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INTRODUZIONE
Un approccio alternativo alla tradizionale prospettiva di analisi delle relazioni tra
Turchia ed Europa
Che cos'è la Turchia rispetto all'Europa? Sicuramente, non essendo un Paese membro
dell'Unione Europea, i turchi sono degli altri rispetto a noi. Ma che cos'è in realtà l'altro?
Quelli che definiamo altri, non sono forse:
[...] dei soggetti come io lo sono - che unicamente il mio punto di vista - per il quale tutti
sono laggiù mentre io sono qui - separa e distingue realmente da me? Possiamo concepire
gli altri come un'astrazione [...], [ovvero] l'altro o l'altrui in rapporto a me, oppure come
un gruppo sociale concreto al quale noi non apparteniamo.
(Todorov, 1992, p. 5)
Ma la risposta più corretta, forse, in questo caso, è che l'altro è semplicemente ciò che è
diverso da noi, e proprio per questo può far paura.
Ma non è forse proprio l' altro, il diverso da noi, che ci permette di costruire la nostra identità?
L'altro può essere una minaccia, è vero. Ma potrebbe anche essere una risorsa. Questo è
l'approccio alternativo che il presente elaborato intende proporre: un approccio apolitico,
neutrale dal punto di vista sia culturale che religioso, meramente basato sull'analisi delle
potenziali economiche che la Turchia può offrire all'Europa, e più in specifico all'Italia, in un
periodo di grande crisi e transizione economica quale è quello che oggi stiamo attraversando.
Un'analisi dell'altro dunque non come minaccia, ma come opportunità per una crescita
europea in sostenibilità.
Sin dall'inizio della creazione della Comunità Europea, la Turchia ha sempre mostrato un
forte interesse al processo di integrazione, e senza dubbio ha considerato il divenire membro
dell'Unione una conseguenza logica del suo programma di modernizzazione e
occidentalizzazione. Non è stata dunque una sorpresa il fatto che la giovane Repubblica Turca,
già nel 1959, abbia fatto richiesta di essere ammessa alla CEE, e che, nonostante il rifiuto,
abbia poi continuato su questa linea e sia riuscita comunque ad ottenere nel 1963 la ratifica
dell'Accordo di Ankara, ovvero un accordo che non solo riconosce l'eleggibilità della Turchia
a partecipare al processo di adesione, ma dichiara espressamente che il Paese può aspirare allo
status di membro.
5
Tuttavia, i rapporti fra Unione Europea e Turchia hanno vissuto, e continuano a vivere tutt'ora,
molte difficoltà a causa di alcune incompatibilità di fondo. La realtà turca è sicuramente
diversa rispetto a quella degli altri Paesi europei che hanno ottenuto l'ammissione, soprattutto
se si considera il punto di vista religioso. Sicuramente lo scetticismo europeo in merito è stato
più volte reso esplicito ed evidente dalle scelte politiche che hanno finora caratterizzato i
rapporti fra Bruxelles e Ankara e che hanno dato origine ad un approccio che molti studiosi
definiscono "strategia di contenimento" (Arikan, 2003, p. 1), ovvero una strategia deputata a
ritardare ad un tempo indefinito l'ammissione, ma allo stesso tempo a tenere l'economia, la
sicurezza e la politica turca sotto la sfera d'influenza dell'UE, pur nella consapevolezza che
così facendo i rapporti (soprattutto di fiducia e di speranza), sia della popolazione turca che
dei vertici politici, possono evolvere verso un punto di non ritorno.
Lo scopo di questo lavoro è analizzare l'identità della Turchia e delineare la sua posizione
all'interno del contesto internazionale, facendo particolare riferimento soprattutto al settore
delle risorse energetiche ed idriche (Capitolo I, Par. 1.1 - L'importanza geopolitica della
Turchia). All'interno della definizione geopolitica del Paese, analizzeremo poi, da una
prospettiva di costi e di rischi potenziali, le ragioni che hanno spinto l'Unione Europea a
rifiutare fino ad oggi l'ammissione della Turchia, cercando da una parte di giustificare e
comprendere, dall'altra di mistificare alcune delle remore che hanno portato Bruxelles alla
situazione attuale di empasse (Capitolo I, Par. 1.2 - Costi e rischi legati all'allargamento
dell'UE nei confronti della Turchia).
Nel Capitolo II analizzeremo più in dettaglio la Storia, ovvero le tappe principali che hanno
caratterizzato lo sviluppo delle relazioni fra Unione Europea e Turchia a partire dal secondo
dopoguerra fino ad oggi, cercando di dimostrare che l'atteggiamento adottato dall'Unione
Europea è stato principalmente di tipo contenitivo piuttosto che preparatorio ad una reale ed
effettiva ammissione del Paese, ed ha portato purtroppo ad una situazione di stallo politico
che potrebbe in parte far temere un possibile allontanamento di Ankara dall'asse europeo.
Il Capitolo III sarà propedeutico al capitolo IV: infatti, per poter dimostrare come l'attuale
economia turca possa oggi prospettare scenari di sviluppo per le piccole e medie imprese
italiane, e per comprendere come sia giunta a livelli di espansione molto interessanti per gli
investimenti stranieri in generale, sarà necessario ricostruire il suo percorso storico-
economico (Cap. III). Le origini della moderna industrializzazione turca, infatti, vanno
rintracciate proprio nello statalismo degli anni '30, ovvero, il periodo in cui la politica
fortemente accentrata dello Stato ha permesso per la prima volta al Paese di sviluppare un
6
proprio sistema industriale e una prima forma di accumulo di capitale privato, in altre parole
le basi necessarie all'attuale decollo. Dimostreremo che il processo di crescita economica
della Turchia non è stato un processo lineare, bensì un percorso molto frastagliato e
caratterizzato da intermittenti crisi finanziarie, accompagnate a loro volta dalla rottura
dell'ordine democratico; e nonostante le ancora presenti difficoltà e le lacune riscontrate dalla
stessa Commissione Europea (Turkey 2011 progress report, Bruxelles, 12 Ottobre 2011),
proveremo a dimostrare, nel Capitolo IV, che l'economia turca può essere oggi un forte
argomento di interesse per investimenti e prospettive di crescita, oltre che per gli imprenditori
stranieri in genere, anche per l'impresa italiana, in particolare per le piccole e medie imprese.
Con questa prospettiva, analizzeremo dunque in dettaglio i settori economici che a nostro
avviso possono offrire maggiori opportunità, ovvero l'agricoltura, l'energia, l'industria
meccanica, il settore delle costruzioni, il settore automobilistico, l'industria tessile,
l'abbigliamento, la gioielleria, l'oro, e infine, non certo ultimo per importanza, il turismo.
7
Si dice, paradossalmente, che il battito d'ali di
una farfalla nella foresta delle Amazzoni può
influenzare le vicende atmosferiche in Cina.
E' un paradosso certo ma anche una verità
perché tutto ciò che avviene sulla terra è
legato al rapporto causa-effetto. Allora se
esiste una stretta e complessa rete di relazioni
tra ambienti diversi e tra l'uomo e il suo
ambiente dobbiamo anche considerare su un
piano gerarchicamente superiore gli effetti che
le scelte politiche di uno Stato, ovvero di un
popolo, comportano per gli altri Stati e popoli
che vivono sul pianeta.
(Lizza, 2008, p. xi)
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CAPITOLO I - LA TURCHIA
1.1 - L'importanza geopolitica della Turchia
Grazie alla sua posizione geografica, alla forte organizzazione militare, nonché alle sue
crescenti potenzialità economiche, la Turchia è oggi considerata una nuova potenza
emergente a cavallo fra il Continente Europeo e quello Asiatico. La sua eredità storico-
culturale unita alla sua conscia ridefinizione identitaria, avvenuta a partire dagli anni venti con
la fondazione della Repubblica Turca, hanno ulteriormente contribuito ad aumentare il valore
geopolitico e strategico del Paese. Nel tempo, infatti, all'ottimale posizione geografica dello
Stato, si è sempre più venuta a sovrapporre un'articolata componente geopolitica determinata
dal contesto internazionale, ovvero una forza dinamica per definizione, in quanto
essenzialmente mutabile in relazione alle alleanze, alle direttrici di gravitazione e alle
situazioni economico-politiche contingenti.
Mossa dall'ideale della "modernizzazione", a partire dal 1952 la Turchia è entrata a far parte
di molte associazioni internazionali di stampo occidentale, quali le Nazioni Unite,
l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), il Consiglio d'Europa,
la NATO, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), e il Patto
di Stabilità per l'Europa Sud-orientale. Forte di questo particolare schieramento
dichiaratamente pro-occidentale, dunque, la Turchia ha assunto nel secondo dopoguerra una
valenza sempre più importante e di contenimento nei confronti del blocco Sovietico. Senza
dubbio, infatti, la minaccia comunista ha fornito la ragione principale per includere la Turchia
nel cuore delle preoccupazioni occidentali relative alla sicurezza, e l'ha ancorata sempre più
agli Stati Uniti e all'Europa piuttosto che al mondo arabo. Tuttavia, con il crollo del muro di
Berlino, quindi con l'eliminazione del pericolo sovietico, il ruolo geopolitico della Turchia è
necessariamente cambiato, e ha sempre più assunto sfumature di ragione economica: a
controllo dei principali sbocchi sul mare, il Dardanelli e il Bosforo, la Repubblica Turca gode
infatti di una posizione di crocevia, sia per il trasporto marittimo da e verso il Mediterraneo,
che per trasporto aereo e terrestre, soprattutto per il passaggio degli oleodotti e gasdotti
provenienti dalle nuove regioni Caucasiche. Con la crisi del Golfo del 1990-91, il conflitto nel
Caucaso e la conseguente nascita di nuovi Stati in questa regione rivelatisi particolarmente
ricchi di risorse energetiche
1
, la Turchia ha assunto un ruolo sempre più centrare nel contesto
di approvvigionamento di fonti di energia. Se da una parte, infatti, la Russia aveva ricevuto
1
Si ricorda che sia le Repubbliche Caucasiche (Georgia, Azerbaigian, Armenia), le repubbliche Asiatiche
(Kazakistan, Kirgh izis tan , Uz b ek is ta n , T ad žik is tan , T u r k m en is ta n ) h a n n o d ich iar ato la lo r o in d ip en d en za n el
1991.
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l'eredità di potenza egemone da parte dell'ex URSS, dall'altra, la nascita dei tre nuovi Stati
rivieraschi (Azerba jdž a n, Tur kmenistan e Kazakistan) aveva senza dubbio alterato quel
delicato equilibrio che fino ad allora aveva visto contrapposti solo l'Unione Sovietica e l'Iran.
Inoltre bisogna considerare che dal momento in cui la maggior parte dei giacimenti di
idrocarburi in quest'area è localizzata off-shore (sia nella parte nord-occidentale del Mar
Caspio che a nord di Baku, a largo della penisola di Apseron), ben presto la questione ha
assunto le caratteristiche di una vera e propria controversia internazionale dove ciascuno
perseguiva, e persegue tutt'ora, la tutela dei propri interessi, dato che, in assenza di una
precisa definizione della condizione giuridica del Mar Caspio, le risorse off-shore rimangono
di fatto proprietà comune di tutti gli Stati rivieraschi (Lizza, 2008, p. 59). La portata degli
interessi economici in gioco e la vicinanza di tre grandi Stati, ovvero la Russia, l'Iran e la
Turchia, rendono dunque sempre più problematico il trasporto del greggio verso i centri di
raffinazione e i mercati occidentali. Per i Paesi caucasici, infatti, la precedente subordinazione
a Mosca ha ancora oggi forti ripercussioni: da un lato, c'è il forte desiderio di ridisegnare
l'apparato produttivo e la rete delle infrastrutture al fine di affrancarsi dalla stretta soffocante
dell'abbraccio imposto dall'economia russa; dall'altro, però, vi è la mancanza di personale
tecnico e amministrativo locale, e di conseguenza la necessità di addestrare persone
qualificate in loco (Ibid., p. 60). E' evidente, dunque, che la capacità delle repubbliche
caucasiche di incidere sulle vicende politiche dell'area è gravemente condizionata dalla
disponibilità di capitali e know how stranieri, intendendo non solo gli aiuti dei governi, ma
anche, e soprattutto, gli investimenti delle compagnie petrolifere; pertanto, il riassetto
geopolitico della regione dipende più che dagli interessi politico-economici dei Paesi dell'area
stessa, da quelli dei Paesi in grado di finanziarne lo sviluppo (Ibid.).
Le multinazionali straniere, l'Occidente, e in particolar modo gli Stati Uniti, usano spesso a
loro favore il marcato risentimento caucasico nei confronti di Mosca, e tendono a mostrare
una evidente preferenza per i percorsi che evitino di passare per i territori russi. Proprio in
questo contesto, viene ad acquisire un posto di rilievo il così detto "percorso turco", ovvero il
progetto di costruire un oleodotto che collega la città di Baku al Mediterraneo passando
attraverso il territorio armeno e turco (Fig. 1). La Turchia assume dunque, in questo scenario,
un ruolo fondamentale, soprattutto se si considerano le elevate percentuali di greggio di cui
l'Europa ha annualmente bisogno: una situazione politica interna del Paese stabile e una
buona protezione dei confini garantirebbe, infatti, un approvvigionamento di energia più
sicuro, eviterebbe crisi petrolifere quali quelle che si sono già verificate in passato nel Golfo,
10
e al contempo potrebbe fornire all'Europa una buona alternativa all'importazione di energia
proveniente dalla Russia e dal Medio Oriente.
Fig. 1 - Oleodotti e gasdotti nel Caspio.
Fonte: Lizza, 2008, p. 59.
Un altro fattore chiave nel contesto geopolitico internazionale è l'accesso alle fonti idriche, le
quali, allo stesso modo del petrolio, possono essere causa di attriti interstatali, soprattutto se si
verificano fenomeni di overdumping, ovvero di eccessivo prelievo di fonti da parte di uno
degli Stati confinanti e conseguente diminuzione della disponibilità di acqua per gli altri
sfruttatori del medesimo deposito. Poiché la necessità di acqua non si limita alla sua
assunzione come liquido essenziale per la permanenza in vita, ma anche come elemento
fondamentale per l'igiene, la salute e per la produzione di cibo, oggi la crescita dei livelli di
benessere sta determinando una sempre maggiore domanda di acqua, tanto che questa risorsa
sta subendo una tale riduzione da non essere mai stata così scarsa a livello planetario (Anzera-
Marniga, 2003, p. 23). Questa è la ragione per cui oggi il pericolo di un conflitto in zone in
cui l'acqua rappresenta un bene critico è più che mai reale. La situazione appare
particolarmente preoccupante nella regione del MENA (acronimo che racchiude in sé gli Stati
del Medio Oriente e del Nord Africa), la quale rappresenta il 6% della popolazione mondiale
11
(World Economic Forum, 2011), ma di fatto dispone soltanto dell'1% di risorse rinnovabili di
acqua (Anzera-Marniga, 2003, p. 69). I quattro grandi fiumi che attraversano questa regione
(Tigri, Eufrate, Giordano e Nilo) non sono sufficienti, e le previsioni future sono drammatiche,
in quanto il Medio Oriente è una delle zone al mondo in cui la dinamicità demografica è
maggiore: la crescita della popolazione pesa e peserà sempre di più sul consumo di acqua, e
gli Stati si troveranno di fronte al problema del suo approvvigionamento. Secondo le stime
(Rapporto OCSE. Previsioni ambientali al 2050, OCSE, 2012), entro il 2025 tutti i Paesi del
MENA, ad eccezione della Turchia e del Libano, si troveranno in uno stato di carenza idrica
drammatico (Anzera-Marniga, 2003, p. 70), ed è stato previsto che nel 2050 solo la Turchia
avrà una disponibilità di acqua adeguata alle esigenze, e ben sette Paesi (Algeria, Israele,
Giordania, Libia, Siria, territori palestinesi e Tunisia) potrebbero trovarsi in uno stato di
allarme (Ibid.). Il possesso e il controllo dell'acqua in quest'area sarà dunque un fattore di
sicurezza al pari della capacità militare, e il Paese che riuscirà ad utilizzare più acqua deterrà
automaticamente più potere perché sarà in grado di sviluppare l'industria e l'agricoltura, potrà
assicurare ai suoi cittadini maggior benessere, ma soprattutto potrà negoziare con i suoi vicini
da una posizione di forza (Ibid.), concedendo ad esempio quantità d'acqua in cambio di know
how o basi militari. Per questa ragione, oggi, il problema dell'acqua occupa un posto di primo
piano sul tavolo dei negoziati multilaterali: gli scontri, le diatribe e le guerre aperte interstatali
scaturite dalla necessità di padroneggiare i materiali ritenuti di valore strategico, come l'acqua
appunto, si stanno ponendo come una delle principali minacce alla stabilità e alla pace di
molte aree del mondo, seguendo una tendenza destinata ad amplificarsi mano a mano che la
scarsità o la privazione di beni fondamentali aumenteranno i disagi. Certamente le guerre
saranno causate anche da altre ragioni, come scontri etnici, discordie religiose, competizione
politica o economica, ma sempre più le motivazioni belliche saranno legate al possesso di
materiali strategici (Anzera-Marniga, 2003, p. 13). In questo contesto, la Repubblica Turca
potrebbe diventare un Paese chiave in quanto non solo è il Paese più privilegiato nell'area del
Vicino Oriente, visto che sul suo territorio è ubicato il più grande serbatoio idrico di tutto il
quadrante Mediorientale (Centro Studi Internazionali - Ce.S.I.), ma è anche in grado di
controllare i flussi d'acqua del Tigri e dell'Eufrate (Fig. 2).
I fiumi Tigri e d Eu fr a t e s i for mano ne ll ’ Ana tol ia o rie ntale , esattamente sulle cime della catena
montuosa del Tauro armeno che demarca il confine tra Turchia ed Armenia. Il Tigri scorre
verso sud-est, segnando per un breve tratto il confine tra Turchia e Siria, per poi giungere
ne ll ’a rido ter ritorio ira c he no. L ’E u fr a t e , invece, segue un percorso iniziale più lungo e
articolato in suolo turco per poi drenare le sue acque in Siria, attraversando successivamente
12
l’ I ra q fino a ll a c onflu e n z a c on il Ti g ri p re sso la c it tà di B a ssora , dove si for mano le dist e se paludose dello Shatt al-Arab, che si estendono per 255 km , for mando u na spec ie di “ li mes
idra uli c o” tra I r a n e I r a q, fino a ll o sbocc o ne l Golfo P e rsic o (Ce.S.I.). L'esistenza dell'impero
ottomano aveva sopito ogni potenziale conflitto nell'area, ma con il suo dissolversi, le
relazioni tra i Paesi bagnati dalle acque di questi due fiumi hanno attraversato diverse fasi di
crisi e pesanti tensioni. La Turchia, infatti, Paese a monte per eccellenza (ovvero Paese in cui
sono ubicate le sorgenti di questi due fiumi), ha sempre considerato l'acqua un elemento
strategico e una leva di potere nei rapporti con i suoi vicini, ed è spesso stata accusata da
Damasco e Baghdad di usare l'acqua come mezzo di ricatto (Anzera-Marniga, 2003, p. 86). I
problemi si sono acuiti ulteriormente quando sia la Turchia che la Siria hanno dato vita, negli
anni Sessanta, a progetti governativi di breve-medio periodo per lo sfruttamento intensivo
delle acque dell'Eufrate a scopi di irrigazione e di produzione elettrica (Ibid., pp. 86-87). La
tensione si è conclusa parzialmente nel 1987 con la firma di un protocollo che garantiva alla
Siria un getto minimo di 500 mc al secondo, ovvero circa la metà del volume del fiume
Eufrate al confine (Ibid., p. 89), ma le dispute per l'acqua sono comunque continuate negli
anni successivi e sono state in particolar modo aggravate dal progetto turco, ancora in corso,
denominato GAP (in turco Güneydoğu Anadolu Projesi, ovvero Progetto Anatolia Sud-
Orientale), il quale prevede la costruzione di un complesso di 22 dighe su entrambi i fiumi,
Tigri ed Eufrate, nella parte sud-orientale dell'Anatolia per alimentare 19 centrali
idroelettriche. Tale progetto, oltre ai grandi mutamenti all'interno della regione stessa
(soprattutto in considerazione del fatto che le maggiori opere sono concentrate in una zona a
prevalente popolazione curda), determinerebbe importanti conseguenze tanto per le grandi
città della Siria, che dipendono interamente dall'Eufrate per bisogni domestici e agricoli
(come ad esempio Aleppo), quanto per l'Iraq (Ibid., p. 93). Ad oggi il progetto è ancora
incompleto, ma la Turchia rimane salda nella sua posizione, e di fronte alle opposizioni e
contestazioni ribatte affermando che entrambi i fiumi nascono nel suo territorio, che le risorse
idriche che li alimentano si costituiscono principalmente in territorio turco (circa il 90%)
(Ibid.), che la valle dell'Eufrate offre vantaggi topografici favorevoli alla costruzione di dighe
e alla produzione di energia elettrica, e, infine, che la regolazione dei flussi d'acqua e la
capacità di stoccaggio in territorio turco sono un beneficio per i Paesi a valle, come già in
precedenza dimostrato in occasione dei periodi di siccità registrati nel 1958-62 e nel 1970-75
(Ibid.).
Sulla base di quanto detto finora, risulta chiaro che il governo turco può in futuro esercitare,
attraverso le sue scelte in materia di politica idrica, un notevole peso nella regione, in primo
13
luogo perché Ankara, pur non invocando esplicitamente la dottrina Harmon, ovvero la
sovranità assoluta del Paese a monte, rifiuta il carattere internazionale dei due fiumi
(intendendo con la parola "internazionale" un fiume le cui sponde cadono sulla sovranità di
due o più Stati), e li considera invece transfrontalieri, ovvero che attraversano Stati confinanti,
per cui ammette soltanto l'utilizzazione equa e ragionevolmente ottimale (Ibid., p. 94). In
secondo luogo, perché tutti i Paesi che la circondano (14 Paesi del Medio Oriente e 8 Paesi
nati dallo smembramento dell'URSS) sono carenti di prodotti agroalimentari, tanto da essere
costretti a spendere ogni anno miliardi di dollari per l'importazione (Ibid.). Infine, perché non
essendo ancora (se mai lo diventerà) membro dell'Unione Europea, ha il potere di ovviare le
norme comunitarie che impongono limiti allo sfruttamento delle risorse idriche da impiegare
in agricoltura (Ibid., p. 94), e di conseguenza vantare un forte potere sugli Stati confinanti.
Fig. 2 - Risorse idriche turche.
Per concludere questa analisi sulla posizione geopolitica della Turchia, va ricordato che
Ankara è un elemento chiave nell'area islamica e un possibile ponte di dialogo con il mondo
musulmano. Membro delle principali organizzazioni internazionali occidentali e al contempo
membro dell'Organizzazione della Conferenza Islamica dal 1969, la Turchia potrebbe
divenire un importante modello di Repubblica democratica a stampo occidentale con
maggioranza musulmana, che persegue ideali quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei
14
diritti umani e le libertà fondamentali dell'individuo, ovvero valori di crescente rilevanza se si
considerano i dibattiti e le preoccupazioni internazionali sorte soprattutto a partire dagli
attentati dell'11 settembre del 2001: la Turchia è circondata da numerosi Stati deboli nei
Balcani, nel Caucaso e nel quadrante Mediorientale in genere, e forte della sua identità
musulmana portata sotto il vessillo della Repubblica occidentalizzata, potrebbe diventare una
potenza leader nell'area, favorendo la stabilizzazione e promuovendo lo sviluppo di valori
democratici in regioni che, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, sono state costantemente
soggette ad instabilità politica. Ankara ha già dato prova in passato di essere un ottimo
partner per l'occidente nel programma per la pace della NATO: la guerra in Yugoslavia e
quella in Iraq ne sono state un esempio. L'identità musulmana del Paese, dunque, unita alla
vicinanza geografica con il Medio Oriente conferiscono alla Turchia un ruolo fondamentale
nelle relazioni con le regioni del Caucaso (in specifico Armenia, Georgia e Azerbaigian), ma
anche dell'Iran e Iraq, ovvero regioni che sono fonte di forti tensioni internazionali, ma al
contempo ricche di fonti petrolifere e di energia in genere.
15
1.2 - Costi e rischi legati all'allargamento dell'UE nei confronti della Turchia
Da quando fu fondata, nel 1957, ad oggi l'Unione Europea è passata da 6 a 27 membri.
Accogliere nuovi membri era previsto sin dall'inizio: i padri fondatori avevano piena fiducia
nell'idea di lasciare la porta aperta ad altri Paesi europei, in quanto, pur rimanendo all'interno
di criteri di convergenza comunitari, ogni nuovo allargamento avrebbe potuto essere fonte di
vantaggi e benefici. Tra il 2004 e il 2007 si è avuto l'allargamento più numeroso dell'intera
storia dell'Unione: sono stati ammessi nel giro di 4 anni 12 Paesi, e si è trattato di un
allargamento storico, in quanto ha suggellato la riunificazione dell'Europa dell'Est dopo
decenni di divisione. La Turchia, tuttavia, ancora una volta è stata respinta. Ogni allargamento,
infatti, va necessariamente valutato e approvato dall'Unione Europea in termini di costi e
rischi potenziali cui si potrebbe incorrere, e tale valutazione viene inquadrata all'interno del
raggiungimento degli acquis communautaire. Si tratta dei cosiddetti criteri di Copenaghen,
fissati dal Consiglio Europeo del dicembre 1993, i quali impongono al candidato:
"- la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti
dell'uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;
- l'esistenza di un'economia di mercato funzionante e la capacità di far fronte alle forze di
mercato e alla pressione concorrenziale all'interno dell'Unione;
- la capacità di far fronte agli obblighi derivanti dall'adesione e, segnatamente, di realizzare
gli obiettivi dell'unione politica, economica e monetaria."
(Commissione Europea)
2
Per permettere ai Paesi candidati di raggiungere tali obiettivi, l'Unione Europea prevede dei
programmi di assistenza di preadesione, che possono durare vari anni, a seconda delle risposte
fornite dal Paese in oggetto. Nonostante gli aiuti, la Turchia sembra non aver ancora raggiunto
i criteri richiesti dall'Unione e si trova tutt'oggi in un limbo indefinito, sulla soglia di una porta
per metà Europea e per metà proiettata verso il Medio Oriente. Analizzeremo nei paragrafi
successivi il processo di adesione turco comparandolo con quello di altri Paesi che al
2
http://europa.eu/legislation_summaries/glossary/accession_criteria_copenhague_it.htm
16
momento della richiesta registravano livelli economici ad essa molto simili, e cercheremo di
dimostrare che nonostante la Turchia abbia fornito risposte economiche molto efficienti agli
stimoli comunitari, all'interno dell'Unione Europea, sembrano comunque aver prevalso
preoccupazioni e timori relativi all'identità religiosa, all'estensione territoriale e alla numerosa
popolazione del Paese (ovvero fattori che più avanti chiameremo rischi o minacce), e di
conseguenza, la mancanza di una presa di posizione netta in materia, nonché il protrarsi a
tempo indeterminato delle negoziazioni, hanno fatto aumentare i costi previsti per
l'allargamento. Studieremo dunque nei paragrafi seguenti le relazioni fra Unione Europea e
Turchia in termini di costi e rischi potenziali, mostrando, come sottolineò già molti anni fa
Lewis (1988), che:
[...] the objectors have stopped concentrating on economics, preferring to dwell on the
Turk's unsuitability on various other grounds; they are insufficiently democratic, they are
unkind to terrorists, they were beastly to minorities, they invaded Cyprus in 1974, they
are turning to fundamentalism just like Persians and they do not share the culture of true
Europeans. Of all these arguments, the last two are the current favorites.
(Lewis, 1988, p. 9, op. cit. in Müftüler-Baç, 1997, p. 13)
17
1.2.1 - Costi potenziali
Come dimostrano i precedenti allargamenti dell'Unione Europea (e in particolare ci riferiamo
agli allargamenti del 2004 e del 2007), gli aiuti comunitari per la pre-adesione offerti ai Paesi
candidati, nonché la percentuale del bilancio europeo dedicato ai Fondi Strutturali e di
Coesione e alla Politica Agricola Comunitaria (PAC), sono stati strumenti di fondamentale
importanza per il raggiungimento dello status di Paese membro da parte di molti degli Stati
dell'Europa centrale e orientale, più precisamente Cipro, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania,
Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. I costi
finanziari previsti per gli allargamenti dell'Unione Europea, tuttavia, non possono mai essere
stimati a priori con estrema precisione, poiché dipendenti da un numero troppo elevato di
variabili: essi variano, infatti, di caso in caso, e dipendono dal livello di sviluppo raggiunto da
un determinato Paese, dalla durata del periodo di transizione preparatorio all'adesione,
dall'ampiezza della popolazione e, considerato che la PAC ha da sempre occupato una
percentuale di rilievo nel bilancio europeo, dalla percentuale di occupazione nel settore
agricolo (Commissione Europea, 2012
3
).
Da una prospettiva di costi, dunque, l'ammissione della Turchia all'UE, per quanto
interessante da un punto di vista strategico e geopolitico, come dimostrato nel paragrafo
precedente, è sempre stata senza dubbio un elemento di grande preoccupazione per i membri
dell'Unione. In considerazione, infatti, del suo livello di sviluppo economico al momento
della prima richiesta di adesione del 1987, delle dimensioni che il settore agricolo ha da
sempre occupato nel Paese, del tasso di disoccupazione e del livello di povertà di alcune sue
regioni (rif. Tab. 1, Tab. 2, Tab. 3, Tab. 4), l'incidenza dei costi di ammissione della Turchia
hanno da sempre giocato un ruolo di fondamentale importanza nella determinazione delle
scelte politiche dell'Unione, soprattutto in quanto, a causa dell'ampiezza del suo territorio e
dell'elevato peso demografico (si veda Tab. 1), la Turchia potrebbe acquisire un peso
superiore a qualsiasi altro membro dell'Unione, superando persino la Germania, che a
confronto dei 783.562 km² della Turchia, conta, dopo l'unificazione, una superficie di "soli"
357.123,50 km² (Statistisches Bundesamt - Ente Statistico Federale Tedesco); e non c'è
bisogno di sottolineare che, data la composizione della struttura dell'economia turca, i fondi
dell'Unione verrebbero intaccati in percentuale corrispondente soprattutto nei settori dei Fondi
Strutturali e della Politica Agricola Comunitaria (rif. Tab. 2).
3
Per maggiori dettagli si veda il "Bilancio Europeo del 2012" in
http://ec.europa.eu/budget/library/biblio/publications/2012/budget_folder/print/186978_2011_4429_EU_BUDG
ET_2012_IT.pdf
18
Tab. 1 - Comparazione delle dimensioni geografiche e della popolazione turca con i Paesi diventati
membri in seguito agli allargamenti del 2004 e del 2007.
Anno 2012 Superficie totale Popolazione Disoccupazione (%)
Bulgaria 110.970 km² 7.364.570 ab. 12,451
Cipro 9.250 km² 793.963 ab. 7,775
Estonia 45.228 km² 1.340.194 ab. 11,295
Lettonia 64.589 km² 2.070.371 ab. 15,471
Lituania 65.200 km² 3.199.771 ab. 14,500
Malta 316 km² 452.515 ab. 6,400
Polonia 313.893 km² 38.200.037 ab. 9,378
Rep. Ceca 78.866 km² 10.467.542 ab. 7,018
Romania 238.391 km² 22.246.862 ab. 7,194
Slovacchia 49.037 km² 5.397.036 ab. 13,782
Slovenia 20.273 km² 2.055.942 ab. 8,700
Turchia 783.562 km² 74.724.269 ab. 9,886
Ungheria 93.030 km² 10.076.581 ab. 11,500
Fonte: per dati relativi alla disoccupazione, Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook Database, aprile 2012;
per dati relativi a superfici totali e popolazione, Wikipedia, 2012.