4
INTRODUZIONE
Le risorse energetiche hanno rivestito in ogni epoca e periodo un’importanza
strategica, che si trattasse di legno da bruciare, di carbone o, in epoca più
moderna, di petrolio e gas naturale.
Questo ruolo centrale delle fonti energetiche nella società moderna ha assunto
proporzioni considerevoli dalla Rivoluzione Industriale in poi, fino ad arrivare al
XX secolo, con lo sfruttamento intensivo del petrolio e dei suoi derivati tanto
nell’industria quanto per assolvere ai bisogni quotidiani delle popolazioni.
Proprio il caso del petrolio ha consentito di mettere in luce lo stretto
collegamento tra le decisioni di natura politica e le ripercussioni sulla questione
energetica: ne è una prova il blocco delle esportazioni deciso dai paesi arabi
dell’OPEC in risposta all’appoggio fornito dalle potenze occidentali a Israele
durante e dopo la guerra del Kippur del 1973.
Le crisi petrolifere degli anni ’70 hanno dunque dimostrato come un’improvvisa
variazione delle forniture energetiche possa considerevolmente danneggiare le
economie dei paesi importatori.
1
Si è cominciato così a parlare di sicurezza energetica, per indicare il bisogno di
garantire in modo costante e duraturo la fornitura energetica a ciascun Paese.
La necessità di sicurezza ha dunque contribuito a sviluppare la ricerca di nuove
fonti energetiche, per evitare di subire le incertezze del mercato; tra queste, il
gas naturale ha conosciuto un consumo progressivamente sempre più
importante nel corso degli anni ’80 e ’90 per poi ritagliarsi un ruolo principale sul
palcoscenico mondiale dall’inizio del secolo in corso.
1
La seconda crisi petrolifera avvenne nel 1979, in seguito alla rivoluzione iraniana guidata
dall’ayatollah Khomeini e al rovesciamento del regime dello scià Reza Pahlavi, che causò una
sospensione nell’estrazione di petrolio e un conseguente rialzo del prezzo a livello mondiale.
5
Il successo del gas naturale può esser letto sotto diversi punti di vista, a partire
dalla risposta agli shock petroliferi e quindi al bisogno di diversificare il paniere
energetico dei vari paesi, ma anche, in una prospettiva di lungo periodo, per far
fronte al progressivo esaurimento dei giacimenti petroliferi.
Vi è poi un terzo motivo, che va letto alla luce del recente impegno nei confronti
della salvaguardia del pianeta: il gas naturale ha infatti la caratteristica di
inquinare meno rispetto al petrolio o ad altre fonti energetiche come il carbone.
Si presenta dunque come maggiormente adatto al percorso che stanno
intraprendendo gli Stati e le organizzazioni internazionali verso la riduzione
dell’impatto dell’attività umana sull’ambiente.
Questa diversificazione risponde anche a delle esigenze del tutto nuove e ad un
consumo energetico in aumento rispetto al passato, che va di pari passo non solo
con l’aumento della popolazione mondiale, ma anche con lo sviluppo economico
ed industriale di Paesi come i BRICS, per lungo tempo relegati in una posizione di
secondo piano.
Il gas naturale si presenta dunque, in questo inizio secolo, come una risorsa
importante per assicurare il soddisfacimento del fabbisogno energetico degli
Stati.
Questa caratteristica delle risorse naturali le rende particolarmente interessanti
agli occhi dei decisori politici, che fanno della sicurezza energetica un punto
cruciale della gestione della cosa pubblica.
Come ricorda Tsereteli: “L’interesse per la sicurezza economica ha sempre
guidato lo sviluppo politico e societario degli stati, e, ora più che mai, la
possibilità di accedere alle risorse e ai mercati è in grado di determinare la
geopolitica del XXI secolo”
2
.
2
M. Tsereteli, Economic and Energy Security: Connecting Europe and the Black Sea-Caspian
Region, Silk Road Paper, Marzo 2008, p. 16.
6
Appare dunque evidente il legame con la politica e con le relazioni internazionali:
gli Stati non sono solo interessati all’acquisto delle risorse, ma sono spesso
coinvolti anche nella loro protezione e nella loro gestione.
Questo discorso è valido soprattutto nel caso del petrolio e del gas naturale, in
ragione del fatto che queste risorse non devono soltanto esser estratte, ma
anche trasportate dal Paese produttore al Paese consumatore, talvolta
transitando per Paesi terzi.
Le risorse naturali possono dunque influire pesantemente sui rapporti tra stati, e
volendo fare un parallelo tra petrolio e gas, quest’ultimo è sicuramente quello
più legato al trasporto via terra e alle infrastrutture, perché vincola i paesi
contraenti nella creazione del gasdotto.
Per comprendere meglio l’importanza di questo punto basti pensare che un
chilometro di gasdotto può arrivare a costare 1-2 milioni di dollari; perciò, se le
relazioni tra i paesi si modificano, sarà difficile sostituire le forniture in tempi
brevi.
In questo quadro vanno dunque inserite ulteriori considerazioni, come, ad
esempio, la localizzazione dei giacimenti di gas naturale, e sembra
particolarmente interessante la situazione dei paesi dell’Asia Centrale.
3
La dissoluzione dell’URSS ha infatti permesso alle cinque repubbliche dell’Asia
Centrale di ottenere una completa autonomia politica, e ha dunque anche
comportato un’autonomia nella gestione delle risorse energetiche di cui l’Asia
Centrale è particolarmente ricca, con una netta predominanza del gas naturale
4
.
La dotazione di risorse energetiche centroasiatica ha destato gli appetiti non solo
delle grandi potenze confinanti, quali Russia e Cina, ma anche di Stati Uniti e
Unione Europea, che hanno progressivamente inserito la regione, rimasta fino ad
allora alla periferia del sistema internazionale, tra le loro priorità.
3
In questa sede con il termine Asia Centrale si farà riferimento alle repubbliche di : Kazakistan,
Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan.
4
J.P. Dorian., Central Asia: A major emerging energy player in the 21
st
century, Energy Policy n.
34, 2006, p. 544.
7
Si rende necessario precisare che questi paesi, oltre all’interessante patrimonio
energetico, sono situati in una zona di altissimo peso strategico, soprattutto alla
luce di fatti di capitale importanza verificatisi negli ultimi vent’anni: uno su tutti
l’attacco alle Torri Gemelle di New York del 2001, che ha scatenato la guerra in
Afghanistan, paese che confina con tre dei cinque stati centroasiatici.
Sempre facendo riferimento ai confini si può citare l’Iran, da anni al centro di una
querelle internazionale centrata sull’arma nucleare. La questione del nucleare
non è di secondaria importanza nell’area, infatti si può notare come quasi tutti gli
stati limitrofi alla regione si siano dotati di un arsenale: la Russia, la Cina, l’India e
il Pakistan.
Tra i quattro paesi sopracitati vi sono poi delle grandi potenze come la Russia, ex
campione regionale, e la Cina, che cerca di ritagliarsi un ruolo sempre più
importante nell’area.
Alla luce di queste considerazioni preliminari ci si può chiedere se e come il
patrimonio energetico influisca sulle relazioni internazionali della regione, sia a
livello intraregionale che a livello internazionale vero e proprio, senza trascurare
le peculiarità interne alla situazione politica delle repubbliche centroasiatiche e al
loro difficilissimo state-building.
Dopo una necessaria premessa sulla situazione storico-politica delle repubbliche
ex-sovietiche si procederà dunque ad un’analisi dell’effettiva situazione delle
risorse naturali, ed in particolar modo del gas, facendo riferimento alle differenze
tra le cinque repubbliche.
Ci si domanderà inoltre se la ricchezza a livello energetico non rischi di
precipitare i paesi nella cosiddetta “maledizione delle risorse”, rallentando
ulteriormente uno sviluppo economico e politico già frenato e contribuendo a
creare economie di rendita a favore delle élites al potere.
Questo ed altri fattori come lo status giuridico incerto del Mar Caspio e le
minacce alle infrastrutture provenienti da gruppi criminali di vario genere
8
consentiranno in seguito di far luce sulle problematiche della sicurezza
energetica, tanto dei paesi fornitori quanto dei paesi importatori di gas naturale.
Proprio in questa prospettiva si tenterà infine di fornire un quadro il più possibile
esaustivo del peso che hanno e potranno avere in futuro il gas naturale e le
risorse energetiche in generale nelle relazioni di queste cinque repubbliche con
le principali potenze mondiali
5
.
Nel corso della trattazione si includeranno anche paesi come il Kirghizistan e il
Tagikistan, che, sebbene non particolarmente rilevanti dal punto di vista della
produzione di idrocarburi e di gas naturale, sono tuttavia fondamentali per
molteplici ragioni, una tra tutte il fatto che siano territorio di passaggio di alcune
infrastrutture.
Si cercherà inoltre di inserire i paesi in una prospettiva di regionalismo,
evidenziandone le caratteristiche divergenti rispetto a modelli maturi come
quello europeo ma non per questo meno necessari soprattutto a causa della
marcata interdipendenza nella dotazione di risorse energetiche ed idriche.
Ancora una volta appare quindi necessario non trascurare il Kirghizistan e il
Tagikistan, centrali soprattutto per quanto riguarda la problematica dell’acqua, e
determinanti nel tentativo di fornire un quadro non eccessivamente settoriale e
frammentario della regione centroasiatica.
In ultimo si rende necessaria una precisazione su un concetto che verrà
ripetutamente utilizzato nel corso della trattazione, e cioè quello di geopolitica.
Questa disciplina affonda le sue radici nei secoli passati per rendere conto di tutti
quei problemi politici che traggono origine da fatti attinenti alla posizione
geografica dello stato o delle sue popolazioni. La geopolitica ha conosciuto
alterne fortune e strumentalizzazioni da parte dei regimi totalitari che se ne sono
serviti come giustificazione per le politiche di aggressione territoriale.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la disciplina ha vissuto dunque un periodo
oscuro, ma nel corso degli anni ’70-’80 ha riacquistato peso e credibilità
5
Si affronteranno principalmente le relazioni con Russia, Cina, Stati Uniti e Unione Europea.
9
scientifica, soprattutto se la si vede come un mezzo utile nel campo delle
relazioni internazionali per studiare i rapporti di forza per il controllo dello
spazio e delle risorse, e non come dogma per istituire relazioni deterministiche
tra posizione geografica e relazioni internazionali.
6
Nel corso della trattazione si farà perciò riferimento al concetto di geopolitica
nella prima accezione, consapevoli del fatto che non vi è una definizione univoca
della disciplina.
6
Si faccia riferimento a Geopolitica, da http://www.treccani.it, consultato il 15 Ottobre 2012.
10
CAPITOLO I
L’ASIA CENTRALE, CREATURA NUOVA E
PROBLEMATICA
Il 1991 ha rappresentato uno spartiacque fondamentale per la storia mondiale,
sancendo la fine dell’Unione Sovietica e delle Relazioni Internazionali che
avevano fatto seguito alla Seconda Guerra Mondiale.
Improvvisamente è venuto a mancare il grande rivale degli Stati Uniti,
trasformando l’ordine internazionale da bipolare a unipolare per almeno tutto il
resto degli anni ’90, per poi tramutarsi nuovamente negli anni 2000, con
l’affacciarsi di nuove potenze quali ad esempio quella cinese, e andando forse
nella direzione di un multipolarismo.
Questo importante cambiamento non ha avuto una pesante influenza solo a
livello globale, ma ha sancito formalmente l’autonomia dei Paesi che gravitavano
nell’orbita sovietica, con esiti differenti.
Nel caso ad esempio delle tre repubbliche baltiche, che già mal sopportavano la
presenza sovietica, si è trattato di un processo non semplice ma voluto e
accompagnato da uno sforzo di modernizzazione e di connessione con la realtà
internazionale.
Nel caso degli stati tradizionalmente più legati a Mosca, come le cinque
repubbliche dell’Asia Centrale, il passaggio dall’ordine sovietico alla caotica ed
incerta realtà post-1991, ha posto numerosi problemi
1
.
Nel corso del capitolo si cercherà di analizzare sinteticamente la traiettoria post-
sovietica di queste cinque repubbliche, individuandone le caratteristiche socio-
politiche principali e le problematiche più evidenti.
1
A. Colombo, Frammentazione e ordine internazionale: i sistemi regionali post-unitari e il nuovo
arco dell’instabilità, Quaderni di Relazioni Internazionali, n. 3, Dicembre 2006, p.76.
11
Al fine di evitare una trattazione troppo schematica e compilativa si sceglierà di
volta in volta di mettere in luce esempi e caratteristiche di ognuno, con
l'eccezione del Kazakistan, che, data anche la sua statura regionale ed
internazionale, rappresenterà una sorta di fil rouge e verrà continuamente
richiamato nelle varie sezioni.
Ci si concentrerà in particolare sulle difficoltà nello state-building e sulla
persistenza di regimi autoritari, aspetti che possono avere un forte peso tanto
nella dimensione delle relazioni internazionali quanto nella questione energetica.
12
1.1 La dissoluzione dell’URSS e la nascita delle 5 repubbliche
Per poter comprendere i meccanismi che stanno alla base della realtà politica
attuale dell’Asia Centrale occorre fare una premessa storica. Si cercherà dunque
di individuare i fattori di cambiamento introdotti durante l’ultima convulsa fase
dell’URSS e la reazione delle cinque repubbliche ex-sovietiche. Nondimeno è
necessario tener presente l’influenza della colonizzazione russo-sovietica sulla
geografia attuale della regione e in ultimo vedere se è possibile ritrovare delle
somiglianze con altre esperienze post-coloniali.
1.1.1 La fine dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche
Gli anni ’80 e l’era Gorbačëv hanno rappresentato il punto di svolta nella storia
dell’URSS, con i tentativi di riformare quella che per decenni era stata una realtà
monolitica ed autoritaria introducendo la cosiddetta perestrojka, ossia una
riforma strutturale del sistema soprattutto in campo economico, e il glasnost o
trasparenza politica.
Il processo di cambiamento innescato non era destinato a rimanere senza
conseguenze, e, infatti, ha condotto, tra la fine del decennio e l’inizio di quello
successivo, alla dissoluzione dell’URSS e all’indipendenza delle repubbliche
satellite.
La disgregazione dell’ordine precostituito ha coinvolto innanzitutto la struttura
che aveva detenuto le chiavi del potere per decenni, e cioè il partito comunista.
Misure come l’abolizione della censura e del sistema delle “verità ufficiali” di
partito hanno creato spazi di discussione e di libera manifestazione delle opinioni
che mal si conciliavano con l’organizzazione comunista. L’indebolimento della
struttura ha scatenato un vero e proprio effetto domino, arrivando a svuotare di
senso quell’URSS che Gorbačëv aveva inteso rinnovare.
Emergevano intanto personalità destinate a divenire centrali nella storia
sovietica e poi russa, come Boris Eltsin, già presidente del parlamento e parte dei
13
riformisti radicali che, nel corso delle prime elezioni libere, riuscì a farsi eleggere
come presidente della Repubblica Russa.
Gorbačëv invece perdeva sempre più autorevolezza sia in campo internazionale
che internamente al blocco sovietico. Il presidente dell’URSS, non arrendendosi
all’evidente spinta indipendentista degli stati membri, progettava ancora di
rifondare un’unione delle repubbliche socialiste integrando questa volta principi
egalitari e conferendo agli stati aderenti una maggior autonomia. L’impossibile
realizzazione dei suoi propositi divenne ancora più evidente dopo lo scioglimento
definitivo del patto di Varsavia all’inizio del 1991.
Si stava dunque svolgendo l’ultimo atto dell’Unione Sovietica, e a nulla valse il
tentativo dei conservatori di restaurare l’ordine precostituito e il dominio
assoluto del Partito Comunista: il putsch organizzato tra il 18 e il 23 agosto 1991
contro Gorbačëv non ebbe conseguenze, scontrandosi contro la neutralità
dell’esercito e della folla moscovita sostenuta dal presidente Eltsin
2
.
Boris Eltsin intravide nella crisi di autorevolezza di Gorbačëv e nelle istanze
indipendentiste delle repubbliche satellite uno strumento di affermazione del
proprio potere personale. Nell’autunno 1991 sospese definitivamente le attività
del Partito comunista e rese indipendenti le repubbliche baltiche.
Il 25 dicembre 1991, con le dimissioni di Gorbačëv, l’URSS cessava formalmente
di esistere, mentre Eltsin tentava di mantenere i legami con le neonate
repubbliche costituendo la Comunità degli Stati Indipendenti.
La Csi fu creata formalmente l’8 dicembre 1991 durante una visita di Eltsin a
Minsk, e, nelle intenzioni, avrebbe dovuto coordinare le politiche economiche e
finanziarie delle ex-repubbliche sovietiche a partire dalle tre storicamente più
vicine, e cioè Russia, Ucraina e Bielorussia. Con il tempo vi aderirono tutte tranne
gli stati baltici e la Georgia, ma, a distanza di due decenni, il bilancio dell’effettivo
funzionamento della Csi rimane controverso.
2
G. Formigoni, La politica internazionale del Novecento, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 312.
14
1.1.2 Cinque repubbliche, molte identità
Il 1991, dunque, costituì l’anno zero per tutte le repubbliche del blocco sovietico.
L’Asia Centrale si trovò a dover affrontare una nuova esistenza indipendente, ma
la separazione dall’URSS non si rivelò semplice, soprattutto a causa del fatto che
la regione era in tutto e per tutto una creatura sovietica, almeno nella forma
attuale.
I territori centroasiatici erano sempre stati territorio di conquista per numerose
popolazioni, a partire dalle popolazioni indoeuropee per arrivare ai Mongoli,
passando per i Persiani e le popolazioni turcofone.
Questa commistione di identità, etnie e religioni differenti aveva creato una
situazione di marcata frammentazione all’interno della regione, con un forte
potenziale di tensioni e conflitti, rimasto più o meno latente nel corso dei secoli.
La dominazione sovietica ha contribuito a rimescolare le carte; risale all’epoca
staliniana, e più precisamente agli anni ’20, la decisione di individuare delle
repubbliche sovietiche in una zona che prima era convenzionalmente chiamata
Turkestan. L’arbitrarietà con cui furono tracciati i confini, senza considerare a
fondo le appartenenze etniche delle popolazioni, ma al contrario con lo scopo di
amalgamarle per diluirne il potenziale conflittuale, porrà numerosi problemi
all’indomani dell’indipendenza.
Il principale fu sicuramente la discrasia tra confini geografici ed appartenenze
nazionali, come sottolinea Merry: “Gli stati emersi dal fallimento della Potenza
sovietica alla fine del 1991 avevano confini esterni che nessun etnografo dotato
di raziocinio avrebbe mai tracciato allo scopo di creare stati-nazione di stampo
etnico. Al contrario i confini riflettono maggiormente la politica staliniana
relativa all’appartenenza nazionale. Questi stati dovrebbero esser visti in primo
luogo come sistemi politici piuttosto che come nazioni a base identitaria.”
3
.
3
E. W. Merry, Governance in Central Asia: national in form, Soviet in content, Cambridge Review
of International Affairs, vol. 17 n. 2, 2004, p.287.
15
1.1.3 Somiglianze post-coloniali
Come si è potuto notare, dunque, la dissoluzione dell’Unione Sovietica ha
lasciato pesanti strascichi a livello identitario e di confini.
Queste caratteristiche, unite alla forte dipendenza mantenuta rispetto alla Russia
può esser messa in parallelo con le dinamiche di alcune decolonizzazioni, come
nel caso dell’Africa.
Il continente africano, come la regione centroasiatica, ha dovuto affrontare e
affronta ancora oggi, le conseguenze di una politica di determinazione dei confini
imposta dalle potenze coloniali, che, durante il congresso di Berlino del 1884-85,
avevano stabilito l’assetto dei vari territori badando più alle proprie esigenze che
a quelle delle popolazioni.
Questo parallelo può risultare interessante, perché consente di uscire
dall’eccezionalismo che viene spesso usato per descrivere l’esperienza sovietica e
che non consente di comprendere a fondo le dinamiche di formazione e gestione
dei nuovi stati.
La parabola dell’URSS, pur avendo rappresentato un unicum dal punto di vista
della compattezza ideologica, può esser messa a confronto con altre esperienze
di colonizzazione, a partire dal tracciato arbitrario dei confini per arrivare ad
aspetti come la gestione delle risorse, del potere post-coloniale e dei legami con
la ex-madrepatria.
Sempre con Merry la situazione si può riassumere così: “Vi si può ritrovare la
stessa fatale combinazione: stati nazionali che non riflettono la vera identità
nazionale o etnica; élites al potere che incarnano il modello dell’ex madrepatria
anziché i bisogni o le idee delle popolazioni locali; infine economie distorte
orientate allo sfruttamento delle materie prime e alla monocoltura agricola che
causa danni ambientali senza offrire un adeguato livello di impiego per la
popolazione in crescita.”
4
.
4
E. W. Merry, cit., p. 288.