Introduzione
“Il dubbio sulla plasmabilità del mondo, l'idea di una fine della crescita, il timore che la più
sofisticata tecnologia si capovolga in distruzione irreparabile mettono in discussione la razionalità
della cultura e dell'ordinamento sociale attuale”
1
.
Il dubbio che riporta Rainer Lepsius è ricorrente nel pensiero sociologico moderno e
contemporaneo. Come Marx vedeva nell'ascesa del capitalismo la sua stessa rovina, e come
per Toynbee una civiltà, se non sa rispondere alle sfide del suo tempo, muore per suicidio e
non per assassinio; così si registra una tendenza attuale a vedere nella crescente
razionalizzazione la fine di ogni razionalità, in modalità che riguarderanno l'ambito
economico, ma anche quello politico, personale e dei rapporti sociali in genere.
Ma se riprendiamo lo schema più articolato della razionalità proposto da Habermas; se
pensiamo all'importanza che Weber riconosce al terzo caso fondamentale della successione
storica, ovvero l'illuminazione carismatica della ragione; se utilizziamo l'approccio
processuale tipico della sociologia eliasiana, per cui l'unica costante è il continuo mutamento
sociale, si possono sviluppare pensieri sulla contemporaneità che riescano a guardare in altre
direzioni oltre quella dell'homo faber e del suo dominio strumentale del mondo. In quest'ottica
mi propongo di analizzare quelli che ho definito “nuovissimi movimenti di impronta
planetaria”, in particolare il movimento Zeitgeist.
Questi movimenti, in generale, si prefiggono come compito quello di mettere in luce le
tensioni tra i differenti criteri di razionalità e le diverse sfere di vita da essi dominati, trovando
linee guida alternative che equilibrino i criteri in conflitto, eliminando il più possibile
l'esternalizzazione dei costi negativi del loro operato. Ed eliminare il più possibile
l'esternalizzazione dei costi significa porsi come obiettivo quello di una pacifica e armoniosa
convivenza, a un livello tanto ampio da non contemplare più la possibilità che vi siano ambiti
e settori verso cui scaricare eventuali problemi di malfunzionamento sociale. Se così non
fosse, non potremo definire questi movimenti come fenomeni di impronta planetaria.
Zeitgeist è uno di questi, per cui analizzerò il modo in cui si propone di scardinare assetti
istituzionali e modelli di comportamento ormai dati per scontati, ma che sembrano non
corrispondere ad un agire nel senso davvero economico del termine. Da dove partire, dunque?
Nel corso del primo capitolo cercherò di illustrare i tratti salienti del processo di
razionalizzazione di Max Weber e del processo di civilizzazione di Norbert Elias, due
approcci sociologici che ci danno una differente prospettiva del mutamento sociale, anche se
1 M. Ranier Lepsius, Il significato delle istituzioni, Società editrice il Mulino, 2006, p. 47
4
al loro interno si possono riscontrare diversi punti di comunanza.
Ciò che mi preme, in primo luogo, è illustrare i meccanismi di interiorizzazione di valori e
modelli di comportamento nello sviluppo delle società. Partendo da qui, andrò ad analizzare la
formazione dei monopoli della coercizione fisica e della fiscalità; il passaggio che Elias
registra dall'iniziale eterocostrizione verso una crescente autocostrizione da parte del singolo,
dunque il modo in cui questi modifica il suo habitus psichico in relazione alla
differenziazione sociale e alla centralizzazione dei poteri.
Alla luce di queste prime riflessioni, mi chiederò come mai si sostiene che la razionalità tenda
a pervadere ogni sfera dell'esistenza, non solo l'ambito della politica e dell'economia
monetaria, ma anche propriamente l'economia emotiva delle persone.
In questo contesto andrò ad inserire una riflessione sulla contemporaneità che parta
dall'illustrare il significato di una società complessa e altamente differenziata e il modo in cui
l'individuo si situa al suo interno. Una società dove aumentano le interdipendenze tra le
persone e gli ambiti funzionali di vita, in cui l'identità si fa problema sempre più pressante.
Il motivo delle molteplici appartenenze, il problema della crescente individualizzazione che si
accompagna ad una maggiore consapevolezza delle interdipendenze globali, la questione del
divario tra esigenze personali e vincoli sociali, ci saranno utili per analizzare i nuovissimi
movimenti e i suoi attuali e potenziali attivisti. Inoltre, in relazione all'arena di conflitto di
questi movimenti, che si fa sempre più globale, ho creduto opportuno fornire un quadro
generale della forma che assume, attualmente, ciò che più si avvicina ad una sorta di governo
globale, offrendo spunti di riflessione per eventuali prospettive future. Nel fare questo, ho
preso spunto soprattutto dall'analisi dei processi di integrazione istituzionale – e anche
personale – che ha svolto Elias in merito al passaggio da un governo di tipo nazionale a uno
sovranazionale.
Dopo aver dato queste cornici di riferimento, entrerò nel merito dello studio dei nuovissimi
movimenti sociali per comprendere il modo in cui si situano all'interno della nostra mutevole
figurazione sociale, di quali elementi di originalità e di tradizione si fanno portavoce. Il punto
di partenza è riuscire a fornire una definizione di movimento sociale, rifacendomi ai più
importanti approcci sociologi, a partire dalla lettura dei fenomeni collettivi offerta da Marx,
Weber, Durkheim, passando per Parsons e gli struttural-funzionalisti, fino alle analisi della
resource mobilization e della sociologia azionalista. Oltre agli approcci sociologici, farò
riferimento anche ad alcune analisi di stampo psicanalitico, rifacendomi in special modo a
Freud.
Dopodiché inizierò un confronto tra il movimento sociale classico per eccellenza, quello
5
operaio, il movimento delle donne e degli studenti, fino ad arrivare ai movimenti di impronta
globale che iniziano a sorgere nel corso degli anni Novanta.
Gli elementi su cui focalizzerò l'attenzione sono: la posta in gioco; gli attori; l'arena del
conflitto; la figura del nemico; il motivo della rivoluzione; la forma di leadership e la
modifica dell'elemento di carismaticità del leader; il linguaggio utilizzato; le modalità di
azione; i livelli in cui i movimenti inseriscono la loro azione (organizzativo, istituzionale,
sistemico), con particolare riferimento al rapporto con la politica.
Vedremo come si faccia centrale la questione se i movimenti siano ancora il luogo privilegiato
dell'azione sociale, in relazione alla già accennata spinta all'individualizzazione che ci dà il
quadro di un individuo più distaccato, meno disposto al coinvolgimento pratico ed emotivo,
ma anche più riflessivo e più consapevole delle crescenti interdipendenze globali.
Melucci e Touraine si interrogano sul ruolo dei movimenti alla luce della crescente
soggettivazione del singolo, finendo per affermare sia l'importanza del fatto che il singolo si
faccia più critico e riflessivo, sia l'importanza dei fenomeni collettivi per l'azione sociale. Ma
questa conciliazione non risulta chiara, anche perché attualmente pare essere il problema dei
problemi quando si analizzano i movimenti sociali.
In linea teorica, comunque, questi presupposti sembrano calcare il pensiero di Freud quando,
parlando delle masse, sosteneva che nello stesso modo in cui il singolo va incontro ad una
evoluzione sia fisica che emotiva, anche la massa o il gruppo può evolversi da agglomerato di
mentalità acritiche e passive, verso un tipo di organizzazione di uomini autonomi e
consapevoli.
Lontani dal fornire una risposta esaustiva, in questo lavoro c'è il tentativo di prendere in
esame quelle tracce che vanno nella direzione di un superamento delle classiche dicotomie,
quindi anche della possibilità che si formino raggruppamenti sociali in cui i soggetti avranno
sempre meno la tendenza a lasciarsi trascinare in modo acritico e si faranno sempre più
soggetti, nel senso proprio che Touraine dà a questo termine. Fenomeni collettivi in cui, per
dirla in maniera sublimata, i soggetti non fanno più parte di un movimento, ma sono essi
stessi in movimento.
Alla fine di questa analisi, infatti, si innesterà una riflessione sul graduale superamento, più o
meno consapevole, delle dicotomie (razionale-irrazionale, natura-società, soggetto-sistema)
all'interno dei nuovissimi movimenti, che va nella direzione di una graduale integrazione di
istituzioni, di stili di vita, di prospettive e punti di vista. Per comprendere l'obiettivo di questa
ricerca, occorre infatti chiarire che la domanda di partenza, nell'ambito della sociologia dei
processi e del mutamento, non è tanto se i nuovi movimenti di impronta planetaria riusciranno
6
a realizzare i loro programmi e a cambiare gli assetti di potere vigenti. Stante il loro ruolo di
intermediari della società civile, portatori di idee alternative e di messa in discussione di
assetti istituzionali vigenti, mi sono chiesta soprattutto come mutano nel tempo e quali
caratteristiche hanno assunto oggi, per capire se si trovano coerenze tra il loro modificarsi, il
modificarsi dell'habitus psichico dell'individuo e il modificarsi dei livelli di integrazione
statale. Visto che i movimenti parlano il linguaggio del nuovo, del futuro, è essenziale
rivolgere la nostra attenzione su di essi per comprendere la direzione verso cui la nostra
complessa figurazione sociale si sta muovendo.
Alla fine di questo percorso, inserirò lo studio di un caso particolare, il Movimento Zeitgeist,
nato nel 2008 negli Stati Uniti ad opera di Peter Joseph, artista e attivista, regista e produttore
dei tre web-film di introduzione e approfondimento delle linee-guida del Movimento, i quali
hanno fatto conoscere lo Zeitgeist ad una platea piuttosto vasta, dislocata in varie parti del
mondo.
Parto analizzando la struttura del Movimento, la divisione in capitoli nazionali e regionali, i
gruppi di lavoro che lo compongono, le piattaforme utilizzate per divulgare il programma.
Un'intera parte sarà dedicata ai tre web-film: Zeitgeist: The Movie; Zeitgeist: Addendum;
Zeitgeist: Moving Forward.
L'ultimo film, insieme alla pubblicazione The Zeitgeist Movement – Observations and
responses – Activist Orientation Guide, scritta da Peter Joseph e da alcuni collaboratori,
verranno utilizzati per delineare nei dettagli il programma del Movimento, il modo in cui
questo valuta l'attuale spirito del tempo, facendo soprattutto riferimento a quella che, per lo
Zeitgeist, è la corrotta struttura portante dell'intero assetto sociale: il sistema economico e di
mercato.
Parlerò poi del nuovo approccio del Movimento riguardo l'economia (Resource Based
Ecocomy – economia basata sulle risorse) e della nuova forma di governo cibernetico
mondiale da esso ideato, per cui il processo di razionalizzazione si esplica al massimo livello
con l'utilizzo onnipervasivo della scienza e della tecnica che, gradualmente, andranno a
sostituire ogni tipo di lavoro umano.
Sarà proprio grazie all'uso capillare della tecnica che si potrà pervenire a quel sistema globale
efficiente e armonioso di cui parlavamo all'inizio, che non prevede ambiti verso cui
esternalizzare i costi di un operato negativo. Dal programma dello Zeitgeist questa volontà
appare evidente poiché si presuppone che un controllo centrale della produzione attraverso
database tecnologicamente innovativi, ingenererebbe una serie di conseguenze in ogni settore
della vita – da quello lavorativo, alla gestione del tempo libero, alla modifica dell'habitus
7
psichico dei singoli – che avrebbero i caratteri dell'economicità e dell'efficienza.
Questa visione di un sistema-mondo cibernetico ed efficiente mi porterà ad interrogarmi sulle
conseguenze che possono derivare dalla modifica radicale del sistema legale, che andrà
scomparendo, e dalla forma di democrazia che ne verrà fuori.
Alla luce di quello che abbiamo detto in precedenza, non ci chiederemo se il programma
socio-politico dello Zeitgeist potrà risultare vincente e scardinare i monopoli attuali del potere
e i modi d'agire non ritenuti idonei. Ci chiederemo piuttosto se, all'interno dell'attuale
figurazione sociale, si possano riscontrare elementi di “civilizzazione” a fronte della
dimensione universale che questo movimento si propone di raggiungere, in nome di un
“credo” che, nel caso dello Zeitgeist, si chiama scienza.
Una scienza e una tecnica che diverranno sostitutivi delle funzioni che normalmente gli
uomini hanno svolto nell'ambito lavorativo, economico, politico. Scienza e tecnica saranno le
attrici principali di una sorta di razionalizzazione estrema che tenderà a pervadere ogni settore
dell'esistenza, ma che invece di essere strumentale all'innalzamento del Pil – invece di
pietrificare ciò che resta dell'autenticità umana – si prefigge come finalità il benessere e lo
sviluppo individuale e sociale, assumendo le forme di un vero e proprio mito razionale.
8
Capitolo I
Interiorizzazione di valori e modelli di comportamento
nello sviluppo della società
1.1 Il mutamento sociale tra civilizzazione e razionalizzazione
Come vengono interiorizzati determinati modelli di comportamento da parte di intere società?
Questa una domanda complessa che cercherò di analizzare in questa prima parte del lavoro,
focalizzando l'attenzione sul processo di razionalizzazione dell'Occidente di Max Weber e
sulla teoria del processo di civilizzazione di Norbert Elias. Una domanda che crea varie
obiezioni di per sé: cosa si intende, infatti, per modelli di comportamento?
Spesso il termine viene sostituito da altri, ad esempio valori, modelli istituzionali, strutture
sociali. In generale ci riferiamo a tutte quelle condotte di vita che, per un numero
considerevole di persone, si definiscono quotidiane e routinarie, perché entrate a far parte di
un habitus
2
sociale standardizzato.
Che si tratti della sfera della coercizione fisica, della struttura economica, della componente
morale ed emotiva di un certo gruppo di individui, è proprio nel momento in cui certi
comportamenti, da privati divengono pubblici, che si viene a creare un duplice meccanismo:
da una parte un mutamento del tipo di interazioni sociali, dall'altra il contemporaneo
mutamento dell'habitus psichico dell'individuo.
Questo un pensiero ancora generale, ma che mostra innanzitutto l'intera complessità della
questione, di quel continuo divenire storico al quale Elias si avvicina con un pensiero
orientato in direzione evolutiva, definendo la sua una sociologia storico-processuale, in cui la
dimensione sociale e psicologica del singolo si intrecciano storicamente, mutando nel tempo.
Elias parla a questo proposito di modelli figurazionali, processi dinamici che sottintendono
una forte interdipendenza tra gli individui, i quali consentono ad Elias di superare le
dicotomie soggetto-oggetto, individuo-società e di distaccarsi sia dalla concezione dell'uomo
come clausus rispetto al resto della società, sia dal forte individualismo metodologico di
Weber, per cui il singolo è al centro della scena come artefice dei mutamenti sociali.
Oltre a ciò, tramite le sue figurazioni, Elias tenta di andare oltre le concezioni statiche dei
processi sociali, e ciò gli consente di distaccarsi anche da Talcott Parsons, ritenendo le
2 “Il termine 'habitus' […] viene definito succintamente da Elias come 'seconda natura': si tratta di quegli
elementi del comportamento e del sentimento che vengono appresi a partire dall'infanzia, ma che vengono
assorbiti così profondamente da apparire innati, intrinseci”, Stephen Mennell, Enciclopedia delle scienze
sociali – voce Maniere, 1996, http://www.treccani.it/enciclopedia/maniere_(Enciclopedia-delle-Scienze-
Sociali)/
9
categorie e le variabili in cui Parsons ha scomposto le varie tipologie di società, come ambiti
funzionali chiusi in se stessi e determinati in modo per lo più arbitrario.
La dimensione relazionale è per Elias fondamentale per parlare in senso sociologico, proprio
perché società e individuo costituiscono un unicum, che dà ragione di esistere a entrambi i
componenti di questa unione.
Il processo di civilizzazione
3
è l'opera di Elias in cui il mutamento storico e la forma di una
processualità evolutiva vengono analizzati nel profondo, non solo nelle evidenze, ma anche
nelle cause intrinseche: quanto il divenire storico è determinato dai rapporti reciproci e dalle
azioni, più o meno intenzionali, degli individui? In che modo ciò avviene? Partendo da questi
presupposti, nel volume vengono analizzati, tra gli altri, i processi di formazione degli stati e
del loro monopolio della forza fisica; e anche il cambiamento che attraversa i modi in cui
vengono vissute le emozioni, verso una direzione che possiamo definire civilizzatrice
4
.
1.1.1 La storia come processo
Qual è la direzione assunta dal processo storico-sociale? Questa una delle questioni che si
pone Elias, soprattutto in riferimento alla società occidentale; questione che lo porta a
concepire il divenire storico come un lento ma progressivo mutamento dell'equilibrio tra
quelle che lui definisce etero ed autocostrizioni individuali.
Il processo di civilizzazione ci offre l'immagine di un individuo che nasce e cresce all'interno
di un determinato ordine con determinate istituzioni, dalle quali viene condizionato, seppur in
misura diversa:
“E anche se trova poco graditi e poco opportuni quest'ordine e queste istituzioni, non può certo
ritirare la sua adesione ed isolarsi dall'ordine esistente. Può cercare di sottrarvisi diventando un
avventuriero, un «tramp», un artista o uno scrittore, può ritirarsi alla fine su un'isola solitaria, e
tuttavia anche se cerca di sfuggire da questo ordine ne è il prodotto. […] Tra i compiti che
dobbiamo ancora affrontare vi è quello di rendere realmente comprensibile la natura delle
costrizioni in base alle quali nascono, si conservano o mutano determinate forme di convivenza: le
nostre forme di società e le nostre istituzioni”
5
.
3 Opera scritta nel 1939 e ripresa negli anni Sessanta, pubblicata in Italia da Il Mulino nel 1988, si divide in due
parti, in seguito suddivise da Il Mulino in due volumi distinti: La civiltà delle buone maniere e Potere e civiltà.
4 Per Elias la nozione di civiltà/civilizzazione, in termini generali, è un “movimento progressivo, che agisce nel
senso di ridurre anziché di accentuare le differenze sociali (o nazionali)”. Elias si richiama al significato di
civilité, più che a quello posteriore di civilisation, “come mutamento dei costumi, come trasformazione delle
'buone maniere' e delle convenzioni concernenti il comportamento a tavola, i bisogni naturali, le relazioni tra i
sessi, e via dicendo. [...] Ma tale sviluppo s'intreccia con la trasformazione dei rapporti di potere, con l'ascesa
della monarchia come potenza dominante, con il sorgere di nuovi ceti legati a essa e alla vita di corte. [...]”,
Pietro Rossi, Enciclopedia delle scienze sociali, voce Civiltà,
http://www.treccani.it/enciclopedia/civilta_(Enciclopedia-delle-Scienze-Sociali)/
5 Norbert Elias, Potere e civiltà, Il Mulino, 2010, p. 299 nota
10
Il processo di civilizzazione di Elias può avere una sorta di parallelo in quello che Weber
definisce processo di razionalizzazione dell'Occidente, che entra come ipotesi di parziale
evoluzione entro una concezione della società e della storia come processi senza telos. Una
razionalizzazione dell'Occidente che, attraverso l'occidentalizzazione del mondo – intuita da
Weber – può approdare ad una sorta di razionalizzazione universale.
Per spiegare la genesi del processo di razionalizzazione, dobbiamo ricordare che la visione del
mondo di Weber prevede una successione storica con caratteri evolutivi, che riguarda tre casi
fondamentali: visione magica del mondo, visione religiosa del mondo e l'illuminazione
carismatica della ragione. Ma soprattutto dobbiamo precisare il significato del termine
razionalizzazione, legato strettamente all'agire degli individui:
“[...] l'agire razionale è definito non tanto da quelle caratteristiche più generali alle quali di
solito si pensa quando si qualifica un'azione come 'razionale' – sensatezza, comprensibilità,
logicità, ecc. – bensì da elementi quali la regolarità, la ripetibilità, la controllabilità, la
dominabilità dei corsi dell'azione, e soprattutto la conformità allo scopo sulla base di criteri
soggettivi, in cui emerge in primo piano l'aspetto dell'efficienza calcolabile [...]”
6
.
Qui si parla di criteri soggettivi poiché, nel pianificare azioni razionali, ci si deve proporre di
determinare un ottimo calcolabile sulla base delle informazioni a nostra disposizione, ma se
l'agire risulterà oggettivamente economico si potrà stabilire solo a posteriori.
Questo significato di razionalizzazione è tipico weberiano e riguarda sia la dimensione
soggettiva che quella oggettiva della vita, “perché la concezione del mondo e il sistema di vita
razionalizzati resterebbero privi di conseguenze sociali se non si realizzassero in istituzioni e
forme di vita corrispondenti”
7
. Ma questo modo pervasivo di pensare la razionalizzazione ha
incontrato alcune critiche: ad esempio Habermas – il sociologo che ha aggiunto alla teoria
weberiana la modalità dell'agire comunicativo di fianco a quella meramente strumentale –
definisce razionalizzazione sociale
8
la razionalizzazione di cui parla Weber, poiché per
Habermas ne esistono altri due tipi (culturale e soggettiva) che ci offrono la visione di un
modello della razionalità più complesso.
Ad ogni modo Weber non confidava nell'onnipotenza della ragione ai fini della creazione di
una migliore condotta di vita generale, e riteneva che la sua applicazione ad ogni ambito
dell'esistenza, con pretese esclusive, non lasciasse spazio per il diffondersi di quel carisma
6 Herbert Schnädelbach, Enciclopedia delle scienze sociali – voce Razionalizzazione, 1997,
http://www.treccani.it/enciclopedia/razionalizzazione_(Enciclopedia-delle-Scienze-Sociali)/
7 Ivi
8 “La razionalizzazione sociale consiste essenzialmente nell'affermazione e nell'istituzionalizzazione della
razionalità rispetto allo scopo in tutti gli ambiti della vita”, Herbert Schnädelbach, Enciclopedia delle scienze
sociali – voce Razionalizzazione, 1999, http://www.treccani.it/enciclopedia/razionalizzazione_(Enciclopedia-
delle-Scienze-Sociali)/
11
che, da solo, riesce a creare forti rotture nella storia, a invertirne spesso il senso di marcia.
Credeva che, alla lunga, non ci sarebbe stato più spazio per il carisma nemmeno nel senso
elementare di creatività personale; di qui il timore, che accompagna Weber lungo il corso
della vita, quello dell'approdo verso un tipo di società pietrificata, senza tensione morale né
qualitativa.
Weber sarà molto utile ai fini della nostra analisi nel momento in cui analizzeremo come per
lui si possa sfuggire alla pietrificazione meccanico-razionale della civiltà solo col ritorno del
carisma in forma adatta alle nuove condizioni storiche, riallacciando la concezione del
carisma alla figura di possibili personalità di leader, siano esse singoli individui, movimenti o
altri tipi di formazioni sociali.
Il comportamento degli uomini comuni oscilla dunque, secondo Weber, tra l'anarchia
originaria degli interessi privati quotidiani e l'uniformità imposta dai capi, ed eventualmente
divenuta abitudine. Egli infatti descrive la massa come irrazionale, emotiva, suggestionabile,
per la quale la razionalizzazione si risolve in un adattamento esteriore in cui “apprende
«approssimativamente» un agire corrispondente agli ordinamenti razionali della moderna
società «senza alcuna conoscenza dello scopo e del senso, talvolta perfino dell'esistenza, di
tali ordinamenti»”
9
.
Weber discute
10
del trapasso dall'uso, che egli definisce “una consuetudine di fatto”, al
costume, “quando la consuetudine di fatto poggia su una acquisizione da lungo tempo”, alla
convenzione, la quale è “normativamente vigente”, ovvero un ordinamento la cui “validità è
garantita dall'esterno, mediante la possibilità di andare incontro, in caso di deviazione, ad una
disapprovazione generale” che sfocia in un vero e proprio ordinamento giuridico (diritto)
riconosciuto come valido dai membri di una comunità, “quando la sua validità è garantita
dall'esterno, mediante la possibilità di una coercizione (fisica o psichica) da parte dell'agire”.
Quest'indagine conduce Weber a ricercare le origini di una forma di obbligatorietà, ritenendo
che le uniformità di comportamento tra gli uomini, già nelle società primitive, non possano
essere spiegate solo col fatto che una norma valga di per sé come obbligante:
“Numerose e assai rilevanti uniformità del corso dell'agire sociale […] non poggiano affatto
sull'orientamento in vista di qualche norma rappresentata come «vigente», e neppure sul costume,
ma semplicemente sul fatto che il modo d'agire dei partecipanti corrisponde […] ai loro normali
interessi, soggettivamente stimati, e che essi orientano il proprio agire in base a questa prospettiva
soggettiva”
11
.
9 Luciano Cavalli, Il capo carismatico – Per una sociologia weberiana della leadership, Il Mulino, 1981, p. 26
10 Max Weber, Economia e società, tomo I – Teoria delle categorie sociologiche, Edizioni di comunità, 1999,
pp. 26-31
11 Ibidem, p. 27
12
In questa prospettiva, avere dinanzi a sé un ordinamento obbligante accresce sicuramente la
possibilità che l'agire sia orientato anche in base ad esso, perché la norma dà all'agire una
giustificazione di legittimità. C'è da aggiungere che queste norme obbliganti, a un certo punto,
divengono scontate per l'individuo, che vi si rapporta in modo automatico e piuttosto acritico.
Dunque, in conseguenza all'ipotesi che l'agire dei soggetti sia sorretto da una “concezione di
«regole obbliganti» [natürliche Regeln]” sta, secondo Weber, “il fatto che la «disposizione»
interiore verso quelle uniformità implichi sensibili «ostacoli» contro le innovazioni”
12
.
Sorge allora il seguente problema:
“Noi ci domandiamo a questo proposito come sorgano, in questo mondo caratterizzato
dall'orientamento verso ciò che è «uniforme» e ciò che è «valido», «innovazioni» di sorta”
13
.
Seguendo il parallelo tra il processo di civilizzazione e il processo di razionalizzazione
dell'Occidente, si può affermare che il mutare delle forme di convivenza di una data società,
per Elias, possa costituire quelle innovazioni di cui parla Weber.
Elias, a questo punto, aggiunge un tassello importante che pare andare in una direzione
diversa rispetto a Weber. Egli sostiene che le forme di società e i modelli istituzionali, così
come li conosciamo, non sono sorti per un calcolo razionale da parte di un gruppo di individui
pianificatori [l'élite di Weber], ma sono piuttosto il frutto di comuni interazioni sociali calate
in un contesto che si modifica a seconda di vari fenomeni:
“Ma se si pensa che [la nostra forma di società e le nostre istituzioni] siano sorte allo stesso
modo delle opere e delle imprese di singoli individui, cioè in base a obiettivi individuali o
addirittura attraverso considerazioni e piani ben meditati ci si preclude la comprensione della loro
genesi. […] Quindi non attraverso i piani comuni di parecchi individui, ma come un prodotto non
programmato, scaturito dalla coesistenza e contrapposizione dei piani di molti individui si arriva
ad una crescente divisione delle funzioni, all'integrazione di spazi umani sempre più ampi che
prendono la forma di Stati, e molti altri processi storico-sociali”
14
.
Elias stesso, parlando in generale delle “opere tradizionali che illustrano l'evoluzione psichica
dell'Occidente” scrive che “si ha spesso l'impressione che i loro autori ritengano vagamente
che la razionalizzazione della coscienza, il passaggio da un pensiero magico-tradizionale ad
uno più razionale siano da attribuire ad un certo numero di individui geniali e particolarmente
avveduti. Sempre secondo tali opere, questi individui illuminati con la loro intelligenza
superiore avrebbero insegnato agli occidentali come utilizzare in modo appropriato la loro
innata intelligenza”
15
.
12 Luciano Cavalli, Il capo carismatico – Per una sociologia weberiana della leadership, Il Mulino, 1981, p. 79
13 Ivi
14 Norbert Elias, Potere e civiltà, Il Mulino, 2010, p. 299 nota
15 Ibidem, p. 375
13
Dove per Weber importante risulta l'aspetto della razionalità in vista di uno scopo,
corrispondente a interessi soggettivi che danno luogo a uniformità comportamentali e
continuità di azione, Elias si chiede come sorgano forme d'agire che non sono state
consapevolmente preordinate, ma che tuttavia non possono definirsi casuali e senza struttura:
“La risposta è abbastanza semplice: pianificazioni ed azioni, moti emozionali e razionali dei
singoli individui si intrecciano costantemente in modo amichevole o ostile. Questa fondamentale
interpenetrazione dei singoli piani e delle singole azioni umane può dar vita a cambiamenti e
figurazioni che non sono stati progettati né creati da alcuno”
16
.
Come si organizzano, dunque, le varie figurazioni della realtà?
Elias ci ricorda, ad esempio, che Hegel ha parlato di ordine della natura, interpretando la
formazione dell'ordine reale come prodotto di una sorta di «spirito» al di sopra degli
individui. Del resto il concetto hegeliano di una «astuzia dell'idea» “dimostra come anch'egli
fosse colpito dal fatto che tutti i piani e le azioni degli uomini producono spesso risultati che
nessuno aveva propriamente progettato. Ma le abitudini intellettuali che ci spingono a porci
alternative come razionale o irrazionale, spirito o natura si rivelano qui inadeguate […] la
realtà non si organizza interamente così come vuol farci credere l'apparato concettuale di un
determinato standard, che pure a suo tempo ha reso ottimi servizi come «bussola» in un
mondo sconosciuto”
17
.
I vincoli che legano gli uomini a seconda delle proprie inclinazioni e dei propri scopi,
contribuiscono a creare figurazioni sociali in cui l'individualità non viene annullata, ma trova
nuovo terreno fertile per svilupparsi. In questo senso, da una parte l'individuo verrà vincolato
e, dunque, limitato da una catena precisa di interdipendenze; d'altra parte, entro questa stessa
catena, potrà usufruire di uno spazio d'azione prima impensato.
Questo avviene perché in precedenza i vincoli erano minori, e perché la loro natura era assai
diversa. Da un carattere di tipo personalistico si passa a rapporti di tipo più impersonale;
questo era chiaro già a Simmel quando trattava del mutamento sociale avvenuto, con l'avvento
della modernità, soprattutto nell'ambito lavorativo:
“Il lavoro salariato, per quanto duro, costrittivo, poco tutelato possa essere, offre al lavoratore
che […] può sembrare uno schiavo travestito, un'arma potente per la propria liberazione. Non solo
perché per la prima volta nella storia la massa di coloro che non hanno alcuna proprietà possono
accedere a un lavoro libero e a un reddito personale, ma anche perché il rapporto tra l'operaio e
l'imprenditore, rapporto mediato dal denaro, è, per tale carattere, incommensurabilmente meno
vincolante e rigido di qualsiasi altro precedente rapporto di lavoro”
18
.
16 Ibidem, p. 298
17 Ibidem, p. 300
18 Anna Rita Calabrò, I caratteri della modernità: parlano i classici, Liguori Editore, p. 44
14
Il rapporto personalistico di dipendenza va a svanire spezzando, di fatto, un vincolo di
subordinazione. Da qui il problema della preservazione, da parte del singolo, di una
individualità e di una indipendenza “nei confronti del meccanismo tecnico-sociale prodotto
dalle società moderne che tende a massificare e livellare gli individui”
19
, cui Simmel trova un
senso nella capacità di progettare autonomamente la propria vita seguendo le proprie
vocazioni, facendo perno sulle abilità personali. Un po' quel demone di cui parla Weber, che
non corrisponde a quegli dèi che, al livello della razionalizzazione in cui si è ritrovata la
modernità, l'individuo non può più invocare. Si tratta piuttosto di una sorta di divinità
interiore che deve guidare l'uomo nelle sue scelte di vita.
1.1.2 Il processo di civilizzazione
Quale modificazione del comportamento imposto agli uomini dalla vita in comune modella il
loro habitus psichico orientandolo verso quella che Elias definisce civilizzazione?
Il processo di differenziazione sociale è il primo di cui dobbiamo tener conto:
“A partire dalle primissime epoche della storia occidentale fino all'epoca nostra, le funzioni
sociali tendono sempre più a differenziarsi sotto la forte pressione della concorrenza. Quanto più
esse si differenziano, tanto più aumenta il loro numero e quindi anche quello di coloro dai quali il
singolo individuo dipende interamente in tutte le sue attività […] i comportamenti di un numero
crescente di uomini devono quindi accordarsi tra loro […] Il singolo individuo è costretto a
regolare il suo comportamento rendendolo sempre più differenziato, più regolare e più stabile”
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.
Questa stabilizzazione del comportamento non è, come già accennato, consapevole e
pianificata, ma frutto di mutamenti del vivere in relazione ad altri gruppi di persone.
L'individuo apprende i modelli di vita correnti sin dalla nascita, “come una sorta di
automatismo, come un'autocostrizione a cui egli non può sottrarsi, anche se interiormente lo
desidera. L'intreccio delle azioni diviene così complicato e vasto, la tensione imposta dalla
necessità di comportarsi «in modo corretto» diviene così forte che nell'uomo si consolida,
accanto all'autocontrollo cosciente, anche un apparato di autocontrollo che opera in modo
cieco e automatico”
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.
Simboli, largamente studiati, di questo intreccio di crescenti interdipendenze sono gli
strumenti tipici della modernità: l'orologio che rende oggettivo il valore del tempo; il denaro
che rende oggettivo il valore delle cose; l'intelletto – per dirla con Simmel – che rende
oggettivo il valore delle relazioni personali.
19 Ibidem, p. 45
20 Norbert Elias, Potere e civiltà, Il Mulino, 2010, p. 303
21 Ivi
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