VI
INTRODUZIONE
L’oggetto dell’elaborato concerne lo studio delle aree valutarie, in
particolar modo dell’Unione Monetaria Europea. Saranno trattati temi ri-
guardanti le teorie tradizionali sull’ottimalità delle unioni valutarie. La
determinazione di alcuni degli aspetti relativi le tradizionali teorie fanno
sorgere perplessità. Si analizzeranno quindi, in modo critico queste teorie
che hanno causato difficoltà e problemi in uno scenario non agevole co-
me quello attuale, caratterizzato da una crisi che attraversa trasversal-
mente tutti i settori e da una forte recessione. Una valuta unica
all’interno di una determinata area geografica pone dinanzi a scelte so-
prattutto di carattere economico. Vi sono dei costi da dover sopportare a
fronte di diversi benefici. La perdita della politica monetaria intrapresa a
livello di singolo paese, crea l’impossibilità di utilizzare strumenti di
riequilibrio automatici, derivanti dal movimento del tasso di cambio del-
la propria valuta, che preserva o modifica i livelli di produzione e occu-
pazione. Mundell basa la propria teoria sull’assorbimento degli shock
asimmetrici, indicati quali causa dei principali costi delle aree valutarie.
La flessibilità salariale e la mobilità dei lavoratori sono individuati come
fattori in grado di assorbire shock asimmetrici e diminuire i costi di
un’unione valutaria. Nel corso del primo capitolo vengono presentati i
costi che un paese, che aderisce a un’unione monetaria, deve sopportare.
Basarsi però su pochi elementi risulta riduttivo, bisogna quindi un’analisi
completa ed esaustiva che identifichi tutti i costi derivanti dall’adesione
a un’unione valutaria. Il secondo capitolo tratta dei benefici, per i quali
vale lo stesso discorso. I benefici, però sono difficilmente quantificabili
in termini economici e per tale motivo rendono più complicata una valu-
tazione integrata. Vi sono benefici che hanno efficacia diretta e indiretta,
VII
in relazione al canale di trasmissione e benefici che hanno efficacia sta-
tica o dinamica, in relazione all’orizzonte temporale considerato. I prin-
cipali benefici sono l’eliminazione dei costi di transazione con evidenti
risparmi sulle commissioni di cambio, la maggiore trasparenza dei prez-
zi, una maggiore trasparenza e confrontabilità dell’imposizione fiscale e
l’eliminazione del rischio di cambio. Un elemento che si colloca al cen-
tro di discussioni teoriche è l’integrazione commerciale, fattore che po-
trebbe creare sia vantaggi che svantaggi in relazione alla concentrazione
territoriale, verranno quindi discusse le tesi della Commissione Europea
su cui si basa l’Eurozona e di Krugman. La questione però pone risvolti
più complessi che vanno dalla strutturale insussistenza della domanda
aggregata alla imperfetta integrazione economica e politica europea; fa-
cendo propendere per diversi criteri che prendono caratteri delle diffe-
renti teorie quali la misura degli scambi, la somiglianza degli shock, il
grado di mobilità del lavoro, i sistemi di trasferimenti fiscali. Si mette-
ranno in luce gli aspetti più critici e sui quali risultano necessarie alcune
considerazioni. Il terzo capitolo espone il soddisfacimento dei criteri di
Mundell e una critica a essi. Mundell, infatti, basava il suo studio sulla
mobilità del lavoro e sulla flessibilità salariale, il modello Euro non sod-
disfaceva detti requisiti e è incappato in notevoli problematiche. Le criti-
che che verranno proposte, sono principalmente relative al fatto che le
autorità europee si sono basate troppo sul soddisfacimento dei criteri ex-
post, cioè in una fase successiva l’introduzione dell’euro, si giudicherà
cioè, se fosse risultato maggiormente conveniente rispettare determinati
requisiti ex-ante. Attraverso un’analisi quantitativa si evidenzieranno le
opinioni negative della flessibilità del mercato del lavoro, della crescita
del salario nominale e della produttività. Tale scenario non presuppone
l’infondatezza degli studi di Mundell ma l’incoerenza teorica dell’UME,
ciò significa che ci sono tutta una serie di problemi irrisolti. Gli spunti
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teorici del primo, del secondo e del terzo capitolo, anticipano gli argo-
menti del quarto capitolo. La crisi compone lo scenario macroeconomico
di fondo. Nonostante l’Europa non abbia mostrato particolari difficoltà
in uno quadro contingente positivo, in una situazione economica e finan-
ziaria complicata, i problemi si sono acuiti. L’integrazione fiscale risulta,
perciò, essere uno strumento fondamentale per tentare di risollevare le
sorti dell’Unione Europea, fare in modo di ridurre gli shock asimmetrici
ed avere maggiori benefici. L’integrazione finanziaria avutasi con l’euro
ha portato diversi benefici. Per questo motivo uno dei mandati della Bce
è la stabilità finanziaria. L’armonizzazione e le connessioni finanziarie
quindi, sono state sempre al centro dei piani della Bce. L’Eurosistema e
la stessa Bce concordano nel giudicare, che un’integrazione finanziaria
accresce il potenziale per una crescita economica più rapida e non infla-
zionistica. Alcuni studiosi, tuttavia, hanno dimostrato incompatibilità de-
rivanti dalla troppa integrazione finanziaria introducendo dei trilemmi di
politica economica, nei quali, solo due obiettivi su tre possono essere
perseguiti congiuntamente. Questo elaborato attraverso spunti teorici
tratta il caso europeo. Dopo una determinazione di costi e benefici da va-
lutare ex-ante, ci sono tutta una serie di elementi che non sono stati valu-
tati dai governatori e dai policy maker europei e che hanno portato a dif-
ficoltà strutturali e problemi irrisolti i quali si sono aggravati con la crisi.
Tramite analisi quantitative e osservazioni pratiche si sottolineeranno i
principali problemi irrisolti dell’UME che determinano ulteriori spunti di
riflessione.
1
PRIMO CAPITOLO
Costi di una valuta comune
SOMMARIO: 1.1 Introduzione 1.2 IL modello di Mundell – 1.3 Le differenze nel mer-
cato del lavoro – 1.4 Differenze tra i sistemi giuridici – 1.5 Differenze tra i tassi di
crescita – 1.6 Politiche monetarie nazionali – 1.7 Shock simmetrici e shock asimmetri-
ci – 1.7.1 L’impiego di politiche monetarie per correggere shock di domanda asimme-
trici permanenti – 1.7.2 L’impiego di politiche monetarie per stabilizzare shock di
domanda temporanei e asimmetrici – 1.7.3 Il ricorso al deprezzamento per correggere
le differenze nelle preferenze di politica economica – 1.8 Grado di apertura commer-
ciale
1.1 Introduzione
Il seguente capitolo si pone lo scopo di analizzare i costi derivanti
dall’introduzione di una valuta comune. Vengono presentati quindi, i
principali costi pertinenti la decisione di partecipazione a un’unione valu-
taria. Si analizzeranno attraverso importanti tesi e teorie di diversi studio-
si, anche alcuni casi pratici come l’Unione Monetaria Europea, con
l’obiettivo di analizzare a posteriori i modelli concettualizzati. Il lavoro di
R. Mundell nel 1961
1
fa da precursore a ogni altro lavoro sulla “optimum
currency area”, spiegando le ragioni di spostamenti della domanda non-
ché analizzandoli in chiave di “flessibilità salariale” e mobilità del lavo-
ro”. Uno dei principali costi di una valuta unica lo si può rintracciare
all’interno delle differenze nel mercato del lavoro analizzate a livello ma-
1
Successivamente anche Mckinnon (1963) intendendo: “in un’economia molto aperta, una variazione
del tasso di cambio nominale si tradurrebbe in una variazione del tasso di inflazione, in tal modo si la-
scia invariato il tasso di cambio reale”.
2
cro-economico da Bruno e Sachs. Se i sistemi giuridici sono notevolmente
diversi il risultato sono differenze di propagazione delle politiche; a tal
proposito qualche autore crede che la convergenza dei sistemi giuridici
può aversi solo in seguito ad una integrazione politica. Il paragrafo sulle
differenze tra tassi di crescita spiega in che modo sorgono problemi sulla
bilancia commerciale di un paese che aderisce a un unione monetaria.
Analizzando le politiche monetarie nazionali, poi, si passa da un approc-
cio tradizionale a uno cosiddetto “la nuova teoria” ovverosia “Il modello
Barro-Gordon” che studia le problematiche relative a una politica mone-
taria in termini di coerenza temporale e credibilità, analizzato in chiave di
economia aperta da Melitz (1988) prima, e Cohen e Wyplosz (1989), poi.
Riassumendo i costi sono determinati dalla perdita di autonomia della po-
litica monetaria e dalla perdita dello strumento di riequilibrio automatico,
derivante dal movimento del tasso di cambio. I punti focali di una discus-
sione relativa i costi di un’unione valutaria rimangono: la propagazione di
shock asimmetrici e il grado di apertura commerciale. Il primo determina
costi di aggiustamento superiori rispetto al caso di un’autonomia moneta-
ria. Il secondo è un punto dibattuto e diviso tra due opinioni dominanti,
quella della Commissione europea e quella di P. Krugman.
1.2 Il modello di Mundell
Le aree monetarie ottimali sono gruppi di regioni con economie
strettamente legate fra loro per lo scambio di prodotti e servizi e per la
mobilità dei fattori. Un'area a cambi fissi è nell'interesse di tutti i paesi
3
partecipanti, se la mobilità dei fattori e il volume degli scambi reciproci
sono elevati.
I costi di un’unione monetaria sono direttamente collegabili al fatto
che un paese rinuncia alla propria moneta nazionale. Di conseguenza, esso
perde l’autonomia nella gestione della politica monetaria nazionale
2
; un
paese così, non sarà più in grado di poter gestire il prezzo della propria
moneta, la quantità di moneta in circolazione, il tasso d’interesse e non
potrà più godere degli aggiustamenti automatici derivanti dal movimento
del tasso di cambio. Il tasso di cambio, è infatti un importante strumento
che risulta essere necessario, date le differenze tra i paesi, per stabilizzare
produzione e occupazione. In un’unione monetaria quindi, la banca cen-
trale nazionale cesserà di esistere. Mundell
3
sviluppò, in un celebre arti-
colo del 1961, uno spostamento della domanda, considerando che ad
esempio Francia e Germania formassero un’unione monetaria. Ipotizzan-
do inoltre, che per qualche ragione i consumatori modifichino le loro pre-
ferenze, passando da prodotti francesi a quelli tedeschi, le curva di do-
manda francese traslava verso il basso mentre quella tedesca verso l’alto
(come esposto in figura 1.1).
2
Perdita di stabilità monetaria.
3
MUNDELL R., A Theory of Optimum Currency Areas, American Economic Review, 1961 p.657.
4
Figura 1.1: Domanda e offerta aggregata in Francia e Germania
I suffissi contrassegnati dalla “f” si riferiscono alla Francia, mentre
la “g” alla Germania. In Francia come risultato, quasi sicuramente si avrà
un aumento della disoccupazione
4
derivante da una diminuzione della
produzione; il contrario avverrà in Germania. Entrambi i paesi si trovano
quindi dinnanzi ad un problema di aggiustamento. Esistono due meccani-
smi che ristabiliscono: la flessibilità del salario e la mobilità del lavoro.
1. La flessibilità salariale: se i salari sono flessibili in Francia si
noterà una diminuzione delle richieste salariali, mentre in
Germania l’eccesso di domanda di lavoro spingerà verso
l’alto il saggio del salario. La diminuzione del saggio di sala-
rio in Francia porterà la curva dell’offerta aggregata verso il
basso, il contrario accadrà in Germania (figura 1.2).
4
Op.cit. Mundell (1961) p. 658: “Suppose first that the entities are countries with national currencies.
The shift of demand from B to A causes unemployment in B and inflationary pressure in A”.
D
g
Pf
Yf
Pg
Yg
Df
Sf
Sg
Dg
5
Figura 1.2: Processo di aggiustamento automatico
In Francia il nuovo prezzo del prodotto diminuisce rendendo i pro-
dotti francesi più competitivi, stimolando la domanda, la situazione oppo-
sta si verificherà in Germania.
2. Mobilità del lavoro
5
: I lavoratori francesi disoccupati si tra-
sferiranno in Germania dove c’è un eccesso di domanda di
lavoro. Quindi con la flessibilità salariale e una mobilità del
lavoro sufficientemente elevata, il problema
dell’aggiustamento può scomparire. Tuttavia, se non ci fosse-
ro entrambi i meccanismi, il riassorbimento del disequilibrio
può essere ottenuto solo con un aumento dei prezzi tedesco,
che renderebbe i beni francesi più competitivi, spostando la
curva “Df” in avanti. Questa soluzione quindi comporterebbe
l’aumento dell’inflazione in Germania.
Ragionando in un’ottica di assenza di unione monetaria, i paesi che
hanno un tasso di cambio flessibile, potrebbero modificare il tasso di inte-
resse per raggiungere un particolare equilibrio. Invece i paesi che sotto-
5
Mundell prese ad esempio il lavoro di James Meade che affermava che la mobilità dei lavoratori era
un presupposto necessario alla formazione di un’area valutaria.
Yg
Df
Sf
Sg
D
g
Pf
Pg
Yf
Dg