Capitolo I – Introduzione
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CAPITOLO I
INTRODUZIONE
1.1 - Caratteristiche della vegetazione boschiva in Lombardia
La Lombardia, grazie alla sua posizione centrale nell'area alpina, è caratterizzata dalla
confluenza delle formazioni vegetazionali della parte occidentale e della parte orientale del
versante meridionale delle Alpi. Per tale motivo la vegetazione di questa Regione presenta
diverse peculiarità che la fanno differire da altre realtà regionali limitrofe. Infatti, nella
parte prealpina più esterna, caratterizzata dalla prevalenza di substrati carbonatici,
s'incontrano formazioni analoghe a quelle venete, mentre nella parte prealpina più interna,
dove prevalgono i substrati silicatici, si evidenziano notevoli analogie con le formazioni
ticinesi e piemontesi. Ne consegue, una notevole complessità della vegetazione. Una
seconda peculiarità sta nella presenza di una lunga valle trasversale, la Valtellina,
caratterizzata da una notevole differenziazione climatica e vegetazionale fra i due opposti
versanti: quello orobico, più fresco, con formazioni di specie mesofile o di conifere, e
quello retico, più caldo, dove prevalgono le specie termofile. Un’ulteriore particolarità è
legata a motivazioni socio-economiche e all’intervento umano. La Lombardia infatti ha
vissuto nell'ultimo secolo dei radicali cambiamenti nell'uso del territorio. Sull’area alpina
coesistono formazioni antropizzate, come prati e pascoli, e formazioni originarie, come le
praterie.
I prodotti del bosco ceduo sono inoltre risultati fondamentali nel corso della rivoluzione
industriale, come risorsa energetica primaria, data la scarsità in Italia di altre fonti
energetiche, come il carbone.
Le leggi emanate per cercare di conservare la già ridotta superficie boscata erano
continuamente disattese. A questa situazione si è inoltre aggiunto l'impoverimento dovuto
ai due grandi conflitti mondiali, che spinse ad utilizzare qualsiasi tipo di risorsa. In tal
modo è facile supporre lo stato in cui versassero molte delle aree boscate delle prealpi
lombarde, almeno dalla metà dell'ottocento fino agli anni cinquanta del novecento.
Il pesante sfruttamento ha poi lasciato posto al completo abbandono di molti territori per la
perdita d'interesse economico della risorsa forestale e, più in generale, per il progressivo
abbandono dei territori montani a favore dell'inurbamento nei grandi centri industriali della
pianura. Fortunatamente, a questo diffuso abbandono del territorio forestale, si
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contrappone la resistenza di frange della popolazione ancora legate all'ambiente rurale e la
volontà politica di recuperare, per quanto ancora possibile, un razionale uso della risorsa
forestale attraverso una nuova valorizzazione dei prodotti del bosco e della sua valenza
ambientale (Pignatti, 1998).
1.1.1 - I boschi di Faggio (Fagus sylvatica L.)
La Regione esalpica comprende i primi rilievi prealpini di una certa rilevanza altitudinale.
Essa può essere distinta in due subregioni, una centro-orientale esterna e l'altra occidentale
interna. La prima, che prosegue anche nel Veneto e in Friuli-Venezia Giulia, s'incontra
soprattutto dove prevalgono i substrati carbonatici; la seconda è presente soprattutto dove
prevalgono i substrati silicatici. Le faggete sono relativamente diffuse in Lombardia. Esse
si incontrano infatti in entrambe le regioni esalpiche e, anche se in misura minore, in quella
mesalpica, su quasi tutti i substrati, anche se l'optimum si colloca nella regione esalpica
centro-orientale esterna su substrati carbonatici (in particolare, calcarei e dolomitici
massicci) (Antonietti, 1996). Sono quindi diffuse nei distretti Sud-Orobico, Camuno-
Caffarense, Benacense e in quelli Prealpini, nonché in quelli occidentali del Lario e del
Verbano. Infine, sono presenti anche delle faggete appenniniche nel distretto dell'Oltrepò
Pavese montano.
In generale, le faggete si collocano soprattutto lungo i versanti, in particolare nella fascia
mediana, ad altitudini variabili fra 600 e 1500 m, anche se non mancano digressioni a
quote sia inferiori e sia superiori.
Il Faggio è capace di adattarsi ad ambienti molto diversi fra loro ed è dunque da
considerare come una specie geneticamente ad ampio spettro (Bucci et al., 1999). La sua
diffusione è comunque legata alla presenza di ambienti non eccessivamente estremi con
inverni freddi ma non troppo, primavere piovose, nebbiose e senza gelate, periodo
vegetativo lungo, ma senza eccessi d'evapo-traspirazione, suolo con ottime caratteristiche
fisiche (Bernetti, 1995).
Il Faggio riprende l’attività vegetativa già all’inizio della primavera, completando la
fogliazione nella prima parte dell’estate. Durante questo periodo esso necessita di
un'elevata disponibilità idrica nel suolo. Poiché il suo apparato radicale è spesso
superficiale (Bagnara e Salbitano, 1997) non può rifornirsi d'acqua in profondità e deve
captare l'acqua meteorica che cade al suolo o che percola lungo il fusto (stem flow). Di
conseguenza, il Faggio può diffondersi solo dove le precipitazioni primaverili sono molto
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abbondanti e il suolo possieda caratteristiche fisiche tali da rendere disponibile l’acqua
negli orizzonti esplorati dall’apparato radicale.
Nel settore alpino si ha un regime pluviometrico equinoziale con un massimo principale
primaverile-estivo, favorevole al Faggio, lungo una direttrice W-E, mentre secondo una
direttrice S-N, a gradiente ben più marcato, si passa da un regime equinoziale ad uno
continentale, con massime estive, contrario alle esigenze del Faggio, che gli rendono
impossibile la sopravvivenza (Hofmann, 1991).
L'umidità atmosferica gioca un ruolo importante nell’aumentare la quantità d'acqua
disponibile, tramite la cosiddetta precipitazione occulta, e nel ridurre l'evapo-traspirazione
fogliare. In particolare, durante la stagione della fogliazione, la presenza di nebbie, non
accompagnate da un eccessivo abbassamento della temperatura, o di correnti d'aria sature
d'umidità provenienti dal mare, permette al Faggio di sopravvivere anche in ambienti
molto ostili (come quelli delle faggete primitive dove vi è la convivenza anche con il pino
mugo), o a quote molto basse (fino a 200 m) mescolandosi con la vegetazione termofila
(Hofmann, 1991).
1.2 - Le pratiche selvicolturali
La selvicoltura è una disciplina che si occupa dei problemi connessi all’impianto, alla
coltivazione, al governo e allo sfruttamento del patrimonio boschivo, con un duplice scopo:
la conservazione della risorsa naturale e la produzione ottimale di beni e servizi
Questa pratica presuppone quindi l'uso di conoscenze biologiche ed ecologiche in un
quadro di tipo economico. La selvicoltura può dunque essere intesa come l'applicazione di
scienze naturali e di scienze sociali per la costituzione e la coltivazione del bosco, in modo
che questo torni utile all'uomo.
Le tecniche utilizzate nell'ambito della disciplina di selvicoltura sono rivolte a:
l'utilizzazione del bosco in modo tale da conservare la fertilità stazionale e da
assicurare la ricostituzione del popolamento (tagli di rinnovazione) mediante
piante nate spontaneamente (rinnovazione naturale) o impianto eseguito
dall'uomo (rinnovazione artificiale);
la coltivazione del bosco giovane con tagli che regolano la densità a favore
delle piante con migliori caratteristiche (diradamento);
la costituzione del bosco dove questo non c'è mai stato o manca da lungo
tempo (rimboschimento).
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Queste operazioni tendono a simulare dei processi naturali, che avverrebbero anche senza
l’intervento dell’uomo, come ad esempio la riduzione numerica degli individui a opera
della competizione e della selezione. Dato che però le modalità e le tempistiche naturali
non corrispondono, se non raramente, alle esigenze umane, con queste operazioni si
accelerano i processi, al fine di indirizzare il bosco verso determinate forme strutturali e di
composizione: precise caratteristiche di forma, di qualità del legno, di stato sanitario
ottimale, di produzione.
1.2.1 - I tagli di rinnovazione
La rinnovazione del bosco può avere luogo mediante piante nate da seme oppure con
piante originate da gemme presenti su diversi tessuti vegetali: rinnovo attraverso parti
staccate, come talee e propaggini o sviluppo di gemme presenti sulle ceppaie.
La selvicoltura fa ricorso a questi processi naturali di rinnovazione, organizzando il
momento e lo spazio in cui desidera si verifichino e il tipo di popolamento arboreo che
intende costituire.
Essenzialmente sono due le modalità di gestione del bosco: a fustaia e a ceduo. Queste si
differenziano a seconda del meccanismo biologico a cui si affida la rinnovazione del
soprassuolo e a seconda delle forme attuate di trattamento con cui si applicano i tagli di
rinnovazione per ottenere determinate strutture arboree. (Piussi, 1995).
a. Fustaia
Il governo a fustaia basa la rinnovazione del soprassuolo sulle piante nate da seme. Esso si
può applicare attraverso tre fondamentali forme di trattamento, che si differenziano per il
tipo di taglio effettuato: taglio a raso, tagli successivi o tagli saltuari.
Taglio a raso: viene spesso applicato nelle fustaie coetanee o coetaneiformi.
Esso consiste nell'abbattimento contemporaneo di tutte le piante presenti sulla
superficie da rinnovare. In seguito al taglio però il terreno rimane più o meno
scoperto per un certo numero di anni, fino a che la nuova generazione di
alberi ne assicura nuovamente la protezione raggiungendo la fase di spessina.
Nelle zone acclivi la situazione è particolarmente pericolosa, per l’instaurarsi
di fenomeni erosivi. Per questo motivo si cerca di contenere entro limiti
ristretti le dimensioni massime delle tagliate, la forma, l'orientamento rispetto
alle linee di massima pendenza. Nel caso la rinnovazione naturale incontri
ostacoli, si tende a ricorrere alla rinnovazione artificiale.
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Questa pratica presenta indubbi aspetti positivi dal punto di vista economico e
gestionale, con piccole difficoltà per quanto riguarda l’abbattimento e
l’esbosco e la programmazione delle diverse operazioni.
Tagli successivi: tendono ad ovviare ad alcuni inconvenienti del taglio a raso.
Questo tipo di gestione permette infatti di contenere l’erosione, grazie a una
copertura quasi costante del terreno. I tagli successivi utilizzano totalmente il
soprassuolo ma in più tempi, con intervalli di qualche anno tra un taglio e
l'altro, così che la rinnovazione ha inizio quando solo una parte degli alberi è
stata abbattuta e la rinnovazione può affermarsi sotto una copertura parziale.
Anche questa forma di trattamento si applica a boschi coetanei, ed è
particolarmente adatta a specie che non sono in grado di disseminare a
distanza (specie barocore), quali le querce o il Faggio e che nello stadio
giovanile non tollerano gli estremi termici, in particolare le gelate tardive.
I tagli successivi nella loro forma classica consistono in:
- un iniziale asporto del 30-60% della massa legnosa per fornire alle plantule
nate nel sottobosco le risorse necessarie a sopravvivere e a crescere (taglio di
segmentazione). Le chiome degli alberi rimasti, intercettando le radiazioni,
conservano un regime termico simile a quello interno del bosco;
- uno o più tagli secondari (non sempre necessari), che fanno giungere con
gradualità termico simile a quello interno del bosco;
- un taglio alla fine del periodo di rinnovazione (taglio di sgombero) che
allontana la copertura residua assicurando le migliori condizioni di
illuminazione al novellame il quale ha ormai uno sviluppo tale da non
richiedere più una protezione da scottature al colletto o da geli tardivi.
Questo tipo di gestione presenta comunque problemi e difficoltà tecniche: il
pericolo di danni o di sradicamenti per le piante rilasciate che si trovano
bruscamente isolate; la scelta delle piante da abbattere con il taglio di
segmentazione; la difficoltà di eseguire il taglio di sgombero senza
danneggiare il giovane soprassuolo che si è formato sotto copertura.
Taglio saltuario: utilizzato soprattutto per i boschi disetanei a struttura
scalare. Questo metodo consiste nel taglio, ripetuto ogni 10-12 anni (periodo
di curazione), di una frazione modesta (20% della massa legnosa) delle piante
presenti, scelte nelle diverse classi diametriche, considerate correlate a classi
di età. La scelta delle piante da abbattere avviene secondo diversi criteri: la
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maturità economica (alberi di grosse dimensioni), la rinnovazione, la
regolazione della densità nei gruppi di alberi giovani, le condizioni
fitosanitarie, il mantenimento di una particolare struttura scalare.
Quest'ultimo criterio è essenziale in quanto vengono mantenute le
caratteristiche naturali di questi boschi: la copertura ininterrotta del terreno; la
costanza delle condizioni interne di microclima; la continuità del processo di
rinnovazione. Il taglio saltuario offre numerosi vantaggi tra cui,
principalmente, l'ottima azione di difesa del suolo e di regolazione delle
acque. Esso si presta tuttavia solo per le specie che riescono a rinnovarsi e a
crescere sotto un certo grado di copertura. In Italia viene applicato
essenzialmente ad alcuni boschi misti a picea, abete bianco e Faggio delle
Alpi Orientali.
b. Ceduo
Il governo a ceduo si basa sulla ricostituzione delle parti aeree del bosco mediante polloni
emessi da ceppaie (rinnovazione fondata sulla propagazione vegetativa) e riguarda oltre la
metà dei boschi italiani. I polloni hanno origine da gemme che possono preesistere sulle
ceppaie (gemme proventizie) o che si formano in corrispondenza di calli cicatriziali
(gemme avventizie) e che danno luogo alla formazione di un fusto in conseguenza del
taglio di ceduazione (Figura 1.1). Nonostante una ceppaia possa subire molteplici
ceduazioni e produrre più generazioni di polloni, la sua vitalità non è tuttavia illimitata:
l'età, la concorrenza e gli agenti patogeni ne possono provocare la morte. La sostituzione
delle ceppaie morte avviene mediante piante nate da seme che a loro volta verranno
Fig. 1.1 - Sezione verticale di una ceppaia di Faggio con pollone avventizio (a) e
proventizio (p) (Piussi, 1995)
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ceduate, o mediante polloni che vengono portati a sviluppare un apparato radicale
autonomo rispetto alle ceppaie da cui hanno tratto origine, che gradualmente marciscono e
muoiono.
Non tutte le specie sono dotate di capacità pollonifera; in Europa queste sono
esclusivamente latifoglie e tra queste le più importanti sono diverse querce (sia
sempreverdi che caducifoglie), il castagno e il Faggio.
La forma più diffusa del trattamento del ceduo è il taglio raso (Figura 1.2) che consiste nel
taglio della maggior parte dei fusti risparmiandone un certo numero (matricine), che
vengono lasciati invecchiare al fine di permettere la produzione di una maggiore quantità
di seme. Da questo trarranno origine nuove piante che sostituiranno, se necessario, le
ceppaie morte di vecchiaia.
Il governo a ceduo ha sempre trovato ampio impiego, grazie alla facilità e alla rapidità
della rinnovazione. I polloni possono infatti approfittare dell’ampio apparato radicale delle
ceppaie su cui sono comparsi, con una rapida crescita, già dal primo anno. La produzione
dei cedui è quindi molto elevata con turni brevi. Al ceduo, d'altra parte, non si richiede di
fornire tronchi di grosse dimensioni, ma soprattutto legna da ardere o paleria per usi
agricoli (Figura 1.3). Sotto il profilo ambientale il ceduo trattato a taglio raso presenta
pregi e difetti analoghi a quelli della fustaia; la brevità dei turni aggrava tuttavia il
problema dell’asportazione di elementi nutritivi dal terreno.
Fig 1.2 - Schema esemplificativo di ceduo trattato a taglio raso esaminato ad
intervalli di qualche anno (A-C). In coincidenza con un altro taglio (D) sono state
eseguite alcune propaggini per rinfoltire la popolazione di ceppaie (Piussi, 1995).