INTRODUZIONE
“Il lavoro è umano solo se è intelligente e
libero”
(Enciclica “Populorum progressio”, 26 marzo
1967.)
Nella presente tesi si affronta il tema del rapporto che sussiste tra l’adulto
e il lavoro. Questo, in quanto “dimensione fondamentale dell’umano
esistere”, è un argomento di cui molte discipline si occupano: dalle
Scienze Educative alle Scienze Giuridiche.
Qui, l’approccio prescelto, ovvia mente, non può che essere quello
pedagogico!
Secondo tale particolare chiave di lettura, l’adulto raggiunge infatti
l’“Eudaimonia” (felicità), non attraverso la vita “oziosa” (contemplativa),
come prevedeva l’originario concetto aristotelico, ma proprio attraverso
questa “attività”!
Il lavoro, di cui qui si parla, in quanto tramite di “virtù”, non può che
essere libero, intelligente, etico, responsabile, creativo, teleologico.
Ma tale visione onirico–idealista del rapporto adulto e lavoro, è, tuttavia,
costantemente calata nella fattualità della presente realtà.
La prima parte (capitolo 1), dopo il I paragrafo (Il lavoro per l’adulto:
l’ottica pedagogica) il quale è interamente dedicato ad evidenziare il
significato ed i caratteri che deve av ere il lavoro per l’adulto affinché
egli si possa realmente “autorealizzar e” in esso (l’ottica pedagogica),
affronta temi (i paragrafi successivi al prefato) inerenti alle caratteristiche
che ha concretamente assunto il su indicato rapporto nell’attuale mercato
del lavoro. Il paragraf o 1.1 (La società della workless growth) parte
proprio dalla descrizione del difficile quadro che si prospetta dinanzi a
noi e fa emergere il paradosso di fronte al quale si trovano tutte le società
dell’opulenza. Infatti, quei criteri ch e l’hanno innescata e resa possibile
sono anche gli stessi che, ora, ne ca usano le disfunzioni più appariscenti:
la mancanza dei tradizionali sbocchi lavorativi e il venir meno dei modi
di regolazione sociale di tipo fordista. E, poiché l’incertezza dell’ambito
3
lavorativo travalica tale dim ensione, non si potevano non considerare
all’interno del paragrafo che segue (paragrafo 1.1.1: Gli effetti e le
reazioni scatenati dalla workless growth), gli effetti e le reazioni più
generali, scatenati da questa percezione di “insicurezza”:
1. il prevalere della prospettiva che si limita all’ “hic et nunc”;
2. la perdita delle certezze: rapporti familiari e sentimentali instabili,
perdita di qualsiasi legame con i “luoghi”;
3. l’individualizzazione deresponsabilizzante: il ripiegamento in una
dimensione indipendente e separa ta dagli altri con conseguente
scomparsa “dell’attore sociale”.
Ma, se tale parte, anche a causa degli atteggiamenti che gli adulti
mettono in atto di fronte a tale disagio della nostra società (negazione del
problema- mito del lavoro industriale), si chiude senza nessuna speranza;
il secondo paragrafo (pargrafo 1.2. La Paideia: nuova “Arianna” della
società contemporanea), sembra, invece, aver trovato la nuova “leva” per
risollevare il mondo del lavoro…
Infatti, ripone di poter uscire dalla crisi e di vincere la sfida proprio
grazie alla valorizzazione della risorsa umana, attuata mediante una
paideia diffusa e continua. Pertanto, in questo paragrafo, vengono
descritti dettagliatamente i tratti fondamentali che assume oggi tale
progetto di Pansofia che si sta sperimentando. E, sebbene alla fine si
specifichi che nessuno può assicurarc i circa l’esito che avrà tale
“esperimento”, l’ipotesi più accredita ta è che possiamo fidarci di questa
“fisionomia” della Bildung ed eleggerla tranquillamente quale nostra
“Arianna”!
La prima parte della tesi (capitolo1), nonostante che, come si è visto, si
preoccupi di guardare anche la r ealtà (paragrafo 1.2. 1.2.1. 1.3.), rimane,
su un piano esclusivamente “descrittivo teorico”: una sorta di “genotipo”,
il quale, pur dandoci “indizi ” importanti su quali po trebbero essere le
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sembianze, rimane, tuttavia, ancora late nte; è solo nel “f enotipo”, infatti,
che esse, comunque, si manifesteranno visibilmente!
Il fenotipo viene svelato nella II parte (capitolo 2-3). È qui, che si
evidenzia, chiaramente, cosa signi fichi per l’adulto lavorare, ovvero,
quando egli viene concretamente a contatto con l’organizzazione
lavorativa.
In questa parte della tesi, si cerca di sviluppare la relazione tra il
lavoratore e l’organizzazione lavorativa nella maniera più equilibrata ed
equidistante possibile: ossia, si cercano di tenere in giusta considerazione
le esigenze non solo dell’adulto lavoratore, ma anche dell’organizzazione
lavorativa. Dialogare con l’organi zzazione lavorativa, cioè avere
qualcosa di “importante” e di “utile” da dire anche ad essa, è stato,
infatti, il presupposto fondamentale pe r riuscire a far accogliere almeno
alcune delle “leggi” pe dagogiche in un contesto di cui sicuramente gli
obiettivi principali non erano quelli “filantropici”…
Nel capitolo 2 ( L’adulto nell’organizzazione tra aspetti statici e
dinamici) se ne sviluppano gli aspetti statici (la gerarchia) e soprattutto
dinamici. Tra questi ultimi la scelta si è concentrata su due momenti:
1. Acquisizione di nuove risorse, che a sua volta comprende:
pianificazione – reclutamento – selezione – assunzione –
accoglimento e inserimento;
2. Formazione sul lavoro.
Mentre nel 3 capitolo ( Il Mobbing), nella convinzione che l’importanza
del lavoro nella vita di una persona, oltre che dal lavoro in sé, dipenda
anche dai rapporti sociali di cui il lavoro è occasione, si tratta del caso in
cui, proprio durante il lavoro, si crea una “disfunzi one” nei rapporti
interpersonali tra alcuni dei membri dell’organizzazione: il Mobbing.
Dopo aver analizzato tale “patologia”, secondo il modello medico, si è
cercato poi anche di riuscire a supera re l’attuale angusta prospettiva, che
propone di affrontarlo solo in aule di tribunale: accennando, per contro,
5
alla necessità di dover introdurre tecn iche alternative, quali ad esempio
l’analisi transazionale e l’enneagramma.
Sebbene queste tecniche contam inino, di fatto, la pedagogia con
discipline afferenti più all’ambito psicologico, si ritiene che sarebbe
comunque interessante procedere a tale commistione: del resto, persino
nell’ambito di questa stessa tesi, sono presenti, talvolta, influenze “altre”:
dalla Sociologia dell’Organizzazione, agli stessi richiami Legislativi
dell’Appendice.
Il dialogo con queste discipline, è stato, però, per l’appunto motivato con
lo scopo di affermare e confermare, ancora con più forza, la possibilità
concreta di poter realizzare il concetto pedagogico di lavoro!
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CAPITOLO 1
IL LAVORO PER L’ADULTO: L’OTTICA PEDAGOGICA
“Gioco e lavoro sono due fratelli, lo
stesso impegno di riuscire, lo stesso
sforzo di affermazione del sé”.
(Giuseppe Lombardo Radice, Pedagogia Italiana,
1934)
La dimensione dell’essere adulto è strettamente associata al lavoro: per
questa ragione è stato a lungo considerato come il passaggio “normativo”
che segnava la definitiva uscita dall’adolescenza!
A ben vedere, si tratta di una proposizione in cui, pur cambiando l’ordine
dei termini, si conserva, comunque, la veridicità. Infatti, se è vero che si
diventa adulti nel momento in cui si lavora, è anche vero il contrario,
ossia, che si può realmente lavorar e solo quando si è adulti…Qui,
l’affermazione non fa tanto riferimento alle norme giuridiche, che
vietano l’esercizio di forme minorili di lavoro, ma al fatto che è solo la
“raggiunta” maturità psic ologica dell’adulto a re ndere possibile che si
scelga consapevolmente di dover, ma anche di voler, effettivamente
lavorare. Ed è anche tale scelta cons apevole e matura a far la differenza
tra un lavoro vissuto come disumanizzan te, non solo per le condizioni in
cui spesso si realizza, ma proprio perché non se ne scorge il senso, e il
lavoro come tramite di “virtù”
1
. In effetti, solo apparentemente il lavoro
è per l’adulto come la condanna di Sisifo: sebbene ne sia talvolta
costretto dalla necessità di procacciarsi i mezzi di sostentamento, che gli
consentano di vivere la usa indipende nza adulta, tale attività, assume,
comunque, alla fine, un significato più esteso che gli garantisce persino il
suo stesso equilibrio psichico! Si può osare di dire che c’è una vera e
1
Cfr. G. ALESSANDRINI, Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni,
Guerini Associati, Milano, 2004, pp. 11 – 27.
7
propria spinta naturale, un istinto, verso il lavor o. Ciò appare piuttosto
plausibile se pensiamo che siamo “geneticamente” programmati per
l’azione: come “non possiamo non pensare”, allo stesso modo, neanche
possiamo non agire. Pertan to, in quanto “creatura exercens”, bisogna
sempre dedicarsi ad un’attività. È, indubbiamente, proprio l’attività che,
con un suo progressivo, ma graduale aumento di complessità, rende
possibile il continuo e interminabile sviluppo umano. Così, se per il
bambino l’attività che lo accompagna nella crescita è fondamentalmente
il gioco, per l’adulto il campo di r ealizzazione personale più alto è
sicuramente rappresentato dal la voro. È giocando e lavorando che,
dunque, ogni essere umano costruisce se stesso e il mondo che lo
circonda
2
. Chiaramente, questa è una visione che trascende quella
puramente economicistica e utilitaristi ca sintetizzabile nella regola data
da S. Paolo ai tessalonicesi: “chi non vuole lavorare neppure mangi”,
per accostare, invece, l’idea di la voro alle più nobili attività che
caratterizzano l’e ssere umano. Lavorare, sec ondo tale prospettiva, è
un’attività: libera – etica – responsab ile – fonte di moralità – espressione
dell’autocoscienza–creativa–teleologica (in quanto finalizzata a
trasformare non solo l’uomo lavorator e che la esercita, ma il mondo,
nell’ottica di migliorarne le condizioni di vivibilità), in cui l’adulto
manifesta il suo mondo interiore e che viene esercitata proprio “per
necessità e bisogno di questo mondo stesso!”
3
Questa qui proposta, è, in verità, so lo una particolare declinazione del
concetto, che, però, non ne esclude a ltre. Il lavoro, infatti, viene letto
secondo diversi e numerosi codici interpretativi, che, sovrappostisi in una
lunga e affascinante storia collet tiva, ce ne consegnano un’immagine
multipla e talvolta antinomica: dalla visone utilitaristica a quella come
2
Ivi, pp. 28 – 31.
3
F.W.FROEBEL Die Menschenerziehung, Verlag der allgemeinen deutschen
Erziehungsanstalt, Keilhau, tr. it., L’educazione dell’uomo, Cedam, Padova 1948 pag.
24.
8
più importante area di autoafferm azione del lavoratore, per non parlare,
poi, delle sue diverse visioni nel corso dei secoli
4
…
Essendo, però, dinanzi ad un aspetto complesso della realtà, che la
investe in tutte le lat itudini, da quelle più priv ate (individuo singolo) a
quelle più estese (macrocontesto), non si potrebbe, del resto, optare per
letture unilaterali. Talvolta, il rischio di tale scelta “semplificatirice”, è,
di fatto, realmente presente e se ne affida l’esclusiva soprattutto
all’economia. Infatti, secondo una lettu ra superficiale, e anche per via
dello straordinario influsso eserci tato dalle strutture finanziarie e
produttive, il lavoro è, frequentemente , considerato solo in termini di
produzione di ricchezza ma teriale. E così, a questo punto, è alla ricerca
economica che spetta di concentrarsi, da sola, per trovare la via che
conduca alla massima riduzione dei cos ti di produzione e alle leggi che
garantiscano la maggiore produzione di beni e servizi… Ma, tale
concetto di lavoro è talmente riduttivo che gli stessi esperti del settore ne
hanno preso atto: “Hayek l’aveva detto: nessuno che sia solo un
economista può essere un grande economista. Un economista che è solo
economista diventa nocivo e può costituire un vero pericolo.”
5
Abbandoniamo, dunque, tale tentazione di affidare la “custodia” di
questo bene ad una sola disciplina; assegnare il copy right ad un unico
campo conoscitivo, che di economia o di qualsiasi altra scienza si tratti,
significherebbe che tutti gli altri contributi sare bbero tacciati di essere
“impertinenti”, “fuori luogo”, “incompe tenti”, “illegittimi”, e, in quanto
tali, facilmente riducibili al silenzio…
Condannare il mondo all’unisono, significa inaugurare una “dittatura”,
che, sebbene intellettuale, ha tutte le conseguenze del caso:
impoverimento del pensiero divergente; discorso autoreferenziale, perché
non tenuto a nessun confronto; “banalizzazione” eccessiva della realtà, in
quanto anziché accomodare la teoria alla realtà sarà quest’ultima a venir
4
Interpretazioni contrastanti relative al lavoro, coesistono talvolta all’interno di stessi
periodi storici.
5
G. ALESSANDRINI, Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, op. cit.,
pag. 121.
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“sfronzata”, fino a quando non sarà ada tta al modello di riferimento;
“intimidazione psicologica” verso gli esperti di saperi “diversi”!
È una situazione verificatasi troppe volte: allora, pur nella
“contraddittorietà” dell’immagine che ne esce fuori, è decisamente
preferibile accostarsi all’argomento in maniera multidisciplinare. Il
lavoro deve, quindi, essere un argoment o sviscerato, in ogni sua piega,
dalle diverse discipline che spaziano dall’ambito giuridico a quello
umano e sociale. Ognuna, poi, ne lla “parzialità” delle proprie
competenze, e nell’autonomia dei propri “dogmi”, collaborerà con le
altre in maniera dialogica, ciò, in alcuni casi, implica anche il “conflitto”,
e sinergica, per rischiarare di una luce sempre attuale e affascinante il
tema in questione.
In quest’ottica, la pedagogia, non solo trova “cittadinanza”, ma,
trattandosi spesse volte di temi che rinviano all’ humanum, si può e si
deve considerare la reale protagonista all’interno del dibattito in corso!
Sua missione principale sarà diffondere e sostenere la visione “spirituale”
dell’adulto al lavoro, quella delineat a sin dall’inizio di questo paragrafo.
Questa, è, indubbiamente, una visione “idealtipica”, ma la vocazione
ottimistica della Pedagogia risiede proprio in ciò: credere che “niente è
inevitabile, a condizione che si sia preparati a prestare attenzione”(Mc
Luhan); la Pedagogia lo fa quotidianame nte, rivolgendo gli occhi al cielo
(la progettualità della teoria), ma rimanendo anche con i piedi ben
piantati a terra (la conc retezza dell’agire attraverso l’educazione)! È,
dunque, una disciplina intrinsecamente “votata” al cambiamento reale,
proprio grazie al fatto di riuscire ad alternarsi tra teoria e prassi. Pertanto,
non conviene più considerare il concetto dell’adulto al lavoro secondo la
prospettiva pedagogica solo in maniera astratta, come si è fatto fino a qui:
per essere “credibili”, è ora di considerare, infatti, sia il contesto di
riferimento e sia la nuova paideia nei quali poterlo concretamente
attualizzare!
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1.1. LA SOCIETA’ DELLA WORKLESS GROWTH
“In situazione di forte incremento della
produttività a seguito di processi innovativi
e quindi in situazione di incremento della
ricchezza prodotta, la conseguente
disoccupazione (la disoccupazione
tecnologica) non è altro che una forma di
riduzione di peso e di valore del lavoro.”
(G. Fantozzi)
“Tantalo era un re della mitologia greca condannato a stare negli abissi
di Tartaro, circondato da frutta e acqua, che bramava senza poterle
avere…”
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Questa, “forse”, la condanna anche di molti di quelli che
stanno vivendo la transizione, tuttora in atto, “dall’etica del lavoro
all’estetica del consumo!”
7
Il paradosso, infatti, di fronte al quale si ritrovano le società
tecnologicamente avanzate è di av er raggiunto un notevole sviluppo e
benessere economico, di cui, però, i cr iteri, che lo hanno innescato e reso
possibile, sono stati anche gli stessi che ne hanno causato le disfunzioni
più appariscenti e che rischiano, ora, non solo di arrestarne una futura
crescita, ma di causarne il collasso.
Il nostro sistema economico, in effett i, ha comportato una progressiva e
via via più intensa perdita dell’importanza attribuita al valore del lavoro
svolto dall’uomo: partendo dalla prima rivoluzione industriale, fino ad
arrivare all’attuale cosiddetta “ terza ondata” (Toffler 1991)
8
, è stato un
continuo e costante ridimensionamento della necessità di braccia prima e
di cervelli adesso…
6
E.E. CASHMORE, No future, Heinemann, London, 1984, pag. 80.
7
BAUMAN, La voro, Nuovo consumismo, Nuove povertà, Città aperta, Troina 2004,
pag. 43.
8
G. ALESSANDRINI, Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, cit., pag.
24.
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