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Introduzione
Le cause di giustificazione sono l’istituto giuridico che, in particolari
circostanze, rende non punibile un fatto umano tipico normalmente sanzio-
nato da una norma incriminatrice. Nei moderni sistemi penali rappresentano
l’unico mezzo, in diritto, che consente di provare di aver agito in circostan-
ze che giustifichino il fatto illecito.
La scriminante più affascinante, complessa e giuridicamente rilevante è la
legittima difesa. Essa deriva da un principio di ius naturale – fondato
sull’istinto di autoconservazione – che spinge ogni essere senziente a di-
fendere la propria integrità dai pericoli esterni. L’autodifesa si potrebbe
analizzare sotto i più svariati profili ma la scelta – in questa tesi – ricade su
alcuni degli aspetti più pratici e contingenti, concernenti, princ ipalmente,
le questioni antecedenti, coeve e successive alla riforma dell’art. 52 c.p.,
intervenuta con la legge n. 59 del 2006.
L’elaborato si prefigge di illustrare, mediante un’esposizione critica delle
varie tesi dottrinarie, il percorso che ha accompagnato la riforma
dell’autodifesa, analizzandone le cause e gli effetti e con una particolare at-
tenzione alle critiche, talvolta aspre, alle possibili alternative e ai profili
problematici rimasti irrisolti o aggravati.
La bibliografia utilizzata spazia da articoli di dottrina, di poco precedenti e
immediatamente successivi alla novella, alle prime applicazioni giurispru-
denziali. I giuristi esaminati sono espressione della scienza giuridica più
accorta e autori di alcuni degli scritti che hanno saputo valutare e interpre-
tare con arguzia, equilibrio e opportuna severità, l’intervento legislativo
che ha modificato l’istituto in esame. Certamente prezioso è stato l’apporto
della manualistica che – puntualmente aggiornata – pur affrontando
l’argomento in ottica pedagogica offre interessanti spunti di approfondi-
mento su singole questioni, poi largamente dibattute e approfondite dalla
dottrina di settore.
2
§ Premessa.
Reminiscenze di studi trascorsi mi consentono di iniziare da un as-
sunto che reputo importante: il diritto positivo ha mutuato le cause di giu-
stificazione dallo ius naturalis, espressione di un nucleo di elementi proto
giuridici – meglio, paragiuridici – connaturati nell’uomo, di cui
l’autodifesa (anche nella forma altruistica) costituisce un prototipo. A raf-
forzare tale costatazione si pone proprio la rilevanza che la norma p ositiva
– mutuando il principio solidaristico insito nella natura umana – assegna al-
la difesa attuata da terzi, e non solo dall’aggredito in prima persona, am-
pliando così la portata dell’istituto almeno in senso soggettivo, poiché, in-
vece, il dato storico conferma una progressiva contrazione della portata og-
gettiva della scriminante che sembra trarre ampia giustificazione dalla con-
temporanea nascita degli Stati.
Lo Stato – inteso come contratto tra individui – ha l’obbligo di proteggere i
diritti dei cittadini e garantirne il libero godimento, ancor più quando siano
ingiustamente aggrediti. È di rousseauniana memoria l’assunto che lo Stato
si fondi sulla cessione di libertà, poteri e facoltà dai privati verso l’ente
consociativo; tale cessione all’entità superiore non avrebbe legittimità se
non si fondasse sulla necessità di un uso razionale, equo e utile e non più
solo ai singoli ma all’intera societas.
È, dunque, ragionevole che chi subisce la minaccia di un danno ingiusto , a
un diritto proprio o di altri, si arroghi nuovamente la facoltà di impedire il
perpetrarsi del danno, quando lo Stato non abbia la possibilità di interveni-
re, preventivamente né repentinamente, per contrastare l’azione lesiva
1
. Il
cittadino riacquista la titolarità di una propria facoltà e, in tal modo, sup-
plisce alle deficienze dell’ente collettivo, surrogandosi all’autorità pubbli-
ca
2
e impedendo che un diritto valido subisca una lesione o un pregiudizio,
a giovamento di un diritto altrettanto valido ma certamente meno degno di
1
Cfr. G. Fiandaca – E. Musco, diritto penale – parte generale, Zanichelli, 6^ ed., Bologna, 2011, pag.
283; G. Marinucci – E. Dolcini, manuale di diritto penale – parte generale, Giuffrè, 4^ ed., Milano, 2012,
pag. 238; F.C. Palazzo, corso di diritto penale – parte generale, Giappichelli, 4^ ed., Torino, 2011, pag.
403.
2
Su tutti, V. Manzini, trattato di diritto penale italiano, UTET, 5^ ed., Torino, 1986, vol. II, pag. 349.
3
protezione
3
, non fosse altro perché il titolare ne ha volontariamente messa
in pericolo l’esistenza, riequilibrando quindi il valore dei diritti in gioco a
favore dell’aggredito
4
.
Certamente lo Stato non può tollerare l’autotutela indiscriminata – ed è
d’altronde vero che taluni abuserebbero di una maggiore libertà di rico rso
all’autodifesa – ma è tenuto a riconoscere agli individui il diritto di proteg-
gere i propri diritti inviolabili, e questo diritto si sostanzia a sua volta in un
diritto della persona
5
, riaffermando il principio di diritto naturale
6
di cui si
è detto.
Credo opportuno ribadire – forse con un po’ di demagogia – che lo Stato ha
l’obbligo giuridico di difendere i cittadini dalle azioni lesive dei loro diritti
e non ha certo il compito di evitare che i criminali, colti in flagranza, non
subiscano ritorsione alcuna; perciò, quando i mezzi non consento un inter-
vento pronto e risolutore, è ipso facto giusto che il cittadino possa – se
vuole e se ne ha le possibilità – difendersi da sé e porre fine all’aggressione
nel modo più efficace e necessario.
L’intervento riformatore del 2006 è stato inteso e voluto proprio per ampli-
are i confini e rideterminare i limiti e i criteri applicativi della legittima di-
fesa, quantomeno nei luoghi propri della vita familiare e professionale, ma
la formulazione della norma, non affatto coerente con le intenzioni e il di-
segno originari, ha lasciato parecchie perplessità e dato adito a svariate cri-
tiche, talune fondate, altre pretestuose.
3
F. Antolisei, manuale di diritto penale – parte generale, Giuffrè, 16^ ed., Milano, 2006, pag. 300.
4
Cfr. A. Cadoppi – P. Veneziani, elementi di diritto penale – parte generale, CEDAM, 4^ ed., Padova,
2010, pag. 237; Palazzo, corso di diritto penale, op. cit., pag. 401.
5
D. Pulitanò, diritto penale – parte generale, Giappichelli, 4^ ed., Torino, 2011, pag. 263.
6
Palazzo, corso di diritto penale, op. cit., pagg. 403-404.
4
5
Capitolo I – vim vi repellere licet
la difesa legittima.
6
7
§ Premessa
7
.
L’ascesa del diritto romano, nello scacchiere del mediterraneo, con-
segna alla storia un sistema giuridico completo e complesso e, con esso, la
legittima difesa quale istituto giuridico positivo, mantenendo fermo il fon-
damento logico
8
di diritto naturale. Criteri quali iniusta aggressio, necessi-
tas della difesa, effettività del periculum, attualità dell’aggressio, imme-
diatezza della reazione sono frutto di sapiente interpretazione dei giurecon-
sulti sull’antica legge delle XII tavole (che, disciplinando la legittima dife-
sa, imponeva furem noctu deprehensum permetti occidere, interdiu autem
deprehensum, si telo se defendat.)
Caduto l’Impero ed esauritasi la breve parentesi delle legislazioni barbari-
che (spesso restie a riconoscere la scriminante, in contrasto col principio
del guidrigildo), si afferma il diritto canonico che plasma la scriminante
nel modo che oggi conosciamo, affermando il principio generale di mode-
ramen inculpata tutela
9
avverso l’aggressore violento – che attentasse alla
vita, all’incolumità o a beni preziosi – finanche alla sua – eventualmente
necessaria – uccisione.
In Italia, il primo codice unitario – codice Zanardelli, 1889 – disci-
plina, per la prima volta, la legittima difesa come scriminante di portata
generale – art. 49
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– escludendone però, in modo tassativo e poco com-
prensibile, l’applicazione a chi agisse per difesa dei soli beni e diritti pa-
trimoniali, giustificando tale scelta sulla base di una differente valutazi one
del bene vita e dell’incolumità rispetto alla proprietà materiale. Tale previ-
sione, pur aspramente criticata da più parti, permase inalterata sino
all’avvento del codice Rocco, nel 1930.
7
Cfr. G. Brocca – M. Mingrone, La legittima difesa, CEDAM, Padova, 2003, passim; F. Bellini, La dife-
sa legittima, Giappichelli, Torino, 2006, passim; C.A. Zaina, La nuova legittima difesa – commento con
dottrina e giurisprudenza, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2006, passim.
8
Il giurista Gaio affermava “naturalis ratio permetti se defendere”, cit. in Digesto 9, 2, 45.
9
Decretum Gratiani (1139-1142), cap. XVIII, de homicidis.
10
“Non è punibile colui che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere
da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta.”
8
Il codice penale vigente detta una serie di disposizioni – le cause di
giustificazione (artt. da 50 a 54 c.p.) – che, operando ex post, elidono
l’antigiuridicità da un fatto umano tipico che, pur conservando la struttura
di un illecito, diviene non sanzionabile
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per volontà di legge.
La non punibilità è una scelta figlia di una politica che ritiene non essere
possibile né ragionevole – e nemmeno logico o morale – pretendere che un
soggetto normale (ma anche l’ipotetico soggetto modello
12
) assuma un
comportamento differente da quello che, abitualmente, chiunque avrebbe
nelle medesime circostanze. È dunque preferibile non punire comportamen-
ti tecnicamente illeciti perché non avrebbe senso perseguire condotte che
costituiscono la norma e non l’eccezione.
Infine è da notare che le cause di giustificazione del reato sono concettual-
mente diverse dalle cause di estinzione del reato
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e dalle cause di non im-
putabilità del reo
14
. Le cause di estinzione si realizzano in seguito alla con-
sumazione e – ferma restando l’illiceità del fatto commesso – impediscono
l’irrogazione della sanzione per cause sopravvenute (ab origine o in pen-
denza di pena); le cause di non imputabilità del reo – sussistenti necessa-
riamente al momento dell’azione delittuosa – cagionano la mancanza di uno
degli elementi fondanti del reato
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e la fattispecie criminosa non si integra
per difetto di determinazione positiva nella commissione del fatto; infine,
le cause di giustificazione del reato, operando ex post su un fatto tipico –
perché presuppongono, in astratto, una sentenza di condanna – impediscono
che sia corrisposta una sanzione perché tale fatto – privato del carattere an-
tigiuridico – diviene non punibile
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per espressa previsione di legge.
11
Va però ricordato che restano applicabili, ove sussista la pericolosità sociale, le misure di sicurezza (di
cui agli artt. 219 – 240 c.p.).
12
Il c.d. Homo eiusdem professionis et condicionis, come descritto dalla Corte di Cassazione in tema di
reati colposi, da cui sono, ovviamente, escluso che si assume un rischio per la natura del proprio servizio
o mestiere (fatta salva l’applicazione delle scriminanti di cui agli artt. 51 e 53).
13
Previste agli artt. 150, 151, 152, 157, 162, 167 e 169 c.p.
14
Previste agli artt. 88, 91, 93, 95, 96 e 97 c.p.
15
La colpevolezza dell’agente, che deve avere coscienza e volontà del fatto commesso (ex art. 42 c. 1,
c.p.).
16
Cfr. Marinucci – Dolcini, manuale di diritto penale, op. cit., pagg. 228 ss; Palazzo, corso di diritto pe-
nale, op. cit., pagg. 401-403; Antolisei, manuale di diritto penale, op. cit., pag. 300.