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Capitolo I Diritto Internazionale in materia di diritto del lavoro
SOMMARIO: 1. Le Fondamentali Convenzioni – 2. Le Convenzioni
ratificate dalla Cina e la loro valenza nel diritto interno
1. Le Fondamentali Convenzioni
A livello internazionale vi sono diversi tipi di fonti riguardanti il diritto del
lavoro, molte di queste sono contenute in convenzioni e trattati sottoscritti da
numerosi stati e promossi in ambito di organizzazioni internazionali sia a livello
mondiale che a livello regionale: livello al quale non ci si soffermerà dato che si
prenderanno in esame le fonti maggiormente universali e comprensive di tutti le
nazioni esistenti, ergo i trattati stipulati a livello mondiale. Un esempio di questo
tipo di fonte sono i trattati riguardanti i diritti dell’uomo emanati dall’ONU: i
trattati stipulati in questo ambito, avendo un ampio contenuto, si riverberano
anche nel campo dei diritti del lavoro. Veniamo ora ad una breve disamina dei
più importanti: primo fra tutti è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del
1948, la quale però, essendo una dichiarazione, non è vincolante gli stati che la
ratifichino, essa ha un valore meramente esortativo. Sempre in ambito ONU dopo
la Dichiarazione del 1948 vi è cronologicamente un'altra fonte di diritto
internazionale del lavoro, in questo caso vincolante
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ed attinente al diritto del
lavoro: è il Patto Internazionale sui Diritti Economici Sociali e Culturali stipulato
nel 1966 ed avente vigore dal 1976. Il Patto nei suoi numerosi articoli prevede
tutele ai lavoratori sia esplicitamente attraverso gli articoli 6,7 ed 8 i quali nello
specifico trattano l’accesso al lavoro, libera scelta nel lavoro, non
discriminazione, accesso alla formazione professionale, servizi per l'impiego e
sicurezza occupazionale; sia implicitamente negli altri articoli del Patto.
Analogamente si possono rinvenire norme di diritto del lavoro anche nella
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Essendo un trattato il quale, secondo la Convenzione di Vienna del 1969 (la quale
codifica una consuetudine internazionale), è vincolante per le parti che lo ratifichino.
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Convenzione di New York sull’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali del
1965, nell’Accordo del 1974 sull’Eliminazione delle Discriminazioni nei
Confronti delle Donne. L’osservanza o meno degli articoli contenuti in questi
trattati è sottoposta al controllo di commissioni istituite per ogni trattato e
operanti in seno all’Onu: per quanto riguarda il Patto Internazionale sui Diritti
Economici Sociali e Culturali è stato istituito il Comitato sui Diritti Economici
Sociali e Culturali nel 1985. Il motivo di questo ritardo tra l’entrata in vigore del
Patto e l’istituzione del Comitato è da identificarsi nel fatto che i precedenti
tentativi di istituire quest’ ultimo furono infruttuosi: infatti il Comitato è stato
istituito dal Consiglio Economico e Sociale dell’Onu e da questo dipende dato
che non è esplicitamente previsto nel Patto. Gli Stati che hanno ratificato il Patto
sono obbligati a presentare al Comitato il primo rapporto dopo due anni dalla
ratifica e successivamente a scadenze regolari di cinque anni: esso consiste in
una descrizione degli sforzi attuati dallo Stato per adempiere agli obblighi da lui
sottoscritti nel Patto. Successivamente una commissione di 18 esperti ha il
compito di valutare questi rapporti e di emettere una serie di raccomandazioni
rivolte agli Stati parte del Patto in forma di osservazioni conclusive incluse nelle
relazioni stesse. Questa forma di controllo sull’applicazione dei vincoli anche se
blanda è da intendersi come una forma di stimolo da parte della comunità
internazionale nei confronti dello Stato perché quest’ ultimo si adegui agli
obblighi da lui sottoscritto.
Simili forme di controllo e relative commissioni sono previste ed istituite
per la Convenzione di New York sull’Eliminazione delle Discriminazioni
Razziali del 1965, in essa all’Articolo 2 è previsto il divieto per gli Stati
contraenti di praticare la “discriminazione razziale, compresa quella commessa
da singoli individui, gruppi od organizzazioni”. La Convenzione inoltre istituisce
un organo di controllo, il Comitato formato da esperti i quali siedono a titolo
individuale per quattro anni: gli stati hanno l’obbligo di presentare alla
commissione un rapporto ogni due anni sulle misure intraprese per rendere
effettive le disposizioni della Convenzione. Il Comitato inoltre è competente per
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esaminare ricorsi interstatali e ricorsi individuali, sempre che lo Stato firmatario
non abbia espresso riserva contraria: questa procedura termina con un rapporto il
quale non è vincolante lo Stato. L’Accordo del 1974 sull’Eliminazione delle
Discriminazioni nei Confronti delle Donne richiede che le cittadine degli stati
parte godano di tutti i diritti previsti per gli uomini, ivi compresi i diritti
economici e sociali. Per garantire questo gli Stati hanno l’obbligo di presentare
ogni quattro anni un rapporto sulle azioni intraprese per attuare le disposizioni
della Convenzione e presentarlo quindi ad un Comitato composto da ventitré
esperti: questo Comitato formula osservazioni generali sui rapporti ricevuti. Lo
stesso non ha però competenza ad esaminare ricorsi né statali né individuali.
Inoltre l’efficacia della Convenzione è minata dalle numerose riserve poste dagli
stati contraenti.
Oltre ai trattati istituiti in seno all’ONU vi sono i trattati istituiti da un'altra
organizzazione operante a livello mondiale ci si riferisce all’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL). Questa organizzazione internazionale fu
fondata grazie al Trattato di Versailles nel lontano 1919 in seno alla Società delle
Nazioni, una volta che questa fu liquidata dopo la seconda guerra mondiale lo
Statuto dell’OIL fu rivisitato ed essa fu inserita nelle organizzazioni dipendenti
dalle Nazioni Unite, mantenendo comunque una certa autonomia, anche
finanziaria. L’Organizzazione è inoltre un ente separato ed indipendente dagli
stati che ne fanno parte, possiede organi e strutture distinti da quelli degli stati,
nei quali non vi è rappresentata solo la politica: tutti i suoi organi decisionali
sono formati da rappresentanti, provenienti da ognuno dei paesi membri, di
lavoratori, datori di lavoro e governi. L’OIL è stata quindi l’architetto e
l’iniziatore a livello mondiale di molte norme e tutele riguardanti il mondo del
lavoro, la sua struttura tripartita appena descritta è stato il veicolo che ha portato
alla creazione di un consenso internazionale su norme basilari riguardanti il
lavoro e l’ambiente di lavoro. Attraverso l’adozione nelle assemblee da parte
delle rappresentanze provenienti dai suoi 183 paesi membri, sono state
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promulgate 189 Convenzioni e 195 Raccomandazioni
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, soprattutto dopo la
seconda metà degli anni sessanta.
A differenza di quanto stabiliscono i trattati istitutivi di altre organizzazioni
internazionali, mancano nello Statuto dell’OIL previsioni di obbligatorietà di
adesione ai principi dettati dall’Organizzazione, pertanto è concorde opinione
che questi principi in materia di lavoro non avrebbero immediatamente efficacia
giuridica obbligatoria nei riguardi degli Stati membri, necessitando di essere
tradotti nelle convenzioni che l’Organizzazione elabora e predispone per la
ratifica degli Stati.
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Senza peraltro che ancora ne derivi l’obbligo statale di
uniformare la legislazione nazionale alle norme ivi contenute, obbligo che deriva
solamente dopo la ratifica delle convenzioni e solamente per gli stati ratificanti.
L’essere membro dell’OIL non è un requisito immediato e sufficiente
dell’efficacia della relativa produzione normativa dell’organizzazione: quando
una di queste convenzioni viene adottata e ratificata da un paese membro questa
dovrebbe assurge alla posizione di fonte di diritto interno del paese,
sfortunatamente anche in questo caso non tutti i paesi aderenti all’OIL
mantengono gli impegni presi in questa sede. Alcuni dei governi che hanno
ratificato, a nostro avviso quasi con noncuranza, tutte le Convenzioni OIL sono
colpevoli di omettere molti dei diritti e dei doveri previsti nei documenti appena
ratificati. Altri governi, compresi quelli degli stati maggiormente industrializzati,
si sono conformati tendenzialmente agli ideali dell’OIL e delle sue convenzioni
firmandole, anche se nella pratica non le hanno mai ratificate. Comunque, anche
quando le Convenzioni non sono o ratificate o adottate da uno stato membro,
queste sono di fatto riconosciute come un obbiettivo universale per ottenere delle
norme che garantiscano dignità al lavoro. La conoscibilità e l’adozione di questi
3
Ci si riferisce al luglio 2011.
4
Vedi MATTIA PERSIANI, Trattato di diritto del lavoro, diretto da Mattia Persiani e
Franco Carinci, Volume Primo: Le fonti del diritto del lavoro, CEDAM, Milano 2010 pagg 220-
221.
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standard è garantita anche dal primo Statuto del 1919 dell’OIL in quanto
nell’Articolo 19 si enuncia che tutte le Convenzioni e Raccomandazioni prese
dalla Conferenza dell’OIL debbano essere discusse ed adottate dagli organi
legislativi degli stati che fanno parte dell’Organizzazione per una effettiva
“promulgazione di leggi o di altre azioni equivalenti” entro un periodo che va dai
dodici ai diciotto mesi dalla loro enunciazione. Con questo Articolo si intende
garantire che vi sia all’interno degli stati un dibattito nazionale e pubblico su le
questioni promosse dagli strumenti dell’OIL in modo che ne sia favorita
l’adozione. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, fu emendato lo Statuto
dell’OIL e con esso l’Articolo 19: fu aggiunto l’obbligo da parte degli stati di
inviare dei resoconti periodici all’Organizzazione riguardo la loro legislazione
nazionale nelle materie delle Convenzioni che ancora questi non avessero
ratificato e riguardo alle raccomandazioni.
Questi due obblighi hanno dato all’OIL una certo potere verso gli stati, i
quali normalmente non sono tenuti a tali adempimenti in un sistema di diritto
internazionale che è basato sulla totale autonomia degli stati ad obbligarsi
ratificando trattati. Questo potere è stato aumentato attraverso l’adozione nel
1998 della Dichiarazione dei Principi e Diritti Fondamentali del Lavoro: tramite
questa Dichiarazione si sono voluti cementare gli obblighi degli stati verso i
principi dell’OIL vincolandoli a riconoscere, promuovere e proteggere la dignità
degli individui come esseri umani, indipendentemente dallo stato economico in
cui versa un paese e, soprattutto, indipendentemente se questi paesi abbiano
ratificato o meno le Convenzioni maggiormente rilevanti, dette fondamentali. Le
Convenzioni Fondamentali citate nella Dichiarazione riguardano precise tutele
nel campo di:
9
a) libertà di associazione e riconoscimento effettivo del diritto di
contrattazione collettiva, attraverso la Convenzione sulla libertà sindacale e la
protezione del diritto sindacale del 1948 (C87)
5
e la Convenzione sul diritto
di organizzazione e di negoziazione collettiva del 1949 (C98)
6
;
b) eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio, con la
Convenzione sull’abolizione del lavoro forzato del 1957 (C105)
7
e la
Convenzione sul lavoro forzato del 1930 (C29)
8
;
c) abolizione effettiva del lavoro infantile ; attraverso la Convenzione
sull’età minima del 1973 (C138)
9
e la Convenzione sulle forme peggiori di
lavoro minorile del 1999 (C182)
10
;
5
La quale protegge il diritto dei lavoratori di creare e partecipare ad organizzazioni
secondo la loro volontà e senza bisogno di autorizzazioni, inoltre pone una serie di garanzie per
il libero funzionamento delle organizzazioni sindacali senza alcuna interferenza da parte del
governo.
6
La quale garantisce ai lavoratori il diritto di godere di un adeguata protezione contro i
comportamenti antisindacali dei datori di lavoro, proibisce la mutua interferenza tra
organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, e fornisce misure atte a facilitare la
contrattazione collettiva.
7
La quale richiede che ogni stato membro prenda misure atte ad abolire completamente
ed immediatamente il lavoro forzato come strumento di coercizione politica ed educativa,
punizione per dissidenti politici, strumento per lo sviluppo economico, disciplina sul lavoro e
per aver partecipato a scioperi e manifestazioni.
8
La quale richiede che gli stati membri di sopprimere l’uso del lavoro forzato in tutte le
sue forme nel minor tempo possibile: eccezion fatta per il servizio militare, lavoro per carcerati
adeguatamente supervisionato ecc.
9
La quale ha l’obbiettivo di abolire il lavoro minorile e richiede che agli stati membri che
l’età minima di accesso al mondo del lavoro non sia minore di quella per completare la scuola
dell’obbligo.
10
La quale richiede agli stati membri di prendere misure immediate ed effettive per
assicurare la proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile come la schiavitù, la
prostituzione, il traffico di droga ecc.
10
d) eliminazione della discriminazione in materia di impiego e professione,
attraverso la Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione del 1951 (C100)
e la Convenzione sulla discriminazione (impiego e professione) del 1958
(C111)
11
.
La Dichiarazione è scaturita nel 1998 nell’ambito dell’OIL ed i destinatari
sono gli stati membri semplicemente a motivo della loro appartenenza senza
alcun obbligo di ratifica: queste otto Convenzioni quindi “derogano” la normale
libertà degli Stati membri dell’OIL di ratificarle. Pertanto questa deroga innesta
nello status di membro dell’OIL l’obbligo di rispettare quelle Convenzioni che,
per l’attinenza del loro contenuto alle fondamenta del sistema di giustizia sociale
non potrebbero essere neglette dagli Stati appartenenti all’Organizzazione.
12
Fino
ad oggi all’incirca il 60% dei membri dell’OIL ha firmato tutte e otto le
Convenzioni fondamentali.
2. Le Convenzioni ratificate dalla Cina e la loro valenza nel diritto interno
Veniamo ora ad esaminare quali di queste convenzioni sono ratificate dalla
Cina nel periodo che va dal dopoguerra fino ad oggi. Per quanto riguarda i
Trattati promossi in campo ONU iniziamo con la Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani. Nel comitato che redasse la Dichiarazione vi fu un rappresentante
dell’allora governo Cinese ed al momento della ratifica in sede Onu la Cina si
dichiarò favorevole, anche se da li ad un anno la Repubblica Cinese uscita dalla
seconda guerra mondiale verrà scossa da una terribile guerra civile: la
11
La quale richiede che vi siano politiche nazionali mirate all’emanazione della
discriminazione nell’accesso al lavoro, all’addestramento ed alle condizioni di lavoro sulla base
della razza, religione, colore, sesso, opinione politica, origine sociale o estrazione nazionale e di
promuovere uguaglianza di opportunità e trattamento riguardo l’occupazione.
12
MATTIA PERSIANI, Trattato di diritto del lavoro, diretto da Mattia Persiani e Franco
Carinci, Volume Primo: Le fonti del diritto del lavoro, CEDAM, Milano 2010, pag 221.
11
Repubblica era infatti sostenuta dal labile accordo tra il Kuomintang, il partito
repubblicano nazionalista, ed il Partito Comunista. La compagine comunista ne
uscì vincitrice dal conflitto, fondando la Repubblica Popolare Cinese con
l’approvazione di una nuova costituzione. In conseguenza dell’assetto delle
relazioni internazionali durante la guerra fredda questa nuova repubblica fu
tagliata fuori dall’ONU, causando la cosiddetta anomalia Cinese: al suo posto
sedeva il governo della vecchia repubblica, ancora legato al Kuomintang e
sostenuto da Washington, il quale era costretto al confino nella sola isola di
Taiwan. Fino agli anni settanta la situazione restò immutata, con il
riconoscimento internazionale della Repubblica Popolare minato dalla sfiducia
nei suoi confronti della diplomazie occidentali, situazione che si ribaltò dopo che
il segretario di stato americano Kissinger e successivamente il presidente Nixon
visitarono Pechino e la conseguente riapertura delle relazione diplomatiche: da
quel momento la Repubblica Popolare entrò a pieno diritto nell’ONU
13
e nel
consiglio di sicurezza, ed ebbe quindi piena accettazione da tutte le diplomazie
mondiali. Ritornando alla questione della Dichiarazione si può ben capire come
la nuova Repubblica Popolare non si sentì legata ed obbligata ad una
dichiarazione che non aveva ne sottoscritto ne tantomeno redatto.
Per quanto riguarda gli altri trattati e dichiarazioni descritti nel precedente
paragrafo, la situazione è diversa dato che la loro stipula è più recente,
consentendo quindi alla Repubblica Popolare Cinese di aderirvi spontaneamente.
Il più importante per vastità ed argomenti trattati è il Patto Internazionale sui
Diritti Economici Sociali e Culturali del 1966 ed entrato in vigore nel 1976. La
Repubblica Popolare Cinese lo firmò il 27 ottobre 1997, per poi ratificarlo
quattro anni più tardi, il 27 marzo 2001. Per quanto riguarda l’applicazione in
foro del Patto, nel Commento Generale numero 9 del Comitato Internazionale sui
Diritti Economici Sociali e Culturali si indica che una parte non può invocare i
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Con più precisione nel 25 ottobre del 1971 con la Risoluzione numero 2758. Nella
risposta data dal Governo comunista Cinese si sottolineò il fatto che essi giudicavano se entrare
o meno nei trattati firmati dal precedente governo.
12
provvedimenti interni al suo diritto come giustificazione per la sua mancata
conformazione agli obblighi del Patto e che quindi le parti debbano
necessariamente modificare le loro norme interne di modo che le norme espresse
nel trattato possano essere rispettate. Ciò significa che la Cina, avendo ratificato,
è obbligata a portare il suo diritto interno in linea con il Patto; di conseguenza il
diritto cinese riguardante il lavoro deve essere conforme alle richieste del Patto e
deve essere in grado di renderlo effettivo. Mentre per quanto riguarda l’Accordo
del 1974 sull’Eliminazione delle Discriminazioni nei Confronti delle Donne la
Cina lo firmò il 17 luglio del 1980 e lo ratificò il 4 novembre sempre del 1980,
ponendo però una riserva all’Articolo 29, Paragrafo 1. Un altro accordo di cui è
parte la Cina è la Convenzione di New York sull’Eliminazione delle
Discriminazioni Razziali del 1965, la quale fu ratificata definitivamente dalla
Repubblica Popolare Cinese il 29 dicembre 1981 dopo che il governo di Taiwan
la firmò e ratificò il 31 marzo 1966 ed il 10 dicembre 1970. Inoltre la Cina è
parte della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, la quale fu
firmata il 19 agosto 1990 e ratificata il 2 marzo 1992.
Questi trattati sono state dunque ratificati dalla Cina ma è necessario
soffermarci sulla loro validità all’interno dei confini cinesi. Veniamo quindi a
discutere della validità dei trattati internazionali nel sistema legislativo Cinese:
dato che la Cina non possiede alcun riferimento sulla materia nella sua
Costituzione, questo silenzio rende lo status dei trattati nel diritto interno poco
chiaro e soggetto a differenti interpretazioni. Anche se a livello accademico si
dibatte se questo silenzio costituzionale possa essere inteso come una silente
accettazione dei trattati nell’ordinamento, la fonte direttamente inferiore la
Costituzione cinese, ossia la legge, tratta molte volte l’argomento, rendendo lo
status dei trattati differente a seconda della materia di legge alla quale ci si
riferisca. Un esempio comunemente riportato per avvallare l’ipotesi della
superiorità dei trattati rispetto alle leggi è l’Articolo 142 dei Principi Generali del
Codice Civile, il quale stabilisce che:
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“se qualsiasi trattato accettato o concluso dalla Repubblica Popolare
Cinese contiene norme che differiscono da quelle nelle leggi civili della
Repubblica Popolare Cinese allora dovranno essere applicate le norme del
trattato internazionale, escludendole norme sulle quali è stata posta una riserva
dalla Repubblica Popolare Cinese”.
L’Articolo in questione è simile all’Articolo 238 del Codice di Procedura
Civile Cinese. Per molti accademici questi Articoli danno prova del fatto che i
trattati siano superiori alle leggi sia nel sistema legislativo per se, che
direttamente utilizzabili nelle cause, anche se bisogna notare che questa
superiorità è dimostrata solamente in ambito civilistico. Negli ultimi venti anni il
governo Cinese sembra aver dato prova a livello internazionale della sua volontà
di rendere chiaro il superiore status dei trattati rispetto alla legge
14
, anche se
solamente tramite dichiarazioni ufficiali.
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A prescindere da ciò, lo status dei
trattati internazionali in Cina dipende dalla materia che trattano,
indipendentemente se questi siano o meno direttamente applicabili o self-
executing: in quanto o i codici, i quali prevedono il loro status, o le leggi che li
attuano, li pongono in differenti relazioni rispetto all’ordinamento interno.
Riassumendo vi sono quattro tipi di relazione fra l’ordinamento Cinese ed i
trattati sottoscritti dalla RPC e si possono schematizzare a seconda della materia
dei trattati:
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Nell’Aprile del 1990 un rappresentante Cinese durante la quarta sessione del 51esimo
incontro del Comitato Onu contro la Tortura dichiarò che: “ ….secondo il sistema legale della
Cina, allorquando il Governo Cinese approva o partecipa a qualsiasi trattato internazionale
questo diviene effettivo in Cina ed il Governo Cinese diviene responsabile per gli obblighi
previsti. In altre parole, la Convenzione contro la Tortura è divenuta direttamente efficacie in
Cina. Gli atti di tortura, così come previsti dalla Convenzione, sono strettamente proibiti….”
Vedi UN Committee against Torture, 4
th
Session, Summary Record of the 51st meeting,
Geneva, 27 April 1990, UN Doc. CAT/C/SR.51 (4 May 1990), 2.
15
Vedi LI ZHAOJIE, The Role of Domestic Courts in the Adjudication of International
Human Rights: A Survey of the Practice and Problems China, in: BENEDETTO CONFORTI
FFRANCESCO FRANCIONI, Enforcing International Human Rights in Domestic Courts
Kluwer Law International, Alphen aan den Rijn 1997,Pag. 341.