29
2.2 Il progetto della bellezza
2.2.1. La capacità negativa
Keats: “la capacità negativa è la capacità che un uomo possiede se sa perseverare
nell’incertezza attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a un’agitata ricerca
di fatti e ragioni.” (1817)
La capacità negativa consiste nel saper sostare al buio dell’incertezza senza essere
travolti dall’urgenza di arrivare presto in un luogo, nell’illusione di vederci chiaro. Il
capacitarsi nell’età dell’incertezza è compito dell’uomo contemporaneo. Chiamata o
non chiamata, l’immagine ad un certo punto si presenterà. Ma, quando? Questo è
l’esercizio della capacità negativa: sostenere l’interrogativo del quando.
68
La capacità negativa è la capacità di affrontare l’attesa da un lato, e dall’altro la
pazienza; di essere aperti e contemporaneamente fluttuare, di essere sospesi, di
accogliere e contemporaneamente di retrocedere, di restare impassibili e anche di
dubitare.
Ciò che ci rende veramente umani è la bellezza e di conseguenza, l’arte. La bellezza è la
possibilità di divenire, è la possibilità di superarsi. Chi in essa diviene, facendosi
divenire, può divenire ciò che è.
69
Il raggiungimento della bellezza, delle nostre tensioni
realizzative, all’interno di una società che chiede ad ognuno di esprimersi, ma nello
stesso tempo soffoca le soggettività, costituisce la madre di tutte le sfide per i
contemporanei. Donne e uomini si trovano di fronte da un lato al bisogno di essere in
grado di collaborare per trovare nuove forme, nuovi contesti in cui operare; dall’altro si
è spinti, per far fronte a questa chiamata, a corrispondere alle proprie istanze più
profonde di autorealizzazione.
70
Qualche anno fa chi entrava nelle organizzazioni lavorative delegava queste istanze alla
sua carriera, al suo progetto. Compito del lavoratore era di adeguarsi al fabbisogno
aziendale, facendo del proprio meglio e interagendo per dare un proprio contributo
68
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni, Guerini
e Associati, Milano, 2006
69
U. Morelli, Mente e bellezza: arte, creatività e innovazione, Allemandi, Torino 2010
70
F. Natili- M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
30
migliorativo. Ora non è più così: si parla di imprenditorialità, di impiegabilità, di
progetto di lavoro. La cultura del posto fisso si sta repentinamente sgretolando.
Questa situazione ha però risvolti interessanti e sfidanti per la persona: si apre il mondo
del possibile, ciascuno ha l’opportunità di pensare a sé come soggetto in cammino verso
una meta che può contribuire a determinare. Per ognuno si aprono spazi così aperti che
il rischio è quello di farsi prendere dal panico. Il progetto della bellezza, l’amarsi e
l’entrare in relazione con se stessi, diventa una vera sfida per il nostro tempo e per
ciascuno. Ciascuno è “figlio unico”, portatore di uno specifico progetto per cui i
rapporti parentali e le condizioni di contesto hanno portato a generare idee, a
raggiungere mete, a consolidare valori.
C’è una spinta verso il possibile, verso il divenire. La bellezza è lo sforzo di
realizzazione del proprio essere in rapporto alle circostanze in cui è immerso, dove
quello che conta non è il luogo da cui ci si sporge, né quello su cui ci si affaccia, ma è lo
sporgersi. Un movimento che rende più mobile la possibilità.
Nella riscoperta del senso della convivenza con gli altri, i bisogni, i disagi e le
aspettative della società post-secolare spingono a ricercare risposte concrete alle molte
ragioni di malessere della vita civile e di quella politica. Nel contempo sollecitano ad
agire, in grado di mostrare concretamente quanto l’etica non solo non sia da
giustapporre alla politica, bensì ne costituisca la fondamentale risorsa. Risorsa capace di
far sì che la politica, come ricerca continua del bene comune, sia vissuta come
costruzione di senso.
71
2.2.2. Incertezza e ambiguità
L’incertezza ha a che fare con la necessità di rispondere a una domanda oppure alla
necessità di risolvere un problema. La difficoltà è relativa al miglior percorso da
compiere per raggiungere un risultato positivo, una meta, in cui si presuppone
l’esistenza. Difficile o doloroso, questo percorso verso una conoscenza può trovare
71
L. Ornaghi, Eucarestia per la cittadinanza, Relazione al Congresso Eucaristico Nazionale, Ancona,
2011, http://www.congressoeucaristico.it
31
l’uomo incapace di arrivare a una soluzione. Da questa esperienza può derivare un
sentimento di colpevolezza, per la disfatta delle proprie capacità razionali.
72
Il doppio compito primario genera una preoccupazione di fronte all’imprevedibile e al
non noto. Siamo coscienti che siamo esposti a una chiamata composita che ci colloca di
fronte a sfide mai prima sperimentate.
L’ambiguità è stata definita sentimento del nostro tempo, capace di assisterci
nell’accettare le varie doppiezze cui siamo oggi non come vincolo, non come una
difficoltà, ma come una risorsa. Essa ci sorregge nel non disperdere di tali doppiezze la
ricchezza implicita attraverso azioni semplificanti.
73
Nell’ambiguità ci si confronta con parti di un’organizzazione individuale psicologica,
non differenziata, decomposte rispetto all’integrazione dell’io.
L’ambiguità indica quella posizione di indifferenziazione che connota i primi tempi di
vita di ogni essere umano. Questa esperienza comporta l’incapacità per la persona di
distinguersi dall’altro, oppure la possibilità di perdersi nell’altro.
74
2.2.3. Angoscia della bellezza
L’esistenza è umana, perché noi siamo immortali. L’esistenza è chi nasce e chi muore.
Dobbiamo quindi riconoscere che moriremo, ma a ciò è difficile rassegnarsi.
75
Come la presenza di oggetti esterni collocatasi davanti al soggetto può generare angosce
depressive (indegnità o colpa di aver rovinato a causa della propria indegnità l’oggetto
da curare e sviluppare) o angosce persecutorie (percepire la propria personalità non
riconosciuta e non valorizzata da un oggetto-compito eccessivamente semplice e di
facile esecuzione e non capace di interpretare le singole peculiari capacità del
72
F Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
73
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
74
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
75
Gino Pagliarani, F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle
istituzioni, Guerini e Associati, Milano 2006
32
soggetto)
76
, così la sfida all’autosviluppo può generare una terza angoscia, quella della
bellezza.
77
Il vivere emozionalmente, esteticamente, suscita di per sé un sentimento d’angoscia,
angoscia del pieno, dell’intensità di un sentire che chiede coerenza nella sua stessa
espressione: contenuto inconscio e forma di questo, coincidono e premono per venire
alla luce.
Se esiste un’angoscia dell’incertezza , del vuoto, della mancanza, questa coesiste con
l’angoscia del pieno, delle infinite possibilità.
78
Questa angoscia, come angoscia del progettare e del realizzare il proprio progetto,
dell’assumere responsabilità rispetto a sé, viene fortemente sollecitata dall’evoluzione
attuale della nostra società. L’angoscia diventa uno stato generalizzato delle emozioni
dell’individuo.
79
È un’ansia primaria fatta contemporaneamente di incertezza circa il proprio valore, il
valore della vita, la propria capacità di amare e contemporaneamente è fatta di certezze
relative a cosa dovrebbe essere quello che deve nascere, traguardo che finché non è
raggiunto genera nel soggetto un’insoddisfazione profonda verso il proprio sé.
80
Nel momento in cui ci accingiamo a un lavoro, a uno studio, un progetto, noi investiamo
un po’ della nostra attenzione, della nostra energia, in paura: paura che gli altri facciano
del male a quello che stiamo per realizzare (ansia persecutoria). Un’altra parte della
nostra angoscia la investiamo nella colpa: la paura di non essere all’altezza delle cose
che avremmo voglia di fare (ansia depressiva). L’angoscia della bellezza è perciò
l’ansia che c’è nell’Amore per le cose che stiamo facendo, non per timore di non essere
all’altezza o che gli altri la danneggino, ma è l’ansia dell’assunzione della responsabilità
76
Vedi: “Il processo di iniziazione”
77
R. Armigliati, Responsabilità illimitata, per una nuova era della responsabilità, Mimesis edizioni,
Milano – Udine, 2009
78
http://www.psicosocioanalisi.it
79
Freud, vedi: A. Giddens, Identità e società moderna, ipermedia libri, Napoli 1999
80
R. Armigliati, Responsabilità illimitata, per una nuova era della responsabilità, Mimesis edizioni,
Milano – Udine, 2009
33
relativa alla propria fertilità, al proprio progetto, vero e realizzabile. Questa angoscia è
la difficoltà ad assumere la responsabilità della bellezza che siamo riusciti a creare.
81
Proprio la nostra capacità di gestire l’angoscia della bellezza, come individui e come
collettività che ha bisogno di essere rafforzata, ci permette di riuscire a farci carico
responsabilmente di un utilizzo bello delle nostre capacità e dei nostri desideri. La
riscoperta della bellezza passa attraverso la tolleranza della mancanza. L’angoscia della
bellezza è quindi la capacità di rincontrarsi con l’altro, con la realtà che ci circonda, non
anestetizzandosi, ma tollerando il dolore delle proprie ferite e dei propri difetti con
l’obbiettivo di accedere all’atto creativo. L’atto creativo, come processo di ibridazione,
non consiste nel ricreare la bellezza originaria dell’amore primario, ma è la forma nuova
che si realizza nel presente proiettandosi nel futuro, prodotta anche dall’attraversamento
e dalla tolleranza delle ambiguità e della mancanza.
L’attacco difensivo al vivere estetico può essere massiccio e pervasivo e diventare in
un’organizzazione un vivere riduttivo e letterale, una cultura che soffoca l’interscambio
attivo col proprio mondo interno e con gli altri. L’aspetto totale della terza angoscia si
propone sfaccettato come un diamante. Il fascino che suscita, attraente e spaventoso, dà
gioia e panico.
82
La sfida della bellezza può generare a livello intrapsichico un obbligo per i soggetti
umani di periodi di incertezza, conseguenza della possibile esposizione operativa a
territori di esplorazione del tutto inediti. I soggetti sono così potenzialmente esposti al
rischio di non sapere separare il proprio io confuso in una socialità interna e possono
essere indotti a investimenti difensivi nel tentativo di non sperimentare vicende
caratterizzate da un’assenza di discriminazione tra io e non io.
La sfida della bellezza può generare a livello intrapsichico un obbligo per i soggetti
umani a vivere i periodi di incertezza. I soggetti sono potenzialmente esposti al rischio
81
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
82
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
34
di non saper separare il proprio io confuso in una socialità interna e conseguentemente
possono essere indotti a investimenti difensivi.
83
83
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
Guerini e Associati, Milano 2006
35
3- Il lavoro
3.1 Definizione
È solo a partire dal XVIII secolo che viene a costituirsi la definizione di lavoro, come
capacità umana e meccanica che permette di creare valore esclusivamente in chiave
economica. Tale definizione trae origine dall’elaborazione compiuta da Adam Smith: il
lavoro appare come uno sforzo fisico che presuppone pena e fatica, e implica una
trasformazione materiale di beni. A tale dimensione, Smith ne aggiunge una più astratta,
ossia la descrizione del lavoro come sostanza omogenea, come una quantità di energia
in grado di attribuire valore aggiunto alle cose, quindi uno strumento di calcolo e misura
dotato della qualità di fondare lo scambio. Si delinea così l’invenzione del lavoro
strumentale astratto, funzionale allo sviluppo delle società industriali e che si
caratterizza come fattore principale di accrescimento della ricchezza.
84
Il risultato di tale concezione è stata una distorsione ideologica che ha determinato nelle
società industriali l’importanza del lavoro salariato e il conseguente oscuramento delle
forme lavorative differenti da esso. Il lavoro salariato viene interpretato come
l’archetipo del lavoro ed espressione dell’era moderna. L’idea contemporanea di lavoro
ha fatto la sua comparsa solo con il capitalismo industriale manifatturiero, in quanto
precedentemente designava la fatica di servi e braccianti che producevano beni di
consumo e servizi necessari per la sopravvivenza.
Il capitalismo e l’individualismo hanno determinato una ridefinizione del concetto di
lavoro e del rapporto tra lavoro e società. Nell’era industriale si diffonde il parametro
del lavoratore astratto, universale, specializzato, in grado di inserirsi in un collettivo ad
alta produttività, estraneo alle modalità lavorative e all’esito del proprio lavoro. Questo
assume il significato di occupazione salariata in un’organizzazione in cui il lavoratore
non possiede il controllo di quello che produce, né lo consuma direttamente e l’attività
lavorativa diventa l’essenza dell’uomo e la fonte della sua identità sociale.
84
Nel libro primo de La ricchezza delle nazioni Adam Smith analizza le cause che migliorano il "potere
produttivo del lavoro" e il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi
sociali. La ricchezza di una nazione viene identificata all'insieme dei beni prodotti suddivisi per l'intera
popolazione, si può quindi parlare di reddito pro-capite. La ricchezza viene prodotta attraverso il lavoro e
può essere incrementata aumentando la produttività del lavoro o il numero di lavoratori. Il lavoro
permette inoltre di determinare il valore di scambio di un bene
36
Nelle società semplici il lavoro coincide con l’attività di sussistenza, finalizzata a
fronteggiare i bisogni elementari dell’esistenza, ed ha un contenuto immediatamente
vitale. L’attività di produzione a fini di sussistenza non viene esercitata a titolo
individuale o per motivazioni puramente economiche. Il lavoro viene concepito come
obbligo che non esige alcun indennizzo economico. Esso non è finalizzato allo scambio,
non essendo svolto per ottenere un equivalente monetario. Risulta invece ricondotto ad
altre logiche e subordinato ai rapporti sociali. Per ogni individuo la narrazione del sé era
quasi automatica. Il presente era collegato al passato e al futuro della stabilità
dell’autorità. Le esperienze mediate erano limitate e la vita quotidiana era regolata dalle
situazioni, dagli oggetti e dalle persone presenti nella comunità.
85
La modernità ha invece introdotto innovazioni nei significati del lavoro, slegandolo
dall’agire di comunità e mercificandolo. Nell’era industriale il lavoro è identificato con
l’occupazione che comporta un reddito monetario e diventa per l’individuo la principale
fonte dell’identità sociale. Gli individui occupano nell’organizzazione sociale ranghi
differenti a seconda delle attività che svolgono per ottenere una remunerazione. I
tradizionali parametri dell’organizzazione della società sono sostituiti dalla collocazione
lavorativa personale, che diviene fattore di inserimento nella società. La narrazione del
sé acquista una crescente rilevanza non solo per gli attori sociali prominenti bensì per
tutti gli attori sociali. Il sé viene a caratterizzarsi come un eroe che non si limita ad
attraversare la vita, ma è costretto a compiere scelte, ad agire riflessivamente, a costruire
il proprio stile di vita.
Questa estremizzazione ha determinato l’oscuramento delle forme lavorative differenti
rispetto al lavoro salariato e delle attività necessarie alla vita quotidiana. Con la crisi
dell’occupazione fordista, quest’area è stata rivalutata ed è rifiorita in quei settori e
regioni considerate in precedenza marginali. Il lavoro autonomo, le piccole imprese e le
aziende familiari sono state considerate attività transitorie, episodiche, destinate a
scomparire con la maturazione dello sviluppo industriale.
86
Il lavoro precario sta cambiando la realtà delle fabbriche e degli uffici. Soprattutto
cambia il modo con cui le persone si rapportano con il lavoro e con l’azienda per la
85
A. Giddens, Identità e società moderna, Ipermedia libri, Napoli, 1999
86
R. Rizza, Il lavoro mobile. Diffusione del lavoro atipico e nuovi paradigmi occupazionali, Carocci,
Roma 2003
37
quale lavorano. Fino a non molto tempo fa, molte aziende avevano politiche del
personale che garantivano l’impiego e definivano i passi di sviluppo delle persone, fino
al punto da indurre queste ultime a delegare la loro crescita professionale. Oggi questo
tipo di attenzione è dedicata solo a un ristretto nucleo di persone: i talenti.
87
Se prima la situazione chiedeva alle persone di affidare la valutazione e la progettualità
alle direzioni del personale, oggi non è più possibile. È necessario assumere una
responsabilità relativa al proprio progetto di relazione con il lavoro, prima che con il
proprio sviluppo. Questo comporta un’assunzione di responsabilità rispetto alle proprie
capacità, alle motivazioni, ai bisogni e desideri.
3.1.1. La disoccupazione
Si assiste, oggi, alla fine del legame sociale imposto dal lavoro all’inizio del Novecento.
La disoccupazione non è più vista come un fatto transitorio legato ad un rallentamento
dell’economia, ma come uno stato profondo di malessere sociale.
Oggi l’elemento caratterizzante della disoccupazione è la dimensione magmatica del
“lavoro”, che può assumere maggiore o minore criticità ambientale, ma percorre
trasversalmente le classiche aree funzionali delle aziende, le professioni, le aree di
business, i prodotti, i mestieri, i settori, o perché avanzati o perché arretrati.
88
La job insecurity caratterizza, ormai, l’intera popolazione aziendale e non soltanto i
livelli organizzativi marginali, rapidamente sostituibili, o il top management (per
definizione espressione e portatore del rischio professionale). Riguarda tutti, anche il
middle management, che esprime il collante organizzativo, oppure i tecnici e i
ricercatori, che riescono ad ottenere e a stabilizzare i risultati tecnico-scientifico-
applicativi che consentono la sopravvivenza organizzativa.
89
Nel corso degli ultimi due decenni la job insecurity è passata dall’essere una specifica
connotazione di una congiuntura economica sfavorevole, o una caratteristica delle
organizzazioni in declino, all’essere un elemento caratterizzante del lavoro e delle sue
nuove articolazioni. Il panorama contemporaneo ha assunto come normale una
87
F. Natili-M. Tomè, Il progetto della bellezza. La progettualità degli individui e delle istituzioni,
CGuerini e Associati, Milano 2006
88
R. Zuffo, Spunti su job insecurity e crisi della leadership, http://www.telemainternational.com
89
R. Zuffo, Spunti su job insecurity e crisi della leadership, http://www.telemainternational.com