4
Introduzione
La dissertazione che mi accingo a presentare tratta del percorso intellettuale
del filosofo austriaco Martin Buber (1878-1965).
La dissertazione è suddivisa in cinque capitoli. Nel primo capitolo viene
presentato l’itinerario intellettuale del filosofo; Buber nasce a Vienna e
trascorre la sua infanzia con i nonni, che lo avvicinano alla conoscenza delle
Scritture Ebraiche. Adolescente inizia il suo confronto con filosofi del calibro
di Kant e Nietzsche: “In Nietzsche, il diciassettenne Buber trova la secca
smentita del razionalismo kantiano” e una radicale messa in discussione delle
giovanili certezze religiose”
1
. Si iscrive all’Università di Vienna e trascorre
anche qualche mese a Lipsia, è qui che inizia il suo percorso verso il sionismo
entrando in contatto con Theodor Herzl, fondatore del Movimento sionista.
Buber prenderà subito le distanze dall’aspetto prettamente pragmatico e
politico del programma di Herzl, dedicandosi più all’aspetto di rinascita
culturale del popolo ebreo. Al suo primo apparire, il concetto di
“Rinascimento ebraico” è la diramazione di un discorso estetico più ampio,
dai contorni spesso indistinti: Buber descrive un’universale “primavera dei
popoli”, non politica ma culturale; parla, nella prospettiva ebraica, della nascita
di una nuova cultura del bello in tutta Europa, una rivoluzione estetica di cui
ciascun popolo e ciascun individuo sarà partecipe. Qualche anno più tardi,
attraverso la riscoperta del chassidismo, darà un forte impulso al suo
Rinascimento. All’inizio del primo conflitto mondiale, l’Autore si mostra
entusiasta come moltissimi intellettuali dell’epoca; questo lo porterà ad uno
scontro con l’intellettuale e amico Cohen.
Negli anni successivi Buber continua a dedicarsi alle sue raccolte chassidiche e
nel 1923 pubblica “Ich und Du”; il testo si mostrerà di fondamentale
1
Massimiliano De Villa e Andreina Lavagetto, “Buber Storie e leggende Chassidiche”, Milano,
Mondadori Ed. , 2010, p. 64.
5
importanza per la sua filosofia dialogica, di cui si parlerà in modo più
approfondito successivamente.
Nel 1925, Buber, viene contattato da Lambert Schneider che gli propone di
curare una nuova edizione della Bibbia; in questo entusiasmante lavoro si farà
aiutare da Rosenzweig.
E’ il 1938 quando Buber ottiene una nomina per la cattedra di filosofia sociale
e sociologia generale all’Università ebraica di Gerusalemme; la famiglia parte e
si trasferisce. Gli anni che lo attenderanno non saranno semplici; in Palestina
la rivolta divampa ma il sessantenne sente l’esigenza di comunicare e
confrontarsi.
Buber cercherà, attraverso la sua attività pubblica, di risolvere e lanciare
messaggi per una risoluzione della questione palestinese, ma otterrà scarsi
consensi. Dal 1926 al 1945 tratterà, nei suoi scritti, sia l’analisi dell’esistenza
umana nell’esegesi biblica che tematiche inerenti la pedagogia, la filosofia
sociale e gli studi chassidici. Nella maturità Buber affronta “il problema
dell’uomo” confrontandosi con Kant, Hegel, Feuerbach, Marx, Nietzsche.
Successivamente le sue riflessioni teologiche e filosofiche convergeranno in
“Sentieri in Utopia”; si riallaccia al messianesimo confrontandosi con il pensiero
greco e cristiano; in particolare, la riflessione sul cristianesimo verrà trattata
anche nel testo “Due tipi di fede”. Nel 1953 viene pubblicato il volume “L’eclissi
di Dio”, che raccoglie una serie di testi scritti in quegli anni sul rapporto tra
filosofia, religione e pensiero moderno. “Negli anni dal 1961 al 1965 l’età e la
stanchezza lo costringono ad allentare le redini. Fino alla fine Buber
continuerà a controbattere al dissenso, a lavorare per la convivenza pacifica, a
stanziare borse di studio per studenti arabi dell’Università Ebraica. […] Il 13
giugno 1965 Martin Buber muore; la salma è avvolta in un tallit e […] la bara
viene esposta all’Università Ebraica, coperta dalla bandiera israeliana”
2
.
Il secondo capitolo affronta il valore che assume l’Ebraismo in Buber.
“L’ebraismo ha costituito il tronco su cui il pensiero di Buber si è innestato, il
campo di interesse in cui non solo il suo pensiero ma anche la sua azione
politica ed educativa si è sviluppata”
3
. “L’ebraismo non è semplice e univoco,
2
Massimiliano De Villa e Andreina Lavagetto, Op. cit. , pp. 176-177-179.
3
Andrea Poma, “La filosofia dialogica di Martin Buber”, Torino, Rosenberg & Sellier Ed., 1974, p. 1.
6
ma pieno di contrasti. Esso è un fenomeno polare”
4
, così scrive l’Autore in
“Sette discorsi sull’ebraismo”.
“L'eredità ebraica di Buber non può essere posta in discussione; ne sono
intrisi tutti i saggi, apparendo la fonte di ogni dimostrazione, il respiro di ogni
pensiero e il fine di ogni sforzo, quando non si rivela anche l'argomento
diretto del saggio stesso, come accade nei celeberrimi Sette Discorsi
sull'ebraismo, pubblicati nel 1923. Persino la forma con cui Buber ha
consegnato il suo pensiero è meravigliosamente ebraica, nella scelta delle
metafore tratte dalla Torah, nel tono conativo che attira amorevolmente il
lettore tra le parole lette e nel gusto per la ripetizione marcata dei termini e
delle strutture argomentative, tratto peculiare della lingua di Israele e segno,
come pure i precedenti, dell'oralità della sua cultura. E' altrettanto evidente,
inoltre, quanto la stessa antropologia filosofica di Buber sia da intendere come
un fedele e riuscito tentativo di continuazione della tradizione ebraica, poiché
propone un itinerario euristico che risale a ritroso nel cammino dell'uomo,
fino al momento della sua creazione, la cui memoria pre-storica è raccolta
nelle Scritture; segue quindi tutte le curve che conducono la persona, sotto la
guida della decisione, al traguardo dell'esistenza, ossia alla ricerca della trama,
segreta ed ineffabile, del singolo disegno creativo ”
5
.
Il terzo capitolo tratta uno dei nuclei fondamentali del pensiero buberiano:
la filosofia dialogica. “L’educazione è per Buber un’esperienza
importantissima, imprescindibile, che fa parte dell’esperienza umana e la
qualifica. Essa non esaurisce il suo ruolo in funzione del singolo individuo
perché riguarda certamente anche la vita delle comunità, dei gruppi, delle
culture”
6
. Nel testo “Ich und Du” ritroviamo i fondamenti del principio
dialogico, il testo “apre un mondo infinito e nuovo: il mondo della relazione e
dell’incontro con il Tu. E’ suddiviso il tre parti : nella prima parte Buber
espone i principi fondamentali e le due parole fondamentali : io-tu , io-esso;
nella seconda parte analizza la dinamica delle parole fondamentali nell’uomo,
4
Martin Buber, “Sette discorsi sull’ Ebraismo”, Firenze, Israel Ed. , 1923, p. 21.
5
Graziana Moretti, Introduzione di “Martin Buber: il problema della formazione dell’uomo”,
www.utenti.multimania.it/buber/introduzione.html
6
Giuseppe Milan, “Educare all’incontro, la pedagogia di Martin Buber”, Roma, Città Nuova, 2008, p. 30.
7
nella società e nella storia; nella terza parte tratta della relazione e dell’incontro
con il Tu Eterno, quello con Dio”
7
. “La filosofia di Martin Buber è una
filosofia dialogica, e per lo più come tale è passata alla storia della filosofia;
[…] Ma come avviene questo dialogo? In che cosa consiste? Innanzitutto
Buber ci avverte che non è necessario uno scambio di parole perché “avvenga
(sich ereignen)” il dialogo: il linguaggio rimane sempre tale anche se non è legato
a manifestazioni percepibili dai sensi (…) dove vi fu comunicazione
immediata, pur anche muta, fra gli uomini, ebbe luogo la realizzazione
sacramentale del dialogo. […] Nella forma più alta di realizzazione il dialogo
non ha più alcun contenuto da comunicare, né esplicitamente, né
intimamente: ogni opinione cede il passo alla realtà del dialogo, alla verità, che
non è mai un contenuto, ma che risiede nello spazio della relazione. […] Il
dialogo non ha bisogno di alcun contenuto, di alcun messaggio espresso, […]
per esistere concretamente; non la comunicazione è indispensabile perché ci sia
un vero dialogo, ma la comunione. Di conseguenza, per quanto si possa fare a
meno del linguaggio e della comunicazione, una cosa sembra appartenere
indispensabilmente alle caratteristiche del dialogo: la reciprocità dell’azione
interiore”
8
. Buber, nei suoi scritti, ci ricorda che la vera educazione, quella del
carattere, può avvenire solo nella comunità e non a livello individuale; questo
compito può essere affrontato solo dal vero educatore che riesca ad instaurare
una relazione “autentica”, tenendo conto della complessità dell’educando. Per
stabilire un vero rapporto Io-Tu importante diviene, oltre l’umiltà, la modalità
di approccio che l’educatore può assumere. Buber individua tre modalità:
- educatore come osservatore.
- educatore come spettatore.
- educatore “cosciente dell’altro”.
“L’educatore autentico ‹‹deve esistere››: ecco l’auspicio di Buber, che diventa
un richiamo forte a quanti devono interessarsi della formazione degli
educatori e degli insegnanti”
9
.
7
http://www.centrocontatto.org.
8
Ivi pp. 68-69.
9
Giuseppe Milan, “Educare all’incontro, la pedagogia di Martin Buber”, Roma, Città Nuova, 2008, pp. 109-110-111.
8
Altro concetto, di fondamentale importanza in Buber è rappresentato dal
significato di comunità. Nel quarto capitolo ho rappresentato il concetto di
comunità buberiana nella sua conversione da individuale a sociale. “La
comunità non è la “massa”, come la vedeva Kierkegard, quella “massa” che
‹‹concede una completa mancanza di pentimento e di responsabilità del
singolo››; nella comunità, in quella vera, il singolo conserva tutta la propria
responsabilità, anzi la sviluppa e la realizza maggiormente, in quanto la vera
comunità rispetta ed arricchisce la personalità dei suoi membri […] e quindi
anche la loro responsabilità”
10
. “Buber non disdegna di aprirsi ad una
prospettiva che potremmo definire ‹‹utopica››. E’ da tener presente, infatti, che
per Buber l’utopia”
11
“nella sua essenza fondamentale […] è assolutamente
topica e costruttiva, cioè implica mutamenti eseguibili nelle condizioni e coi
mezzi che sono dati. E psicologicamente si fonda su un bisogno eterno, anche
se molto spesso represso e assopito: il bisogno dell’uomo di sentire la propria
casa come una cameretta in un edificio più grande ed esteso, in cui egli si trova
a suo agio e i cui abitanti nei loro incontri con lui, nella loro collaborazione
con lui gli confermano l’essenza e la vita che gli sono proprie. Un’unione
basata soltanto su opinioni e aspirazioni non può soddisfare tale bisogno; lo
può soddisfare esclusivamente un’unione che costituisca una vita
comunitaria”
12
.
Nel quinto e ultimo capitolo della tesi, ho affrontato lo studio del testo
“L’Eclissi di Dio”.
“Se Dio è scomparso dall’orizzonte dell’uomo moderno, ciò non è accaduto
perché sia morto. E’ accaduto perché si è cominciato a concepirlo soltanto
come un impersonale Esso […]. Ciò che sta a cuore a Buber è di convincere
[…] che Dio non è morto ma che appunto si è eclissato, perché fra noi e lui si
è interposto in nostro ‹‹Ego [Icheit] ormai onnipotente, con tutto quell’Esso
intorno a sè››. E’ questo che ci impedisce di fare autenticamente,
personalmente, l’esperienza di Dio. Ma al di là del nostro errore, che lo
ricopre e lo nasconde rendendocelo incomunicabile, Dio continua a splendere
10
Andrea Poma, Op. cit., p. 81.
11
Giuseppe Milan, Op. cit., p. 118.
12
Martin Buber, “Sentieri in Utopia”, Milano, Edizioni di Comunità, 1967, p.152.
9
perfettamente intatto”
13
. Buber, confrontandosi con intellettuali come
Nietzsche, Heidegger, Sartre e Jung, sostiene che “dopo una crisi secolare sia
della fede sia della scienza, l’uomo deve finalmente riacquistare la libertà
creativa che anticamente ha trasferito in Dio, e riconoscersi come l’essere la
cui comparsa causa l’esistenza del mondo. ‹‹Poiché››, dice Sartre, ‹‹non v’è altro
universo che quello umano, l’universo della soggettività umana››”
14
. “Piero
Stefani, a proposito delle posizioni assunte da Buber nell’Eclissi di Dio, ha
osservato acutamente: ‹‹Quanto colpisce nella difesa buberiana della possibilità
di un incontro diretto e coinvolgente con Dio inteso come Tu assoluto, è la
mancanza della componente del tremendum. Ma non è proprio questa
mancanza a essere spia di una lontananza ormai secolare dall’epoca in cui
l’uomo sperimentava tanto potentemente l’incontro con il divino da chiamarlo
rivelazione?››. L’incontro con Dio sembra infatti […] sfumare verso una
‹‹naturale››, pacificante serenità, vicina all’idillio […]. In definitiva, lo stesso
Buber, rispondendo a una replica di Jung, scrive nell’Eclissi di Dio qualcosa che
sembra ambiguamente riavvicinarlo alle giovanili posizioni di Confessioni
Estatiche: ‹‹La mia fede nella rivelazione - non legata a nessuna “ortodossia” –
non significa credere che asserzioni riguardanti Dio giungano già pronte dal
cielo alla terra; bensì che la sostanza umana viene fusa dal fuoco spirituale che
la invade, e solo allora da essa prorompe la parola, l’asserzione che per il senso
e per la forma è umana, comprensione e lingua umana, e pure testimonia del
suo suscitatore e della sua volontà. Noi ci riveliamo – e non possiamo che
asserirlo come una rivelazione››. […] Buber ha percorso un lungo, un grande
cammino. Un cammino dal quale ci separano già molte cose. Questo spazio
che ci divide da lui ci impone ormai una lettura distaccata che sfugga agli
entusiasmi e ai rifiuti delle opposte valutazioni”
15
.
13
Martin Buber, “L’Eclissi di Dio”, Milano , Mondadori Editore, 1990, pp. 5-6.
14
Martin Buber, Op. cit., p. 71.
15
Ivi pp. 9-10-11.
10
Capitolo I
L’itinerario intellettuale di Martin Buber.
1.1 L’infanzia.
“Martin Mordekai Buber nasce a Vienna, l’8 febbraio 1878, in una famiglia di
ebrei assimilati. A soli tre anni dalla nascita, la madre Elise Wurgast - donna
bellissima, originaria di Odessa – scompare senza lasciare traccia. La sua fuga
imprime una traccia indelebile nell’esistenza di Buber”
16
, qualche anno più
tardi scriverà: ‹‹Avevo quattro anni e mi trovavo […] a giocare con la figlia di
un vicino, di qualche anno più grande di me, alla quale la nonna aveva affidato
la mia sorveglianza. Eravamo appoggiati alla balaustra. Io non ricordo di aver
parlato della mamma alla mia compagna più matura, ma sento ancora quella
bambina più grande che mi dice: ‹‹No, lei non tornerà mai più››. So che rimasi
ammutolito, ma so anche che non ebbi alcun dubbio sulla veridicità di quelle
parole››
17
. “Rivedrà solo nel 1911, quando da San Pietroburgo verrà a trovarlo
[…]. Su questo evento – molti anni più tardi, sullo sfondo del pensiero
dialogico – Buber fonderà in concetto di ‹‹incontro mancato›› (Vergegnung):
‹‹Quando dopo vent’anni rividi mia madre, venuta da lontano a trovare me,
mia moglie e i miei figli, non riuscivo a guardarla negli occhi - occhi ancora
meravigliosamente belli – senza percepire la parola Vergegnung che, da chissà
dove, veniva a me›› (Autobiographische Fragmente, in P.A. Schilpp – M. Friedman
[a cura di], Martin Buber, Kohlhammer, Stuttgart 1963, 1 sg.)”
18
. Buber
trascorre l’ infanzia a casa dei nonni a Leopoli in Galizia. Il nonno, Solomon
Buber, lo avvierà alla conoscenza della Bibbia e delle Scritture ebraiche, di lui
dirà: ‹‹Era un autentico filologo… un amante della parola… Per lui lo studio
del linguaggio era di un’ importanza tutta speciale››
19
. In quegli anni si recherà
spesso nella “piccola e sporca città di Sadagora”
20
, “sede di una dinastia di
Zaddikim (zaddik: il giusto, il saggio, il perfetto)”
21
, entrando in contatto col
16
Massimiliano De Villa e Andreina Lavagetto, “Buber Storie e leggende Chassidiche”, Milano,
Mondadori Ed. , 2010, p. 61.
17
M. Buber, Incontro. Frammenti autobiografici, Roma, Città Nuova, 1994, p. 36.
18
Massimiliano De Villa a Andreina Lavagetto, Op. cit. , p. 61.
19
M. Buber, op. cit. , p. 38.
20
Ivi p. 64.
21
Ivi p. 63.
11
chassidismo
22
. La nonna gli trasmetterà la passione per la letteratura tedesca e le
lingue. Fino ai dieci anni, per scelta di quest’ultima, il giovane Buber verrà
educato a casa con insegnanti privati. A scuola imparò il concetto di
tolleranza: “La scuola si chiamava ‹‹Ginnasio Francesco Giuseppe››, la lingua
d’insegnamento e dei rapporti usuali era il polacco, ma l’atmosfera era quella
che regnava, o sembrava regnare, fra le popolazioni della monarchia austro-
ungarica e che a noi oggi appare quasi leggendaria: reciproca tolleranza senza
reciproca comprensione”
23
.
A tredici anni diventa bar miswah, ma ben presto si sente soffocato
dall’ortodossia rabbinica e dal ritualismo esasperato. Nel 1892 ritorna alla casa
del padre che, nel frattempo, si è risposato. Lo attenderà un’adolescenza piena
di letture che lo avvicineranno ad autori come Kant, Kierkegaard e Nietzsche.
Il primo testo che leggerà di Kant sarà i Prolegomeni ad ogni futura metafisica, ‹‹nel
quale si dimostrava come lo spazio e il tempo non fossero altro che
‹‹condizioni formali della nostra sensibilità››, o ‹‹semplici forme della nostra
percezione sensibile›› e non ‹‹attributi reali attaccati alla cosa in sé››
24
.
Scriverà: ‹‹Questa filosofia ha avuto su di me un forte effetto rassicurante.
Non avevo più bisogno di tormentarmi cercando una domanda finale sul
tempo, poiché, visto che era ‹‹in noi››, era anche in me e dunque non mi era
più imposto.[…]Così Kant mi fece dono della libertà filosofica››
25
.
Due anni dopo leggerà Così parlo Zarathustra.“ In Nietzsche, il diciassettenne
Buber trova la secca smentita del razionalismo kantiano; il vitalismo, lo slancio
creativo e la dottrina dell’eterno ritorno esercitano su di lui un fascino potente,
del quale risentirà a lungo”
26
.
“Lo stesso Nietzsche aveva indicato come il ‹‹concetto fondamentale›› del
libro fosse la spiegazione del tempo in quanto ‹‹eterno ritorno dell’uguale››, vale
a dire in quanto successione infinita di processi finiti che si eguagliano in tutto,
cosicché la fase finale del processo coincide con la propria fase iniziale.[…]
22
I maestri del chassidismo : insegnamento, vita, leggenda. Città nuova, Roma. Cit. p. 19:“ il movimento chassidico, che
nacque nelle regioni della Podolia e della Volinia, si diffuse velocemente nelle zone circostanti, tanto che già alla fine del secolo
aveva conquistato metà delle comunità ebraiche dell’Europa orientale”. L’argomento verrà approfondito in seguito.
23
M. Buber, op. cit. , p. 43.
24
Ivi p. 50.
25
Ibidem.
26
Massimiliano De Villa e Andreina Lavagetto, op. cit. , p. 64.
12
Kant non ha cercato di risolvere l’aberrante enigma che ci pone l’essere del
tempo: riducendolo al problema del nostro essere dipendenti dalla forma del
tempo ne ha tracciati i limiti filosofici. Nietzsche, che non voleva avere niente
a che fare con gli accomodamenti della filosofia, pose, al posto di uno dei
misteri originari del tempo, vale a dire del mistero evidente dell’ unicità di tutti
gli eventi, il mistero apparente ‹‹dell’eterno ritorno dell’uguale››. […] E’ stato
grazie a Kant, il quale ha concepito il tempo come forma della ‹‹nostra››
percezione, che si è potuta aprire la strada alla domanda delle domande: ‹‹Se
però il tempo è solo una forma, nella quale percepiamo, dove siamo “noi”?
Non siamo forse insieme con il tempo, nell’atemporalità? Non siamo forse
nell’eternità? ››. E questa naturalmente è un’eternità del tutto diversa da quella
circolare amata da Zarathustra in quanto ‹‹fato››, è un’eternità in sé intellegibile,
che il tempo crea da se stesso e che ci pone in quel rapporto con il tempo che
noi chiamiamo esistenza. Per chi sa riconoscere questo, la realtà del mondo
non mostra più alcun aspetto assurdo e inquietante: perché è eternità.”
27
1.2 Gli studi e il sionismo culturale.
Trascorre il suo primo anno di università a Vienna, iscrivendosi alla facoltà di
filosofia dell’Università Franz-Joseph. “Abbandona il mondo dell’infanzia; si
lascia alle spalle la realtà sociale galiziana considerata periferica e provinciale,
per tornare nella città dove aveva trascorso i primi tre anni di vita”
28
. Qui si
lascia coinvolgere dalla vita frenetica; Vienna è una metropoli dell’arte e della
cultura, ‹‹capitale dell’innovazione e punto d’incontro di ogni fermento
culturale, la città è luogo di rottura dei canoni tradizionali e centro propulsore
di un radicale sperimentalismo in ogni disciplina; […] vi muovono i primi
passi la filosofia di Ernst Mach e la psicoanalisi di Sigmund Freud, nuove
27
M. Buber, op. cit., pp. 51-52.
28
Massimiliano De Villa e Andreina Lavagetto, op. cit. , p. 64.
13
tendenze prendono forma in tutti i campi del sapere, dallo Jungwien di
Hermann Bahr e Hugo von Hofmannsthal alle rivoluzioni pittoriche di
Gustav Klimt e Egon Schiele, dalla musica di Gustav Mahler e Arnold
Schönberg alle innovazioni in campo architettonico di Adolf Loos e Otto
Wagner››
29
. Frequenta assiduamente il Burgtheater: ‹‹…ciò che più di tutto
influiva su di me era il Burgtheater nel quale mi precipitavo quasi tutti i giorni
[…]. Quando poi davanti a me, laggiù in lontananza, il sipario si apriva e io
potevo guardare le vicende del gioco drammatico come se, pur nell’illusione, si
svolgessero veramente, era soprattutto la parola, la parola umana proferita con
‹‹esattezza››, ciò che accoglievo veramente in me.[…]Era così, tuttavia, solo
fino al momento in cui, un attore si metteva a declamare con una ‹‹nobile››
tirata; allora in me si frantumava, insieme con l’ autenticità del linguaggio, del
dialogo, ma anche del monologo, quell’intero mondo costruito dalla fusione
misteriosa di stupore e legge, per poi rinascere nuovamente un attimo dopo
con il ritorno del vero confronto››
30
.
Per il semestre invernale del 1897 si trasferisce a Lipsia, iscrivendosi ai corsi di
estetica, filosofia e psichiatria. Lipsia è una città culturalmente vivace e qui si
appassiona alla musica di Bach. Buber riesce ad inserirsi in diversi salotti
culturali, in particolare sarà accolto in quello del rabbino Nathan Porges: ‹‹vi
terrà due conferenze sul pensiero politico di Ferdinand Lassalle
31
,
impressionando l’uditorio con la sua forza argomentativa››
32
. Per il semestre
successivo si sposta a Berlino, qui assisterà per la prima volta alle lezioni di
Georg Simmel
33
e legge Die jüdische Moderne di Nathan Birnbaum avvicinandosi
29
Ivi p. 65.
30
M. Buber, op. cit. , p. 54.
31
http://www.treccani.it/enciclopedia/ferdinand-lassalle/
Uomo politico e filosofo tedesco (Breslavia 1825 - Ginevra 1864). Partecipò ai moti del 1848 e si impegnò
nell'organizzazione del movimento operaio. Elaborò l'Arbeiter-Programm (1862), che costituì la base
programmatica all'Associazione generale degli operai tedeschi (1863), nucleo del futuro Partito
socialdemocratico. Fautore del suffragio universale, nell'opera Herr Bastiat - Schulze von Delitzsch, der ökonomische
Julian, oder Kapital und Arbeit (1864) sostenne la creazione di cooperative operaie finanziate dallo Stato quale
strumento per superare la condizione in cui le classi lavoratrici, in regime capitalistico, possono raggiungere
solo la sussistenza necessaria alla loro riproduzione.
32
Massimiliano De Villa e Andreina Lavagetto, Op. cit. , p. 66.
33
http://www.treccani.it/enciclopedia/georg-simmel/
Filosofo e sociologo (Berlino 1858 - Strasburgo 1918). Studiò a Berlino e in questa università insegnò poi
come prof. straordinario (dal1901); passò quindi come ordinario all'univ. di Strasburgo (dal 1914). Punto di
partenza della riflessione di S. fu l'insieme dei fenomeni storici e sociali indagati come manifestazione di vita,