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1
Capitolo I - I partiti politici
1. Definizioni e natura – 2. I partiti politici nello Stato liberale – 3.1 Le disuguaglianze
economiche e sociali alla base del partito (ideologico) di massa – 3.2 Il peso della
burocratizzazione del partito di massa – 3.3 Il superamento dell’ideologia nel cd. partito
pigliatutto – 3.4 Il partito nell’era della comunicazione – 4.1 Party Government – 4.2 Il
potere di nomina ed il potere d’indirizzo dei partiti – 4.3 Democrazie postparlamentari? –
5.1 L’influenza dei sistemi elettorali sui partiti e sulla loro organizzazione interna – 5.2
Influenza sui partiti – 5.3 Influenza sull’organizzazione interna dei partiti – 6.Partiti, gruppi
e movimenti.
1. Il ruolo e l’azione dei partiti politici sono oggetto di studio sia dal punto di vista
politologico che dal punto di vista giuridico. Infatti l’approccio esclusivamente giuridico non
soddisferebbe la necessità di spiegare il fenomeno partitico nelle sue relazioni con la società e
con le istituzioni pubbliche, in quest’ultima prospettiva sia nel momento del “contatto” partito-
istituzioni “dall’esterno”, sia nel momento dell’azione politica concretamente posta in essere
(naturalmente influenzata dal partito politico o coalizione di partiti che ha con successo
gareggiato per l’aspirazione ad occupare cariche pubbliche, e quindi “dall’interno”). Un
approccio solo politologico non consentirebbe di inquadrare correttamente diritti e limiti del
partito ed il funzionamento delle istituzioni pubbliche, non dimenticando di considerare che in
ogni caso il partito politico concorre a cariche pubbliche nell’ambito di regole (“giuridiche”)
prestabilite, così come è “giuridica” la valutazione di discipline e procedure dell’azione
partitica all’interno delle istituzioni.
Guardando ai sistemi partitici all’interno di un ordinamento è possibile leggere la
complessità della società e le divisioni interne di qualunque natura esse siano. E’ possibile
anche leggervi particolari caratteristiche morfologiche, i postumi di più o meno traumatiche
vicende storico-politiche od economiche. Così come da una Legge fondamentale è possibile
1
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2
estrarre l’identità, il modo d’essere (cioè i valori
1
) di un ordinamento e/o di un popolo . Da
queste valutazioni potrebbe sostenersi che dal sistema partitico è possibile leggere la storia.
Troppo spesso si vuole la “scomparsa” dei partiti per l’insoddisfazione verso gli
stessi, confondendosi peraltro “sfiducia nei partiti” e “sfiducia nella politica”, e affermando
addirittura la “morte della politica”, al tempo stesso confondendosi queste sfiducie con quella
nei confronti dell’uomo politico o degli uomini politici che quel partito hanno guidato, o che
quell’istituzione hanno gestito. Ad aggravare la confusione, una totale perdita della “bussola
politica” per repentini cambi di schieramento o di programmi, il venire alla luce di fenomeni
elettorali dell’antipolitica e dell’antipartitismo (sulla scia “scandalistica”) che a loro volta
paradossalmente partecipano allo stesso gioco elettorale e nelle peggiori delle ipotesi occupano
(democraticamente) le istituzioni governative infangando però gli altri apparati statuali per meri
tornaconti elettorali, e continuando ad affermare per parvenza di coerenza una natura
“extrapolitica” malgrado decenni di gestione dei posti di comando.
Ma la disaffezione popolare verso la politica e i partiti è un fatto pericoloso. E’ una
sconfitta della visione della sfera politica così come delineata dai Costituenti. Le cause sono
ben note: le condotte oligarchiche di frange di politici all’interno delle formazioni partitiche e
all’interno delle istituzioni del legislativo e dell’esecutivo, gli scandali politici che non di rado
vengono alla cronaca, il peggioramento della situazione socio-economica, l’abuso della libertà
concessa ai partiti dai Costituenti. Solo per citarne alcune. Vicende da valutare aspramente ma
da circoscrivere alla sfera delle responsabilità politiche e penali, pertanto personali, dei
soggetti. Senza cadere nel facile pessimismo alla Mark Twain, secondo cui <<se votare facesse
qualche differenza non ce lo lascerebbero fare>>.
1
R.Orestano,
Introduzione
allo
studio
del
diritto
romano ,
Bologna,
1987,
pag.
427
definiva
i
valori
<<costitutivi
del
modo
d’essere
di
ciascuna
società
e
formazione
sociale
e
(…)
[con]
un
forte
contenuto
ideologico.
Sono
anzi
le
produzioni
più
alte
delle
ideologie>>.
V.
anche
J.Habermas,
Faktizität
und
Geltung
(1992);
trad.it.
Fatti
e
norme,
Milano,
1996,
pag.302
ss.
Ove
si
sostiene
che
<<il
valore
è
bene
finale,
fine
a
sé
stesso,
che
sta
innanzi
a
noi
come
una
meta
che
chiede
di
essere
perseguita
attraverso
attività
teleologicamente
orientate>>.
2
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3
I Partiti hanno una funzione apparentemente contraddittoria : nascono (e vivono)
allo stesso tempo per “unire” e per “dividere”: non riteneva forse Weber
2
che i partiti sono
<<…le associazioni fondate su una adesione (formalmente) libera, costituite al fine di
attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale…>> e quindi
“associazioni” di persone accomunate dall’idem sentire orientate ad influenzare il potere ?
Nello stesso tempo, è poi il confronto interpartitico nelle sedi istituzionali, il contraddittorio, la
dialettica politica il “sale della democrazia”, ovvero la riproposizione a livello statuale del
conflitto (rectius, divisione) esistente nella società che il rappresentante (partitico) interpreta
grazie al meccanismo della “delega”, idealmente esistente nel concetto di Partito di massa.
Il partito “trasporta” allora funzionalmente la divisione sociale nelle sedi di potere,
rendendo effettivo quel principio del “pluralismo partitico” inteso come condizione essenziale
della democrazia
3
(peraltro una estremizzazione della definizione di Weber potrebbe fungere da
“cornice” anche per un gruppo di congiurati o rivoluzionari, in linea con la definizione di altri
autori
4
). E preferibile, pertanto, l’aggiunta del riferimento del compito di “integrazione sociale
dei molteplici interessi”
5
cui è chiamato il Partito. Cosicché è il Parlamento che può controllare
gli effetti negativi delle divisioni.
Troppo spesso si discorre di democrazia “post-partitica”, considerando l’epoca
attuale come quella del “superamento” dei Partiti. A parte le difficoltà incontrate
nell’individuare i criteri in base ai quali con certezza sarebbe possibile sostenere “quando e
come” i Partiti siano stati superati, l’attuale tendenza “antipolitica” sembra poco attenta
all’importanza che le formazioni partitiche come “organismi intermedi” hanno storicamente
svolto. Un importante autore
6
sosteneva infatti che <<nessun grande Paese libero è nato senza
di essi. Nessuno ha mostrato come un Governo rappresentativo possa operare senza di essi.
2
M.Weber,
Economia
e
Società
vol.
I,
1922 ,
Milano,
pag.282.
3
C.Lavagna,
Considerazioni
sui
caratteri
degli
ordinamenti
democratici ,
in
Riv.trim.dir.pubbl .,1956,
pag.416
ss.
4
V.
ad
esempio
R.Barzel,
Die
Deutschen
Parteien,
Geldern,
1952,
pag.7
5
K.von
Beyme,
Parteien
in
westlichen
Demokratien ,
Munchen,
1982,
pag.
22ss.
6
J.Bryce,
Modern
Democracies ,
London,
1921,
pag.
119-‐122.
3
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4
Essi creano l’ordine dal caos di una moltitudine di elettori>> . Un noto esponente della
dottrina italiana
7
, sosteneva senza indugio che la nostra stessa Costituzione è stata <<tenuta a
battesimo>> dalla Partitocrazia.
Spesso, quindi, si confonde la delusione o la disaffezione o la necessità di
“regolamentazione” dei Partiti con l’inutilità o dannosità degli stessi. Considerazione
quest’ultima, a mio avviso, estremamente “antidemocratica” che dimentica la funzione di
gatekeeping dei Partiti, ovvero di “portieri” che filtrano l’ingresso del palazzo perché nella
società emergono dei bisogni che possono essere espressi in domande
8
.
E’ forse proprio l’antipartitismo l’aspetto <<ironico>> e <<preoccupante>> di cui
si discorre quando taluni
9
si interrogano su quella che loro chiamano la “terza ondata di
democratizzazione globale” perchè <<c’è una sostanziale e crescente disaffezione rispetto a
numerose delle specifiche istituzioni democratiche, e nessuna istituzione è considerata peggio
dei partiti>>.
La considerazione del “superamento dei Partiti” è affermazione peraltro spesso
accompagnata all’esaltazione dei cd. Gruppi sociali d’interessi, portatori di specifiche domande
politiche ma che (almeno inizialmente) non pretendono di assumere la responsabilità della
gestione del potere politico (ma la casistica è pregnante di “trasformazioni” in corso d’opera).
In realtà i Gruppi sociali d’interessi hanno sempre avuto un ruolo importante nella politica : non
solo nel caso statunitense delle lobbies (che non sempre possono considerarsi Gruppi sociali
d’interessi in senso stretto), che in quell’ordinamento addirittura formulano essi stessi la
domanda politica (accompagnata inevitabilmente dal sostegno economico) sostanzialmente
progettando essi stessi i programmi politici (o comunque incidendovi fortemente) e, perché no,
essendo determinanti nella candidatura Presidenziale (seppur attraverso il fondamentale filtro
delle cd. primarie).
7
V.Crisafulli,
I
Partiti
nella
Costituzione ,
in
Studi
per
il
XX
anniversario
dell’Assemblea
Costituente ,
II,
Firenze,
1969,
pag.
105
ss.
8
D.della
Porta,
I
partiti
politici,
Bologna,
2009,
pag.16,
che
cita
Easton.
9
L.Diamond-‐R.Gunther,
Political
Parties
and
Democracy ,
2001,
Baltimore,
pag.IX.
4
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5
Anche in Europa non manca il “peso” dei Gruppi sociali d’interessi : le Trade
Unions britanniche ad esempio hanno un ruolo fondamentale nei meccanismi d’azione e di
selezione delle candidature del Labour Party, ed anche in Italia non è mistero che i maggiori
Sindacati siano (seppur informalmente) strettamente legati a qualche Partito (o ad una cerchia
ristretta di partiti) come dimostrano le candidature di esponenti sindacali alle Elezioni nelle liste
di quelle formazioni. Questi fenomeni non sono prerogative dei partiti socialdemocratici. Non a
caso un importante esponente della dottrina nostrana
10
, evidenziandone le articolazioni interne
(e non solo) definì i partiti <<…piuttosto che [come] associazioni unitarie, [come]
associazioni di associazioni o [come] piramidi di associazioni>>, esaltando proprio le entità
sub-partitiche.
Il “peso” dei Partiti è così determinante nella Politica che molti autori parlano di
“Stato di Partiti”, perché con l’estensione del suffragio si è autenticamente affermata la
Rappresentanza parlamentare, mentre in precedenza la Rappresentanza stessa era limitata ad
elites. Non a caso si sostiene che <<la democrazia parlamentare è appunto una democrazia di
partiti>> o che <<il popolo può essere rappresentato in modo continuo solo dai partiti
attraverso la mediazione dei quali può essere formata la volontà politica popolare>>
11
.
Considerazioni non pacifiche in dottrina, ma che confermano in ogni modo la tendenziale
centralità del partito nella politica, e grazie ai partiti la vicinanza della politica stessa
all’elettore: tant’è che quest’ultimo si esprime comunque nei confronti del partito (seppur con
la tendenza di questi alla “personalizzazione della politica”), e che è pur sempre il partito a
redigere il programma elettorale e in qualche modo ad “identificare e qualificare politicamente”
il candidato, seppur nell’attuale contesto deideologizzato.
Occorre aggiungere, a scanso di equivoci, che il candidato eletto è comunque
pienamente libero dal partito stesso nell’esercizio del mandato (art. 67 Cost.) e che ha ad
esempio facoltà di iscriversi o non iscriversi al gruppo parlamentar riferibile alla lista nella
10
V.Rescigno,
Partiti
Politici,
articolazioni
interne
dei
partiti
politici,
diritto
dello
Stato ,
in
Giur.cost. ,
1964,
pag.
1045
ss.
11
C.Rossano,
voce
<< Partiti
politici >>,
in
Enc.Giur.Treccani,
Roma,
2002,
pag.2.
5
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6
quale è stato eletto, di seguire o meno le indicazioni del Partito che lo ha eletto o del Gruppo
Parlamentare a cui si è iscritto, ed in ogni caso la sanzione per inosservanza si limita tutt’al più
all’espulsione dal gruppo, non potendosi certo configurare la “revoca del mandato”.
Chi vuole superare il modello della democrazia partitica non riesce
convincentemente a contestare che i partiti sono stati gli attori centrali della mobilitazione,
aggregando masse di cittadini attorno “ad identità”. Ma da dove nascono le identità ?
Importanti autori
12
richiamano all’origine 4 situazioni, 4 fratture (cleaveges, in lingua inglese)
che storicamente hanno portato a divisioni sociali, e quindi a quelle che sono correttamente
definite “famiglie spirituali di partito”
13
: le prime due fratture originano nella fase storica della
costruzione dello stato nazionale, e sono la frattura “centro-periferia” e la frattura “stato-
Chiesa”. Altre due fratture originano invece nella fase storica della rivoluzione industriale, e
sono quella “città-campagna” e quella “capitale-lavoro ”.
Queste fratture danno vita, in riferimento alla fase-costruzione dello stato nazionale,
a tipi di partiti regionalisti, religiosi e liberali, mentre le fratture relative alla fase-rivoluzione
industriale a tipi di partiti contadini (o socialisti) e conservatori. Nelle due vicende prese in
considerazione (costruzione dello stato nazionale e rivoluzione industriale), gli oggetti di
conflitto erano da un lato “lingua” e “istruzione”, e dall’altro “barriere doganali” e “stato
sociale”.
Le fratture così come descritte non si sono limitate al momento genetico, infatti la
questione “centro-periferia” è ancora tema d’attualità in Paesi a scarsa regionalizzazione o con
forti differenze economiche tra i territori che la compongono o con territori ad aspirazione
autonomista o addirittura indipendentista.
La stessa questione “Stato-Chiesa” non va sottovalutata, se si considerano ad
esempio le critiche nel nostro Paese ai Patti Lateranensi del 1929 o le polemiche successive al
Concordato del 1982, o ancora (per altro verso) alla questione della libertà religiosa e ai
12
S.Rokkan,
Cittadini,
elezioni,
partiti ,
Bologna,
1982.
13
D.della
Porta,
I
partiti
politici,
cit .,
pag.
52.
6
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7
rapporti dello Stato con le confessioni diverse dalla cattolica. La questione “città-campagna”
invece, assume un valore più spiccatamente economico e legato alle questioni agrarie, di
primissimo rilievo soprattutto nell’epoca della scarsa industrializzazione e degli effetti
persistenti delle problematiche medievali, protrattesi anche in età avanzata. In ultimo, la
questione “imprenditori-classe operaia”, che è forse quella maggiormente presente nel secolo
scorso e in questo, senza dimenticare la cd. “Primavera dei popoli” del 1848.
I quattro tipi di fratture, in un certo senso, ancora segnano quelle che sono le visioni
del mondo contrastanti, e non a caso nella letteratura si sostiene il cd. “effetto-congelamento”,
accompagnato pure da studi empirici
14
che affermano come a partire dagli anni’20 la volatilità
elettorale ha riguardato “all’interno” sia la destra che la sinistra, ma che la percentuale di
volatilità “verso l’esterno” è stata oggetto di progressiva riduzione . Questi cleaveges hanno
dato luogo a “visioni del mondo”, o “ideologie in senso lato”, che a loro volta con le evoluzioni
politico-sociali e con la maggiore complessità che ne è derivata, hanno dato vita a insiemi di
partiti accomunati da tale visione
15
:
• A) Partiti liberali e radicali, portatori degli interessi borghesi nei confronti
dei grandi proprietari terrieri e ideologicamente legati ai fondamentali diritti
civili (ricomprendendo tra questi il diritto di proprietà
16
), capaci di assumere
posizioni anticlericali nei Paesi cattolici;
• b) Partiti conservatori, sorti in prima approssimazione per contrastare i
partiti liberali ma non legati tra i vari Paesi da una dottrina unificante
17
, oggi
tendono all’avvicinamento coi principi del liberismo economico ;
14
S.Bartolini-‐P.Mair,
Identity,
Competition
and
Electoral
Availability ,
Cambridge,
1990,
pag.101.
15
V.
per
una
rassegna
A.Ware,
Parties
and
Party
Systems ,
Oxford,
1996,
pag.21 -‐49.
16
Concetti
programmatici
ed
ideologici
però
non
certo
pacifici.
17
V.
per
esempio
il
caso
dei
Neocon,
movimento
politico
interna zionale
di
origine
statunitense
di
orientamento
liberal -‐
conservatore,
interventista,
occidentalista
e
americanista
i
cui
aderenti
sono
detti
"nuovi
conservatori" .
O
i
Teocons,
della
corrente
conservatrice
denominata
con
un
neologismo
der ivante
dall'unione
del
prefisso
"Teo"
(e
quindi
Dio,
dal
greco
antico
Theòs),
col
termine
conservatorismo.
7
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8
• c) Partiti socialisti e socialdemocratici, sorti sulla base delle movimentazioni
operaie e col tempo resisi più “centristi” rispetto ai partiti comunisti (punto
e) tanto da abbracciare, tendenzialmente, i principi keynesiani in materia
economica ;
• d) Partiti democristiani o confessionali, fortemente legati all’istituzione
ecclesiale e in particolare portatori dell’opposizione della Chiesa rispetto al
dilatarsi delle democrazie liberali. In campo economico, ha un certo peso la
cd. dottrina sociale
18
;
• e) Partiti comunisti, nati con la Rivoluzione russa del 1917, fortemente
legati alla dottrina marxista e tendenti alla collaborazione e al
coordinamento sovranazionale (si pensi all’Internazionale Socialista) ;
• f) Partiti agrari, molto meno strutturati rispetto agli altri descritti, portatori
delle istanze delle campagne nella fase della rivoluzione industriale. Sono
stati spesso soppiantati da gruppi d’interesse portatori in modo più efficace
delle medesime istanze;
• g) Partiti etnoregionalisti, sviluppatisi nella fase della costruzione dello stato
nazionale e portatori degli interessi delle minoranze (linguistiche, etniche
ecc.) rispetto alla tendenza accentratrice delle famiglie spirituali di partito
“liberale” e “conservatore” ;
• h) Partiti della destra radicale, insieme molto eterogeneo e composto da
formazioni tendenzialmente antiliberali (e spesso antidemocratiche) e
pertanto, non di rado, sostanzialmente antisistema ;
18
Ma
la
dottrina
sociale
della
Chiesa
non
deve
considerarsi
ideologia,
seppur
non
si
esclude
che
essa
possa
esprimere
valutazioni
sulle
ideologie
con
cui
l’uomo
storico
e
concreto
si
deve
misurare
e
quindi
anche,
per
esempio,
sul
liberalismo
e
sul
marxismo.
V.
A.Paganini,
La
dottrina
sociale
della
Chiesa ,
consultabile
su
http://www.istitutocalvino.it/pubbl/scientif/dsc.pdf,
che
cita
quanto
sostenuto
da
Giovanni
Paolo
II
nella
‘ Sollicitudo
rei
socialis’
41.
8
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9
• i) Partiti ecologisti, sorti solo negli anni’80 con attenzione prevalente alla
problematica dell’inquinamento.
Ad eccezione dei partiti ecologisti (punto i), tutte le altre famiglie spirituali di
partito presenti nei sistemi partitici delle moderne democrazie possono essere fatte risalire alle
quattro fratture sociali sopra descritte. Per chiarezza di esposizione, è bene precisare che a
seconda dei vari ordinamenti che possono essere comparati, emergono delle peculiarità o delle
famiglie (in realtà “subfamiglie”, a tutto concedere) che apparentemente sembrerebbero non
collocabili nelle 9 categorie appena menzionate. Spesso, tuttavia, tale assunto è solo apparente,
perché anche le formazioni partitiche che non sembrerebbero a prima vista collocate, ad
un’attenta analisi è poi possibile riferire all’una o all’altra
19
.
Fermo restando che tale classificazione non ha la pretesa di considerarsi esauriente,
perché non ricomprende ad esempio quelle che sono le diverse visioni legate alla forma di Stato
(e quindi, esemplificando, alla classica contrapposizione tra partiti repubblicani e monarchici,
anche se contrapposizione a ben vedere, “da museo”) e non ricomprende quella che può, per
personale punto di vista, essere una “frattura” dell’epoca contemporanea : quella “comunità-
apparato” o “cittadini-istituzioni” che dir si voglia, una delle cause del prepotente emergere di
gruppi e movimenti nella società civile e che fanno discorrere di democrazia postparlamentare e
perciò postpartitica.
2. Nell’età medievale uno degli aspetti caratterizzanti è il cd. “particolarismo
giuridico”, ovvero la dispersione del potere sul territorio con molteplici centri di potere regolati
con regole non scritte e senza una rigida gerarchia tra poteri legittimi, con conseguente
sovrapposizione di giurisdizioni. La lenta deframmentazione che è seguita ha dato inizio
all’affermazione dello Stato moderno, caratterizzato dall’aspirazione all’esercizio esclusivo di
determinate funzioni e dalla relativa “centralizzazione”. La strada per la democrazia era tuttavia
19
Paradigmatico
il
caso
del
‘ Fronte
dell’Uomo
Qualunq ue’.
Esso
solo
apparentemente
è
non
collocabile,
in
quanto
un
attenta
analisi
dei
politilogi
ne
ha
individuato
una
matrice
“liberale”.
Ottenne
30
seggi
alle
Elezioni
per
l’Assemblea
Costituente.
In
seguito
partecipò
solo
alle
Politiche
del
1948,
ottenendo
19
deputati
e
10
senatori.
9
Finanziamento
della
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10
ancora lunga, tant’è che in termini sostanziali solo a partire dal ‘500 si sviluppa il valore
primario dell’individuo e dei suoi diritti, tale da rivendicare una sfera di autonomia dei singoli
nei confronti dello Stato e da sottolineare la necessità di limitare il potere dei governanti.
In effetti è qui che si segna una prima svolta, seppur permanendo uno “stato
monoclasse a base borghese”, perché in termini di valore dell’individuo con la costruzione
dello Stato accentrato poco era cambiato rispetto all’ordine giuridico medievale. E’ infatti solo
con lo Stato liberale che avviene l’affermazione del principio della “separazione dei poteri” e
del “parlamentarismo”, seppur nella configurazione che oggi appare impari di Camera bassa
rispetto alla Camera alta, con quest’ultima non elettiva e di nomina regia. Non va sottovalutato
nemmeno il tendenziale ridimensionamento dei compiti dello Stato rispetto all’assolutismo
regio manifestatosi nello Stato di polizia, e la portata della rivoluzione liberale nella
considerazione del singolo emerge a tutta forza dalla Dichiarazione d’indipendenza americana
del 1776 e dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
Tornando a quello che è il tema principale di questo lavoro, nelle democrazie
parlamentari delle origini dello Stato moderno i partiti non erano veramente tali. Erano
semplicemente organizzazioni di <<notabili>>
20
che assumevano prevalentemente la forma di
comitati elettorali, la cui genesi era strettamente connessa alla protezione di singoli interessi
della base (esclusivamente) borghese. Si era ovviamente nella fase storica del “suffragio
ristretto” e quindi di una competizione elettorale fortemente elitaria, nella quale <<Il
rappresentante eletto godeva della deferenza che a quella classe politica era naturalmente
dovuta per il tradizionale e paternalistico ascendente proprio all’aristocrazia
21
>>.
Queste “entità prepartitiche” si formavano attorno a persone di spicco di una
comunità, spesso professionisti e in condizioni economiche tali da poter svolgere il ruolo senza
stipendio o tutt’al più con onorario simbolico ; l’attività partitica era essenzialmente quella
20
Definizione
di
M.Weber,
mentre
Duverger
li
definiva
‘partiti
di
quadri’
nella
sua
opera
I
partiti
politici ,
Milano,
1961
;
trad.it.
di
Les
partis
politiques ,
Parigi,
1951.
21
Così
A.Pizzorno,
Mutamenti
nelle
istituzioni
rapprese ntative
e
sviluppo
dei
partiti
politici ,
in
R.Bairoch -‐E.Hobsbawn,
La
storia
dell’Europa
contemporanea ,
Torino,
1996,
pag.
968.
10
Finanziamento
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comparati
11
elettorale, pertanto la funzione esclusiva era l’elezione del candidato. Una volta eletto, l’azione
politica del parlamentare era essenzialmente basata sull’interazione con altri eletti, con una
totale assenza di influenza del comitato/partito e pertanto della (seppur ristretta) base. I partiti
di notabili si basavano su una rappresentanza individuale, per cui l’eletto finiva per
rappresentare uno o più “gruppi” di elettori dando vita ad una sorta di “istituzionalizzazione del
clientelismo”. V’era dunque un’assoluta assenza di influenza ideologica, logica conseguenza
del suffragio ristretto e del “muro” rispetto a spinte centrifughe esogene.
Il comitato redigeva un programma assolutamente pragmatico, perché appunto i
conflitti sociali emergevano solo all’esterno dei partiti (e quasi sempre contro gli interessi dei
non aventi diritto al voto). Un principio liberale, tuttavia, è lo stesso laissez-faire di
ridimensionamento dell’interventismo statale, a sua volta indiscriminato nell’epoca
assolutistica. Un dogma che poteva divenire un alibi rispetto alle mancanze delle istituzioni, a
tutto vantaggio della classe egemone borghese che lottizzava la macchina statale.
Per comprendere la distanza delle formazioni partitiche dell’epoca rispetto alla
comunità è emblematico considerare come nella metà del XVIII secolo, rispetto ad autonomi ed
influenti movimenti d’opinione che si formavano in particolare in Inghilterra e Francia, i
comitati/partiti erano dal canto loro totalmente indifferenti a tali fenomeni di associazionismo
extraparlamentare e di forte dibattito pubblico. L’impassibilità rispetto a tali fenomeni finì per
arrestarsi col sorgere del <<movimento socialista>>
22
, perché con esso vengono in
considerazione le istanze delle classi meno abbienti, non certo appagate a livello socio-
economico e finanche politico dalla “svolta liberale” che invece aveva lanciato fortemente il
ruolo della borghesia, forza economica che da emergente diveniva egemone.
Di qui l’inevitabile “scontro di classe” che portò all’affermazione per i ceti bassi di
nuove forme di “libertà nello Stato” e di “libertà attraverso lo Stato” con l’intervento statuale
orientato in senso sociale, e con lo Stato stesso che in un certo senso si spogliava del semplice
22
D.della
Porta, I
partiti
politici,
cit .,
pag.
29.
11
Finanziamento
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comparati
12
ruolo di “arbitro” che i principi basilari liberali gli avevano attribuito, ma che al contempo
aveva portato ad uno sviluppo economico incontrollato e non socialmente funzionale delle
forze economiche preponderanti.
3.1 A partire dal XIX secolo l’integrazione della classe operaia battezza la
nascita del partito ideologico di massa, frutto dell’estensione dei diritti politici ai meno abbienti
e per questa via della rottura dello stato monoclasse, definito <<…situazione idilliaca nella
quale dominano cerchie di notabili e soprattutto parlamentari…>> alla quale si
contrappongono <<le forme moderne di organizzazione del partito…figlie della democrazia,
del diritto elettorale delle masse, della necessità di propaganda e dell’organizzazione di massa,
dello sviluppo di un estrema unità di direzione e della più rigorosa disciplina. Il potere dei
notabili e la guida dei parlamentari vengono meno. L’esercizio viene assunto da politici “a
titolo di professione principale”, fuori dei parlamenti…>>
23
. Non solo coinvolgimento delle
masse, ma totale stravolgimento del concetto stesso di partito. L’attività del partito passava
infatti da quella “strettamente elettorale” del partito di notabili all’attività “permanente” del
partito di massa, organizzato da un apparato burocratico con associazioni di massa e con
personale di partito non più dotato di risorse autonome, bensì composto da “politici di
professione” che vivono di politica proprio perché provenienti dalle classi meno abbienti.
Il mutamento è epocale : il partito di massa ha alla base la sezione, con l’ambizione
dell’accrescimento del numero e non con quella di includere personaggi locali di spicco e verso
i quali v’è deferenza. Inoltre l’adesione è più formale, le cariche non sono onorifiche ma
corrispondono a determinate esigenze dell’apparato. Un altro elemento “rivoluzionario” è
quello ideologico, perché in esso si introduce l’ideologia come “principio d’identificazione”.
L’ideologia come visione del mondo che il partito, svolgendo una funzione d’integrazione di
soggetti aventi tale “intuizione”, è chiamato ad attuare mediante la propedeutica aspirazione a
cariche elettive.
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M.Weber,Economia
e
società
vol.
II,
Milano,
1974,
pag.715.
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