3
Introduzione
“Oggi abbiamo mezzi di comunicazione così flessibili da potersi
adattare alle nostre capacità sociali, e stiamo assistendo alla nascita
di nuovi modi di coordinare attività rese più semplici da questi
cambiamenti. Questo genere di strumenti comunicativi sono stati
chiamati in modi diversi, tutti però condividono un tema comune:
“social software”, “social media”, “social network” e così via.
Sebbene esistano differenze tra queste diciture, l’idea centrale resta la
stessa: viviamo nel bel mezzo di una notevole crescita della nostra
abilità di condividere, di collaborare e di intraprendere azioni
collettive, al di fuori dei contesti tradizionali delle istituzioni e delle
organizzazioni” (Shirky, 2009:18)
La crescente attenzione nei confronti dei new media e delle modalità
per mezzo delle quali rimodellano la politica, nazionale e
internazionale, il sistema dei media e, più in generale, la nostra società
e il modo in cui viviamo e interagiamo all’interno di essa, rappresenta
nell’ambito degli studi inerenti la comunicazione pubblica e politica
un campo di ricerca rivelatosi particolarmente florido negli ultimi anni,
specie dopo l’avvento del web 2.0 capace di ampliare e dilatare il
concetto di “rete” attraverso le sue peculiarità più importanti quali
condivisione e partecipazione. Ciò ha favorito la nascita di un
“paradigma della rete”, utilizzato sempre più come specchio della
nostra organizzazione sociale e come strumento fondamentale per la
4
comprensione di fenomeni politico-economici. Una considerazione
quest’ultima volta a evidenziare una dimensione di tale processo che
trascende quella meramente tecnologica, in favore di una vera e
propria “cultura della rete”, in grado di influenzare e trasformare
sistemi sociali, politici e culturali.
Occuparsi oggi di web 2.0 e di new media significa soprattutto dover
fare i conti con un fenomeno dalla portata rivoluzionaria: i social
networks e, tra questi, confrontarsi necessariamente con Facebook e
Twitter, le due piattaforme social che hanno conosciuto maggior
successo e diffusione. Proprio la centralità nell’attuale ecosistema
della rete di queste piattaforme collettive, caratterizzate da una forte
inter-connessione sociale e dalla partecipazione attiva di utenti in
larga parte sprovvisti di specifiche competenze di programmazione,
viene messa in evidenza da più parti nell’ambito del dibattito relativo
al web 2.0. Questi ambienti online, e le straordinarie opportunità di
condivisione e scambio d’informazioni che li caratterizzano, hanno
aperto consistenti brecce nella galassia dell’informazione classica,
basata ancora, in qualche misura, su di un flusso informativo
monodirezionale orientato ad un pubblico percepito come indistinto e
passivo. Benché gli studi di Katz (1957) sull’influenza delle
comunicazioni di massa avessero già dimostrato l’esistenza di un
pubblico interconnesso e un’influenza esercitata dai mass media meno
automatica e potente di quanto non si credesse, è solamente con
l’avvento dei social networks che si è in qualche misura assistito a una
trasformazione radicale del pubblico, che è divenuto, almeno in parte,
un network attivo di produttori, diffusori e mediatori d’informazioni,
seppur discostandosi dalle regole classiche del newsmaking.
5
I risvolti di tale fenomeno paiono ancor più interessanti se considerati
in relazione a contesti autoritari ed illiberali, caratterizzati per
definizione da scarsa quantità d’informazioni e da una ancor minore
qualità delle stesse. In tal senso, il recente fenomeno della “primavera
araba” che ha investito, oltre alla Tunisia, altri due Paesi del Maghreb,
Libia ed Egitto, e la cui portata potrebbe aver influenzato
positivamente anche alcune realtà medio-orientali (Siria su tutte),
fornisce un importante spunto di ricerca e riflessione su questo tipo di
dinamiche. In particolar modo, i processi di rivolta scaturiti in Egitto e
Tunisia hanno visto gli utenti della rete, specie di social networks ma
non solo, essere particolarmente attivi nell’organizzazione e nello
sviluppo delle proteste di piazza. Nella fattispecie, riguardo al caso
tunisino, alla cui analisi è mirato questo lavoro di ricerca, pubblicistica
e giornalisti si sono spinti sovente a parlare di “rivoluzione guidata dai
media”, con particolare enfasi posta sul ruolo giocato dai new media
nell’economia della rivolta. Il nodo tematico dal quale muove i suoi
passi questa ricerca è dunque il seguente: qual è stato il ruolo dei new
media per gli esiti della rivolta tunisina che hanno portato alla cacciata
del Presidente Ben Alì? Sì può effettivamente parlare, a ragione, di
una rivoluzione guidata da Facebook o da Twitter? Poiché l’avvento
dei social networks ha riscontrato un notevole successo nella realtà
tunisina, specie tra i più giovani, generando un importante processo di
discussione all’interno dell’opinione pubblica, è quanto mai
necessario prendere in analisi l’impatto di queste piattaforme sociali.
Il web 2.0, nel mondo arabo così come nel contesto tunisino, ha
significativamente espanso la sfera pubblica. Negli ultimi anni sono
fioriti una moltitudine di blog, siti web, forum in cui utenti discutono,
6
si confrontano, si scambiano e ottengono informazioni in arabo,
francese o inglese, occupandosi di politica e questioni sociali inerenti
alla loro regione.
È opportuno inoltre interrogarsi sulla possibilità che vi siano stati altri
attori mediali che abbiano rivestito un ruolo di rilievo nelle dinamiche
della rivolta. Al riguardo, la produzione scientifica riguardante Al-
Jazeera e le profonde trasformazioni che il suo avvento ha generato
nel sistema giornalistico-informativo panarabo è vasta e dettagliata ma,
ciò nonostante, risulta doveroso indagare quali tipi di rapporti si siano
instaurati tra la potente emittente qatariana e le comunità informative
tunisine presenti online; senza, tuttavia, tralasciare l’eventuale ruolo
dei numerosi competitors che, sul modello Al-Jazeera, hanno visto la
luce durante l’ultimo decennio nel tentativo di arginarne l’influenza
politica e mediatica nella Regione. Vi è poi un secondo attore,
affermatosi recentemente e in maniera prepotente nell’agenda dei
media internazionali: WikiLeaks. L’organizzazione di Julian Assange
ha svelato, nel corso di diverse pubblicazioni in rete, migliaia di
documenti riservati inerenti alle diplomazie di tutto il mondo e i loro
rapporti reciproci, svelando i retroscena di un ambiente solitamente
caratterizzato dal più assoluto e necessario riserbo. Le rivelazioni
hanno riguardato anche la Tunisia benalista ed hanno svelato vicende
di malaffare riguardanti la famiglia del Presidente. L’impatto di
WikiLeaks sull’opinione pubblica tunisina e le eventuali conseguenze
sono quindi meritevoli di un’analisi attenta volta a definire
l’importanza e la portata del fenomeno in questo specifico quadro
socio-politico.
7
Le molteplici dinamiche delle relazioni che da una parte vedono
protagonisti i mediatori-diffusori di notizie che agiscono nella vasta
galassia di internet, spesso utilizzando piattaforme social, e i loro
rapporti con i media transnazionali, satellitari e non, e da un’altra
prospettiva il vasto bacino di semplici utenti follower che fruiscono
semplicemente delle informazioni rintracciabili in rete, può essere
preso in esame da molteplici punti di vista. Quest’analisi si colloca
pertanto nel nutrito filone delle ricerche qualitative, focalizzandosi
sulle testimonianze privilegiate di alcuni tra i più importanti
mediatori-diffusori
1
d’informazioni e media-attivisti nella sfera dei
social media tunisini. Un’analisi di questo tipo non consente di
definire in maniera capillare e definitiva l’effettivo impatto, e il
conseguente rapporto, vigente tra i partecipanti alla websfera tunisina
e i manifestanti scesi nelle Piazze, così come non è mirato a una stima
esatta dell’influenza dei new media nell’economia della rivolta. Un
approccio di tal tipo consente tuttavia di confrontare le testimonianze
e le esperienze di alcuni media-attivisti tunisini con le chiavi di lettura
della rivolta fornite da molti osservatori, accademici e non, all’interno
del dibattito internazionale, nel tentativo di inquadrare in maniera
endogena e non esogena se e quanto i new media siano stati il
protagonista della rivolta.
1
Definiti nel corso di questo elaborato come bridge leaders o broker d’informazioni
8
1. I ventiquattro anni di presidenza di Zine El-Abidine
Ben Ali: dal “golpe medico” alla fuga
1.1 Un’economia fondata sul credito: le relazioni di potere nel
sistema politico-economico benalista
“Sì è vero, anche qui nella capitale ci sono state proteste e se
continua così altre ce ne saranno. No, niente di organizzato, è che
siamo stufi, la crisi colpisce tutti, ma noi giovani ne paghiamo il
prezzo più alto. Non dia retta ai giornali, quelli sono schierati con il
governo, solo Al-Jazeera racconta come vanno veramente le cose”
2
.
La sera del 14 gennaio 2011, aprendo una qualsiasi testata
d’informazione online, era probabile imbattersi in un titolo come
questo: “Ben Ali, per 23 anni al potere con una <<dittatura
morbida>>”
3
.
Di seguito sarebbero cominciate, e proseguite ancora per tutta la
giornata seguente, una moltitudine di congetture su dove l’ormai ex-
dittatore in fuga si stesse dirigendo, con Cagliari
4
e Arabia Saudita
come mete più probabili.
Quel giorno si erano definitivamente conclusi ventitré anni di
presidenza Ben Ali. Il presidente tunisino era stato infine costretto alla
2
A. Flores d’Arcais, “La repressione non ferma la rivolta. I giovani laureati sfidano il regime” in
“La Repubblica”, 31 dicembre 2010
3
“Ben Ali, per 23 anni al potere con una <<dittatura morbida>>” in “La Repubblica”, 14
gennaio 2011
4
A. Flores d’Arcais, “La repressione non ferma la rivolta. I giovani laureati sfidano il regime” in
“La Repubblica”, 31 dicembre 2010
9
fuga al termine di una rivolta che ha avuto come protagonista il
popolo tunisino. Una rivolta capace, nei mesi successivi, di ispirare
altre sommosse popolari (principalmente in Egitto e in Siria) e di dare
il là a quella che viene comunemente definita come “primavera araba”.
La definizione della presidenza Ben Alì come una “dittatura morbida”
è quanto mai calzante e nel corso del capitolo né delineerò brevemente
il perché. Fu nel 1987 che Zine El-Abidine Ben Alì salì al potere in
Tunisia. Il suo fu definito un “golpe medico”
5
. Questa curiosa
definizione si deve alle particolarità inerenti alla sua presa del potere.
Sino ad allora la Tunisia era stata governata per trent’anni, dal 1957 al
1987, da Habib Bourghiba, storico leader dell’indipendenza tunisina,
personalità di spicco del Destour
6
; il quale “traghettò” la Tunisia
attraverso il processo d’indipendenza dal potere coloniale francese.
Nel corso della sua longeva carriera politica Bourghiba fu capace di
dare alla Tunisia un assetto politico moderno, fondato su valori
costituzionali piuttosto che su precetti della religione islamica, scelta
di forte innovazione all’interno del panorama arabo (Camau & Geisser,
2003:74-5).
L’islam rimase la religione di Stato ma il potere religioso fu
notevolmente ridimensionato, specie nell’ambito della giustizia e della
magistratura. Il Presidente Bourghiba, in controcorrente rispetto ad
altri leader arabi che stavano affrontando il processo di
5
La destituzione del “padre della patria” Habib Bourghiba da parte di Ben Alì avvenne per
sopraggiunti limiti di età del primo, che lo resero inabile a governare. Fu quindi un passaggio di
consegne privo di spargimenti di sangue e fu definito “golpe medico”.
6
Il Destour fu fondato nel 1920 e viene anche definito “Partito liberale costituzionale”. I principali
obiettivi di questa formazione politica erano la costituzione di una Tunisia democratica e libera dal
controllo coloniale francese.
10
decolonizzazione, diede la precedenza a settori quali la salute e
l’educazione
7
, riformandoli profondamente, tralasciando invece i
finanziamenti per gli armamenti bellici (Perkins, 2004).
Tuttavia, i principi di liberalismo e laicizzazione di cui si era fatto
portatore Bourghiba non espletarono completamente la loro influenza.
La crescente spinta dell’islamismo radicale in Algeria e una crisi
economica attanagliante furono determinanti in questo senso. Fu negli
anni della lotta al crescente islamismo radicale di provenienza algerina
che salì alla ribalta la figura del generale Zine El-Abidine Ben Alì
8
. A
inasprire una situazione socio-economica già grave vi fu inoltre lo
stato di salute precario di Bourghiba, ormai ottuagenario.
A cavallo tra il 6 e il 7 novembre 1987, il Presidente Bourghiba, “il
padre della Patria” dell’indipendenza tunisina, fu destituito con quello
che passò alla storia come il “golpe medico” (Perkins, 2004). A
orchestrarlo il Generale Ben Alì ben coadiuvato, come si è appurato in
tempi più recenti, dal SISMI
9
e con il placet di due importanti figure
politiche italiane come gli allora Presidente del Consiglio Bettino
Craxi e il Ministro degli Esteri Giulio Andreotti. Ben Alì convinse i
medici di un provato Bourghiba a dichiararlo ormai inabile e incapace
di adempiere i suoi oneri e doveri presidenziali (Perkins, 2004). Il
7
Riforma dell’Università islamica della Zitouna e unificazione dell’insegnamento (Camau &
Geisser, 2003:75)
8
Dopo studi in diverse accademie militari, tra le quali la Special Inter-Service School di Saint-Cyr
e la Senior Intelligence School negli Stati Uniti fondò, agli inizi degli anni ’60, il Dipartimento
della Sicurezza militare, che diresse per dieci anni. Nei primi anni ottanta fu ambasciatore a
Varsavia e, in seguito, Ministro degli Interni ad interim, sino al 1987, anno in cui divenne
Presidente della Tunisia (Camau & Geisser, 2003:203)
9
V. Nigro, “Tunisia, il golpe italiano. <<Sì, scegliemmo Ben Alì>>” in “La Repubblica”, 11
ottobre 1999
11
“golpe medico” si svolse senza spargimenti di sangue e senza
particolari tensioni, assomigliando maggiormente a una “transizione
di poteri” avente sullo sfondo la carta costituzionale (lo prevedeva
l’art. 57 della Costituzione tunisina) piuttosto che a un golpe
autoritario.
Questo “colpo di Stato morbido” spianò la strada alla già citata
“dittatura morbida” che contraddistinse i ventitré anni di governo del
clan Ben Alì – Trabelsi.
10
La Tunisia, un Paese che nell’arco di mezzo
secolo d’indipendenza ha conosciuto appena due presidenti della
Repubblica, nonostante la promulgazione di leggi “liberali”
concernenti i media, le associazioni
11
, i partiti politici e la creazione di
istituzioni “indipendenti” nella previsione di garantire l’esercizio dei
diritti civili e politici, rimane un Paese che scivola sempre più
nell’autoritarismo (Chouikha, 2006:29). È bene tuttavia operare una
distinzione tra l’autoritarismo di Bourghiba e quello benalista. Quello
di Ben Alì è stato un autoritarismo molto più centralizzato e molto
meno personalizzato. Mentre Bourghiba costruì uno stato
corporativista di facciata, con dietro un’alta personalizzazione del
potere, Ben Alì ha costruito una facciata liberale e democratica con
alle spalle una centralizzata e isolata tecnocrazia (Alexander, 2010:7).
10
Leila Trabelsi è la seconda moglie di Ben Alì, con il quale si è unita in matrimonio il 26 marzo
1992. Viene da più parti indicata come una delle principali artefici del malaffare imperante in
Tunisia, oltre che una delle prime beneficiarie dello stesso, assieme a suo marito e alla sua
famiglia che, nelle cronache, viene spesso definita come il “clan Trabelsi”. Le dinamiche del clan
Trabelsi sono egregiamente spiegate nel libro di N. Beau & C. Graciet, 2009, “La régente de
Carthage. Main basse sur la Tunisie”, ed. La Découverte
11
Le statistiche ufficiali fanno sfoggio di quasi 9000 associazioni riconosciute in Tunisia. Tra
queste, soltanto una decina costituiscono ciò che comunemente si intende per “società civile
indipendente”; ciò significa che se qualche associazione o organizzazione professionale è tentata
di definire uno spazio autonomo dallo Stato, essa corre dei notevoli rischi (Chouikha, 2006:34).
12
È bene porre l’accento che la storia dell’ascesa, e della recente
decaduta, di Ben Alì è indissolubilmente legata con le vicende della
potente famiglia della sua seconda consorte, i Trabelsi appunto (Beau
& Graciet, 2009). Quello che i tunisini non tardarono a definire “il
clan Ben Alì – Trabelsi” ha rappresentato, per i molti anni della
presidenza Ben Alì, un vasto ed esteso reticolo d’interessi che ha
soffocato il sistema politico ed economico tunisino nel clientelismo e
nella corruzione (Camau & Geisser, 2003:198). Prendere in
considerazione le peculiarità specifiche di questo sistema economico
risulta essere una strada da percorrere necessariamente laddove si
voglia comprendere a pieno su quali basi abbia poggiato il potere di
Ben Alì e della sua famiglia. Un’attenta osservatrice del quadro
economico-politico tunisino come Béatrice Hibou si è soffermata
proprio su quest’aspetto per mettere sotto la lente d’ingrandimento
questo tipo di relazioni di potere.
La commistione d’interessi tra banche, uomini d’affari e funzionari di
Cartagine delinea un sistema ben oliato volto a rafforzare un benessere
economico che solo in tempi recenti abbiamo avuto la conferma essere
totalmente di facciata. Durante il Governo benalista, i banchieri non
potevano rifiutare un prestito ai prossimi del potere centrale, anche se
già consapevoli di un rischio molto alto d’insolvenza. Numerosi
crediti sono stati concessi per molti anni a persone palesemente
insolventi ma verso le quali era impossibile esercitare un diniego per
via delle loro relazioni con il potere (Hibou, 2005; Hibou, 2006).
L’elargizione di un credito non era basata su di un’analisi del rischio
bensì sulla conoscenza relazionale, amicale, familiare o politica, una
prassi ricorrente che palesava come “le banche prestano al nome, non