Introduzione
L'elaborato che presento è dedicato alla storia sindacale del Lanificio Rossi dalla fine degli
anni Cinquanta ai primi anni Settanta, un lasso di tempo che ha visto questa storica azienda del
Vicentino attraversare una crisi finanziaria che l'ha portata sull'orlo del fallimento e che ha creato le
condizioni per un salvataggio da parte dello Stato. Questo periodo, inoltre, è stato segnato dalla
sfida del '68-69: la richiesta di portare il sindacato nei reparti delle fabbriche e dare ai lavoratori
voce in capitolo nell'organizzazione del lavoro e nella politica di investimenti delle aziende.
La tesi propone un'ampia panoramica delle tematiche sindacali che sono emerse in
un'azienda importante e influente come la Lanerossi lungo questa complessa fase di cambiamento
strutturale, che ha visto il passaggio da una proprietà a capitale privato - tale era stata quando a
dirigerla erano i membri della famiglia del fondatore Francesco Rossi, come quando, dopo la fine
della Prima guerra mondiale, vi si sostituirono i manager - ad una proprietà a capitale pubblico,
quella dell'Ente nazionale idrocarburi (ENI), che si impegnò in un progetto di ristrutturazione per
permetterne la sopravvivenza ed il rilancio sul mercato.
L'interesse per questa ricerca sta nella possibilità di conoscere un pezzo di storia della mia
città, Vicenza, che ospitava uno stabilimento Lanerossi molto imponente, dedicato alla pettinatura
delle lane, e che, anche se è stato abbandonato ormai da più di trent'anni, si può ancora vedere nella
sua interezza nel quartiere dei Ferrovieri. Nella stessa città fino a vent'anni fa era attivo un altro
complesso che era appartenuto alla famiglia Rossi, rivolto ad un'altra lavorazione tessile: il
Cotonificio Rossi. La struttura è stata abbattuta nel 2006 per fare spazio al cantiere per la
costruzione del nuovo tribunale, attualmente in fase di completamento. Si tratta di fabbriche che
hanno coinvolto migliaia di lavoratori lungo più di un secolo di attività e che hanno lasciato una
traccia indelebile nella storia cittadina.
La famiglia Rossi iniziò il suo percorso imprenditoriale nell'Alto Vicentino, e precisamente a
Schio, allargandosi sempre di più nel territorio, costruendo impianti che potessero sfruttare l'energia
idroelettrica dei torrenti che scendevano dalle montagne circostanti e riuscendo così a dare
un'autonomia energetica che consentì di procedere più speditamente nello sviluppo di un prodotto
tessile all'avanguardia. Nella seconda metà dell'Ottocento la Lanerossi rappresentò la massima
espressione di progresso industriale in Italia, sia per la qualità delle sue lavorazioni che per la scelta
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di intervenire con la costruzione di villaggi operai attigui alle fabbriche, per permettere ai propri
dipendenti di avere abitazioni e servizi che rendessero stabile e non conflittuale la loro permanenza
in fabbrica.
Con questo lavoro, basato prevalentemente su fonti sindacali, ho cercato di approfondire
come un'azienda di questa importanza per il territorio vicentino avesse affrontato gli anni Sessanta e
come avesse vissuto l'“onda d'urto” del movimento sindacale, giunto ad essere, nell'«autunno del
1969», artefice di molteplici cambiamenti che sono tuttora alla base di un corretto ed equo rapporto
di lavoro tra datore e dipendente, nonostante le recenti modifiche introdotte dal ministro del Lavoro
Elsa Fornero circa l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Il filo della ricerca segue il percorso che sindacati e impresa hanno tracciato nel tentativo di
impedire la chiusura dell'azienda e la perdita di migliaia di posti di lavoro, e si concentra sui
contenuti delle vertenze sindacali, cercando di valutare la forza o la debolezza degli accordi
aziendali che hanno caratterizzato questo quindicennio. I contenuti degli accordi ebbero come temi
ricorrenti, soprattutto nei primi anni Sessanta, la modifica delle percentuali dei cottimi individuali,
l'aumento dei premi di produzione e il controllo dell'assegnazione del macchinario. La richiesta di
permettere l'ingresso dei sindacati nei luoghi di lavoro ottenne ascolto solo a partire dal 1969 e
comportò anche il rinnovo totale dei sistemi di rappresentanza interna dei lavoratori. Anche il tema
della salute in fabbrica, tramite l'effettuazione di controlli periodici della salubrità nei reparti,
ottenne dei risultati seri solo dopo le lotte del '68-69. Nelle piattaforme dei primi anni Settanta una
delle richieste più sentite fu l'abbandono definitivo del sistema di cottimo.
Uno degli obiettivi della ricerca era di verificare cosa fosse cambiato nei temi, nei toni e
nelle modalità della contrattazione nel momento di passaggio della Lanerossi da grande azienda
privata a branca secondaria di una grande azienda pubblica come l'ENI, dove l'attività principale,
quella che dava i maggiori profitti e per la quale era stata creata, non era certo il ciclo del tessile,
bensì la ricerca di petrolio e metano per cercare di raggiungere l'autosufficienza energetica del
Paese. Tra i lavoratori e nelle richieste dei sindacati cambiarono soprattutto le speranze di poter
essere gestiti in maniera affidabile da una classe manageriale di alto livello come era ritenuta quella
dell'ENI, dalla quale ci si attendeva un'efficienza produttiva che non avrebbe tardato a dare i suoi
vantaggi anche ai dipendenti della Lanerossi.
CGIL da una parte e CISL e UIL dall'altra ebbero atteggiamenti fortemente divergenti
riguardo il pesante piano di ristrutturazione approntato dall'ENI per risanare i conti dell'azienda: la
prima concentrò la sua attenzione sulla perdita progressiva di posti di lavoro, rivelandosi il
sindacato più improntato ad una strenua difesa dei livelli d'occupazione, anche quando questi
risultavano palesemente insostenibili per consentire il proseguimento dell'azienda. Tra anni Sessanta
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e Settanta, infatti, il tessile italiano andava inesorabilmente perdendo la sua competitività con le
produzioni provenienti dai paesi extraeuropei. In questo quadro la strategia dell'ENI per fare
sopravvivere la Lanerossi risultò essere di corto respiro, visto anche lo scarso interesse negli anni a
fabbricare un prodotto che mantenesse la qualità che aveva avuto in passato, che fosse innovativo
nella sperimentazione dei materiali sintetici (attuata solo in piccola parte), che fosse in grado di
penetrare nel mercato attraverso le tecniche di marketing più avanzate e che risultasse competitivo
con i prodotti tessili di altre aziende, a cominciare da quelli della vicina Marzotto.
CISL e UIL, al contrario, ebbero più fiducia nella capacità dell'ENI di dare un futuro alla
Lanerossi: infatti appoggiarono l'applicazione del piano di ristrutturazione senza troppi contrasti con
la dirigenza, mettendo in primo piano l'importanza della sopravvivenza dell'azienda, piuttosto che i
livelli d'occupazione. Secondo queste sigle, e va ricordato che la CISL era tradizionalmente il
sindacato maggioritario in azienda, soltanto con una seria ristrutturazione si sarebbe scongiurato il
pericolo di chiusura, accompagnata però ad una costante pressione sulle autorità politiche locali e
nazionali per dare avvio ad attività economiche alternative per coloro che avevano un familiare alla
Lanerossi che si avviava al prepensionamento.
La strada che portò il movimento sindacale ad essere al centro del dibattito sociale e politico
tra il biennio '68-69 e la prima metà degli anni Settanta fu un percorso irripetibile nel risultato di
dare ai lavoratori dipendenti un potere di contrattazione nei luoghi di lavoro e dunque un'influenza
complessiva mai avuti prima. Questa atmosfera venne vissuta anche alla Lanerossi, dove, tra il
dicembre del 1968 e il maggio del 1972, furono siglati accordi aziendali molto vantaggiosi per i
lavoratori. Il primo nella scia della famosa lotta della primavera del '68 alla Marzotto di Valdagno; il
secondo dopo l'occupazione di fabbrica del '72, che costrinse l'ENI a radicali concessioni, per
esempio in merito al mantenimento dei livelli d'occupazione presenti, ma che si rivelarono difficili
da rispettare nei fatti.
Per avviare questa ricerca mi sono avvalso dell'Archivio storico della CGIL di Vicenza,
depositato presso la Biblioteca Bertoliana, che mi ha consentito di esplorare una mole massiccia di
documentazione del periodo di mio interesse, grazie anche ad una buona sistemazione del materiale.
Ho utilizzato come fonte anche molti volantini e comunicati provenienti dall'Archivio FILTA, la
Federazione dei lavoratori tessili della CISL, depositato presso l'Unione sindacale territoriale di
Vicenza, grazie alla disponibilità di Livio Bortoloso, per circa vent'anni dipendente e delegato del
consiglio di fabbrica della Lanerossi di Schio 1, poi sociologo e custode della memoria storica del
movimento operaio vicentino. Ho consultato anche l'ampia letteratura sulla storia della Lanerossi e
sulle innovazioni introdotte da Alessandro Rossi per portare la sua fabbrica ad espandere la propria
fama anche all'estero. Allo scopo di essere consapevole di questa “storia lunga” del Lanificio ho
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inoltre ritenuto utile corredare la tesi di una cronologia dei i momenti salienti delle vicende
succedutesi alla Lanerossi e alla Marzotto. Ho poi approfondito la storia dell'ENI e dell'artefice del
suo successo nel mondo, Enrico Mattei, che morì nel 1962, proprio nell'anno in cui la Lanerossi fu
rilevata dall'azienda di Stato.
Ho infine realizzato cinque interviste ad operai, impiegati e sindacalisti della Lanerossi, che
sono state molto utili per chiarire alcuni aspetti relativi alla vita di fabbrica e alle vertenze che più
sono rimaste nella memoria di chi, come loro, ha vissuto in prima persona le vicende dell'epoca. I
protagonisti delle interviste sono stati, oltre a Livio Bortoloso, Silvano Dalla Riva, impiegato
programmatore di computer nello stabilimento di Schio 1, Mario Falisi, sindacalista della FILTEA-
CGIL, Egidio Pasetto, anche lui sindacalista della FILTEA-CGIL, e Bruno Oboe, sindacalista della
FILTA-CISL.
Le battaglie sindacali alla Lanerossi hanno sempre svolto il ruolo di apripista nei confronti
delle altre aziende del Vicentino, riuscendo ad anticipare risultati rivendicativi che solo più tardi
furono generalizzati per il resto dell'industria tessile, composta principalmente di piccole aziende.
Tuttavia le difficoltà ad orientare le strategie aziendali in senso positivo per i lavoratori furono
presenti sia con la vecchia proprietà a capitale privato che con la successiva a capitale pubblico. Il
diverso comportamento delle due principali organizzazioni sindacali, CISL e CGIL, ha consentito
alla dirigenza della Lanerossi di poter contare sui contrasti esistenti tra loro per adeguare il livello
delle trattative nel modo a essa più consono, e per evitare imposizioni contrattuali considerate
troppo gravose. Il fatto che negli anni Sessanta gli aspetti ideologici guidassero il modo d'agire dei
sindacati non può essere considerato, a mio avviso, solo un aspetto negativo, perché ha consentito,
l'“alfabetizzazione politica” dei lavoratori nei primi decenni di esistenza della Repubblica, anche se
ha impedito, sino al 1969, di creare un movimento sindacale ampio e unito che contrastasse con la
dovuta energia il potere, quasi senza limiti, che l'imprenditoria italiana ha avuto modo di dispiegare
in quegli anni.
Il contesto dei rapporti sindacali mutò quando si constatò che tra i lavoratori si era diffuso un
sentimento di condivisione degli obiettivi rivendicativi che metteva all'angolo le vecchie
impostazioni ideologiche basate sull'appartenenza politica. Beninteso queste permanevano vive, ma
era considerato prioritario permettere l'avvicinamento tra i lavoratori dipendenti, i quali vivevano la
realtà di fabbrica quotidianamente, per mettere finalmente al centro della lotta sindacale le
contraddizioni che il capitalismo faceva loro subire. Questa consapevolezza fu percepita alla
Lanerossi a causa del progressivo aumento dei ritmi di lavoro e della debolezza dei sindacati
nell'impedire la massiccia perdita di posti di lavoro verificatasi dopo il piano di ristrutturazione che
prese avvio a partire dal 1962. Centrale divenne anche la possibilità di dare finalmente forma ad un
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nuovo modello di rappresentanza dei lavoratori che aprisse le porte a chi il lavoro nei reparti lo
conosceva bene visto che al loro interno ci lavorava, dando avvio alla battaglia per la nascita dei
Consigli di fabbrica in sostituzione delle non più efficaci, forse anche per la poca preparazione dei
loro membri, Commissioni interne, che finivano per rappresentare spesso solo un'appendice
sindacale all'interno delle fabbriche, piuttosto che interpretare le vere esigenze espresse da operai,
tecnici e impiegati. Queste battaglie ottennero dei risultati inaspettati a cominciare dal 1969, che
rappresentò anche una denuncia del fallimento dei progetti di riforma dei governi di centrosinistra,
ed aprirono una stagione nuova nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti. Le
rivendicazioni dei lavoratori ebbero uno straordinario impatto sociale perché si trattò di fermenti
che coinvolsero tutte le fabbriche del Paese, a partire dalle difficili situazioni aziendali vissute in
quegli anni nel settore tessile, come accadde con l'energica lotta sindacale del Lanificio Marzotto di
Valdagno, che riverberò la sua domanda di cambiamento anche sulla vicina Lanerossi, mettendola
sulla strada di innovativi contratti aziendali.
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Capitolo 1
La Lanerossi nel contesto del tessile vicentino
Il Lanificio Rossi
A partire dal 1817, anno di fondazione del Lanificio Rossi, quest'industria della lana ha
rappresentato sempre più un punto di riferimento nazionale per la creazione di lavoro e sviluppo. Al
primo posto per numero di dipendenti e per quantità di tessuto prodotto nel settore laniero
nazionale, la Lanerossi conobbe un'espansione grazie soprattutto all'attività imprenditoriale del
figlio del fondatore, Alessandro Rossi, divenuto direttore della fabbrica di Schio nel 1842, il quale
oltre ad aver indirizzato in modo esemplare l'accrescimento e il perfezionamento tecnico della
manifattura, portò a conoscenza degli ambienti industriali europei, partecipando attivamente ai
diversi Saloni internazionali dell'industria e della tecnica, le produzioni della sua fabbrica. Fu
Alessandro Rossi che nel 1872 trasformò l'assetto societario della Lanerossi costituendo a Milano la
Società anonima Lanificio Rossi. In questo modo la proprietà si socializza attraverso la figura
dell'azionista. Le funzioni di direzione e gestione vengono delegate sempre più a quella nuova
figura professionale che si affaccia nel mondo dell'industria: il manager. Questa scelta renderà
sempre più centrale la figura dei manager all'interno dell'azienda:
La proprietà personale è diventata via via impersonale, appunto mediante la società
anonima o per azioni...La proprietà di tipo individuale o familiare non garantiva
più l'autonomia finanziaria e la gestione razionale alle imprese maggiori. Cresceva
sia il fabbisogno di capitali, e quindi di investitori, che di competenze, e quindi di
tecnici: bisognava quindi frazionare il rischio e professionalizzare la gestione
1
.
Inoltre, Alessandro Rossi, scrisse alcuni volumi dedicati all'arte della lana e all'economia in
generale, rendendolo apprezzato e invidiato nel mondo dell'imprenditoria. Il suo ingresso in
parlamento fu il coronamento dell'alto prestigio raggiunto dall'industriale laniero nel contesto
economico e politico dell'Italia unita.
Il Lanificio Rossi rappresentò un esempio a livello nazionale di educazione dei propri
dipendenti ad una vita operaia basata sulla fedeltà all'azienda attraverso la condivisione dei valori
1 ARIS ACCORNERO, Il mondo della produzione, Bologna, Il Mulino 1994, p. 98.
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cristiani di unità sociale che caratterizzavano il territorio vicentino. Quest'opera di fidelizzazione
verso i propri lavoratori venne ripresa anche da altre aziende soprattutto del “triangolo industriale”
durante la seconda metà del diciannovesimo secolo ed ebbe dei risultati significativi soprattutto nel
controllare ed arginare le eventuali ondate di protesta che sarebbero potute crescere in un ambiente
di fabbrica non guidato da queste forme di paternalismo educativo. Nel libro del sociologo
dell'industria Aris Accornero Il mondo della produzione si fa cenno all'importanza di queste
istituzioni sociali a disposizione dei dipendenti per cercare di instillare in loro la fiducia nella
logiche del progresso capitalista, che avrebbero finito per avvantaggiare anche loro:
Un'opera educativa non trascurabile venne inoltre dalle scuole serali o
professionali e da istituzioni caritative o filantropiche...Sia l'alfabetizzazione di
base sia l'istruzione professionale diedero un contributo formativo che si nutriva di
positivismo, di scientismo, e anche di riformismo sociale, con cui si divulgava una
filosofia industrialista e una ideologia del progresso
2
.
Le strutture sociali che orbitavano attorno alla Lanerossi sopravvissero per quasi un secolo e
rappresentarono un modello esemplare di coinvolgimento del mondo operaio nella vita dell'azienda.
È stato sottolineato come per tutti gli anni Cinquanta il paternalismo rimase il fulcro della politica
aziendale: «l'uso della concessione della minestra ai pensionati, l'assegnazione di case ai lavoratori,
il licenziamento con la contropartita dell'assunzione del figlio/a nelle consociate, ecc., sono tutti
tentativi di conservare una “comunità integrata” con i valori della propria professionalità e della
affermazione e successo aziendali (circoli, club dei “Lanerossini”, inni in onore dell'azienda,
ecc.)»
3
. A Vicenza come altrove al tema dell'abitazione fu riconosciuto un ruolo di primo piano per
il controllo della manodopera. Secondo uno studio pubblicato nella rivista «Classe» «lo scopo non
si configura come soddisfacimento di un bisogno sociale, ma come momento organico dello stesso
sviluppo capitalistico; l'intervento capitalistico consente allo stesso tempo il rastrellamento della
mano d'opera a basso costo sparsa nel territorio e il suo controllo in “istituzioni” che ne assicurino il
massimo rendimento»
4
.
Per l'operaio stesso la funzione svolta in fabbrica cominciò ad essere sempre più indice di
orgoglio professionale, soprattutto nei reparti dell'industria tessile, come la tessitura, dove l'abilità
era un requisito fondamentale per svolgere correttamente la mansione. La difesa del proprio lavoro
si organizzò nel sindacato in proporzione al valore del lavoro che veniva percepito dall'operaio
2 Ivi, p. 57.
3 ENRICO MARCHESINI, ATTILIO MASIERO, Il caso tessile, Milano, Mazzotta Editore 1975, p. 57.
4 ELEONORA ARIANO, GIANPAOLO CANA VESI, MAURIZIO GAY , NICOLETTA RIVA, FERNANDA
SABATELLI, LUIGI TRABATTONI, I dormitori-convitto e i villaggi operai in una zona tessile del Nord
Milano, in «Classe», (IX), n.14, ottobre 1977, p. 154.
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stesso:
Nei paesi dove l'industria nasceva e si affermava, gli ideali lavoristi del movimento
operaio erano in genere più seguiti, almeno all'inizio, dai lavoratori muniti di
maggiore qualificazione, il cui lavoro veniva nobilitato dall'orgoglio professionale.
Così l'operosità diventava un valore anche per il proletariato, che cercava una
legittimazione sociale attraverso il lavoro, proprio come la borghesia. Ambedue si
disputavano infatti il lavoro come un valore del quale ognuno si diceva portatore
autentico. Ciò diventava evidente quando le organizzazioni operaie concordavano i
tempi di produzione, o formulavano alternative produttive
5
.
Con la crescita nell'ultimo decennio dell'Ottocento anche nella Lanerossi delle leghe
sindacali, rosse o bianche che fossero, si allargava negli stabilimenti dell'azienda quel forte senso di
appartenenza ad una professione che sostituiva nella vita del lavoratore il lavoro nei campi e che
rappresentava sempre più la fierezza del dipendente Lanerossi di fare parte di una delle industrie più
produttive e innovative del Paese. La manodopera considerata più adatta alle esigenze dell'industria
tessile erano le donne e dall'Ottocento sino agli anni Cinquanta sono state loro le protagoniste in
questo settore:
macchinari e attrezzature avevano reso il lavoro industriale talmente facile che
potevano facilmente eseguirlo donne e bambini: nelle fabbriche tessili, le loro
manine erano considerate insostituibili
6
.
L'industria tessile nel Vicentino
La provincia di Vicenza è stata una terra tradizionalmente legata all'agricoltura come attività
principale. I lavoratori attivi nel settore agricolo censiti nel 1961 si erano però ridotti a sole 46.500
unità su di una popolazione provinciale di 615.000 abitanti, se consideriamo che nel censimento
precedente del 1951 i lavoratori agricoli che erano stati censiti risultavano essere 84.598
7
.
Riferendosi ai dati raccolti dall'ISTAT nell'aprile del 1959 durante una “Rilevazione nazionale delle
forze di lavoro” che stimavano in provincia di Vicenza in 49.000 gli occupati in agricoltura, il
giornalista Armando Gervasoni de «Il Gazzettino» riportava in un suo articolo delle specificazioni
riguardo le caratteristiche di questi lavoratori: il 60% (36.000 persone), era composto da piccoli
5 A. ACCORNERO, Il mondo della produzione, cit., p. 58.
6 Ivi, p. 138.
7 Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Vicenza (CCIAA), Compendio statistico
vicentino, Vicenza, 1978, pp. 27-28.
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coltivatori diretti, il 23% da affittuari (14.000), una fetta di piccoli proprietari che integra il pezzo di
terra con un altro presa in affitto, il 14% (8.600) e un'ulteriore fetta di mezzadri, soprattutto
concentrati nella zona di Bassano del Grappa, il 4% (2.200)
8
. L'attività industriale occupava 80.000
lavoratori, ma quelli che cercavano di abbandonare il lavoro ancestrale dei propri padri per entrare
in fabbrica, dove lo stipendio era assicurato e la possibilità di abitare in una casa salubre era un
obiettivo molto più raggiungibile, coinvolgeva in provincia almeno il doppio di persone. Gli
interventi per aiutare i Comuni riconosciuti dallo Stato come “aree depresse”, a seguito dell'entrata
in vigore della legge n° 635 del 29 luglio 1957, evidenziava due aspetti: l'arretratezza di molte zone
del Veneto alla vigilia del «miracolo economico» e il distacco sociale della classe operaia dalla
realtà rurale circostante
9
. Possiamo dire che lo sviluppo italiano che si andava profilando in questi
anni andava costituendo una classe media con esigenze molto diverse dal passato, in termini di
qualità della casa, di qualità del lavoro, di esercizio del tempo libero come avveniva già da decenni
nel mondo statunitense da dove arrivava il modello di crescita economica seguito dall'Italia dal
dopoguerra.
Entrare a far parte della classe operaia rappresentava la possibilità di garantirsi un futuro
migliore lontano dalle fatiche del raccolto nei campi. A Valdagno con la Marzotto, a Schio con la
Lanerossi e ad Arzignano con l'industria meccanica Pellizzari, la provincia si confermava come una
delle più dinamiche del Nord-Est e il prestigio che portavano in dote grazie alla loro storia
industriale faceva sì che ancora negli anni Sessanta fosse un privilegio di non poco conto essere
assunti alle loro dipendenze. Anche se per il settore tessile si cominciava a profilare la concorrenza
delle economie emergenti dei «Paesi in via di sviluppo», la centralità economica della presenza nel
Vicentino della Lanerossi e della Marzotto era pressoché intatta. Era comunque preferibile entrare
in una grande fabbrica piuttosto che essere assunti nella piccola impresa tessile dove i salari non
erano rispettati come avrebbe dovuto garantire il contratto nazionale del settore. I molti giovani che
cercavano lavoro erano disponibili a lavorare anche a basse paghe piuttosto che rimanere a fare i
contadini come i genitori ed esisteva quindi una fascia di lavoratori deboli sul mercato del lavoro e
che non poteva reagire alle inadempienze contrattuali per il rischio di essere immediatamente
licenziata. Nella grande fabbrica esisteva il contrappeso del sindacato che riusciva, attraverso lotte
organizzate, con il lavoro delle Commissioni Interne e delle Sezioni aziendali sindacali (SAS), a far
rispettare, seppure con difficoltà, il contratto nazionale.
8 ARMANDO GERV ASONI, Scuola e casa: punti di partenza per rinnovare l'ambiente contadino, «Il
Gazzettino di Vicenza», 3 settembre 1960; Istituto Regionale per lo Sviluppo Economico e Sociale del
Veneto (IRSEV), Le province venete nell'ultimo cinquantennio, Venezia, Stabilimento Zincografico S.
Marco, 1960, p. 290.
9 NADIA OLIVIERI, Il Veneto e la legislazione sui comuni e sulle aree depresse (1949-1966), in Annali
della Fondazione Mariano Rumor, a cura di FILIBERTO AGOSTINI, n. 3, 2009, Vicenza, pp. 95-130.
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