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Introduzione
La crisi finanziaria rappresenta l’esito della finanziarizzazione
dell’economia che, di conseguenza, ha eroso la preminenza dell’economia
reale. La finanziarizzazione, contrariamente a quanto si possa pensare, ha
origini antiche, strettamente legate alla storia del capitalismo. Le prime cri-
si finanziarie sono note già alla fine dell’800
1
e agli inizi del ‘900. La Gran-
de Crisi del ’29, altro non è che il crollo della borsa valori newyorkese cau-
sata, tra l’altro, dalla cattiva gestione delle aziende industriali, finanziarie e
bancarie e dall’eccesso di prestiti concessi a carattere speculativo. Tratti
caratteristici della finanziarizzazione, come la liberalizzazione dei flussi di
capitali e la preminenza dei servizi finanziari, hanno avuto effetti negativi
in relazione all’occupazione, ai consumi e alla produzione. Principio sotte-
so alla liberalizzazione è l’esclusione dell’interventismo statale dalle scelte
economiche nazionali, anche se questo aspetto non ha escluso una sorta
di collusione, o di tacita accettazione dei governi, rispetto alle manovre fi-
nanziarie dei cc. dd. investitori istituzionali.
Le cause delle crisi speculative affondano le loro radici nel disequili-
brio che ha permeato il mercato del lavoro nel modello capitalistico occi-
dentale, dovuto alla de-regolazione concretizzata nella riduzione dei salari
dei lavoratori costretti, in questo modo, a ricorrere ai redditi da capitale e
ai prestiti facili delle finanziarie. I prestiti dovevano garantire ai consumato-
ri tenori di vita simili a quelli del passato pur avendo, di fatto, un reddito in-
feriore. Questi elementi indicano la crisi del capitalismo, un modello di
produzione nato per assicurare benessere e ricchezza alla popolazione.
Per analizzare, in concreto, le distorsioni del capitalismo finanziario ho
deciso di approfondire un caso specifico e in qualche misura sui generis:
la crisi islandese
2
. Essa mostra le criticità del settore finanziario, per altro
presenti nella maggior parte dei paesi colpiti dalla crisi, ma risulta emble-
1
La crisi esplosa nel 1873-1895, definita anch’essa “Grande Depressione” si caratterizza per la
concentrazione industriale e finanziaria, interventismo statale nell’economia e burocratizzazione.
2
La scelta è ricaduta sull’Islanda poichØ tra le varie crisi (greca, spagnola, italiana, irlandese),
quella islandese si presentava come la piø drammatica e la meno conosciuta, in quanto i media, a
parte qualche eccezione, non hanno dato spazio alla vicenda. L’Islanda appare come un laborato-
rio, dove gli esperimenti degli scienziati vengono testati su piccola scala. Di solito il laboratorio è
il passaggio propedeutico per la genesi della teoria che a questo punto dovrebbe essere valida su
ampia scala.
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matica per altri ragioni: le modalità attraverso le quali le istituzioni e i citta-
dini stanno affrontato la crisi. Il dibattito tra esperti e opinione pubblica
mondiale sulla valutazione delle azioni islandesi e replicabilità di una simi-
le soluzione, è tutt’ora in corso e lontano da una qualsiasi conclusione. La
principale problematicità riscontrata nell’analisi della crisi islandese risiede
nelle caratteristiche del Paese (poco popolato, fuori dall’Unione Europea,
con una economia di piccole dimensioni, ricco di risorse energetiche e
molto vicino alla piena indipendenza da idrocarburi), se confrontante con
quelle europee; tuttavia costituisce un caso estremamente interessante,
considerando che l’Islanda ha subito una delle peggiori crisi mai affrontate
da una economia, e non può non destare interesse il fatto che il paese
nordico abbia già compiuto significativi progressi nella ristrutturazione del-
la propria economia snaturata dalla pervasività della finanza globale.
Nonostante l’evidenza delle criticità che permeano il capitalismo e la
finanza, risulta problematico trovare un modello economico e culturale so-
stitutivo. Così come fanno fatica ad emergere nuovi indicatori della ric-
chezza e del benessere della popolazione che superino il concetto di Pro-
dotto Interno Lordo, retaggio del capitalismo andato in crisi. Il progresso
della tecnologia non è speculare rispetto all’ innovazione in campo teorico.
La ricerca di indicatori innovativi, che misurino il benessere in modo com-
pleto e adeguato ai tempi, è motivata dalla volontà di rinnovamento che si
avverte in campo economico. Una necessità sempre piø diffusa, che ri-
chiede uno sforzo congiunto tra esperti e istituzioni governative, che do-
vrebbero basare le loro politiche su indicatori multidimensionali che tenga-
no conto della qualità della vita dei cittadini, dei livelli di istruzione, di salu-
te e di lavoro. Considerare la ricchezza sulla base esclusiva del PIL risulta
inappropriato, non perchØ il PIL sia di per sØ sbagliato, ma a causa
dell’inadeguatezza che presenta nel misurare il benessere della popola-
zione. Il PIL presenta tre limiti: in primo luogo sovrastima costi che non
rientrano nell’effettivo benessere dei cittadini, in secondo luogo non com-
prende buona parte della ricchezza prodotta dall’economia informale, infi-
ne non mostra informazioni sulla distribuzione della ricchezza, essendo
una media della produzione di beni e servizi di un Paese in un determinato
periodo. Sicuramente non è semplice trovare una misura di sintesi che
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possa comprendere tutte le voci che creano benessere in un Paese ma è
altrettanto vero che se le misurazioni sono incomplete anche le soluzioni
per uscire da una crisi come quella odierna non potranno che essere ap-
prossimative.
Nel primo capitolo verranno descritte in modo sintetico le cause che
hanno originato la crisi finanziaria dell’economia. Successivamente ver-
ranno poste le basi terminologiche per i successivi capitoli, affrontando i
temi della finanziarizzazione e del finanzcapitalismo. Nodi cruciali saranno
le de-regolazioni, che hanno interessato il mercato finanziario, e la descri-
zione degli investitori istituzionali. Infine l’attenzione verrà spostata sulle
drammatiche conseguenze sociali della finanziarizzazione.
Il secondo capitolo analizzerà le tappe che hanno condotto alla crisi i-
slandese. Il default bancario e il debito pubblico insostenibile hanno co-
stretto il paese a richiedere l’intervento al FMI. Successivamente verrà af-
frontata la questione Icesave, una disputa internazionale tra Islanda, Re-
gno Unito e Olanda, tutt’ora in corso e dalla difficoltosa risoluzione.
Il terzo capitolo tratta la reazione del popolo islandese, il protagonista
delle vicende. Esso mostra al mondo che è possibile sconfiggere i poteri
forti, provocare le dimissioni del governo, riscrivere la costituzione e af-
fermare la propria volontà di non pagare i debiti privati tramite referendum.
Difficile affermare con certezza se la soluzione islandese sia esportabile
altrove, certo è che rappresenta una importante lezione circa le capacità di
un popolo di rivoluzionare sistemi economici e politici corrotti.
Il quarto ed ultimo capitolo affronta il tema del benessere. Verranno
riportate le principali critiche al tradizionale indicatore, il PIL, e descritte al-
cune delle numerose iniziative alla ricerca dell’indicatore adeguato a misu-
rare il benessere, che tenga in considerazione l’attenzione crescente ver-
so la sostenibilità ambientale e tutto ciò che può essere annoverato tra gli
elementi che compongono il benessere dell’individuo.
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1 La crisi finanziaria
3
1.1. Le origini
4
Quando lo sviluppo del capitale di un Paese
diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò,
il lavoro rischia di essere malfatto.
J. M. Keynes
5
La crisi economica mondiale ha origine negli Stati Uniti nel 2006, e
non nel 2008 come le cronache riportano, quando scoppiò la bolla immo-
biliare che avrà ripercussioni prima negli stessi Stati Uniti e poi in tutto il
mondo
6
. ¨ in Florida, a Miami, nei quartieri di downtown che il settore delle
costruzioni inizia a decollare
7
, poichØ è su quel settore che gli Stati Uniti
del post-11 settembre vogliono puntare per risollevarsi. Per ripartire, però,
3
Con questo capitolo introduttivo intendo porre le basi, anche terminologiche, per l’analisi condot-
ta nei successivi. Verranno analizzate, brevemente, le tappe che hanno portato all'odierna crisi e-
conomica e il funzionamento dell’economia finanziaria.
4
In modo schematico, le cause della crisi finanziaria vanno ricondotte a: la bolla dei subprime; gli
strumenti finanziari strutturati; il ruolo delle assicurazioni sui mutui; la valutazione del rischio; il
ruolo dei derivati; la speculazione e la crisi delle materie prime; il crollo della fiducia sui mercati;
il contagio all’economia reale; e alle mancate risposte del mondo politico. Per approfondimenti
cfr. La mini guida per capire la crisi della finanza, a cura di Baranes (2008), scritta nell’ambito
della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, consultabile al seguente link:
http://www.italia.attac.org/spip/spip.php?article2232, visitato il 25 ottobre 2012.
5
“When the capital development of a country becomes a by-product of the activities of a casino,
the job is likely to be ill-done”, Keynes, (1936), p. 159.
6
Per quanto la crisi si possa definire mondiale è pur vero che non tutti hanno subìto le conseguen-
ze della recessione, si pensi solo alle economie emergenti di Paesi come i Brics, acronimo che sta
per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Il Brics è diventato un vertice nel giugno del 2009,
(cfr. http://www.goldmansachs.com/our-thinking/brics/brics-reports-pdfs/brics-dream.pdf) esso si
basa su incontri frequenti e può vantare una rilevante influenza non solo nell’ambito economico
mondiale, tanto che nell’ultimo vertice, a Sanya nel 2011, si sono occupati anche di politica estera,
criticando l’uso della forza nella crisi libica e, volendo affermare il loro crescente peso mondiale,
reclamano una redistribuzione del potere nella Banca Mondiale e nel FMI, oltre ad auspicare ri-
forme in seno all’Onu (cfr. http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Brics-lancia-la-sfida-
all%E2%80%99Occidente-in-finanza-e-politica-estera-21306.html). Oltre ai Brics troviamo il
gruppo dei “Next Eleven” tra i quali sono annoverati Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico,
Nigeria, Pakistan, Filippine, Corea del Sud, Turchia, Vietnam. Tutti i Paesi del mondo hanno a che
fare con gli USA, ma c’è chi riesce ad esserne meno vincolato di altri o si trova in una posizione
privilegiata come la Cina che, nonostante detenga buona parte del debito pubblico statunitense,
che la rende doppiamente legata agli USA e all’andamento della sua economia, è noto che questa
florida economia, che basa propria ricchezza sul risparmio privato, e non sugli investimenti (i veri
responsabili della crisi economica globale), sia abituata a performance economiche sorprendenti,
con una crescita economica annuale che nel 2012 si attesta al 7,8. Queste cifre, se paragonate a
quelle europee fanno capire a quale velocità si muove il colosso asiatico, seppure inizi a risentire
del calo delle esportazioni verso i Paesi colpiti dalla crisi.
7
Tra il 2003 e il 2010 sono stati costruiti 22.500 appartamenti in un’area di sessanta isolati.
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non basta costruire, servono bassissimi tassi d’interesse e la concessione
di mutui concessi perfino a chi non ha risparmi o garanzie da presentare
alle banche.
Pur di piazzare prestiti, gli agenti delle banche e delle finanziarie riducono di
mese in mese la cifra da versare come caparra, fino a raggiungere lo zero: la ca-
sa sarà tutta a debito, bisogna solo dimostrare di avere uno stipendio che per-
metta di pagare le prime rate. Le rate dei primi tre o cinque anni, poi si vedrà, poi
il problema sarà di chi ha comprato quel credito, che nel frattempo è stato me-
scolato ad altri e impacchettato in qualche prodotto finanziario complesso che va
a finire nella pancia delle banche o nelle tasche dei risparmiatori di ogni angolo
del pianeta
8
.
La smania dei profitti su commissioni e premi ai venditori, così come i
guadagni sui prodotti finanziari e i tassi d’interesse vicini allo zero sono gli
ingredienti che contribuiscono alla crescita. Così, i valori delle abitazioni
crescono di pari passo con la convinzione che tutto sia possibile, anche
utilizzare l’abitazione come un bancomat, e questo accade: “chi è già in-
debitato ogni anno passa alla banca per farsi dare un prestito pari alla ri-
valutazione della sua villetta”
9
.
Nessuno pensa che questo meccanismo si possa inceppare e che i
prezzi possano calare: sembra prevalere la mancanza di prudenza, non a
caso inizia ad investire anche chi non ha risparmi, tanto la crescita si pre-
vede infinita. Una famiglia chiede un piccolo prestito e riesce a comprare
casa versando solo l’acconto e prima che questa sia finita la rivende otte-
nendo l’aumento di valore provocato dal continuo rialzo dei prezzi. La gen-
te inizia a farsi prendere la mano, e le case da una diventano due, poi tre,
poi quattro, sembra un gioco d’azzardo, e l’azzardo sarà presto noto: il va-
lore delle rate da pagare è fisso per i primi tre - cinque anni, ma poi il mu-
tuo diventa a tasso variabile e la rata aumenta enormemente
10
. Somman-
do questo processo alla mossa della Federal Reserve
11
, che tra la prima-
vera del 2004 e l’estate del 2006 ha compiuto ben 17 rialzi consecutivi dei
8
Calabresi (2011), in Calabresi, Deaglio, Guerrera, Lepri, Riotta (2011), p. 4.
9
Ivi, p. 5.
10
Si tratta degli ARM (Adjustable Rate Mortgage), cioè mutui a tasso variabile.
11
Banca Centrale Stati Uniti d’America.
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tassi di interesse per rivalutare il dollaro e combattere l’inflazione, si ottie-
ne
la tempesta perfetta: il mercato comincia ad essere saturo, si continua a co-
struire troppo, il debito delle famiglie ha superato ogni record storico, i tassi sono
saliti in fretta e scoraggiano nuovi acquisti e i primi mutui ARM stanno arrivando
al momento del passaggio dalla rata fissa a quella variabile. La frana comincia
alla fine del 2005, si gonfia nel 2006 ed esplode in tutti gli Stati Uniti nella prima-
vera del 2007
12
.
¨ la fine del sogno per molte famiglie indebitate che non riescono piø
a pagare le rate del mutuo. Iniziano i pignoramenti e le case vengono ab-
bandonate
13
. Possiamo considerare la Florida e i suoi immensi quartieri
fantasma, come i simboli di questa crisi speculativa. Gli americani si chie-
dono perchØ dovrebbero pagare le rate di abitazioni che ogni giorno per-
dono parte del proprio valore
14
, e sulla base di questo interrogativo smet-
tono di pagare, bloccando, di fatto, il mercato. Adesso la situazione miglio-
ra lentamente, ma solo in certe zone del Paese, grazie all’arrivo di brasi-
liani, messicani e arabi che approfittano del dollaro debole per investire,
ma negli Stati Uniti di provincia la situazione resta stagnante, la disoccu-
pazione si combatte ma non si sconfigge.
Il problema, tuttavia, non è circoscritto agli Stati Uniti. La Spagna e
l’Irlanda, Paesi europei dilaniati dallo scoppio della bolla immobiliare, pre-
sentano la medesima situazione in alcuni quartieri delle loro capitali. A
Madrid, ad esempio, nell’ Ensanche de Vallecas
15
, a fine anni ’90, le auto-
rità cittadine si sono impegnate in un piano di espansione da 7 milioni di
metri quadrati, con abitazioni e servizi per 28 mila persone. Il cantiere è
12
Ibidem.
13
Una notizia del 26/09/2012 riporta che a causa di pignoramenti irregolari effettuati tra il 2008 e
il 2011, in California verranno rimborsate le famiglie che lo richiederanno entro Gennaio 2013. Si
tratta di piø di 430.000 persone. Cfr. la notizia al seguente link:
http://www.valori.it/finanza/pignoramenti-irregolari-california-iniziano-rimborsi-5676.html,
visitato il 26 agosto 2012.
14
Il mutuo da pagare divenne piø alto del valore della casa, una distorsione gravida di conseguen-
ze. L’economia reale inizia a pagare il dazio all’economia dei tassi di interesse e degli investimen-
ti. Quei mutui che le persone si sono rifiutate di pagare sono passati di mano in mano. “Sono finiti
nel portafoglio delle banche di tutto il mondo e hanno contagiato la finanza e i mercati. Ma soprat-
tutto hanno ucciso la fiducia, hanno minato le certezze e reso ogni investitore ansioso e spaventa-
to.” Ibidem.
15
Quartiere nella periferia sud di Madrid.
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stato aperto nel 2004, nel pieno del boom immobiliare, ed oggi il quartiere
è semi deserto. Risulta difficile svendere gli appartamenti. Come riportato
da Marco Alfieri de la Stampa, «si svende moltissimo, le banche finanzia-
no il 100% pur di alleggerire il proprio portafoglio “Real estate”
16
»
17
, e no-
nostante gli incentivi, il numero degli acquirenti si presenta esiguo.
In Irlanda, la situazione sembra ancora piø drammatica. La c.d. “Tigre
Celtica”, per via della crescita economica degli anni Novanta
18
, sta facen-
do i conti con una delle recessioni piø dure della propria storia, seconda
solo a quella degli anni Venti, che ha causato un enorme flusso di emigra-
zione all’estero. Anche la crisi odierna sta costringendo la popolazione ad
andare via, perchØ non esistono prospettive future, soprattutto occupazio-
nali. I quartieri fantasma di Dublino e dintorni sono numerosi. I nuovi com-
plessi abitativi, nati tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del 2000, sono
abbandonati. Le banche faticano a vendere; chi vi abita, ed è disoccupato,
non riesce a pagare il mutuo; chi ha finito di pagarla e vorrebbe vendere
otterrebbe meno della metà del valore che l’abitazione aveva acquisito
prima della crisi
19
. Distorsioni tipiche della finanziarizzazione economica e
del salvataggio delle banche da parte del governo, costato 50 miliardi di
euro, che ha imposto una pesante politica di austerità alla popolazione.
I quartieri fantasma, dunque, possono essere considerati i simboli piø
evidenti della crisi globale che, costruiti durante il boom, restano invenduti
e inabitati perchØ nessuno si può permettere cospicui investimenti, nean-
che con le agevolazioni bancarie.
16
La Real Estate rappresenta una asset class, ovvero una classe di investimenti finanziari che
compongono le varie attività bancarie. In particolare, la Real Estate fa riferimento al settore im-
mobiliare.
17
Alfieri (2012), Reportage da Madrid pubblicato il 24 luglio 2012, consultabile al seguente link:
http://www.lastampa.it/2012/07/24/economia/madrid-nei-quartieri-fantasma-dove-il-mattone-e-in-
svendita-totale-dn2AYZJSgSjmjpmPGmpReM/pagina.html, visitato il 26 ottobre 2012.
18
L’Irlanda vantava il secondo PIL pro capite d’Europa. La sua crescita negli anni Novanta è in
qualche modo assimilabile a quella islandese della quale parleremo nel secondo capitolo. In segui-
to alla crisi c’è stato l’intervento del FMI per risanare l’economia in difficoltà. Il governo ha impo-
sto una manovra da 3 mila euro a famiglia, cfr. Weston, Sheahan (2010), consultabile al seguente
link:
http://www.independent.ie/national-news/budget/news/6bn-cut-and-run-2452192.html, visitato il
26 ottobre 2012.
19
Franceschini (2010), articolo pubblicato da Repubblica, consultabile al seguente link:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/03/emigrazione-quartieri-
fantasma-la-tigre-celtica-non.html, visitato il 26 ottobre 2012.
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1.1.1. Dall’immobiliare alle grandi Banche
Le conseguenze della bolla immobiliare hanno colpito profondamente
le banche statunitensi e successivamente quelle europee. Altro simbolo,
evidentemente finanziario, della crisi è senza alcun dubbio la bancarotta di
Lehman Brothers, una delle piø grandi banche d’affari del mondo.
La crisi di sfiducia che stava attanagliando Lehman avrebbe potuto contagia-
re tutto il sistema finanziario, distruggendo società ben piø grandi come la Erri,
Morgan Stanley e persino la potentissima Goldman Sachs
20
.
Ministri, banchieri e “signori” di Wall Street, riuniti alla Fed
21
, dovevano
prendere una decisione che avrebbe cambiato il corso degli eventi. Infatti,
le autorità degli Stati Uniti decisero di non salvare la Lehman Brothers
22
,
lasciandola cadere nella bancarotta, causando uno shock nei mercati
mondiali e costringendo i governi di mezzo mondo a mettere a disposizio-
ne degli istituti bancari cifre ingenti per far ripartire l’economia
23
. Gli inve-
stitori persero fiducia, veniva utilizzato solo il denaro contante, l’intera e-
conomia si fermò.
L’economia sofisticata e moderna di cui eravamo tanto fieri – con la globa-
lizzazione, il «mondo piatto» e i beni made in China venduti nei grandi magazzini
occidentali da Los Angeles a Roma – era paralizzata dalla paura. Le banche
smisero di prestare soldi alle aziende e individui, società europee e americane
furono costrette a tagliare milioni di posti di lavoro e il mondo sprofondò in una
recessione di cui ancora stiamo pagando le conseguenze
24
.
In tanti si chiesero nel 2008, e continuano ancora a farlo, per quale
motivo la Fed non ha proposto un piano di salvataggio per Lehman Bro-
thers, così come ha fatto per molti altri istituti sull’orlo del default. ¨ opi-
nione diffusa che il fallimento di Lehman è da considerarsi come
l’eccezione che conferma la regola dei salvataggi bancari. La politica co-
20
Guerrera (2011), in Calabresi et al. (2011), p. 7.
21
Guerrera (2011), p. 8.
22
Cfr. Cox (2010), articolo del 27 ottobre 2010 pubblicato da CNBC e consultabile al seguente
link: http://www.cnbc.com//id/39869844, visitato il 26 ottobre 2012.
23
Mentre la Lehman non fu salvata (l’unica tra le grandi, mentre fallirono un centinaio di piccole
banche), il governo Statunitense decise di salvare pilastri dell’economia come Goldman Sachs,
Morgan Stanley, Aig e Citigroup.
24
Ivi, p. 8.
- 10 -
mune negli Stati Uniti, così come in Europa, è stata quella di salvare gli i-
stituti bancari e assicurativi, secondo il principio del “Too big to fail”. Que-
sto principio, come vedremo nel caso islandese, è una sorta di garanzia
implicita per gli istituti finanziari che perpetrerebbero azioni altamente ri-
schiose, forti del fatto che eventuali perdite verrebbero coperte dalle istitu-
zioni. Così avvenne e il Congresso degli Stati Uniti accettò la TARP (Trou-
bled Asset Relief Program)
25
, dopo il fallimento della Lehman Brothers,
per comprare asset, definititi tossici, delle varie banche in crisi per un am-
montare di 700 miliardi di dollari (piø costi indiretti
26
) in cambio di parteci-
pazioni sotto forma di azioni privilegiate e dell’impegno, da parte degli isti-
tuti, a restituire quanto ricevuto
27
. La TARP viene considerata “come la piø
grossa operazione di aiuto al business finanziario mai decisa nella storia
americana”
28
e l’opinione pubblica statunitense ha criticato fortemente
questo piano, reputando scorretto l’esborso di simili cifre per salvare la fi-
nanza e non la popolazione in evidenti difficoltà
29
.
Le motivazioni addotte per aver lasciato fallire la Lehman e aver sal-
vato altre banche e istituti assicurativi sono numerose. Tra le tante, gli e-
sperti ritengono che Lehman sia stata lasciata fallire poichØ il suo salva-
taggio avrebbe creato piø danni del default. Esistono delle differenze strut-
turali tra i vari istituti, per fare un esempio, mentre per la AIG
30
(la piø
25
Il TARP è il programma studiato nel settembre 2008 dall’allora segretario di Stato al Tesoro sta-
tunitense, Paulson, e dal presidente della Fed, Bernake, con l’obiettivo di porre freno alla crisi.
26
Bloomberg pubblica un articolo di Ivry, Keoun and Kuntz (2011), secondo i quali: «The amount
of money the central bank parceled out was surprising even to Gary H. Stern, president of the Fed-
eral Reserve Bank of Minneapolis from 1985 to 2009, who says he “wasn’t aware of the magni-
tude.” It dwarfed the Treasury Department’s better-known $700 billion Troubled Asset Relief
Program, or TARP. Add up guarantees and lending limits, and the Fed had committed $7.77 tril-
lion as of March 2009 to rescuing the financial system, more than half the value of everything pro-
duced in the U.S. that year». (L’intero articolo è consultabile al seguente link:
http://www.bloomberg.com/news/2011-11-28/secret-fed-loans-undisclosed-to-congress-gave-
banks-13-billion-in-income.html, visitato il 26 ottobre 2012).
L’operazione di salvataggio sarebbe costata, dunque, piø di 7 trilioni di dollari.
27
Per approfondimenti sul TARP vedi: http://troubled-asset-relief-program.net/, visitato il 26 otto-
bre 2012; [PDF] http://www.cbo.gov/sites/default/files/cbofiles/ftpdocs/121xx/doc12118/03-29-
tarp.pdf.
28
Margiocco (2011), articolo dell’8 aprile 2011, consultabile al seguente link:
http://www.lettera43.it/economia/finanza/12525/le-dimissioni-di-barofsky-e-la-verita-sulla-
tarp.htm, visitato il 26 ottobre 2012.
29
Sul funzionamento della Tarp, le critiche e il ruolo del suo supervisore Barosfky, vedi Magiocco
(2011).
30
La AIG è tra i principali emettitori e sottoscrittori di CDS, Credit Default Swap, contratti assicu-
rativi con elevato rischio. Cfr. Banknoise (2008), articolo consultabile al seguente link: