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Introduzione
L’attività di ricerca esposta in questo lavoro è il frutto della mia
permanenza a Monaco di Baviera, in Germania, da Marzo a Luglio 2012,
dove ho avuto modo di collaborare con l’Ufficio Affari Sociali del
Consolato Generale d’Italia e gli Uffici Migrazione della Caritas.
L’attività di osservazione e collaborazione che ho svolto presso tali
strutture mi ha permesso di scoprire l’esistenza di “un’Italia oltre l’Italia”.
Da quì è nata la decisione di svolgere un’indagine di stampo quantitativo e
qualitativo sul fenomeno dell’emigrazione italiana in Germania.
Il processo di integrazione del migrante italiano in Germania, partito nel
1955 con l’accordo bilaterale tra Italia e Germania, ha dato inizio ad un
processo migratorio che persiste ancora oggi, anche se con delle differenze,
rispetto a ieri, che sono dovute all’evoluzione di un mercato del lavoro
odierno “più flessibile e specializzato”.
Tale evoluzione genera enormi difficoltà per tutti quegli emigrati che, non
avendo una preparazione scolastica e professionale adeguata alle richieste
provenienti dal mondo lavorativo tedesco, si trovano spiazzati e fuori da
ogni logica sia lavorativa che sociale.
Il lavoro oggetto di questa tesi offre, a seguito di una ricapitolazione storica
che va dagli anni ’50 agli anni ’90 del secolo scorso, la traduzione in
italiano dei dati ricavati dall’inchiesta di Christian Bubka von Gastomski
pubblicata nel 2010 per conto del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge
(Ufficio Federale per l’immigrazione e i rifugiati) inerente ai progressi
dell’integrazione degli stranieri in Germania. Dall’inchiesta di Gastomski,
che prende in considerazione i cinque gruppi di stranieri più numerosi in
Germania (Turchi, Greci, Italiani, Polacchi, persone provenienti dall’ ex
Jugoslavia) ho estratto i dati relativi agli intervistati italiani.
Successivamente il testo propone un focus sulla comunità italiana in
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Baviera, in particolare su Monaco di Baviera, la città dove ho lavorato a
questa ricerca, analizzando i dati ricavati dalla relazione del Presidente del
Com.It.Es. di Monaco, Claudio Cumani, alla Commissione Continentale
“Europa e Africa del Nord” del Marzo 2011 e si sofferma sulla questione
della formazione scolastica e del lavoro. Le informazioni ricavate sono
frutto di interviste da me svolte attraverso un’ottica differente da quella del
testo di Gastomski, partendo non dai progressi, ma dalle difficoltà
riscontrate nella vita pratica dai nostri connazionali che vivono in stato di
indigenza. Viene dunque spiegato il lavoro svolto dall’Ufficio Affari
Sociali del Consolato Generale d’Italia a Monaco di Baviera e l’aiuto dei
centri Caritas che, come altre realtà presenti sul territorio, supportano i
nostri connazionali che vivono situazioni di difficoltà socio-economiche,
linguistiche e abitative.
In seguito la ricerca propone, prima di spiegare come opera l’assistenza
sociale tedesca, quali sono e come vengono erogati i sussidi per il
sostentamento ed il minimo individuale per coloro che cercano lavoro, per
poi soffermarsi sul Case Management svolto dagli uffici della Caritas nei
confronti degli utenti. Il lavoro si conclude con l’illustrazione della
“Zuwanderungsgesetz”, la legge del 2005 sui corsi di integrazione indetti
dal Ministero, e con uno sguardo sulla problematica relativa all’emergenza
abitativa che vivono gli indigenti di Monaco le cui informazioni sono state
ricavate tramite ricerca sul campo.
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I. Considerazioni preliminari sulle motivazioni e circostanze
dell’emigrazione italiana.
L’ emigrazione europea, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha
visto come paesi di destinazione soprattutto la Francia, la Svizzera, il
Belgio e la Germania ed era considerata da larga parte degli emigranti una
soluzione temporanea volta ad accumulare capitali per costruirsi un futuro
migliore in Italia.
Dalla firma dell’ accordo bilaterale tra Italia e Germania nel 1955, patto tra
i due paesi che comportò il trasferimento oltre Alpe di migliaia di italiani in
cerca di lavoro, si è giunti oggi alla presenza sul suolo tedesco di circa
650.000 cittadini italiani fino alla quarta generazione per lo più di origine
siciliana, calabrese, abruzzese, pugliese e campana, ma anche veneta ed
emiliana.
Come si può notare, dunque, larga parte degli emigrati italiani proveniva
dal Sud della nostra penisola vista l’assenza di opportunità lavorative, a
differenza dei connazionali del Nord che trovavano più facilmente
occupazione all’interno delle industrie, assenti al Sud.
Lo strascico della questione meridionale investe tutto il novecento, è la
molla scatenante di un’emigrazione che vede, in Germania, la comunità di
italiani incrociarsi ai due lati di un bancone, da un lato l’emigrazione
storica che odora ancora di Gastarbeiter, dall’altra quella dei professionisti,
distanti anni luce dai ristoratori meridionali trasferitisi negli anni ’70.
La migrazione italiana verso Nord, che ha vissuto nel corso negli anni ’90
una situazione di stallo, oggi appare in nuovo fermento. I motivi sono
dettati dalla possibilità di avere un lavoro migliore, un miglior salario e
maggior tutela da parte del sistema previdenziale. Altri, i più giovani,
8
partono attratti dal mito di città come Berlino, affascinati da quella realtà
creativa ed economica, ma spesso, dopo gli entusiasmi iniziali, si trovano a
fare i conti con una cultura radicalmente diversa dalla propria.
Dai primi anni 2000 il flusso migratorio vede l’introduzione di una nuova
tipologia di migrante italiano, quella del laureato o del professionista. Si
tratta della cosiddetta “fuga dei cervelli” che dal 2000 ha visto ben 395.233
laureati italiani all’estero
1
e tra 2000 e 2007 un aumento del 40% dei
laureati
2
che lavorano nei paesi facenti parte dell’ Organizzazione e
Cooperazione dello Sviluppo Economico (OCSE).
Il motivo che spinge i giovani italiani ad emigrare è sicuramente causato
dalla mancanza di impieghi adeguati al livello di preparazione raggiunto,
particolarmente nei campi di scienza e tecnologia.
Inoltre, chi decide di spendere la propria laurea all’estero guadagna di più; i
laureati specialistici italiani che si sono trasferiti a un anno dalla laurea in
altri Paesi (Germania e Francia fra tutti) guadagnano 1.568 euro mensili
contro i 1.054 dei colleghi rimasti nella madrepatria. Sempre la stessa
categoria di laureati, a 5 anni dal raggiungimento del titolo guadagna 2.207
euro contro i 1.295 di chi resta in Italia.
Esaminando il livello delle retribuzioni per tipologie di laurea emerge che
un neolaureato in Ingegneria, in Francia, nel 2008 guadagnava 32 mila euro
all’anno, contro i 20 mila dell’Italia
3
.
Nel 2005, per l’Italia il saldo negativo tra immigrati ed emigranti laureati
tra i 20 ed i 34 anni è corrisposto ad una perdita netta di reddito annuale
pari a 760 milioni di Euro, che ha comportato una diminuzione annua del
1
Frèderic Docquiera and Hillel Raport, “QQuantifying the Impact of Highly-Skilled
Emigration on Developing Countries” per Fondazione Debenedetti – XI European
Conference “Brain Drain and Brain Gain”,Pisa – 23.05.2009
2
“Vado o resto?” Rapporto al XII Conveglio Nazionale dei giovani imprenditori edili dell’
ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili).
3
Consorzio universitario Almalaurea, “Condizione occupazionale dei Laureati – XIII
indagine 2010”,marzo 2011: www.almalaurea.it/universitalia/occupazione.
9
PIL pari a 1,2 miliardi di Euro e minori entrate fiscali per 524 milioni di
Euro.
Se l’Italia avesse lo stesso saldo della Germania, potrebbe veder aumentare
il proprio reddito disponibile di 13 miliardi di Euro, con un impatto sul PIL
di 20 miliardi di Euro e un aumento delle entrate fiscali di 9 miliardi di
Euro
4
.
Oggi, il flusso migratorio proveniente dai paesi in crisi dell’area
mediterranea, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, vede nella
Germania la destinazione privilegiata, paese che sta resistendo molto bene
alla crisi economica europea da invogliare migliaia di lavoratori a cercarvi
fortuna.
La Agentur für Arbeit, l’Agenzia del lavoro tedesca, ha rilevato nel Maggio
2012 che nel giro di un solo anno il numero di cittadini italiani, greci,
spagnoli e portoghesi che lavorano in Germania è cresciuto del 6,5%. Un
vero e proprio esodo di massa che vede al primo posto la Spagna, paese che
secondo i dati Eurostat sta subendo una disoccupazione giovanile del
52,7%, cifre analoghe alla Grecia.
In Italia la situazione non è meno preoccupante con il 36,2% di giovani
disoccupati, anche se i dati risultano falsati considerato che figurano come
occupati migliaia di giovani i quali senza l’aiuto economico delle famiglie
non riuscirebbero a vivere.
4
Giovani chi li ha visti? Il PIL mancato di una generazione fantasma, I-COM Istituto per
la Competitività.
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II. Dall’accordo bilaterale del 1955 alla caduta del muro.
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale l’Italia deve fare i conti con
un’economia fortemente dissestata che, nonostante gli aiuti del Piano
Marshall
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provenienti dagli USA, continua a basarsi sull’agricoltura, pur
mostrando, al nord della penisola, un incremento dell’attività industriale.
La Germania, dilaniata dal conflitto bellico, vede nascere al suo interno due
stati tedeschi indipendenti: la BRD
6
ad ovest e la DDR
7
ad est.
Quest’ultima, direttamente legata all’Unione Sovietica e in piena Guerra
Fredda, chiude ogni ponte con il mondo Europeo occidentale, a differenza
della Repubblica Federale Tedesca (BRD) principale partner commerciale
dell’Italia insieme agli Stati Uniti.
Le relazioni economico-politiche tra l’Italia e la Germania Federale
ripartono da un reciproco bisogno, come spiega Rieder
8
: << … già nel
1946 i governi militari avevano stretto accordi con l’Italia per lo scambio
di carbone, ferro e acciaio in cambio di prodotti agrari. Per finanziare le
importazioni di materie prime, indispensabili per la ricostruzione, l’Italia
aveva impellente necessità di esportare prodotti finiti e frutta. Uno dei
maggiori problemi per l’economia italiana del dopoguerra era la
mancanza di energia elettrica>>.
Dai primi anni ‘50 del Novecento la Germania mostra una ripresa
economica che non coinvolge in modo omogeneo tutti i territori per cui le
5
Piano di agevolazioni economiche ideato dallo statunitense George Marshall nel
1947 che prevedeva lo stanziamento di tredici miliardi di dollari per facilitare la ripresa
economica europea.
6
BundesRepublikDeutschlands, in italiano Repubblica Federale Tedesca
7
DeutscheDemokratischeRepublik, in italiano Repubblica Democratica Tedesca
8
Rieder, Migrazione ed economia. L’immigrazione italiana verso la Germania
occidentale dopo la seconda guerra mondiale, in <<Studi Emigrazione/Migration
Studies>> anno XLI, n.155, Roma, 2004.
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stime di disoccupazione in linea generale restano alte ma in alcune zone si
avverte, in prospettiva, un bisogno di manodopera.
Il lungimirante ministro dell’ economia tedesca Ludwig Erhard intuì che se
non si fosse provveduto al reclutamento di manodopera estera le regioni più
sviluppate avrebbero subito gravi ripercussioni sulla produzione, vista
anche l’intenzione del governo Adenauer di reintrodurre il servizio militare
obbligatorio.
Sotto la pressione del governo di Alcide De Gasperi, che minacciava una
riduzione delle importazioni, il governo tedesco decise di stipulare un
accordo con l’Italia per uno scambio di lavoratori tra i due paesi. Questa
intesa aprì un viatico verso l’accordo bilaterale che vedrà dal 1955, solo
due anni dopo, la manodopera italiana impiegata nella Germania Federale.
Prima dell’ intesa si risolsero questioni quali il sussidio di disoccupazione
per i lavoratori stagionali, il quale non poteva essere trasferito in Italia, a
differenza degli assegni familiari che potevano essere inviati alla famiglia
che risiedeva in Italia.
Tre gli elementi fondamentali dell’accordo bilaterale:
• Equiparazione dei diritti socio-politici delle due manodopera
• Equiparazione dei salari
• Sistemazione adeguata per i lavoratori italiani.
Le modalità di impiego erano gestite da un centro di reclutamento, sito a
Verona, dove una commissione tedesca svolgeva un’attività di filtro dei
lavoratori intenzionati ad emigrare sul suolo tedesco occupandosi sia della
collocazione lavorativa rispetto alle attitudini dei salariati, sia alle visite
mediche alle quali quest’ultimi erano sottoposti.
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Dal racconto del sig. E. Cassitto, emigrato come Gastarbeiter
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per la prima
volta in Germania nel 1960 all’età di 20 anni ed impiegato nell’industria
automobilistica, emerge il profondo disagio nel ricordare quel centro
Veneto vista la lunga trafila burocratica alla quale tutti erano sottoposti,
considerato il dilagante analfabetismo che comportava stress nella
compilazione dei moduli.
Le proposte lavorative partivano dal datore di lavoro tedesco che
richiedeva mansioni ben precise e stabiliva orari lavorativi, condizioni
contrattuali e informazioni logistiche; il tutto trasmesso all’Arbeitsamt
(ufficio di collocamento) che fungeva da ponte con l’ufficio di Verona il
quale a sua volta lavorava in sinergia con i circa 8.000 uffici di
collocamento disseminati sul territorio italiano.
Sulla base degli accordi tra i due paesi la durata del contratto non doveva
superare un anno con la possibilità di rinnovo tramite richiesta ad un ufficio
del lavoro tedesco, ottenendo contestualmente il rinnovo del permesso di
soggiorno.
Nei primi anni gli italiani vengono impiegati nel settore agricolo; dal 1957
crescono gli occupati nel settore dell’industria mineraria, nell’ edilizia e
cave di pietra. Nel 1960 il numero degli impiegati italiani è di 141.168
unità in particolare nel settore edilizio e metallurgico. L’estensione dell’
impiego nel settore tessile e dell’ alimentazione fa salire il numero a
165.667 unità (Fonte Steinert,1993).
9
in tedesco significa "lavoratore ospite". Il termine è stato coniato durante gli anni
cinquanta del XX secolo per designare il gran numero di lavoratori stranieri immigrati
nella Germania occidentale. In Germania Ovest, durante il boom economico e la
cosiddetta piena occupazione del periodo 1950-1970, vi era scarsità di manodopera
disponibile per i lavori poco qualificati, in particolare nell'industria mineraria e
automobilistica, nell'edilizia ed in altre attività ad alta intensità di lavoro. Perciò,
facendo ricorso ad appositi accordi bilaterali di reclutamento, a partire dal 1955 furono
assunti dei lavoratori immigrati, principalmente di sesso maschile, provenienti da altri
Stati europei (i cosiddetti Anwerbestaaten). I primi ad essere chiamati come
Gastarbeiter sono stati gli emigrati negli anni '50.