla storia di Roma, per raccontarla
migliorando stilisticamente la narrazione degli annalisti antichi
31
, e infine per fare opera degna
del popolo che si è conquistato il primato nel mondo.
Da quanto detto sinora è evidente la profonda consonanza tra i poeti augustei e Livio, sebbene
egli non esiti a prendere le dovute distanze dalle forme poetiche. Come Virgilio, componendo
canti epici sulla preistoria di Roma, trovò nell’Aeneis la forma ideale attraverso la quale
collegare le origini e il destino della città al glorioso presente, così sembra che Livio, utilizzando
canoni letterari diversi, voglia valorizzare nella sua narrazione le origines di Roma. Già Syme
32
si domandava in che modo fosse possibile leggere Virgilio e Livio, se si dovesse presupporre
un’influenza reciproca tra i due o se si dovessero considerare indipendenti le loro produzioni. La
sua proposta interpretativa mette in risalto la piena corrispondenza di intenti tra i due autori.
Così, secondo Syme, leggendo le due opere, sembra possibile considerare Livio come una specie
di Virgilio in prosa. Effettivamente da un confronto tra il VI libro dell’Aeneis, vv. 851-853, e il
16, 7 del I libro dell’opera liviana, emerge il medesimo intento dei due autori augustei: Virgilio
aveva posto in risalto nella sua opera l’eccezionalità delle virtù del popolo romano, destinato,
come proclama Anchise, a prevalere sugli altri popoli; Livio d’altra parte evidenzia la missione
di Roma come caput orbis terrarum attraverso le parole pronunciate da Romolo. In buona
sostanza si può concludere che negli stessi anni in cui Virgilio componeva il poema destinato ad
esaltare i valori tradizionali del popolo romano, Livio avrebbe scritto ‹‹il corrispondente in prosa
dell’epopea virgiliana, ponendo l’accento sull’esaltazione della Roma antica››
33
.
30
Si rimanda a LEVI 1949, p. 15.
31
Come ha sottolineato C. Moreschini in SCANDOLA 1994
7
, pp. 125-126, le fonti documentarie disponibili per
Livio erano gli Annales Maximi, cioè le indicazioni delle vicende di Roma raccolte in 80 libri alla fine del II sec.
a.C.; i Libri Lintei, conservati nel tempio di Giunone Moneta, e i vari annalisti Elio Tuberone, Valerio Anziate e
Licinio Macro, utilizzati per la prima deca.
32
Cfr. SYME 1994, pp. 54-55.
33
Così FEDELI 1976, p. 278, a proposito dell’opera liviana.
14
2. Parole per descrivere la fondazione: condere, mores
È plausibile affermare che il titolo con il quale l’opera fu conosciuta, Ab urbe condita libri,
letteralmente “Libri dalla fondazione di Roma”, risalga direttamente all’autore, che d’altra parte
utilizza un’analoga espressione quando dichiara:
Quae ab condita urbe Roma ad captam urbem eandem Romani sub regibus primum, consulibus
deinde ac dictatoribus decemuirisque ac tribunis consularibus gessere, foris bella, domi
seditiones, quinque libris exposui,
(VI, 1, 1)
In apertura del VI libro si trova una seconda prefazione all’opera, all’interno della quale l’autore
utilizza l’espressione ab condita urbe Roma, per indicare il punto iniziale della sua opera, il
momento cronologicamente più antico della storia di Roma.
Occorre a questo punto soffermarsi sul significato dell’espressione liviana, soprattutto sul senso
profondo dei termini utilizzati per formare questa espressione. Un’analisi accurata e attenta sui
termini scelti dall’autore per indicare il campo di indagine, il punto di partenza della storia di
Roma, ci permette di avvicinarci nel modo più appropriato all’opera. Credo, infatti, che ci
permetta di penetrare, sempre nei limiti del possibile, nel modo liviano di porsi rispetto alla
materia da narrare, specialmente quella più antica, pre-monarchica, monarchica e repubblicana,
oggetto dei primi cinque libri, che non a caso vanno considerati come un blocco unitario; prova
ne è il fatto che l’autore sentirà poi il bisogno di riprendere la sua narrazione nel VI libro con una
seconda e nuova prefazione.
Torniamo dunque all’espressione liviana ab condita urbe Roma. Il sintagma, introdotto dalla
preposizione ab, mediante la quale si indica il complemento d’origine o di provenienza, sta ad
indicare un concetto basilare: l’origine di qualcosa, il suo fiorire, il suo nascere e crescere.
Oggetto di questa azione è l’urbs
34
, una città, un insediamento provvisto dei suoi confini, del suo
pomerium
35
, dotata delle sue leges e dei suoi iura. L’azione che porta alla formazione della città,
cioè quella azione che dà forma alla città stessa, viene espressa dal verbo condere, composto di
cum e dare, che letteralmente significa “mettere insieme”
36
. In lingua latina dunque l’atto di
fondazione prevede un movimento comunitario, di persone, cose, luoghi, istituzioni, che si
mettono insieme, che si fondano tra di loro. Il termine esprime una fusione di elementi diversi,
che proprio mediante la fusione, l’unione, acquistano la loro identità, l’identità di una realtà
nuova.
34
Per la spiegazione del termine urbs si rimanda a BENVENISTE 1976, p. 281, e a ERNOUT-MEILLET 1979
3
.
35
Si rimanda ai contributi di CATALANO 1978, SIMONELLI 2001 e DE SANCTIS 2007 riguardo alla natura, al
significato e alla funzione del pomerium, sul quale in seguito si discuterà in merito alla fondazione della città.
36
Per una convincente spiegazione del verbo condere e del sostantivo conditor in riferimento all’espressione mos
maiorum si rimanda all’analisi di MILES 1995.