Introduzione
II
infatti le innovazioni telematiche e le tappe d’integrazione economica e monetaria
europea offrono e impongono alla piccola impresa possibilità di sviluppo, non neces-
sariamente o esclusivamente dimensionali.
I risultati ottenuti dalla PMI in Italia indicano chiaramente, infatti, come la
piccola impresa sia una realtà economica autonoma e non una struttura produttiva di
transito verso la grande dimensione. Si può affermare che la PMI sia attualmente il
fondamento della realtà economica italiana, particolarmente in alcune zone del paese.
Questa tipica caratterizzazione dimensionale trova le sue cause in una molteplicità di
ragioni: il ritardo con cui è iniziato lo sviluppo industriale in Italia rispetto agli altri
paesi industrializzati, la specializzazione dell’industria nei settori tradizionali che,
non richiedendo ingenti investimenti in ricerca, consentono dimensioni competitive
più ridotte di quelle dei settori d’avanguardia nonché una minore proiezione interna-
zionale e la legislazione fiscale e del mercato del lavoro che disincentivano il pas-
saggio a dimensioni superiori. Si sta comunque affermando con successo anche la
dimensione media, come testimoniano realtà quali Merloni-Novicelli o Luxottica-
Safilo; il cui successo è basato su una forte focalizzazione sul core-business, una
lunga esperienza in un ambiente interno molto competitivo, una propensione per una
crescita esterna a basso tasso di indebitamento, alti investimenti in R&S e nella
qualità delle risorse manageriali.
Lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie telematiche, la rete internet e l’“e-
commerce”2, permettono un superamento dei limiti imposti dalla dimensione
2
Nel corso del convegno “Il marketing made in Italy: nuovi scenari e competitività”, tenutosi a Roma
il 17 Maggio 2000, Enrico Sassoon, amministratore delegato della American Chamber of Commerce
in Italia, nel corso del suo intervento “La new economy e la competitività del made in Italy” ha fornito
i dati contenuti nel rapporto Prodi presentato a Lisbona sull’e-commerce; le previsioni sul totale del
Introduzione
III
dell’azienda consentendo di ottenere e fornire informazioni su un mercato più ampio.
In Italia tutto ciò è ancora poco sviluppato sia per la scarsa diffusione dell’uso di
Internet da parte dei privati sia per le difficoltà che le imprese incontrano nel reperire
fondi da destinare alla creazione e alla gestione di siti informatici (in media il costo
di un sito aziendale è di 18 mila dollari all’anno e occorrono da uno a tre anni per
raggiungere l’attivo) e per la scarsità di personale qualificato, problema che sta pena-
lizzando tutte le economie avanzate3. Per le imprese italiane va sottolineato comun-
que un limitato interesse ad internet: nel 1999 il 79%4 delle imprese italiane non è in
rete e solo il 29% di quelle collegate sta sviluppando progetti di commercio elettroni-
co nonostante la rete informatica consenta, riguardo alla funzione informativa, una
competizione più paritaria tra piccola e grande dimensione considerando il livella-
mento dei costi di pubblicità e un identico potenziale di contatti.
Inoltre l’integrazione europea ha condotto alla creazione del “Mercato Uni-
co”, di cui si studia un’ulteriore espansione, e per il futuro si può prospettare
un’estensione del mercato di riferimento delle imprese comunitarie; sarà, quindi, più
facile entrare nei mercati dell’unione, grazie alle riduzioni dei costi e dei tempi di
trasporto, ma ci sarà anche una crescita dimensionale della domanda che potrà favo-
commercio elettronico sono che esso passi in Europa da 1 miliardo di dollari registrato nel 1997 a 358
nel 2003 mentre in America le cifre sono rispettivamente 9 e 654 miliardi. Il Rapporto CENSIS 1999
indica il giro d’affari dell’e-commerce in Italia pari a 1.200 milioni di dollari, valore triplicato rispetto
all’anno precedente.
3
Ibidem, Enrico Sassoon, ha fornito dei dati circa le posizioni lavorative legate alla new economy che
non vengono occupate in Europa, nel 1999 le posizioni vacanti in Italia erano 11.000 mentre in Euro-
pa erano un milione; le previsioni per il 2001 parlano di 59.000 domande di lavoro non soddisfatte
nella sola Italia.
4
Ibidem, dati elaborati sul campione Assintel; mentre al 9 Maggio 2000 delle oltre 5 milioni di impre-
se iscritte alle Camere di Commercio solo 72.656 figurano nella rubrica delle imprese in rete (presen-
za di sito o indirizzo e-mail), dati raccolti sul sito www.infocamere.it.
Introduzione
IV
rire i soggetti che hanno accesso ad economie di scala e di esperienza; vi sarà inoltre
un possibile ampliamento della dimensione ottimale in alcuni settori; certo, invece,
sarà l’incremento della concorrenza. Le imprese italiane si trovano in una posizione
svantaggiata rispetto a quelle estere in quanto non godono degli stessi servizi o delle
stesse economie esterne, ma anzi devono sopportare un carico di obblighi procedurali
e normativi superiore sui quali sarebbe opportuno un intervento di snellimento per
favorirne lo sviluppo. Le svalutazioni della lira nel ’92 e nel ’95 hanno avuto poi una
ripercussione negativa sull’attività di ricerca ed innovazione delle imprese che si so-
no accontentate dell’accresciuta competitività conseguente al cambio favorevole.
Inoltre, con la proiezione globale dell’economia, il ruolo del sistema paese sta acqui-
sendo un’importanza determinante e, come ha fatto notare Furio Colombo5, nessuna
singola impresa, per quanto eccezionale possa essere, può compensare una scarsa fi-
ducia degli osservatori esteri nel sistema paese. Purtroppo i dati non indicano una
situazione favorevole per il sistema Italia, anche tralasciando il problema
dell’instabilità politica: tra il 1997 e il 1998 si è verificato un calo degli investimenti
esteri in Italia mentre sono aumentati gli IDE italiani6. Inoltre gli investimenti in
R&S in Italia sono pari all’ 1,1% del PIL mentre la media europea è circa del 2,6%;
nel 1999 l’Italia era al 35° posto tra le 59 economie più competitive (in termini di po-
tenziale di crescita nei 5 anni successivi) secondo il World Economic Forum; infine
solo 13 imprese italiane compaiono nella classifica “Fortune 500” mentre ci sono 34
imprese inglesi, 41 tedesche e 42 francesi.
5
Tratto dall’intervento del giornalista e deputato Furio Colombo al convegno “Il marketing made in
Italy: nuovi scenari e competitività”, tenutosi a Roma il 17 Maggio 2000, cui presenziava in qualità di
coordinatore della prima sessione dei lavori.
6
Secondo i dati EUROSTAT gli IDE esteri in Italia sono passati da 3,26 miliardi di Euro a 2,33 mi-
liardi mentre gli IDE Italiani da 9,4 a 10,8 miliardi.
Introduzione
V
La legislazione europea sta uniformando le diverse normative igienico sanita-
rie e di sicurezza e anche le precedenti limitazioni di carattere monetario e normativo
sono o stanno per essere eliminate e quindi resterà solamente la necessità di studiare
efficaci azioni per penetrare nei mercati esteri e l’elemento cruciale sarà l’esistenza
di volontà e capacità di sfruttare questa opportunità.
Cosa s’intende per Piccola Impresa
Per poter svolgere una ricerca metodologicamente corretta è necessario defi-
nire il campo d’indagine e quindi fornire la definizione di Piccola Impresa o Impre-
sa Minore . Quello della Piccola Impresa risulta essere un concetto molto flessibile;
ogni autore che si sia interessato alla materia ha adottato una definizione più o meno
soggettiva o ha proposto più teorie. La motivazione di questa incertezza è spiegabile
se si pensa a cosa sia la Piccola Impresa: un’impresa caratterizzata da dimensioni in-
feriori alla soglia oltre cui insorgono quelle problematiche considerate tipiche della
Grande Dimensione, illustrate nella tabella seguente, e quindi la necessità di: Coor-
dinamento, investimenti nella Gestione del personale e Delega.
QUANTITATIVI QUALITATIVI
Dimensione N.addetti Produzione Organizzaz. Pot.mercato Pot.finanz.
Artigianale 1--9 artigianale struttura
Piccola 10--99 scarsa
Media 100--499 struttura
nullo
Grande 500-- buona
nullo
Multinazionale non definito
industriale
complessa
Elevato
Massimo
Fonte: PANATI P., GOLINELLI G.M., Tecnica economica, industriale e commerciale
Introduzione
VI
Considerando questa definizione, elaborata da Petri7, si comprende come oggi, che la
competizione è divenuta più complessa e ci si rivolge ad un mercato più ampio, la
definizione univoca di parametri quantitativi o qualitativi divenga un processo di ra-
dicale astrazione; inoltre l’uso di variabili dimensionali presuppone la validità di re-
lazioni tra queste, ad esempio tra il numero di occupati ed il fatturato, che oggi non
sono più così obbligate.
Nella trattazione teorica del tema sono state proposte classificazioni qualitati-
ve basate su parametri quali l’autonomia giuridico-finanziaria, considerata come e-
lemento essenziale perché si possa parlare d’impresa. Altre classificazioni si basano
su: processo produttivo, struttura organizzativa, potere di mercato e potere finanzia-
rio; in base ai livelli o attributi di queste variabili si classificano le varie forme e di-
mensioni d’impresa dall’artigiana alla multinazionale. In genere, comunque, si pre-
dilige l’utilizzo di più di una variabile, spesso il numero dei dipendenti e una misura
del volume d’affari.
Per l’attuale trattazione riteniamo sia necessario, viste le possibili diverse
interpretazioni, ricorrere ad una definizione di PMI che possa ottenere ampio
consenso; per questo indichiamo la definizione indicata nella Nota della
Commissione Europea del 28 Agosto 19978, recepita in Italia col decreto del
Ministero dell’Industria n 229/97. Questa, oltre ad essere applicabile a livello
comunitario, è anche una formula che si basa sull’interazione di 3 parametri: numero
di addetti, volume di affari o totale di Stato Patrimoniale e composizione del capitale.
Un’impresa sarà quindi Piccola-Media Impresa nel caso abbia meno di 250 addetti,
7
PETRI P., L’organizzazione della piccola impresa nascita e sviluppo delle imprese minori, EGEA,
Milano, 1991, p. 2.
8
Nella Nota della Commissione Europea si definiscono anche la Piccola Impresa (50 dipendenti, 7
milioni di Euro di fatturato o 5 milioni di totale di bilancio) e la Micro Impresa (fino a 10 dipendenti).
Introduzione
VII
Piccola-Media Impresa nel caso abbia meno di 250 addetti, il volume d’affari non
sia superiore a 40 milioni di Euro o il totale dello Stato Patrimoniale non superi i 27
milioni di Euro e non sia partecipata per più di un quarto del capitale sociale da im-
prese che non rientrino nella categoria.
Il fenomeno PMI in Italia - dimensione statistica
La composizione del tessuto produttivo italiano è caratterizzato da una pre-
senza predominante di piccole e medie imprese. I dati statistici attendibili e più ag-
giornati disponibili sono quelli elaborati dall’INAIL, sfruttando le informazioni regi-
strate negli archivi gestionali circa le aziende assicurate, che considerano tutte le po-
sizioni assicurative relative a datori di lavoro che hanno svolto attività nei tre anni
precedenti. In conclusione l’INAIL indica come la situazione italiana sia caratteriz-
zata da una pesante polarizzazione verso la piccola dimensione (consideriamo esclu-
sivamente il parametro dimensionale come variabile discriminante: classi di addetti
da 1 a 250), nel 1999 il 99.87% è rappresentato da imprese artigiane9 e non di piccole
dimensioni.
9
Sono considerate dall’INAIL Aziende Artigiane quelle in possesso dei requisiti di cui agli art. 2 (im-
prenditore artigiano), 3 (definizione di impresa artigiana) e 4 (limiti dimensionali) della Legge quadro
per l'artigianato (legge 8 agosto 1985, n. 443). Le imprese artigiane vengono classificate in classi di-
mensionali di dipendenti: da 1 a 15, da 16 a 30 ed oltre i 30 addetti; per le nostre finalità consideria-
mo tutte le imprese artigiane come imprese di piccola dimensione visto che la rilevanza delle imprese
con oltre 30 dipendenti nel 1996 era dello 0.004% sul totale delle aziende artigiane.
Introduzione
VIII
Banca dati INAIL aziende assicurate per classe di addetti
Anno 1996 1999
Az. Artigiane 1.376.525 1.434.686
Az. Non artigiane
1—15 1.476.404 1.660.971
16—30 48.526 50.029
classi di addetti 31—100 32.124 32.664
101--250 7.622 7.523
oltre 250 4.091 4.029
Tot Az. Non artigiane 1.568.767 1.755.216
Totale 2.945.292 3.189.902
Totale PMI 1.564.676 1.751.187
Totale PMI+Az. Artigiane 2.941.201 3.185.873
PMI su Tot % 53,12 54,90
PMI + Az. Artigiane su Tot % 99,86 99,87
Fonte: INAIL, dati scaricati dal sito http://www.inail.it
I dati INAIL permettono un confronto con i dati del Censimento Intermedio
dell’Industria e dei Servizi del ’96-’97 prodotto dall’ISTAT; secondo l’istituto di sta-
tistica nel 1996 le PMI erano il 99,4% per salire al 99,9% l’anno successivo, tenuto
conto delle differenze conseguenti alla diversità dei metodi di indagine e alla diffe-
renza dell’articolazione dimensionale (l’ISTAT prevede le classi: 1-9, 10-19, 20-49,
50-249, 250 ed oltre; l’INAIL invece: 1-15, 16-30, 31-100, 101-250, oltre 250),
l’INAIL per l’anno 1996 indica una percentuale pari al 99,86.
Composizione dimensionale delle imprese italiane 1997
classi di addetti Industria Servizi Totale
1996 1997 1996 1997 1996 1997
1—9 881.269 872.226 2.457.442 2.483.539 3.338.711 3.355.765
10—19 71.386 70.891 43.636 43.383 115.022 114.274
20—49 32.965 33.258 15.772 16.652 48.737 49.910
50—249 11.131 11.393 5.514 5.816 16.645 17.209
250—oltre 1.597 1.580 1.042 1.082 2.639 2.662
Tot 998.348 989.348 2.523.406 2.550.472 3.521.754 3.539.820
Tot PMI 996.751 987.768 2.522.364 2.549.390 3.519.115 3.537.158
PMI sul totale % 99,84 99,84 99,96 99,96 99,93 99,92
Fonte: ISTAT, Censimento intermedio dell’industria e dei servizi 1997
Introduzione
IX
Inoltre il tessuto produttivo italiano presenta numerose specificità rispetto a
quello degli altri paesi UE. La dimensione media delle imprese è nettamente inferio-
re, con circa quattro addetti contro i sei della media UE; il peso dell’occupazione nel-
le grandi imprese industriali non è percentualmente rilevante poiché rappresenta il
25,4% contro il 47,2% della UE e si registra una notevole presenza delle microim-
prese di servizi: il 61,1% contro il 42,3% della UE.
Anche nel settore delle imprese industriali l’Italia evidenzia una struttura ten-
dente alla piccola dimensione come dimensione cardine della nostra economia; la
classe delle imprese di piccole e medie dimensioni, rispettivamente fino a 49 addetti
e da 50 a 249 addetti, corrisponde al 99,7% del totale delle imprese.
Numero di imprese industriali per dimensione
Paesi partecipanti alla Conferenza di Bologna 13-15 Giugno 2000
Dim impresa Valori assoluti Valori percentuali
Paesi Piccola Media Grande Totale Piccola Media Grande Totale
Austria 27.885 1.836 461 30.182 92,4 6,1 1,5 100
Belgio 44.305 1.336 468 46.109 96,1 2,9 1 100
Danimarca 23.754 1.158 265 25.177 94,3 4,6 1,1 100
Finlandia 26.989 825 280 28.094 96,1 2,9 1 100
Francia 233.250 8.530 2.200 243.980 95,6 3,5 0,9 100
Germania 302.056 16.112 5.929 324.097 93,2 5 1,8 100
Gran Bretagna 316.370 9.106 2.712 328.188 96,4 2,8 0,8 100
Grecia 32.251 932 171 33.354 96,7 2,8 0,5 100
Irlanda 3.477 689 200 4.366 79,6 15,8 4,6 100
Italia 557.752 9.689 1.488 568.929 98 1,7 0,3 100
Lussemburgo 839 70 27 936 89,6 7,5 2,9 100
Paesi Bassi 41.106 2.589 712 44.407 92,6 5,8 1,6 100
Portogallo 90.903 3.299 475 94.677 96 3,5 0,5 100
Spagna 230.934 5.434 1.006 237.374 97,3 2,3 0,4 100
Svezia 27.671 1.473 440 29.584 93,5 5 1,5 100
Totale Paesi UE 1.962.610 63.250 16.792 2.042.652 96,1 3,1 0,8 100
Giappone 342.924 13.539 1.783 358.246 95,7 3,8 0,5 100
Stati Uniti 864.997 22.051 6.324 893.372 96,8 2,5 0,7 100
Fonte: elaborazioni IPI su dati Eurostat e OCSE
Introduzione
X
Un’ulteriore conferma di questa tendenza si ricava dai dati del Registro delle
Imprese10 che consentono di individuare una forte presenza di imprese di dimensioni
ridotte. Questi dati che hanno il vantaggio di essere aggiornati trimestralmente pos-
sono dare però solo un’immagine orientativa del fenomeno Piccola Impresa. La
classificazione, infatti, non è del tutto idonea al nostro scopo in quanto non utilizza il
numero di dipendenti come variabile, ma la natura giuridica dell’impresa.
L’universo delle imprese registrate viene suddiviso in: Società di Capitali, Società di
Persone, Ditte Individuali, Altre Forme organizzative (cooperative, consorzi, società
consortili, ecc.). Di conseguenza i dati possono essere limitatamente significativi in
quanto una Società per Azioni può essere una PMI in base alla normativa europea
come una Ditta Individuale può superare uno dei limiti da essa previsti.
percentuali
Trimestri Soc. Cap. Soc. Pers. Ditte Indiv. Altre Forme Totale DI/Tot DI+AF/Tot
I-1999 440.476 833.181 3.353.427 84.544 4.711.628 71,17 72,97
II-1999 447.987 840.865 3.371.344 85.480 4.745.676 71,04 72,84
III-1999 453.995 846.428 3.380.515 86.306 4.767.244 70,91 72,72
IV-1999 459.728 849.426 3.377.230 87.880 4.774.264 70,74 72,58
Media 450.547 842.475 3.370.629 86.053 4.749.703 70,97 72,78
I-2000 466.305 849.338 3.354.191 90.072 4.759.906 70,47 72,3599
II-2000 476.244 858.323 3.379.760 91.129 4.805.456 70,33 72,2281
III-2000 483.367 863.723 3.396514 92.013 4.835617 70,24 72,1423
Media 475.305 857.128 3.376.822 91.071 4.800.326 70,35 72,2434
Fonte: Dati archivio Movimprese dal sito http://www.infocamere.it
10
Dati elaborati sulla base di quelli offerti dalle camere di commercio e pubblicati sul sito
http://www.infocamre.it alla voce “Movimprese”.
Capitolo 1 La Piccola Impresa
1
Capitolo 1 La Piccola Impresa
1.1 Introduzione alla piccola impresa
Citando Umberto Agnelli11 possiamo dire che il sistema produttivo italiano
non si è modificato molto negli ultimi trent’anni, infatti abbiamo poche grandi im-
prese, la media dimensione è scarsa, c’è una piccola impresa molto forte e diffusa e
un’eccellente industria del bello. Questo solo per rimarcare ulteriormente il fatto che
la nostra economia si basa da sempre principalmente su una struttura organizzativa
particolare come è quella delle PMI. Particolare perché finora si è posta al di fuori
del modello di impresa che era considerato come vincente: l’impresa di grande di-
mensione, verticalmente integrata con una chiara impronta fordista. Questo approc-
cio al tema dimensionale si rinviene nel contributo di Agnelli che sottolinea tra pa-
rentesi che “la Francia ha 15 grandi imprese, noi molte di meno”12. La presenza di
una forte piccola impresa è stata interpretata finora come chiaro segnale di una debo-
lezza13 di fondo del nostro sistema produttivo dove le buone potenzialità umane, il
nostro innato spirito imprenditoriale, non riescono a emergere e a svilupparsi adegua-
11
Agnelli U. in GUANDALINI M. (a cura di), La Sfida Globale, ADNKRONOS Libri, Roma, 2000,
p. 20.
12
Ibidem.
13
Al di fuori dell’orientamento maggioritario si poneva però Edith Penrose, La teoria dell’espansione
dell’impresa , F. Angeli, Milano, 1973, p. 20, affermando che l’economicità fosse raggiungibile ad o-
gni livello dimensionale, attraverso l’applicazione del learning by doing, e che il limite al suo rag-
giungimento fosse da ricercare nella mancanza di risorse interne organizzativo manageriali.
Capitolo 1 La Piccola Impresa
2
tamente, cioè a crescere oltre una certa soglia dimensionale e andare a competere ol-
tre frontiera. In più, in Italia, viene individuata anche una causa, prettamente legisla-
tiva, della scarsa propensione alla crescita da parte dei piccoli imprenditori nello Sta-
tuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), ed in particolare nell’art 1814 sul
quale è stato presentato anche un referendum abrogativo: superare la soglia dei 15
dipendenti infatti determina una serie di appesantimenti della gestione appunto per-
ché scatta l’applicazione dello statuto; se si considera che in base ai dati Inail del
1999 le piccole imprese artigiane e non con massimo 15 dipendenti sono il 97% del
totale questo aspetto assume una rilevanza notevole.
Attualmente però la tendenza sta cambiando e si sta osservando un maggiore
interesse verso la struttura organizzativa delle piccole imprese che vengono viste non
più come stadi transitori in un percorso di evoluzione verso la grande impresa ma
come forme alternative ed in alcuni casi anche migliori rispetto alla grande dimen-
sione, tant’è che alla conferenza di Bologna dell’OCSE del giugno 2000 il modello
distrettuale è stato considerato come lo strumento per il perseguimento di una cresci-
ta sostenibile. È stata rilevante, per questo cambiamento di orientamenti degli anali-
sti, la flessibilità dimostrata dalle PMI e i buoni risultati raggiunti in campo nazionale
ed internazionale (in base ai dati forniti dall’ICE nel ‘97 e nel ’98, i distretti indu-
striali italiani sono stati responsabili di circa un terzo dell'export nazionale). La pic-
cola dimensione costituisce dunque un’autonoma struttura produttiva, e per questo
suscettibile di attuare processi di internazionalizzazione ed eventualmente di globa-
14
Innocenzo Cipolletta, direttore generale di Confindustria, addita l’art.18 dello statuto dei lavoratori,
istituito per proteggere la piccola impresa, come fonte di distorsioni e impedimento allo sviluppo.
Fonte: articoli dalla conferenza Ocse di Bologna del 13-15 giugno 2000 scaricati dal sito de IL SOLE
24 ORE (http://www.il sole24ore.it).
Capitolo 1 La Piccola Impresa
3
lizzazione.
Sicuramente l’aumentato apprezzamento per le potenzialità della piccola im-
presa non deve far pensare che l’attuale modello organizzativo sia perfetto e possa
continuare ad essere applicato senza correzioni con buoni risultati nel futuro. Come
tutti i modelli economico-produttivi anche quello della PMI va osservato nel proprio
momento storico e, al mutare dello stesso, deve evolversi per mantenere le posizioni
raggiunte o meglio, se possibile, incrementarle. Una politica direzionale tradizionali-
sta che non preveda questi adeguamenti condannerebbe le imprese minori, che non
possono avvantaggiarsi di una grande disponibilità finanziaria, ad una progressiva
marginalizzazione in posizioni di nicchia e alla forzata rinuncia a qualsiasi progetto
di crescita. Queste problematiche comunque coinvolgono anche le unità di dimen-
sioni più rilevanti che stanno ormai attuando da tempo politiche di ristrutturazione,
spesso basate su un alleggerimento della struttura organizzativa che viene concentra-
ta sull’attività principale mentre tutte quelle accessorie o marginali vengono esterna-
lizzate, ricorrendo spesso all’outsourcing15 che costituisce una buona occasione di
sviluppo per le imprese più piccole.
Un aspetto che in linea di massima contraddistingue le due classi dimensiona-
li riguarda l’attività dell’impresa in genere, come del resto la modalità di approccio al
processo di internazionalizzazione poiché la piccola impresa è portata ad attuare poli-
tiche di minore pianificazione strategica rispetto alle imprese più grandi e strutturate.
Anche empiricamente è stato dimostrato che l’impresa minore si comporta reattiva-
mente; si pone, cioè, in condizione di subire il mercato e la direzione dell’impresa
agisce per un processo di adattamenti, più o meno intuitivi, successivi ai mutamenti
15
Si veda infra paragrafo 3.
Capitolo 1 La Piccola Impresa
4
del mercato, causati da una qualsiasi delle molte variabili che lo compongono. A
questo atteggiamento si contrappone quello definito proattivo, più frequente tra le
imprese di grandi dimensioni, che determina una condotta aziendale volta ad influen-
zare il mercato per quanto possibile e comunque a cercare di cogliere in anticipo i
segnali di cambiamento in modo da programmare la reazione. I due diversi stili de-
terminano una fondamentale differenza nella posizione delle imprese, infatti
l’impresa reattiva si trova sempre a competere in una posizione svantaggiata e le de-
cisioni che prende non sono dettate da una autonoma volontà ma sono fortemente
condizionate dalla situazione contingente. L’impresa reattiva è un’impresa che si
preclude delle opportunità.
Nonostante i positivi risultati raggiunti, comunque le PMI evidenziano pro-
blemi che ne inficiano la solidità, ad esempio la sovrapposizione tra management e
proprietà, lo scarso interesse per i processi informativi, la preparazione prettamente
tecnica degli imprenditori e dei manager: frequentemente queste figure crescono
nell’impresa stessa, si rammenti che la porzione di imprese familiari in Italia è molto
rilevante, o sono ex dipendenti di imprese operanti nello stesso settore che hanno
deciso di costituire nuove unità. Questa propensione all’attività pratica e al prodotto
è stata, finora, un elemento di forza che ha permesso alle piccole imprese di compe-
tere anche con imprese di dimensione più grande potendo contare su un’approfondita
conoscenza del prodotto e delle modalità produttive dello stesso, riuscendo così a
fornire un prodotto di qualità a prezzi contenuti, e su un rapporto stretto col mercato
ed i clienti offrendo modalità di consegna flessibili. Però questa strategia rischia di
non essere adeguata ad affrontare rivoluzioni radicali del mercato che richiedono
un’impostazione maggiormente marketing oriented: la piccola impresa rischia di ri-
Capitolo 1 La Piccola Impresa
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manere prigioniera del suo successo.
Sulla possibilità che le PMI possano procedere nella direzione
dell’espansione internazionale si è interrogata anche Edith Penrose, che ha individua-
to negli Interstizi di mercato uno degli spazi che le piccole imprese possono occupare
per sviluppare il proprio giro d’affari. Nei casi in cui le “opportunità di espansio-
ne…crescono ad un ritmo più rapido di quello a cui le grandi imprese possono sfrut-
tarle…vi sarà spazio per un progressivo sviluppo sia di dimensioni che di numero di
piccole imprese”
16
, questa teoria però risente dell’impostazione tradizionale della
crescita dimensionale dell’impresa e quindi vincola la piccola dimensione ad una
posizione residuale.
1.2 Modalità di crescita della piccola impresa
I percorsi di sviluppo dell’impresa di dimensioni ridotte possono seguire di-
rettrici differenti, tra le quali non va esclusa quella della crescita dimensionale lineare
anche se essa, adesso, ha assunto una rilevanza sempre più marginale poiché questa
modalità di sviluppo è collegata ad una visione della realtà, oramai, superata sia in
ambito teorico che pratico.
16
E. PENROSE, La teoria dell’espansione dell’impresa , F. Angeli, Milano, 1973, p. 290.