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1. INTRODUZIONE
1.1. SINDROME METABOLICA
La sindrome metabolica (SM) rappresenta una categoria diagnostica costituita
da un gruppo di alterazioni metaboliche associate ad un aumentato rischio di
sviluppare patologie cardiovascolari (PCV) e metaboliche (Grundy, 2007).
Negli ultimi anni è stata messa in evidenza una associazione tra insulino-
resistenza (IR), SM e ipogonadismo maschile sia nei soggetti con (Corona et al.,
2006; Traish et al., 2009) che senza disfunzione erettile (DE; Svartberg et al.,
2004; Maggi et al., 2007; Maggi, 2008). Sia la DE che l’ipogonadismo sono stati
considerati possibili segni precoci di PCV e SM (Montorsi et al., 2003; Corona et
al., 2008) e l’IR è stata proposta come il possibile elemento patogenetico
comune sotteso a tali condizioni. La presenza di DE è considerata un
importante segno clinico predittivo per una patologia coronarica silente nella
popolazione diabetica, indipendentemente dal controllo glicometabolico e dalla
severità della DE (Gazzaruso et al., 2004). E’ stato dimostrato, infatti, che i valori
di velocità di picco sistolico misurati campionando le arterie cavernose del pene
in condizioni di flaccidità rappresentino un buon indice per predire la presenza
di una patologia coronarica silente nella popolazione diabetica, mostrando
un’accuratezza dell’80% (Corona et al., 2008). Il meccanismo fisiopatologico alla
base dell’associazione tra DE e patologia coronarica silente risiede nel fatto che
le arterie cavernose peniene, di piccolo calibro, raggiungono livelli di stenosi
critica, associati ad ipoafflusso ematico relativo, più precocemente rispetto a
vasi di calibro maggiore, anticipando di circa tre anni l’insorgenza di eventi
cardiovascolari importanti (Montorsi et al., 2006). Inoltre anche l’ipogonadismo,
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spesso cofattore nella patogenesi della DE (Morelli et al., 2007; Traish et al.,
2009) è associato ad un aumento del rischio cardiovascolare (CV).
Altro importante punto chiave della SM, è rappresentato dall’obesità, in
particolare l’obesità viscerale, ed è noto, che bassi livelli di testosterone (T)
sono associati all’obesità (Corona et al., 2008). Da una parte, infatti,
l’ipogonadismo può essere considerato una delle numerose complicanze
dell’obesità, dall’altra bassi livelli di T possono giocare un ruolo nell’accumulo
di grasso in eccesso, stabilendo così un circolo vizioso. Nella SM, la presenza di
una obesità viscerale, induce non solo ad una riduzione dei livelli di T circolanti
ma anche ad uno squilibrio del rapporto tra T ed estrogeni. Difatti, l’aumentata
aromatizzazione degli androgeni da parte del tessuto adiposo determina un
incremento nei livelli sierici degli estrogeni. Proprio la correlazione con gli
estrogeni ha permesso di identificare, in studi successivi, anche una diretta
associazione tra obesità e rischio di sviluppare iperplasia prostatica benigna
(IPB) e sintomi del basso tratto urinario (Low Urinary Tract Symptoms, LUTS;
Mongiu & McVary, 2009). Un aumento dei livelli sierici di estrogeni è stato
dimostrato nei pazienti affetti da sintomatologia LUTS secondaria a IPB e SM
(Schatzl et al., 2000; Rohrmann et al., 2007), a supporto dell’ipotesi che lo
squilibrio nel rapporto tra androgeni ed estrogeni possa concorrere
all’insorgenza delle patologie del basso tratto urinario in condizioni di obesità e
SM. Studi clinici hanno, infatti, dimostrato che un deficit androgenico si associa
ad instabilità della funzione vescicale (Rohrmann et al., 2007; Yassin et al.,
2008).
Come emerge chiaramente da quanto detto in precedenza, l’identificazione dei
soggetti con SM riveste una notevole importanza clinica per la prevenzione di
eventi coronarici. Infatti, più di un quinto della popolazione italiana adulta in
età 35-74 anni, in particolare un terzo di quella tra 65 e 74 anni (Giampaoli et al.,
2004), e l’80-90% dei diabetici di tipo II, sono affetti da SM.
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Proprio per la variabilità dei numerosi fattori di rischio e per le differenze nei
criteri utilizzati per la diagnosi è stato un problema nel corso degli anni
attribuire alla sindrome una definizione precisa. Oltre a SM sono stati infatti
utilizzati altri termini come: sindrome X, sindrome dismetabolica, sindrome
plurimetabolica, deadly quartet e sindrome da insulino-resistenza (De Fronzo
& Ferrannini, 1991; Ferrannini et al.; 1991).
1.1.1. Criteri per l’identificazione della Sindrome Metabolica
Le definizione più comunemente utilizzate sono quelle definite
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dal National Cholesterol
Education Programme Adult Treatment Panel (ATP III) e dall’International
Diabets Federation (IDF).
La “OMS” definisce SM la presenza di diabete mellito di tipo II, l’alterata
glicemia a digiuno, la ridotta tolleranza al glucosio (IGT) o l’insulino-resistenza
in associazione a due dei seguenti fattori (Alberti et al., 2006):
Obesità centrale (BMI > 30 kg/m
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e/o rapporto WHR >0,90 nei maschi e
>0,85 nelle femmine);
Dislipidemia (trigliceridi >150 mg/dl e/o HDL <35 mg/dl nei maschi ed
<39 mg/dl nelle femmine);
Elevata pressione arteriosa con livelli 140/90 mmHg;
Microalbuminuria 20 µg/min o rapporto albumina/creatinina 30 mg/g.
La definizione di obesità è basata sull’indice di massa corporea (BMI) o sul
rapporto tra la circonferenza vita e la circonferenza fianchi (WHR). Nella
definizione proposta dalla OMS vi sono peraltro alcuni punti suscettibili di
qualche critica. In età avanzata, è ben noto che il BMI non è una reale misura
dell’obesità a causa dei cambiamenti di statura con l’avanzare dell’età ed al
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diverso rapporto tra massa grassa e massa magra. Inoltre il BMI non fornisce
informazioni sull’esatta distribuzione corporea del tessuto adiposo.
Nel 2001 la “United States National Cholesterol Education Program’s Adult
Treatment Panel III (NCEP ATP III)” ha suggerito nuovi criteri diagnostici,
proponendo che la presenza nello stesso individuo di almeno tre dei seguenti
disordini sia sufficiente per identificare la sindrome (Grundly et al., 2005):
Obesità addominale quantificabile con una circonferenza vita superiore
ai 102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne;
Aumento dei valori di trigliceridi ≥ 150 mg/dl;
Bassi livelli di HDL < 40 mg/dl per gli uomini e < 50 mg/dl per le donne;
Ipertensione con valori > 130/85 mmHg;
Aumento della glicemia a digiuno ≥ 110 mg/dl.
L’ATP III identifica cinque componenti della SM e definisce fattori di rischio
“di base” l’obesità, l’inattività fisica e la dieta aterogenica;
“maggiori” il fumo, l’ipertensione, gli elevati livelli di LDL, l’anamnesi
familiare di malattie cardiache precoci e l’invecchiamento;
“emergenti” l’aumento delle LDL, l’IR, l’intolleranza glicemica, lo stato
proinfiammatorio e protrombotico e l’ipertrigliceridemia.
Nonostante l’apparente favore iniziale, nemmeno questa definizione è stata
accettata da tutti.
Nel 2005 l’IDF definisce un’altra classificazione, aggiungendo alla
circonferenza vita, la presenza di almeno altri due fattori (Alberti et al., 2005)
fra quelli sotto indicati:
circonferenza vita ≥ 94 cm negli uomini e ≥ 80 cm nelle donne;
valori di trigliceridi ≥ 150 mg/dl;
HDL < 40 mg/dl negli uomini e HDL < 50 mg/dl nelle donne;
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Pressione sistolica ≥ 130 mmHg oppure pressione diastolica ≥ 85mmHg;
Livelli di glicemia ≥ 110 mg/dl oppure diabete noto.
Le difficoltà nel trovare un accordo sulla definizione sono dovute ai molteplici
fenotipi clinici della sindrome ed a quadri clinici che possono cambiare nel
tempo in relazione anche a fenomeni, quali l’invecchiamento e la menopausa.
Nonostante ciò è opportuno ricordare che i singoli componenti della sindrome
correlano con l’aumentato rischio di cardiopatia ischemica e che la
circonferenza vita è uno dei migliori predittori di SM (Palaniappan et al., 2004).
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1.2. SINTOMI DEL BASSO TRATTO URINARIO (LUTS)
I sintomi del basso tratto urinario (LUTS, Lower Urinary Tract Symptoms) sono
molto comuni nella popolazione maschile e la loro prevalenza cresce
all’aumentare dell’età, compromettendo in maniera significativa la qualità di
vita nel maschio anziano (Webber, 2006): la loro incidenza passa dal 14% negli
uomini intorno ai 40 anni, ad oltre il 40% nei sessantenni (Mc Vary, 2005). I
LUTS sono considerati tradizionalmente come la manifestazione clinica
dell’IPB. E’ ben noto come lo sviluppo dei sintomi IPB-correlati includa tre
distinte componenti: statica (ostruzione uretrale causata dall’ingrossamento
della prostata), dinamica (ipertrofia del destrusore e ipercontrattilità di uretra e
vescica) infiammatoria (infiammazione della prostata).
I LUTS sono quindi non facilmente correlabili ad una specifica diagnosi.
Essendo una patologia molto vasta sono classificati in tre sottogruppi:
Sintomi legati alla fase di riempimento (irritativi), e quindi percepiti nella fase
di accumulo di urina (disuria, minzione difficoltosa, riduzione del getto,
pollachiuria, nicturia, minzione con bruciore e dolore, incontinenza).
Sintomi legati alla fase di svuotamento (ostruttivi), percepiti durante la
minzione, e caratterizzati da percezione di flusso minzionale ridotto, urina a
fiotti o a spruzzo, minzione a intermittenza, sforzo.
Sintomi legati alla fase post svuotamento (o post minzionale), percepiti
immediatamente dopo la minzione, con sensazione di incompleto svuotamento
e perdita involontaria di urina immediatamente dopo la minzione.
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I LUTS legati alla fase di svuotamento sono associati a ostruzione, come
risultato di un ingrossamento della prostata aumentato dal tono della
muscolatura liscia dello stroma prostatico.
Al contrario, i LUTS legati alla fase di riempimento sono associati
principalmente alla disfunzione della vescica che è caratterizzata da iperattività
del muscolo detrusore (Andersson & Arner, 2004).
La vescica è un organo cavo, impari e mediano, che è accolto nella piccola pelvi
dietro e sopra la sinfisi pubica, e nel maschio è situata anteriormente al retto e
poggia sulla base della prostata. L'ampolla vescicale è formata da due parti: il
fondo e il collo. Il fondo costituisce il deposito dell'urina, il collo lungo 2-3 cm,
si connette con l'uretra fino all’uretra esterna che si estende nel maschio
attraverso il pene.
Il muscolo che forma le pareti della vescica è detto muscolo detrusore, un
muscolo liscio la cui attività è regolata da fibre nervose simpatiche e
parasimpatiche in relazione alle variazioni volumetriche e pressorie percepite
dai suoi recettori neuro-muscolari. A livello microscopico la parete della vescica
è costituita da tre strati di differenti tessuti. La tunica mucosa è costituita da un
epitelio di rivestimento di transizione (ovvero un tessuto in cui il numero di
strati e la forma delle cellule varia a seconda che la vescica sia piena o vuota) e
da una tonaca propria di connettivo. Più esternamente abbiamo la tunica
muscularis, costituita da fasci di muscolo liscio. Infine abbiamo un rivestimento
connettivale chiamato tunica serosa.