4
Introduzione
A poco più di venti anni dall’entrata in vigore del d.p.r. 22 settembre 1988, n. 488,
recante “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, non sono
ancora stati risolti i contrasti dottrinali e giurisprudenziali relativi alla sospensione del
processo con messa alla prova, particolare forma di probation disciplinata dagli artt. 28
e 29 del decreto. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di mettere in rilievo le maggiori
problematiche applicative, dovute ad una normativa alquanto lacunosa, e allo stesso
tempo di offrire possibili soluzioni interpretative.
In particolare nel Capitolo I saranno analizzati i principi posti alla base del sistema
penale minorile e sarà descritto il percorso storico che ha portato all’introduzione
dell’istituto. Per comprendere appieno la ratio e la finalità della misura non si può
prescindere dal sistema normativo nel quale l’istituto si inserisce e dai principi posti alla
base dello stesso.
Nel Capitolo II verranno individuati i presupposti cui è subordinata la messa alla prova
ed il suo ambito di applicazione. La prima operazione risulta particolarmente difficile a
causa della mancanza di indicazioni legislative sul punto.
Nel Capitolo III mi soffermerò sulle problematiche relative ai profili processuali e
sull’analisi degli effetti derivanti dall’esito della prova.
Nel Capitolo IV sarà effettuata una comparazione fra la messa alla prova e altri istituti
che costituiscono espressione di un diritto penale mite quali il perdono giudiziale,
l’irrilevanza del fatto, la sospensione condizionale e l’affidamento in prova ai servizi
sociali. Il capitolo si concluderà con l’analisi del disegno di legge C- 5019 del 2012
volto ad estendere la sospensione con messa alla prova agli imputati adulti.
Nel Capitolo V saranno analizzati i dati statistici relativi all’applicazione della misura,
utili per comprendere il successo dell’istituto e l’interpretazione della pratica al dato
normativo.
5
CAPITOLO I
VERSO UN NUOVO PROCESSO PENALE MINORILE
SOMMARIO:1.Il lungo cammino del processo penale minorile: dai primi dibattiti del '900 al
d.p.r. n. 448 del 1988 – 2.La cornice costituzionale e le sollecitazioni degli organismi
internazionali – 3.Elaborazione dell'istituto della sospensione del processo con messa alla
prova: dai precedenti a livello progettuale alla direttiva della legge delega n. 87 del 1981 –
4.La sospensione del processo con messa alla prova come forma di probation
1- Il lungo cammino del processo penale minorile: dai primi dibattiti
del '900 al d.p.r. n. 448 del 1988
Prima di occuparmi nello specifico dell'istituto della sospensione del processo con
messa alla prova del minore ritengo necessario soffermarsi sul percorso storico che ha
portato all'emanazione del d.p.r n. 448 del 1988, poiché l'attenzione verso la particolare
condizione del minore non si può considerare una peculiarità di questi ultimi anni. La
necessità di prevedere un trattamento differenziato per i minori rispetto agli adulti è
infatti da tempo registrata nel nostro ordinamento.
Il dibattito sulla così detta questione minorile iniziò fin dai primi anni del 1900 ed è da
questo periodo storico che si gettano le basi per un sistema di giustizia minorile
orientato più alla prevenzione che alla repressione, nel quale la risposta istituzionale non
deve essere punitiva quanto il più possibile rieducativa.
Dal dibattito dottrinale che ne scaturì presero corpo le prime bozze di disegni legislativi
volti a dare adeguata risposta alle peculiarità del fenomeno della criminalità minorile
1
.
L'attenzione della cultura giuridica verso la necessità di un cambiamento si deve inoltre
all'aumento della criminalità minorile in quel periodo, caratterizzata da un forte tasso di
recidiva che risultava essere sintomo dell'inefficacia preventiva di un sistema basato
essenzialmente sulla pena detentiva.
Certamente una forte spinta verso il cambiamento fu data dalla scuola del positivismo
1
Risale al 1908 la Circolare Orlando, il primo progetto volto alla creazione di un organo specializzato, il
cui testo può essere letto in Riv.pen., 1908, I, 692
6
giuridico, nell'ambito della generale critica verso un sistema basato sui dettami della
scuola classica, nel quale la qualità e quantità della pena andava rapportata alla gravità
del reato e non alla pericolosità dell'autore, mentre con il positivismo l'attenzione si
sposta verso l'autore del reato stesso
2
.
Risultò pertanto inevitabile che proprio riguardo ai minori vi fossero le critiche più
accese contro un sistema che non differenziava sul piano qualitativo il trattamento
sanzionatorio dell'adulto da quello del minore. Non si teneva conto delle peculiarità del
minorenne, da considerarsi come un soggetto la cui personalità si caratterizzava per
essere ancora in via di sviluppo con la conseguenza che, non essendosi la stessa ancora
consolidata, si rendevano necessarie misure rieducative.
Nasceva da questa constatazione l'esigenza di individuare strumenti che non solo non
fossero stigmatizzanti ma che costituissero fonte di un drastico cambiamento dello stile
di vita del minore e tali da riportarlo verso una percorso di vita improntato alla legalità
3
.
Tali esigenze si basavano su una presunzione di correggibilità del minore, contro una
presunzione di incorreggibilità dell'adulto, dovuta al fatto che ci si trova d'innanzi a
personalità ancora non strutturate e dalla constatazione che, data la giovane età, non può
essersi consolidata una personalità criminogena ispirata all'illegalità.
Aperture ad un trattamento differenziato dei minori, nonostante lo spiccato rigorismo
sanzionatorio che lo caratterizzava, si rinvengono nel codice Rocco del 1930 dove
l’art.98 comma 1 c.p. stabilisce che per il minore imputabile la pena è diminuita;
particolarmente significativa risultava l'introduzione dell'istituto del perdono giudiziale,
il quale comporta l'astensione del giudice dal disporre il rinvio a giudizio o dal
pronunciare sentenza di condanna, nonché un'estensione dell'ambito di applicazione
della sospensione condizionale della pena con la previsione di termini più elevati,
rispetto a quanto previsto per gli adulti, entro i quali il minore può beneficiarne,
prevedendo la sospensione della pena detentiva non superiore ai due anni.
Un importante passo in avanti verso un sistema penale minorile differenziato dal diritto
penale ordinario si ebbe con il r.d.l. n.1404 del 1934, intitolato “Istituzione e
funzionamento del Tribunale per i minorenni”, con il quale venne finalmente creata una
giurisdizione specializzata alla quale è stata attribuita una competenza esclusiva a
2
Sulle caratteristiche della scuola positiva si veda D. Pulitanò, Diritto penale, Giappichelli Editore,
Torino, 2009, 79
3
Sul ruolo del positivismo verso la strada di un cambiamento del modo di contrastare la criminalità
minorile e sulla necessità di agire con strumenti preventivi improntati sull'idea della rieducazione si veda
S. Larizza, Il diritto penale dei minori, CEDAM, 2005, 13 ss.
7
conoscere dei reati commessi da minorenni, con forte ritardo rispetto ad altri Paesi
europei ed extraeuropei
4
.
La particolarità di tale organo si nota prima di tutto dalla sua composizione dalla quale
risulta come il legislatore abbia voluto che nel processo trovassero spazio competenze
idonee a guardare al reato anche sotto una luce diversa da quella giuridica, ciò si ricava
dalla formulazione originaria dell'art. 2 del r.d.l. n.1404 del 1934, il quale in origine
prevedeva che il collegio giudicante fosse composto da due magistrati ed un cittadino
“benemerito dell'assistenza sociale, scelto tra i cultori di biologia, di psichiatria, di
antropologia criminale, di pedagogia”
5
. La particolare composizione risultava essere
funzionale alla realizzazione dell'istanza specialpreventiva cui tendeva anche la
disposizione contenuta nell'art. 11, il quale così disponeva: “nei procedimenti a carico
di imputati minorenni, speciali ricerche devono essere rivolte ad accertare i precedenti
personali e familiari dell'imputato, sotto l'aspetto fisico, psichico, morale e
ambientale”, consentendo in tal modo di effettuare ricerche volte a ricostruire la
personalità del minore”
6
. Si tratta di disposizioni che ebbero come effetto principale lo
spostamento dell'oggetto dell'attenzione dell'organo giudicante dal fatto di reato verso la
persona che lo ha commesso, ovvero l'imputato minorenne.
Va aggiunto che con tale provvedimento il legislatore non si è limitato ad istituire il
Tribunale per i minorenni, ma ha provveduto ad ampliare l'ambito di applicazione sia
del perdono giudiziale, prevedendone l'applicazione in caso di pena detentiva non
superiore ai due anni, sia della sospensione condizionale della pena concedibile ai
minori, con la riforma del 1974 potrà essere applicata in caso di condanna che non
superi i tre anni di pena detentiva.
Pur non potendosi negare l'importanza di tali istituti non può non essere rilevato come il
Codice Rocco nulla abbia disposto sul piano sanzionatorio e che, anche con il
successivo r.d.l. del 1934, nulla cambia in tal senso poiché il sistema sanzionatorio
rimane identico a quello previsto per gli adulti.
Bisognerà attendere gli anni settanta perché si cominci ad affermare la necessità di una
riforma del processo penale minorile, anche se i primi progetti non si concretizzarono in
4
L'istituzione dei primi Tribunali per i minorenni risale al 1899, anno nel quale, nella Stato dell'Illinois,
nacque la prima Juvenil Court: giudice specializzato chiamato all'amministrazione della giustizia
minorile. Questa innovazione fu ben presto seguita da Stati europei e nel 1905 venne istituita in
Inghilterra, nella città di Birmingham, la prima Juvenil Court del vecchio continente.
5
Oggi il collegio giudicante è composto da due cittadini, un uomo e una donna, come previsto dall’art. 4
della l. n. 1441 del 1956, che ha sostituito la disposizione in esame
6
Tale disposizione è stata sostituita con l'art. 9 del d.p.r. 448 del 1988
8
provvedimenti legislativi.
La tanto attesa riforma si avrà solo alla fine degli anni ottanta, nell'ambito della generale
delega per la riforma del processo penale contenuta nella legge delega n. 81 del 1987 in
attuazione della direttiva contenuta nell'art.3, interamente riservato alla materia
minorile, con l'emanazione del d.p.r. n. 448 del 1988 intitolato “Approvazione delle
disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, con il quale è stato
introdotto quello che viene definito il codice del processo penale minorile, contenente
disposizione avente carattere speciale rispetto a quelle contenute nel c.p.p. in quanto,
tenendo conto delle particolari esigenze del minore, cercano di ridurre il più possibile
gli effetti stigmatizzanti del processo e far diventare anche quest'ultimo uno strumento
di crescita rispondente alle finalità rieducative della giustizia minorile. Ciò si evince
dalla disposizione contenuta nell'art.1 comma 1 dal quale risulta come: “nel
procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e,
per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni
sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del
minorenne ”.
Attraverso questo intervento normativo son stati introdotti nel nostro ordinamento
istituti, come l'irrilevanza del fatto e la sospensione del processo con messa alla prova, i
quali, insieme al perdono giudiziale, sono diretti ad evitare la condanna e di
conseguenza l'esecuzione della pena detentiva, evidenziando la profonda sfiducia del
legislatore verso le strutture carcerarie come strumento di rieducazione.
2- La cornice costituzionale e le sollecitazioni degli organismi
internazionali
La necessità che lo Stato, nella persona del legislatore, prevedesse istituti che tenessero
conto della peculiare situazione del minore trovò nella Costituzione, nelle convenzioni e
negli atti internazionali il suo fondamentale rafforzamento.
Riguardo ai principi costituzionali, la necessità di riservare ai minorenni un trattamento
differente da quello previsto per gli adulti risponde al principio di uguaglianza
sostanziale di cui all'art. 3 della Costituzione, ai sensi del quale è necessario trattare
diversamente situazioni differenti, e ciò in quanto la personalità in fieri che caratterizza
il minore lo differenza nettamente dall'adulto.
9
Un esplicito impegno all'elaborazione di istituti necessari alla protezione dei minori
risulta anche dalla disposizione contenuta nell'art. 31 comma 2 Cost., il quale,
prevedendo il principio della tutela della gioventù, si riflette, rafforzandolo per quanto
riguarda i minori, su un altro principio avente rilevanza costituzionale e precisamente
sul principio della finalità rieducativa della pena previsto dall'art. 27 comma 3 Cost.
7
.
Ciò si evince anche dall'affermazione contenuta in una pronuncia della Corte
Costituzionale, risalente al 1964, dove la stessa afferma che: “ La giustizia minorile ha
una particolare struttura in quanto è diretta in modo specifico alla ricerca delle forme
più adatte per la rieducazione dei minorenni”
8
.
Riguardo alle convenzioni ed atti internazionali che impegnano lo Stato italiano nel
senso di una particolare protezione dei minorenni è necessario richiamare le Regole di
Pechino, la Raccomandazione n. 20 del 1987 del Consiglio d'Europa e la Convenzione
di New York:
- le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, approvate dalle
Nazioni Unite il 29 novembre 1985, meglio conosciute come Regole di Pechino: ad esse
viene attribuito un ruolo fondamentale nello sviluppo di una giustizia minorile
diversificata ed il loro spirito risulta individuabile in due diverse disposizioni: all'art
11.1 affermano: “dovrebbe essere considerata ove possibile di trattare i casi dei giovani
che delinquono senza ricorrere al processo formale da parte dell'autorità competente”;
principio generale viene enunciato dall'art. 18.1: “ L'autorità può concludere il giudizio
mediante forme molto diversificate, consentendo una grande flessibilità allo scopo di
evitare per quanto possibile il collocamento in istituzione”;
- Raccomandazione n. 20 del 1987 del Consiglio d'Europa: con essa il Consiglio si è
occupato della delinquenza minorile e ha disposto che fin dove possibile il sistema
penale debba lasciar spazio ad istituti riconducibili a forme di diversion e di mediation,
oppure, se non è possibile rinunciare a ricorrere al sistema penale, debbano essere
individuate strategie sanzionatorie che offrano alternative valide, praticabili e
rieducative alla pena detentiva;
- Convenzione di New York del 20 novembre del 1989 sui diritti del fanciullo: essa
segna una svolta radicale, non solo sul piano penale, ma su tutto il sistema minorile, in
quanto stabilisce che in tutti i casi in cui si ha a che fare con minorenni preminente
7
Sui principi costituzionali e gli atti internazionali che impegnano lo Stato all'individuazione di istituti
allo scopo di proteggere la gioventù si veda L. Concas, Reati minorili e condizioni ostative della pena
detentiva, in Riv. Giuridica Sarda, Giuffrè Editore, 1998, vol. 2, 500
8
C. Cost., 23 marzo 1964, n. 25, in Giur. Cost., 1964
10
importanza va attribuita all'interesse del fanciullo fino ad affermare nell'art. 37 lett. a)
che: “ Nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, disumani
o degradanti. Né la pena capitale, né l'imprigionamento a vita senza possibilità di
liberazione devono essere inflitti per reati commessi da persone di età inferiore a
diciotto anni” per poi continuare nella lett. b) disponendo che: “L'arresto, la detenzione
o l'imprigionamento devono costituire un provvedimento di extrema ratio e avere la
durata più breve possibile”
9
.
Tali interventi dimostrano come il problema della criminalità minorile abbia sollecitato
la riflessione di legislatori e di organizzazioni internazionali spinti ad individuare
risposte differenti a tale forma di criminalità vista l'inadeguatezza della pena detentiva.
A queste esigenze fondate sulla Costituzione e sulla normativa sovranazionale si è
tentato di dare risposta con il d.p.r. 448 del 1988 attraverso l'introduzione di un vero e
proprio sistema penale riservato ai minori.
3- Elaborazione dell'istituto della sospensione del processo con messa
alla prova: dai precedenti a livello progettuale alla direttiva della legge
delega n. 87 del 1981
La possibilità di introdurre un istituto che comportasse la sospensione del processo per
permettere al giudice di valutare la personalità del minore era già sentita da tempo e i
primi progetti di per un intervento in tal senso del legislatore risalgono al 1976 con il
d.d.l. recante la delega legislativa per l'emanazione di una nuova legge in materia di
intervento penale minorile dove al punto 10 dell'art. 2 si prevedeva che “ la sospensione
del procedimento con ordinanza collegiale, previo esperimento, ove necessario, degli
atti istruttori urgenti, per reati che potrebbero comportare la concessione del perdono
giudiziale, quando il reato o i reati potrebbero ricondursi ad un ciclo temporale di
disadattamento sociale e si ravvisa l'opportunità di protezione e di sostegno del
minore”
10
e si precisava che l'adozione di questo provvedimento era ammessa nei casi
in cui il reato addebitato al minore non fosse stato di particolare gravità.
L'istituto della messa alla prova dell'imputato minorenne venne contemplato
9
Per le disposizioni delle convenzioni e degli atti si veda S. Larizza, Il diritto penale dei minori, cit., 105
ss.
10
Questo passo è r iportato da G. Conso – V . Grevi – G. Neppi Modona, Il nuovo codice di procedura
penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati , vol. VII, Il processo penale a carico di imputati
minorenni, a cura di G. La Greca e A. Montaldi, Padova, 1990, 39
11
nuovamente nel 1986 con l'art. 75 comma 2 del d.d.l. intitolato “Riforma della giustizia
minorile”, il quale prevedeva la possibilità di sospendere il processo per non più di un
anno quando il giudice, una volta accertata la commissione dei fatti indicati
nell'imputazione, ritenesse di dover valutare più accuratamente la maturità dell'imputato
o la capacità di superare le difficoltà di socializzazione. Si deve ritenere che i
riformatori volessero giovarsi di tale meccanismo processuale per conseguire l'effetto di
una diversificazione della risposta sanzionatoria
11
.
Tuttavia la piena legittimazione all'introduzione dell'istituto si ebbe soltanto l'anno
successivo con la direttiva contenuta nell'art. 3 lett. e) della legge delega n. 81 del 1987,
la quale espressamente prevedeva il “dovere del giudice di valutare compiutamente la
personalità del minore sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini
dell'apprezzamento di risultati degli interventi di sostegno disposti; facoltà del giudice
di sospendere il processo per un tempo determinato, nei casi suddetti; sospensione in
tal caso del corso della prescrizione”.
Con tale disposizione il legislatore delegante ha avuto il merito di aprire le porte alla
traduzione in legge di una prassi sviluppatasi nei Tribunali minorili di Cagliari e Catania
agli inizi degli anni ottanta, i quali, alla ricerca di strumenti volti ad aggirare la rigidità
del sistema, disponevano che l'imputato, per il quale assumeva rilievo continuare ad
osservare la personalità, venisse affidato ai servizi sociali per l'amministrazione della
giustizia minorile. Tale istituto era conosciuto come una forma di “proseguo
dell'osservanza in esterno”, la quale, corredata da un progetto, aveva la finalità di
acquisire elementi riguardo alla possibilità di concedere il beneficio del perdono
giudiziale o della sospensione condizionale della pena
12
.
A tale direttiva è stata data attuazione, da parte del legislatore delegato, con le
disposizioni contenute negli art. 28 e 29 del d.p.r. n. 448 del 1988, i quali prevedono “la
possibilità per il giudice di sospendere il processo quando ritiene di dover valutare la
personalità del minorenne all'esito della prova ”, al termine della quale, se ritiene che la
stessa abbia avuto esito positivo, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato.
Da un'attenta analisi dei dati statistici si può evincere come l'istituto, dal momento della
sua elaborazione, abbia avuto un'applicazione sempre crescente da parte dei Tribunali
per minorenni di tutto il territorio nazionale e ciò non può che costituire manifestazione
11
Riguardo ai precedenti a livello progettuale S. Larizza, Il diritto penale dei minori, cit., 247 s.
12
Tra il 1983 e il 1988 nel Tribunale per i minorenni di Cagliari si contano 84 casi di proseguo
dell'osservanza in esterno
12
della positività di tale innovazione, la quale realizza quelle che sono le finalità della
giustizia minorile: ha come obbiettivo la rieducazione del minore, che non viene
abbandonato a se stesso ma accompagnato in un percorso di crescita improntato alla
legalità, e costituisce uno strumento volto ad evitare la condanna a pena detentiva .
4- La sospensione del processo con messa alla prova come forma di
probation
L'istituto della sospensione del processo con messa alla prova che mi accingo ad
esaminare nei suoi aspetti teorici come nelle sue applicazioni viene considerata dalla
prevalente dottrina una particolare forma di probation
13
.
Prima di effettuare qualsiasi considerazione è opportuno indicare cosa si intende per
probation; si tratta di una particolare tecnica di risposta al reato alternativa alla
detenzione, nata nell'esperienza del diritto anglosassone, nella quale in generale
rientrano quegli istituti con i quali lo Stato rinuncia alla sua pretesa punitiva in cambio
della dimostrazione, da parte del reo, di aver compreso il disvalore del fatto di reato da
lui posto in essere e di non voler tornare a delinquere in futuro
14
.
Nella ricostruzione della genesi del probation in altri ordinamenti si è fatto riferimento
alla sua introduzione nel sistema penale statunitense dove l'istituto è presente sin dalla
metà del 1800; è infatti nel 1876 che nel Massachussets fu emanata una legge che per la
prima volta prevedeva tale istituto. A partire da questa data la misura è stata introdotta
anche negli altri States
15
e recepita dagli ordinamenti degli altri Paesi
16
.
Per quanto concerne nello specifico il diritto minorile, il modello cui si ritiene si sia
ispirato il legislatore nell’elaborazione della disciplina della messa alla prova è
individuato nel juvanile probation statunitense. Questo istituto prevede
l’allontanamento del giovane delinquente dal sistema penale formale mettendolo alla
13
Su tutti C. Losana ,Commento agli art. 28 e 29 del d.p.r. 22. 9. 1988, n,448, in Commento al codice di
procedura penale. Leggi collegate, vol. I, Il processo penale minorile, a cura di M. Chiavario, Utet,
1994, 289
14
A. Pulvirenti, in A. Pennisi, La giustizia penale minorile: formazione,devianza,diritto e processo,
Giuffrè, 2004, 329
15
Si dice che la prima applicazione risalga all'iniziativa di un calzolaio, un certo John Angustus, il quale
nel 1841 a Boston vedendo un soggetto attendere il processo in un'aula d'udienza, lo sentì affermare
che se avesse trovato una persona amica avrebbe avuto la forza di comportarsi correttamente e con
dignità. Credendo nella sua sincerità Angustus si offrì di occuparsi di lui ed ottenne dal giudice che
l'uomo non fosse condannato al carcere. L'esperimento andò bene e da allora lo stesso calzolaio seguì
altre duemila persone e successivamente l'esperienza fu poi consacrata in legge nel 1876
16
F. Palomba, Il sistema del processo penale minorile, Giuffrè Editore, 2002, 395
13
prova per un determinato periodo, nel quale dovrà comportarsi in maniera socialmente
accettabile. Durante l’esecuzione della prova il minore viene affiancato dalla figura del
probation officer, il quale svolge funzioni di sostegno, aiuto, ma anche di controllo e di
verifica degli obiettivi imposti.
Questa forma di probation si presenta come una forma alternativa alla detenzione e
viene disposta dal giudice una volta accertata la responsabilità del minore con una
pronuncia di condanna
17
.
Sempre nell'ordinamento statunitense si è diffusa una variante di juvanile probation,
definita informale, la così detta informal probation, che ha la particolarità di essere
applicata senza che il giudice abbia deliberato sulla colpevolezza ponendo l'interessato
sotto sorveglianza. Mancando una pronuncia che accerti la responsabilità dell'imputato
questa forma di probation risulta essere particolarmente similare alla sospensione del
processo con messa alla prova prevista nel nostro ordinamento
18
.
Tornando al nostro ordinamento, deve essere considerato che lo stesso conosce altri
istituti che sostituiscono forme di probation, quali l’affidamento in prova al servizio
sociale e la sospensione condizionale della pena. L’applicazione di questi istituti
determina la sospensione dell’esecuzione della pena per un determinato periodo nel
quale il condannato è chiamato, per quanto riguarda l’affidamento in prova, ad
adempiere ad una serie di prescrizioni sotto il controllo e con il sostegno dei servizi
sociali, o a non compiere delitti o contravvenzioni della stessa indoli, nel coso si
sospensione condizionale.
Tuttavia detti strumenti trovano applicazione in seguito ad una sentenza di condanna
divenuta irrevocabile e pertanto, applicandosi nella fase esecutiva della pena, incidono
sulla quantità e qualità della stessa. La messa alla prova invece è una misura dalla cui
applicazione deriva la sospensione del processo, non dell’esecuzione della pena; per
questo motivo la dottrina distingue fra forme di probation penitenziario e forme di
17
Nel processo minorile statunitense il momento della condanna risulta scisso da quello dell'irrogazione
della sanzione, nel lasso di tempo intercorrente fra le due udienze il probativo officer deve investigare
sulla vita del minore e sulle caratteristiche del reato presentando al giudice un Pre Disposition Report
(PDR) il cui scopo è quello di fornire al giudice gli elementi in base ai quali stabilire se concedere o
meno il probation ed in quale forma. Sulle caratteristiche del juvenile probation si veda A. Taruffo, La
ricezione del modello di juvanile probation statunitense nell'ordinamento italiano, in Minori
Giustizia, 2005, n. 4, 106
18
L'informal processing: se il minore ed i genitori sono d'accordo, il reo è posto sotto la supervisione del
probation officer per un periodo di circa tre mesi; se tale forma di probation ha successo il
procedimento non prosegue mentre, in caso contrario, l'iter processuale riprenderà il suo corso. Si
veda A. Taruffo, La ricezione del modello di juvanile probation statunitense nell'ordinamento
italiano, cit., 107