INTRODUZIONE
Fin dall'antichità, scienza ed arte sono sempre state collegate l'una
all'altra, tanto nella loro evoluzione come nel loro sviluppo. Infatti, benché
molte volte lo studio di un manufatto artistico o di un sito archeologico veniva
effettuato esclusivamente valutandone gli aspetti storici ed artistici, in realtà le
più svariate discipline scientifiche, quali matematica, fisica, chimica,
astronomia, hanno sempre costituito il punto di partenza ed una base di
conoscenze necessarie ed indispensabili per creare e studiare opere d'arte. Basti
pensare agli studi ingegnieristici ed architettonici preliminari alla costruzione
di un qualsiasi tipo di costruzione, tanto che si trattasse di una piramide o di
una chiesa. Oppure alla preparazione chimica necessaria a plasmare il giusto
impasto per una statua o creare il colore ricercato per un dipinto. E ancora tutte
le idee pensate per l'introduzione di nuove tecniche o materiali che garantissero
alle opere d'arte una maggior durata del loro splendore nel tempo, fino ad
arrivare agli studi odierni mirati alla ricerca di metodologie di conservazione e
restauro degli oggetti storici.
Anche e soprattutto questi studi hanno compiuto notevoli progressi con
il corso degli anni, e se anticamente l'interesse affinché si mantenesse nel
tempo lo splendore o l’espressività di un reperto veniva manifestato solo e
unicamente per mezzo di approcci per lo più empirici, in tempi più recenti si è
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raggiunta la consapevolezza che un’opera artistica va studiata affiancando alle
discipline storico-artistiche anche quelle di natura scientifica. Tutto ciò è
avvenuto non solo grazie all’evoluzione della scienza e della tecnologia, ma
anche alla necessità di voler interpretare al meglio un bene artistico, poterne
prolungare la sua durata nel tempo, interpretrarne al meglio la sua espressività
ed il messaggio artistico contenutovi, confermarne o meno l’autenticità e
collocarlo spazialmente e temporalmente nella maniera più precisa possibile.
La fisica, coadiuvata da altre discipline che trovano origine nei più
svariati settori scientifici e tecnologici, ha un ruolo da protagonista nello studio
interdisciplinare mirato a scrutare l’aspetto più profondo di un’opera d’arte,
allo scopo di potersi addentrare all’interno della sua natura materiale, fino ad
arrivare ai suoi costituenti primari, in modo non solo da identificare le sostanze
che hanno dato alla luce il manufatto artistico, ma anche assegnare a queste un
luogo di provenienza ed una collocazione temporale che tengano conto anche
dall’ambiente in cui essa è stata rinvenuta e dei materiali utilizzati per la sua
realizzazione.
Con questi obiettivi nasce l'esigenza e la possibilità di affiancare analisi
di tipo scientifico a studi di natura storica, comprensibilmente a condizione che
questi non provochino nessun tipo di danno all'opera in esame, o quantomeno
vi arrechino un disagio in misura talmente ridotta da non comprometterne
l'integrità e l'aspetto finale, in ogni caso sempre in un ordine di grandezza
sensibilmente minore alle conseguenze che ne deriverebbero da un mancato
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intervento o un'inevitabile processo di degradazione.
E' proprio considerando quest'ultimo aspetto che generalmente viene
fatta una distinzione tra metodologie d’indagine non distruttive e
microdistruttive, con una sottile ma significativa differenza tra le due. Nelle
prime le analisi vengono effettuate agendo direttamente sul bene culturale,
senza richiedere alcun tipo di asportazione ma solo sottoponendo questi ad una
qualche forma di energia esterna la quale cambierà in qualche modo la sua
natura al passaggio nel materiale in esame, senza però alterarne in nessun
modo la struttura o la composizione, ed osservandone quindi la risposta in
uscita, ovvero la variazione rispetto alla forma iniziale, provocata da tale
attraversamento. Nelle seconde invece l'analisi richiede l'ispezione di piccoli
frammenti, scelti ed asportati secondo particolari accorgimenti, e la cui
indagine per mezzo di diversi strumenti e tecnologie conduce al
raggiungimento degli obiettivi prefissati al fine dell’indagine, della
conservazione, o della collocazione dell’opera.
È proprio in questo contesto che si può collocare il presente lavoro di
tesi, dedicato all’analisi tramite Coulombmetria ed alla sua applicazione nel
campo dei beni culturali.
L’utilizzo di questa tecnica è basato sul fenomeno della elettrolisi,
ovvero la decomposizione elettrica di alcune sostanze conduttrici, che vengono
dissociate in ioni per fusione o per dissoluzione. Questa metodologia
d’indagine permette di identificare il contenuto d'acqua presente all'interno
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dell’oggetto sotto studio. Questa informazione può essere utile nel campo dei
beni culturali, perché permette di stimare il contenuto di umidità assoluto e
percentuale, e quindi può fornire una migliore conoscenza ai fini della
conservazione dove richiesto.
La presente tesi è articolata in quattro capitoli. Nel primo capitolo
vengono descritti i principi fisici di base della Coulombmetria. Nel secondo
capitolo vengono dettagliati gli apparati strumentali utilizzati per un’indagine
di questo genere, evidenziandone caratteristiche tecniche e costruttive,
peculiarità e limiti. Nel terzo capitolo viene invece illustrata l’applicazione
della tecnica Coulombmetrica nel campo dei beni culturali, analizzando i
procedimenti di misura ed inoltre viene fornita una dettagliata descrizione dei
campioni sotto studio. Ed ancora nel quarto ed ultimo capitolo viene presentata
una particolareggiata discussione dei dati, insieme alla loro elaborazione ed
interpretazione. Infine, nelle conclusioni viene sottolineata l’importanza della
tecnica Coulombmetrica come metodo di caratterizzazione micro distruttivo
nel campo dei beni culturali.
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CAPITOLO 1
LA COULOMBMETRIA
1.1 L'ELETTROLISI
Il termine elettrolisi deriva dal greco e significa "rompere con
l'elettricità", da cui si capisce come sottoporre ad elettrolisi una sostanza vuol
dire dunque dividerla nei suoi elementi costitutivi.
L’elettrolisi è quindi un processo che trasforma energia elettrica in
energia chimica, o meglio che consente lo sviluppo di trasformazioni chimiche
che non avverrebbero in assenza di energia elettrica, con conseguente
conversione di energia elettrica in energia chimica.
In altre parole si utilizza l'energia elettrica per provocare una reazione
chimica che non avverrebbe spontaneamente.
Si faccia caso che non è la corrente a determinare la dissociazione, ma
al contrario il passaggio di corrente è possibile proprio perché avviene la
dissociazione ionica. Infatti, i liquidi, se sono puri, nella maggioranza sono
ottimi isolanti, oppure, se contengono impurità (sali minerali, oli, alcool,
soluzioni zuccherine), sono deboli conduttori [1].
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Il fenomeno della dissociazione elettrolitica può comunque avvenire
anche senza apporto di energia elettrica dall'esterno, difatti la dissociazione
elettrolitica è solo uno dei fenomeni che avvengono durante il processo di
elettrolisi (insieme, ad esempio, a fenomeni di deposizione all'elettrodo e
polarizzazione), per cui i termini "elettrolisi" e "dissociazione elettrolitica" non
sono sinonimi. In Figura 1.1 viene illustrato il V oltametro di Hoffman, uno dei
primi strumenti inventati per studiare il fenomeno dell'elettrolisi.
Figura 1.1 V oltametro di Hoffman
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Il grado (o percentuale) di dissociazione (d), si può indicare con:
(1.1)
dove n rappresenta il numero di molecole dissociate, mentre N è il
numero di molecole del soluto.
La percentuale di dissociazione può variare tra 0 e 1, vale a dire tra
assenza di dissociazione e dissociazione completa, ed i fattori che influenzano
tale parametro sono la natura del soluto, la natura del solvente, la temperatura
della soluzione (maggiore è quest'ultima maggiore sarà la dissociazione poiché
aumentano i moti browniani), la concentrazione (minore è quest'ultima
maggiore sarà la dissociazione perché le molecole sono meno dense).
Fra le applicazioni dell'elettrolisi si possono citare il processo
industriale di riduzione dell'alluminio, la decomposizione dell'acqua in
idrogeno e ossigeno, l'elettrodeposizione di un metallo pregiato sulla superficie
di un oggetto metallico. Quest'ultimo caso rappresenta una comune
applicazione industriale dell’elettrolisi chiamata galvanostegia, ed è utilizzata
soprattutto per proteggere le superfici metalliche dalla corrosione attraverso la
deposizione di metalli quali argento (argentatura), zinco (zincatura) e cromo
(cromatura).
In tutte queste applicazioni, una certa quantità di energia elettrica viene
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d=
n
N
convertita in energia potenziale di natura chimica e immagazzinata nella
struttura molecolare dei nuovi composti.
1.1.1 L'ELETTROLISI DELL'ACQUA
L'acqua pura ha una bassissima conducibilità elettrica, tale da farla
considerare un isolante, ma le soluzioni acquose di sali, o di molti acidi e basi
di uso comune, sono ottimi conduttori; basti pensare che l'acqua pura ha una
conducibilità elettrica pari a circa un milionesimo di quella dell'acqua di mare.
L'elettrolisi dell'acqua è un processo nel quale il passaggio di corrente
elettrica causa la decomposizione dell'acqua nei suoi elementi costituenti,
ovvero ossigeno ed idrogeno gassosi [1].
In un processo di questo tipo, una sorgente di energia elettrica è
collegata a due elettrodi, o due piastre (tipicamente realizzate in un metallo
inerte come platino o acciaio inossidabile), che vengono immerse in acqua. Un
sistema di questo tipo, illustrato in Figura 1.2, viene chiamato “cella
elettrolitica”.
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