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Scopo di questo book è quello di descrivere come fosse un diario lo svilup-
po della mia tesi. Come è nata, quali sono state le aspettative e le motiva-
zioni che mi hanno spinto a scegliere un borgo sui Peloritani come oggetto
di studio tra le migliaia di scelte possibili, considerata anche la non facile
comodità nel raggiungerlo. Una tesi che non si limita soltanto alla stesura
di poche tavole e qualche disegno, ma che intrinsecamente contiene
quella scoperta di un territorio che per me è stato del tutto nuovo. Un
lavoro di studio lento ma che mi ha via via sempre più affascinato.
Sono un sostenitore del fatto che l’identità di un luogo possa essere
veramente compresa soltanto in una sola maniera: vivendoci. E’ stato
questo il nodo principale da affrontare per il tema della mia tesi, Savoca,
luogo che di nascita non mi appartiene. Il ruolo da me ricoperto in questo
frangente è stato quindi quello di semplice visitatore esterno, di turista per
caso, mosso da pura curiosità, da amore verso ciò che non conosco. E
con non poche difficoltà ho cercato di cogliere le emozioni che le sue
pietre mi hanno trasmesso e di trasformarle in idee di progetto.
PREFAZIONE
PARTE I
SAVOCA: DIARIO DI VIAGGIO
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Quella catena montuosa al di là dell'Etna, che corre interrottamente da Giarre fino a Messina e
che è meglio conosciuta con il nome di Monti Peloritani, mi ha da sempre affascinato. Percor-
rendo l'autostrada Catania-Messina la si vede stagliarsi imponente su di un lato, mentre
disegna uno skyline irrequieto come un paesaggio di cartapesta, con le montagne rugose
scavate dal tempo e le cime rocciose. Mostra in lontananza piccoli borghi, silenziosi sullo
sfondo, o ruderi dimenticati di una passata civiltà contadina, in un paesaggio tipicamente
siciliano di macchia mediterranea.
Dall'altra parte un salto repentino ci conduce a valle (l'autostrada con i suoi cavalcavia sovrasta
il paesaggio) per giungere alla costa: una distesa ininterrotta e continua di case compattate
all'interno di una striscia sottile, in una morsa tra il mare e l'autostrada, esito della sfida tra la
natura e l'uomo, alla conquista del più piccolo lembo di terra da cementificare.
Eppure le carte turistiche ci indicano paesi di costa dalle diverse denominazioni: Sant'Alessio,
Santa Teresa di Riva, Furci Siculo, sono a decine. Nati come borghi di pescatori, ciò che era
della propria singolare identità è oggi un ricordo del passato. La ferrovia prima e l'autostrada
dopo, insieme al fenomeno del boom economico a cavallo degli anni ‘60, sono stati il filo
conduttore di un'edificazione incontrollata per lo più abusiva, che ha consumato lentamente il
territorio, creando una città lineare, indistinta, omologata.
E poi c’è il mare, che lambisce le coste, che attrae orde di bagnanti e turisti intenti ad affollarne
le spiaggie. La “grande città di riviera” si anima così d’estate, vestendosi di una nuova identità,
per poi spopolarsi d’inverno in attesa dell’arrivo della nuova stagione balneare, in un’alternanza
perpetua.
L'anima del luogo è pertanto segnata da due movimenti: il primo, quello lento dei borghi medie-
vali dell'entroterra, con le stradine strette e gli orti, soggetto allo spopolamento e all'abbandono
quasi inesorabile; il secondo, veloce, fatto di modernità e legato al treno e alla macchina, che
ha saturato in breve tempo il territorio.
IL TERRITORIO DEI PELORITANI E IL RAPPORTO CON IL MARE
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SAVOCA: PRIMO APPROCCIO
Era un pomeriggio di tanto sole del Ferragosto 2006. Avevo passato la mattinata al mare, disteso nelle spiaggie ghiaiose di Letojanni, e tra un bagno e un altro avevo deciso di dedicare il pomeriggio
alla perlustrazione delle aree circostanti, alla scoperta di nuovi mondi e tesori nascosti. Munito di automobile e macchina fotografica, potevo spostarmi liberamente, raggiungendo qualsiasi meta
si trovasse nei dintorni e immortalarne i paesaggi.
Lungo la strada principale che corre attraverso il paese di Santa Teresa di Riva (la vecchia strada statale che collega Catania a
Messina), un timido cartello, posto all’incrocio con una traversa, indica la direzione per Savoca. Lo seguo, spinto dalla curiosità di
visitare qualche paese dell’interno.
Il paese è su in collina. Poche decine di metri e già sono fuori dall'area costiera per intraprendere l'arrampicata. Il passaggio viene
filtratro dal taglio repentino del cavalcavia dell’autostrada, un mostro di acciaio e cemento armato che sembra spaccare in due il
cielo. Il transito attraverso gli enormi pilastri che sembrano conferire alla struttura l’aspetto di un porta monumentale, è accompa-
gnato dal fragore delle auto in corsa, che sfrecciano in entrambe le direzioni.
Il tragitto prosegue lungo un unico percorso, una striscia asfaltata che si snoda sul crinale di
una collina, tra curve e tornanti, in un salire lento e faticoso. Il paesaggio muta all'improvviso:
l'odore del mare va via repentinamente, sembra già di trovarsi nell'entroterra più profondo,
mentre la costa è solo più giù a un paio di chilometri di distanza.
Si incontrano le prime tracce della civiltà contadina, tra tradizione antica e modernità: vecchi
terrazzamenti piantati a vigneto e serre per ortaggi.
E poi ci si imbatte anche negli immancabili segni del degrado e dell’indifferenza verso il
territorio, con le case abusive lasciate incomplete, con i loro scheletri di cemento e mattoni
che compaiono tra gli arbusti e le piante della macchia mediterranea.
Ecco che a un certo punto, alzando gli occhi all’insù, si scorge un insieme di edifici arroccati in
cima, come se affiorassero dalle rocce spigolose. Il primo edificio a saltare subito all’occhio è una
chiesa, quella di S. Lucia, a strapiombo sulla valle, quasi dovesse venire giù da un momento
all’altro. E più si sale tra i tornanti, più il paese si fa nitido e assume la sua fisionomia.
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A qualche decina di metri dal giungere a destinazione ci si imbatte sulla destra in una curiosa struttura che salta subito all’occhio: è la casa-atelier di un famoso artista del luogo, Nino Ucchino,
scultore di un materiale insolito, l’acciaio. Il cortile antistante è un piccolo museo all’aperto, pieno di statue e oggetti sbarluccicanti sotto il sole, che sembrano quasi invadere la carreggiata mentre
tappezzano il muro di controterra affianco come tessere di un mosaico. E’ il primo segno tangilbile della vocazione all‘espressione artistica che fa parte proprio di questo borgo.
E arrivo a Savoca. Mi accoglie una piazza alberata, piazza
Fossia, inserita nella parte nuova del paese: alcune panchine,
dei vasi con piante e fiori, al centro un piccolo piedistallo
portante la scultura di un’anziana signora seduta con un velo in testa che non ho mai ben
compreso chi rappresentasse, e un vasto panorama da poter ammirare con il mare in
lontananza.
E’ la prima volta che giungo qui. Devo confessare che di questo borgo non ne avevo mai
sentito parlare e da siciliano mi vergogno un pò a dirlo. Prima di raggiungerlo mi ero giù
informato con dei passanti se ne valesse la pena visitarlo. Scopro che Savoca (in seguito
facendo anche delle ricerche) è nota principalmente per un'attrazione: le sue mummie. Di
primo impatto potrebbe suonare un pò macabro, in realtà si tratta di certi personaggi
illustri vissuti a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo (nobili, notai, avvocati, etc.), sottoposti ad
imbalsamazione subito dopo la loro morte ed esposti in bella mostra in una cripta di una
certa chiesa con tanto di vestiti d'epoca (un buon documento storico sicuramente).
Pertanto il nome di Savoca è rimasto legato negli anni a questa importante presenza.
Sento tutt’ora molti esclamare, quando ne parlo, "Ah si, lì ci dovrebbero essere le celebri
mummie”, ma poi scavando più a fondo nessuno è stato mai capace di illuminarmi su
dove fossero custodite. D’altronde, quando si giunge in paese, non si sa bene dove
bisogna andare, ci si sente un pò smarriti. Per carità il paese è piccolo, ma il livello di
accoglienza lascia a desiderare. Regna il silenzio (e sotto un certo punto di vista questo
è un suo pregio) e di tanto in tanto viene spezzato dal passare tacito dell’automobile di
qualche contadino che scende a Santa Teresa a sbrigare le sue faccende.
Poi scopro che le mummie sono rinchiuse nella cripta del monastero dei Benedettini, una
delle chiese più importanti della zona, in una delle punte estreme del paese, ma la curiosi-
tà svanisce quando mi accorgo che è tutto chiuso per i soliti motivi di restauro, senza che
nemmeno ne sia indicata la fine dei lavori.
La mia tesi non ha però nulla a che vedere con le mummie, quindi lasciamole da parte.
In realtà al giungere nel paese ci si rende conto che c'è un altro elemento su cui si fonda
la notorietà di Savoca: in piazza Fossia sono state girate alcune scene della prima parte
de Il Padrino, nei lontani anni '70. Il bar Vitelli, con l'anziana signora che ancora tutt'oggi
accoglie i turisti, è testimonianza viva di questa celebre pellicola, e custodisce al suo
interno foto sbiadite e cimeli appesi sui muri.
Ma parlare in questo contesto del film è anch’esso fuorviante, nonostante una recente
campagna promossa dall’amministrazione comunale abbia pubblicizzato il paese come
“Città d’arte e di cinema”, slogan accompagnato da tanto di logo con profilo in rosso e
nero del Padrino.