5
Introduzione:
Nella società contemporanea ci confrontiamo quotidianamente con problemi di
bioetica: basti pensare ai progressi scientifici e tecnologici in campo medico-
chirurgico oppure, per fornire un esempio più pertinente, alla disciplina giuridica
del fine-vita (quest’ultimo campo è stato portato alla ribalta negli ultimi anni
attraverso casi di cronaca nazionale). Il diritto, in quanto scienza sociale, non può
chiamarsi fuori da queste problematiche: esse concernono aspetti fondamentali,
decisivi nella vita delle persone e una interazione tra bioetica e scienza giuridica
può servire a ritrovare una “tavola di valori comuni”
1
della quale si sente la
mancanza in società sempre più frammentate come sono quelle dell’attuale
Occidente; sarebbe un risultato importante anche con riferimento al tema dei
diritti degli animali perché i valori comuni raggiunti verrebbero assunti come dati
del problema (non come un qualcosa da mettere in discussione, quindi, ma da
garantire).
Tale risultato non è di facile conseguimento perché il diritto incontra dei
limiti anche in queste delicate materie: in primis perché le norme giuridiche
tendono a essere ignorate e da tale inosservanza deriva la realizzazione
clandestina dei fenomeni che intendono limitare, in secundis dal carattere
generale e astratto di tali norme che spesso inevitabilmente stride con
l’irripetibilità del caso concreto e le rende non idonee o dannose ai fini della
soluzione
2
.
Il biodiritto è volto a mostrare l’attuale adeguatezza di valori meta-giuridici,
fondati sulla natura umana; altrimenti si ridurrebbe a una sterile richiesta di
principio.
Il cosiddetto “diritto animale”
3
sostiene la tesi della soggettività,
riconoscendo a tali esseri viventi una coscienza, sensibilità e intelligenza;
l’intento è promuovere la tutela non solo del “corpus”, ma anche della personalità
giuridica
4
.
1
G. DALLA TORRE , Le frontiere della vita. Etica,bioetica e diritto, Studium ,Roma, 1997,
cap4, pag. 125.
2
L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali e bioetica. La questione dell’embrione, in S. RODOTA’-
M. C. TALLACCHINI, Trattato di biodiritto, Giuffrè, Milano, 2010,vol. 5,cap. 4, pag. 239 ss.
3
L. LOMBARDI VALLAURI,”Testimonianze,tendenze,tensioni del diritto animale vigente” in S.
RODOTA’- M. C. TALLACCHINI(a cura di), Trattato di biodiritto, Giuffrè, Milano, 2010, vol.
V, cap. 1, § 0, pag. 1.
4
Sulla distinzione tra personalità e capacità giuridica: A. TRABUCCH, Istituzioni di diritto civile,
Cedam , Padova, 2009, cap. 3, § 97, pag. 249.
6
Il tema merita attenzione se si ritiene che i giuristi siano chiamati a “..non
cedere alla tentazione dell’assenteismo”
5
, perché il diritto ha una logica, un
senso (espresso in particolare dalla ratio delle fattispecie) ed è giusto cercare di
migliorarlo il più possibile. Un passaggio azzardo dire obbligato per realizzare un
obiettivo così ambizioso sta nel collegare il diritto con le mutate esigenze sociali;
non solo e non tanto perché esso rientra nelle scienze sociali, ma soprattutto
perché non si può dare del diritto una definizione quale dato statico: si tratta di un
prodotto umano e, pertanto, ha carattere dinamico.
Seguirò la seguente linea espositiva: nel primo capitolo mi soffermerò
prima su una breve analisi storica della questione animale e poi su alcune
problematiche specifiche che a tutt’oggi possono considerarsi irrisolte. Nel
secondo capitolo oggetto di esame è la legislazione italiana e comunitaria; viene
poi preso in considerazione autonomamente il titolo IX bis del codice penale. Nel
terzo capitolo si fa riferimento alla giurisprudenza di merito, di legittimità e
costituzionale, anche recente, in alcuni settori specifici del cd. diritto animale.
5
L. LOMBARDI VALLAURI, Corso di filosofia del diritto, Cedam, Padova, 2007, pag. 585.
7
Capitolo 1: La questione animale
Premessa
Le origini del problema sono molto risalenti nel tempo, come dimostra anche il
racconto dell’incontro tra Ulisse e il suo cane Argo che morirà dalla commozione
poco dopo l’ingresso del padrone nel palazzo
6
; poiché tale episodio è stato
tramandato attraverso l’epica greca, è quantomeno idoneo a dimostrare che il
tema del rapporto uomo-animale ha accompagnato l’umanità nel proprio
percorso evolutivo e culturale. Tale notazione trova conferma anche antecedente
dall’esperienza religiosa egiziana, nella quale oggetto di culto erano per la
maggior parte divinità dalle sembianze non interamente umane (si pensi ad
Anubis, Seth, Horus ecc..).
Innanzitutto deve essere ammesso che nel nostro Paese l’espressione
“diritti degli animali” è spesso usata come slogan propagandistico, per
promuovere l’affermazione dei valori animalistici nella società. Erroneamente
viene intesa sia come law, sia come right; eppure la situazione giuridica cambia
notevolmente se la intendiamo in senso non onnicomprensivo, ma alternativo, tra
i due concetti sopraindicati. Se intesa nel senso di law, dobbiamo ritenere che la
protezione giuridica sia attuata perché (soprattutto negli ultimi trent’anni) la
disciplina positiva si è molto occupata di aspetti relativi alla materia. Viceversa se
associamo il termine diritto a right, come letteralmente è, la conclusione è
opposta perché il diritto soggettivo si regge su un sistema di garanzie a livello di
teoria generale e di sistema processuale; non si può certo affermare che quelle a
oggi previste siano sufficienti, anzi costituiscono la maggior parte delle
contraddizioni.
E’ un dato di fatto che, anche rispetto ai problemi in materia di diritto degli
animali, è possibile un approccio diverso a seconda che vengano compresi
nell’ambito di una questione morale (ossia rispondendo alla domanda se la
relativa scelta esistenziale sia o meno moralmente lecita) o, viceversa, di una
questione giuridica. In quest’ultima ipotesi il “cuore” del problema consiste nel
valutare l’opportunità di un divieto ad opera delle fonti di produzione del diritto in
conseguenza di un giudizio di immoralità. E’ di tutta evidenza come la soluzione
cambi a seconda che si sposi o si rifiuti l’idea di una separazione tra le due
6
S. QUASIMODO, Dall’Odissea, Milano,Mondadori,1951, canto XVII, pagg. 290 - 327.
8
questioni; tesi sempre fortemente respinta dalla Chiesa cattolica che, nel corso
dei secoli, non ha mai perso occasione per influenzare il legislatore statale.
Nell’approccio alla questione animale vi è chi sostiene (soprattutto nella
letteratura filosofica, ma non solo ) che “..serve una vera rivoluzione, che non
cerchi di “elevare” gli animali all’uomo, ma sveli la parità di tutti gli
individui nella differenza”
7
.
1.1 Breve analisi storica della questione animale
1.1.1 L’epoca classica: la filosofia greca in particolare
L’epoca classica si è caratterizzata per l’affermazione della prima fase circa
l’approccio al rapporto uomo-animali sul piano etico e filosofico: lo “sciovinismo
umano”. Esso è la cd.”versione forte” dell’antropocentrismo
8
e si caratterizza
per la totale soggezione dei secondi al primo, in base all’assunto secondo cui
sono privi di ragione; sul piano giuridico hanno lo status di res, da tutelare in
quanto costituenti oggetto del diritto di proprietà. La natura intera viene concepita
come avente la sola funzione di racchiudere il valore economico per il
soddisfacimento dei bisogni umani; esistono solo diritti dell’uomo, non anche
doveri posti a proprio a carico e a beneficio della dimensione naturale.
Platone ha radicato la supremazia umana sulla base del possesso delle
mani, in quanto sono strumento per apprendere, e sul dualismo spirito-corpo che,
ampliato all’estremo, può giustificare in linea logica le sequenze che partono
dall’affermazione di una netta distinzione per giungere allo sfruttamento. Se
invece tale dualismo venisse inteso in accezione più contenuta, ciascuno degli
elementi non verrebbe attribuito in termini di esclusività all’uomo o agli animali e
di conseguenza lo sfruttamento di questi ultimi non sarebbe più giustificato.
Considera animali e donne come esseri esistenti per punizione di una colpa; in
particolare le donne sarebbero la trasformazione di uomini “codardi e vissuti
nell’ingiustizia”, mentre gli animali erano “uomini che non si giovano della
filosofia” e che quindi si lasciano guidare dai propri istinti. Sostiene che debba
essere il maschio razionale a dominare il creato.
7
L. CAFFO, Soltanto per loro. Un manifesto per l’animalità attraverso la politica e la filosofia,
Aracne, Roma, 2011.
8
S. BARTOLOMMEI, Etica e natura, Universale Laterza, Bari, 1995, pag. 45.
9
Nonostante tale concezione, condanna il nutrirsi di carne perché ritiene tale
alimentazione sia contraria alla religione
9
. Nella principale opera relativa, il
Timeo, viene adottata la forma narrativa del mito perché il presupposto è
costituito dall’esclusione della possibilità di svolgere un discorso scientifico sulla
natura; la realtà naturale è ritenuta conoscibile solo attraverso le sensazioni.
Bisogna a questo punto ricordare brevemente che il racconto mitologico è
un primo tentativo di conoscere il mondo, con l’obiettivo di spiegare le radici
nascoste del reale; le azioni, i fatti e i valori che riporta sono tratti dall’esperienza
quotidiana e dal senso comune e, poiché assumono la forma della rivelazione,
sono credute. La filosofia si diversifica perché è una forma di indagine razionale
che non si accontenta di osservare la realtà (come stanno le cose), ma di
individuarne il perché ed è esposta al riesame critico, alla discussione. E’ a
questo punto necessario soffermarci sul fatto che l’uso simbolico degli animali
adottato da Platone implica un allineamento di questi all’umano; non contano le
sembianze corporee, ma il destino riservato alle anime: “è la morfologia psichica
a determinare quella corporea”
10
.
Il concetto su cui si incardina la filosofia platonica è quello di anima, che
con la sua struttura e la sua natura trifunzionale innesca il ciclo di nascita, morte
e rinascita in un viaggio che, si sostiene nel Timeo, avviene anche per forme e
ambienti. Non trascurabile è rilevare che domare la violenza nei confronti degli
animali, così come nei riguardi degli uomini giusti, costituisce per Platone una
delle radici su cui si fonda la città da costruire. Il messaggio finale è
essenzialmente politico: il compito dell’uomo è perfezionare l’ordine naturale
attraverso la filosofia e la polis giusta ne è condizione essenziale. L’impronta di
quell’ordine è conservata dalla natura ed è la memoria a consentire all’uomo di
realizzare tale obiettivo, perché è proprio la memoria a essere considerata da
Platone l’inizio della civiltà. Interessante è soffermarci a questo punto sul fatto
che egli riteneva la caccia fosse una scuola primaria di guerra, adatta ad abituare
a impiegare lo sforzo necessario per uccidere e animata da spirito ingannevole;
compito del filosofo è, invece, promuovere l’azione secondo giustizia in ogni
aspetto della vita (alimentazione compresa).
9
PLATONE, “Leggi”,782c. in G. DITADI (a cura di), L’intelligenza degli animali e la giustizia
a loro dovuta, ISONOMIA, Padova, 2000, pag. 81.
10
P. PINOTTI “Gli animali in Platone:metafore e tassonomie” in S. CASTIGNONE - G.
LANATA ( a cura di) Filosofi e animali nel mondo antico, edizioni ETS,Pisa, 1994, pag. 105.
10
Pitagora aveva seguito una linea di pensiero diversa: credeva nella
trasmigrazione delle anime (l’anima è costretta per purificarsi a passare da un
corpo all’altro fino a che non ha espiato la propria colpa, attraverso un processo
di conoscenza) e poiché ammetteva che l’anima umana possa compiere questo
processo anche entrando in un corpo animale, proibiva i sacrifici di questi ultimi e
adottava una dieta vegetariana. I motivi che lo spingevano a rispettare gli animali
“..sono principalmente di tipo religioso”
11
, come osserva Margherita Isnardi
Parente.
Esempio del netto distacco tra la dottrina pitagorica e l’orientamento
prevalente nel proprio tempo è costituito dal considerare meritevoli di difesa le
donne, i bambini e anche gli animali domestici. Per fornire un piccolo quadro
della scuola pitagorica, mi soffermo su alcune delle regole principali: il silenzio e
il mantenimento del segreto sugli insegnamenti. L’apprendimento avveniva in
modo dogmatico, senza mettere in discussione quanto ascoltato, come riassunto
dalla formula rituale autos epha (l’equivalente dell’ ipse dixit romano). Le precise
regole di vita all’interno della comunità determinarono il confondersi della figura
del filosofo con quella del sacerdote, dell’oracolo e dell’educatore; l’elemento che
più distingue la filosofia pitagorica dalla scuola di Mileto è l’essere praticata non
da un singolo, ma da una collettività.
Sulla stessa linea si collocava anche il pensiero di Empedocle, considerato
da Aristotele l’inventore della retorica, il quale condannava i sacrifici animali
perché intravedeva in loro la presenza dell’uomo e viceversa; non tanto in virtù
del concetto di anima, quanto a quello di materia che riteneva sufficiente a
escludere differenze tra il concetto di corpo e quello di anima. La base per il
sorgere di una nuova civiltà sta proprio nella cessazione delle stragi di animali e
nell’acquisire consapevolezza che tutti gli esseri viventi sono dotati di
intelligenza.
In posizione diametralmente opposta si pone la filosofia aristotelica, che
parte da una critica a quella di Platone e considera possibile uno studio
scientifico della natura perché le sue componenti non sono immagini imperfette
di un’idea, ma esistono effettivamente. E’ il dato empirico della nascita, del
movimento e del mutare di esse all’origine della ricerca di cause e principi che
possano spiegarne i processi di trasformazione.
11
M. ISNARDI PARENTE, Le radici greche di una filosofia non antropocentrica, Biblioteca
della Libertà, 1988, pag. 9.
11
Lo studio scientifico rinviene il proprio contenuto tipico, secondo Aristotele, nella
conoscenza delle cause; questo mostra la centralità del sillogismo in tale
dottrina: garantisce il carattere necessario del nesso eziologico. Quando è valido
muove da premesse vere e non può, quindi, portare a conclusioni false. Se
invece il risultato è falso, significa che almeno una delle premesse su cui si fonda
è falsa.
Il criterio fondamentale adottato nello studio è la messa in evidenza delle
differenze. Con riferimento agli animali, tema centrale è la definizione di anima
come il principio vitale di ogni organismo, di cui è componente inscindibile
insieme alla forma (ossia la specie). Il corpo identifica la causa finale: un uomo è
tale perché ha quel corpo e non un altro; lo stesso vale per un cane, ad esempio.
L’anima viene descritta con riferimento a determinate facoltà quali quella
nutritiva, sensitiva e razionale: la prima è propria delle piante e non ha rilevanza
etica perché manca qualsiasi rapporto con la ragione; la seconda è comune agli
animali e all’uomo ed è l’equivalente dell’ES freudiano, sede degli istinti e delle
passioni; la terza, quella intellettiva (che permette la realizzazione del
comportamento virtuoso) viene considerata come esclusiva dell’uomo. La virtù è
definita come un abito del carattere, la cui creazione richiede la ripetizione di
azioni virtuose ed è indipendente dalle nozioni teoriche: a tal fine rileva
maggiormente l’insegnamento empirico.
La capacità organizzativa viene riconosciuta soltanto all’essere umano,
definito “animale politico”
12
(e, in particolare, l’unico a essere ritenuto dotato di
intelligenza
13
) in contrapposizione alla tesi del contrattualismo: il suo vivere in
comunità, secondo Aristotele, non è un processo convenzionale (dovuto al
ritenere sussistente un’identità tra il concetto di Stato e quello di Contratto), bensì
spontaneo perché implicito nella propria natura.
Egli ha una visione del mondo strumentale, retto dalla logica del dominio,
e sposa la teoria della gerarchia tra esseri viventi: l’animale è mero strumento e
per questo motivo la figura umana considerata a lui più vicina è quella dello
12
ARISTOTELE, Etica Nicomachea, in Opere, vol. 7, Bari, Laterza, 1990, VIII, 11, 1161 b,
pagg. 1-5.
13
M. VEGETTI, “Figure dell’animale in Aristotele”, in S. CASTIGNONE - G. LANATA (a
cura di) Filosofi e animali nel mondo antico, Pisa, ETS, 1994, pag. 126 ss.
12
schiavo. In tale concezione “la questione animale è una cartina di tornasole
di quella questione antropologica che si chiama dominio”
14
.
La conseguenza negativa concretamente verificatasi è considerare privi
di importanza gli esemplari animali che non sono di alcuna utilità per l’uomo; che
si tratti di un effetto e non di un mero rischio è dimostrato dal fatto che è palese
come la tesi aristotelica sia stata per molti secoli generalmente accolta e dal
ricordare nuovamente che la cd. “questione animale” costituisce attualmente un
problema irrisolto. Se viceversa la tesi suddetta avesse avuto minore fortuna, il
tema oggetto del nostro esame sarebbe stato affrontato più coerentemente e
oggi la discussione verterebbe su forme di tutela diverse, ma non sulla necessità
di affermare in testi cogenti l’esistenza di diritti degli animali come, invece, sta
avvenendo.
Tra i primi filosofi greci ad avvertire l’esigenza di superare tale teoria
troviamo Teofrasto, che si discostò dal proprio maestro e interpretò il problema
dell’essere come risolvibile attraverso la spiegazione delle relazioni che
determinano le caratteristiche del mondo (insieme ad altri fattori decisivi quali i
luoghi e le funzioni). Sulla base di questa premessa e del riscontro di analogie
funzionali tra esseri viventi diversi arrivò alla conclusione secondo cui l’universo è
strutturato organicamente, ma non gerarchicamente, e propose la tesi della
cd.“parentela universale”
15
; in forza di essa considerò animali e uomini come
appartenenti a una stessa comunità e ritenne che tra la nostra specie e le altre
non ci sia una netta linea di demarcazione, ma solo differenze di grado. L’uomo è
tenuto, secondo tale impostazione, a collaborare razionalmente con la natura; è
da questo impegno attivo che può discendere il concreto innalzamento della
propria condizione.
In netto distacco dall’orientamento filosofico a lui precedente, Teofrasto
condanna la perversione dei costumi, più che quella dell’anima; sostiene con
forza l’erroneità scientifica e concettuale di considerare privi di capacità di
ragionamento gli animali, alla stregua degli esseri inanimati. L’argomento usato
da quest’ultimo per condannare i sacrifici cruenti è, dal punto di vista etico, di
estremo rigore: il loro compimento è assurdo perché non è possibile ottenere il
14
PLUTARCO,”L’intelligenza degli animali e la giustizia loro dovuta” in G. DITADI (a cura
di) , ISONOMIA, Padova, 2000, cap. 3, pag. 104.
15
E. GRANITO, “Filosofi per gli animali. Linee per una storia non antropocentrica” in E.
GRANITO - F. MANZIONE (a cura di), Per una storia non antropocentrica. L’uomo e gli altri
animali. Atti del convegno, Ministero per i Beni e le Attività Culturali -Direzione Generale per gli
Archivi, Roma, 2010, pag. 204.
13
favore degli dèi commettendo un’azione ingiusta. Nella condanna dei sacrifici
argomenta distinguendo il tipo di “ furto” compiuto nei confronti degli animali, da
quello posto in essere nei confronti delle piante; l’elemento distintivo viene
individuato nel fatto che nel primo caso la perdita dell’anima dell’essere vivente è
inscindibilmente legata alla morte di quest’ultimo, mentre nel secondo esempio la
raccolta dei frutti non determina la distruzione della pianta. Il sacrificio animale,
quindi, è grave perché tali sono le sue conseguenze, prima tra tutte la perdita
dell’anima.
16
Nel IV° secolo a.C. centrale è la figura di Epicuro. La sua dottrina è quella
branca della filosofia ellenistica che si pone l’obiettivo di curare l’infelicità umana;
la prospettiva è quindi dichiaratamente antropocentrica. Ai nostri fini, però, rileva
soprattutto come sia l’aver cognizione della realtà naturale (l’analisi scientifica dei
relativi fenomeni) a soddisfare il bisogno umano di conoscere i confini tra piacere
e dolore.
Dura è la critica di Plutarco a tale dottrina: la ritiene difforme dalla migliore
tradizione ellenica perché non afferma l’esistenza di una giustizia slegata
dall’utilità di un dato scopo; invece tutti i soggetti-di-una-vita, espressione che
molto tempo dopo sarà posta al centro della teoria dei diritti degli animali
formulata da Tom Regan, hanno un valore intrinseco e in base al principio di
giustizia ciascuno ha diritto di ricevere dagli altri quanto è a lui dovuto.
Continuando a parlare di Plutarco, vissuto nel I secolo d.C., è da sottolineare che
egli è stato tra i primi filosofi dell’età classica a considerare gli animali una
testimonianza dell’esistenza di Dio e a ricercare in loro il senso segreto
dell’armonia della vita. A questo scopo sosteneva che la saggezza e la purezza
siano caratteri propri della religione egiziana.
Fondamentale è notare come egli abbia qualificato il mangiar carne una
consuetudine sbagliata fattasi abitudine meccanica (la cui limitazione ritiene
necessaria per motivi non solo etici, ma anche igienici) che rende l’uomo
dipendente dal cibo e, quindi, sostanzialmente uno schiavo. Ormai è difficile
tornare al vegetarismo, nota, perché l’abitudine della sarcofagia ha cambiato i
costumi degli uomini.
La dura risposta ai sostenitori della necessità per l’uomo di cibarsi di
carne è il carattere contro natura di questo comportamento (dato che viene
tenuto non esclusivamente in caso di carestia, ma per soddisfare un appetito
16
TEOFRASTO, Della pietà, ISONOMIA, Este,2001
14
smisurato
17
). Sul piano morale il principio cui l’uomo deve attenersi per la
salvezza della propria anima è, secondo Plutarco, quello di moderazione e anche
il regime alimentare rileva in tal senso perché solo un’anima pura può nutrire se
stessa.
Non può tacersi che il primo motivo per cui propugna l’astensione dalle
carni è la riproposizione della teoria della “parentela universale” (in forza della
quale sostiene che vi è una sostanziale somiglianza tra l’anima umana e quella
animale), ma non basta: contrasta la convinzione diffusa secondo cui gli animali
sono cose, privi di ragione e di identità; sostiene che essi presentano virtù
superiori a quelle umane perché esercitate senza inganni o calcoli e, soprattutto,
perché essi perseguono il soddisfacimento dei soli bisogni naturali e necessari,
non anche di quelli superflui.
E’ da porre nuovamente in evidenza la critica all’epicureismo, che Plutarco
considera ancorato sul perseguimento di piaceri riduttivi (ad esempio il non
avvertire dolore fisico), insufficienti a insegnare la via della felicità
18
. A ciò si
accompagna anche il recupero della dottrina pitagorica, in particolare nella
ricerca nei racconti omerici di una base pedagogica per una nuova visione del
mondo attraverso un mutamento delle coscienze
19
.
Con riferimento alla tesi cardine dell’antropocentrismo, rileva l’assurdità
del mancato riconoscimento agli animali della capacità di giudizio, oltre a quella
di sentire; l’argomento a sostegno è che la natura non fa nulla invano perciò
attribuisce loro la capacità di provare piacere e dolore per poterli riconoscere e,
di conseguenza, per perseguire l’uno ed evitare l’altro. Nel momento stesso di
distinzione tra queste sensazioni si compie un’attività razionale perché si tratta di
un’operazione che richiede capacità mnemoniche e anche di prefigurazione del
proprio futuro, almeno di quello immediato.
17
PLUTARCO “ Del mangiar carne” in G. SANTESE , “Animali e razionalità in Plutarco”, in
S. CASTIGNONE - G. LANATA ( a cura di), Filosofi e animali nel mondo antico, edizioni ETS,
Pisa, 1994, pag. 150.
18
PLUTARCO,”Non si può nemmeno vivere felicemente seguendo Epicuro” in A. BARIGAZZI
(a cura di) Contro Epicuro, Firenze, 1978
19
PLUTARCO,”L’intelligenza degli animali e la giustizia loro dovuta” in G. DITADI (a cura di),
ISONOMIA, Padova, 2000, pag 197.
15
Egli contrasta l’attribuzione all’essere umano di un valore assoluto e sostiene, in
evidente difformità dallo stoicismo, che le passioni sono una componente
dell’anima umana non estirpabile, se non in una mera utopia.
Diversamente dalla filosofia stoica e aristotelica, il concetto di natura cui
Plutarco fa riferimento “..non è un modello teleologico, ma dotato di una
razionalità intrinseca, che è modello al comportamento etico, come l’aveva
concepita Platone”
20
.
20
G. SANTESE, Vegetariani e filosofi nel mondo antico, 2001, § 5, pag. 256.