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INTRODUZIONE
In questo lavoro ho deciso di trattare la situazione odierna dell’Italia, in cui la
mancanza di nuovi posti di lavoro e un conseguente ricambio generazionale
costituiscono uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico e sociale del
nostro Paese. Ho voluto analizzare le principali caratteristiche del regime
Subprotettivo dell’Europa mediterranea, del quale fa parte l’Italia, toccando sia i
diversi tassi di disoccupazione tra le diverse categorie lavorative, sia la
mancanza di politiche statali efficienti ed efficaci a contrastare questo
fenomeno.
Dal punto di vista personale ho trovato molto interessante approfondire le
tematiche del problema della disoccupazione, poiché oggi influisce in maniera
significativa soprattutto sulla popolazione giovanile, nonché sui neolaureati,
fascia di età di cui faccio parte; ed è attualmente una delle principali
problematiche del sistema di welfare italiano presente maggiormente sulla
cronaca quotidiana e dibattuto nella letteratura contemporanea. Per questo è
stato interessante analizzare i quattro regimi occupazionali (soffermandomi
essenzialmente sul modello italiano) che caratterizzano i Paesi europei dal
punto di vista della regolazione diretta e indiretta del mercato del lavoro. Questi
meccanismi regolativi e queste differenti strutture permettono di distinguere i
processi di socializzazione dei rischi, in particolare del rischio di
disoccupazione, derivanti d’allocazione delle risorse. I quattro regimi con cui è
possibile classificare i Paesi europei in base ai criteri sopra citati sono: il regime
occupazionale liberale, appartenente ai Paesi dell’area anglosassone (Regno
Unito e Irlanda); il regime occupazionale universalistico, tipico dei Paesi
dell’area scandinava (Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia); il regime
occupazionale subprotettivo, caratterizzante i Paesi dell’Europa mediterranea
(Italia, Spagna, Portogallo e Grecia); il regime occupazionale corporativista,
centrato sull’occupazione caratterizzante i Paesi dell’Europa continentale
(Germania, Francia, Belgio e Olanda).
In seguito a queste riflessioni personali, ho diviso la tesi in quattro capitoli.
Partendo da una spiegazione prettamente teorica e descrittiva sul concetto di
disoccupazione, analizzandone le tre forme che la caratterizzano, sono passato
poi ad analizzare il regime subprotettivo e in particolare il caso italiano,
8
evidenziando principalmente il problema della rigidità e segmentazione del
mercato del lavoro, da cui derivano la disoccupazione giovanile e femminile e le
barriere all’ingresso nel mercato del lavoro. Dopo queste considerazioni ho
ritenuto necessario incentrare parte del mio lavoro sugli interventi statali
italiani, analizzando i sussidi di disoccupazione e la loro eventuale efficacia, le
politiche passive e i sostegni pubblici, ma soprattutto il fatto che in Italia non si
trova un sistema universalistico di protezione del reddito per chi ha perso il
lavoro, per giungere infine alla considerazione che il nostro regime generale
rimane il meno generoso dei Paesi europei. Grazie a queste osservazioni ho
potuto terminare la mia analisi focalizzando il problema della mancanza di
politiche attive nel nostro Paese e la necessità di un sistema di welfare da
rinnovare, inoltre ho integrato queste teorie accennando alla grave crisi di
carattere finanziario che ha prodotto, e sta tuttora producendo, importanti
effetti sul sistema economico e sulle condizioni di vita della popolazione.
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Capitolo I
LA DISOCCUPAZIONE
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1.1 LA DISOCCUPAZIONE: CONCETTI GENERALI
Inizierei la mia analisi prendendo spunto dalla chiara e semplice definizione che
il vocabolario della lingua italiana riporta alla voce disoccupazione: “Mancanza
permanente o temporanea di un lavoro retribuito, dovuta a cause indipendenti
dalla volontà del soggetto privo di occupazione oppure al rifiuto di un lavoro
ritenuto inadeguato alle proprie condizioni fisiche, sociali e morali”
1
.
Partendo da questa definizione potremmo soffermarci sugli aspetti di
volontarietà o meno della situazione di disoccupazione, spesso correlati ai
comportamenti dell’offerta di lavoro. Uno degli argomenti che risulta essere
oggetto di maggior dibattito riguarda proprio la volontarietà o involontarietà
della disoccupazione così che si possano ricercare le cause del fenomeno.
Quando la disoccupazione è involontaria (una situazione nella quale i lavoratori
si trovano forzatamente) le cause vanno ricercate nel funzionamento
dell’economia e le soluzioni per contrastare questo fenomeno si trovano
attuando nuove politiche economiche.
Con riferimento alla disoccupazione volontaria esistono diverse posizioni,
secondo cui la presenza di un sistema di welfare, la possibilità di ricevere sussidi
e altri tipi di assistenza, diminuirebbero la disponibilità della gente a cercare
una nuova occupazione. Tali posizioni sono state messe in discussione sia da
studi classici sia da ricerche moderne analitiche e comparative. Per esempio
l’autore Wight Bakke, nel suo studio sulla disoccupazione The Unemployed Man
del 1933, giunge alla conclusione che la possibilità di un reddito derivante da
sussidi non scoraggi i lavoratori a cercare o accettare una nuova occupazione. A
sessant’anni di distanza dagli studi di Bakke, l’autore Duncan Gallie [2000]
riconferma tali posizioni. Secondo Gallie l’attaccamento al lavoro ha motivazioni
più forti che non la semplice necessità economica. L’individuo prende coscienza
della centralità del lavoro nella propria vita esattamente nel momento in cui
questo viene a mancare.
Il fenomeno della disoccupazione dai suoi esordi ad oggi, ha mantenuto alcuni
elementi di analogia e continuità, infatti la disoccupazione ha sempre
rappresentato “un’esperienza drammatica per i soggetti interessati, in secondo
1
http://www.treccani.it/vocabolario/tag/disoccupazione/
11
luogo è un’esperienza subìta da chi ne è stato colpito e raramente una
condizione scelta in presenza di alternative”
2
.
Un contributo notevole alla definizione del termine disoccupazione, soprattutto
riferendosi al modello più attuale, è stato dato dagli autori Mingione e Pugliese
nel loro testo Il Lavoro in cui riportano questa tesi: “Il concetto moderno di
disoccupazione deriva da un particolare modello di rapporto di lavoro, quello
della grande fabbrica manifatturiera con dipendenti stabili. L’occupazione in
queste istituzioni implica una separazione radicale del tempo di lavoro da quello
dedicato alla famiglia o alle attività del tempo libero: una separazione
permanente. Quando i legami di lavoro così caratterizzati sono interrotti, nella
vita del lavoratore c’è uno spazio vuoto che è chiaramente definito. Questo è
quel che si definisce disoccupazione”
3
.
1.2 IL RAPPORTO TRA QUALITA’ DELL’OCCUPAZIONE E
QUANTITA’ DELLA DISOCCUPAZIONE
Il primo tema da prendere in considerazione riguarda la misura della
disoccupazione: essa è misurata attraverso l’indicatore, detto tasso di
disoccupazione, ovvero l’incidenza percentuale del numero dei disoccupati sul
totale della popolazione attiva (o forza lavoro) e non sul totale della
popolazione. In poche parole, se ad esempio un ipotetico Paese avesse un tasso
di disoccupazione pari al 10%, ciò non significa che il 10% della popolazione è
disoccupato, ma semplicemente che è senza fissa occupazione tale percentuale
della forza lavoro attiva. Il tasso di disoccupazione di uno Stato non è stabilito
soltanto dalla capacità della sua economia di creare consistenti livelli di
occupazione, ma anche dalla necessità di attivare meccanismi sia sociali sia
politici capaci di assorbire la forza lavoro eccedente. Il tasso di disoccupazione è
un evidente indicatore della struttura sociale di uno Stato, delle sue difficoltà e
del modo in cui lo Stato riesce a gestire i problemi sociali.
Struttura e caratteristiche della disoccupazione riflettono la struttura e le
caratteristiche dell’occupazione in un preciso contesto. Il grado di sviluppo
economico, il livello d’industrializzazione e le caratteristiche del processo di
2
Pugliese E., Sociologia della disoccupazione, Bologna, Il Mulino, 1993, p.7
3
Mingione E., Pugliese E., Il Lavoro, Roma, Carocci, 2010, p.129
12
sviluppo industriale, incidono sia sulla complessità dell’occupazione sia sui
livelli di disoccupazione. La composizione socio-professionale della popolazione
e la sua ripartizione tra lavoratori autonomi o salariati, hanno entrambi un
riflesso sulle tipologie della disoccupazione. “Insomma, il livello e la
composizione della disoccupazione in un determinato Paese stanno in stretto
rapporto con il livello dell’occupazione (con l’incidenza degli occupati sulla
popolazione) ma anche con la sua composizione”
4
.
1.3 LE TRE FORME DELLA DISOCCUPAZIONE
Attualmente l’analisi sociologica sulla disoccupazione cerca di individuare le
differenze tra la disoccupazione odierna e quella tradizionale operaia (la più
studiata dal punto di vista sociologico) ovvero composta da operai che hanno
perso il posto di lavoro: “I disoccupati dell’industria, i quali hanno
rappresentato tradizionalmente l’immagine del disoccupato nella società
industriale fino a tempi molto recenti”
5
. Ciò suggerisce di ampliare l’analisi ad
altre epoche storiche e proprio quest’analisi storica “permette di individuare tre
forme principali di disoccupazione, le quali hanno caratterizzato fasi
significative dello sviluppo delle società industriali. Proprio perché il lavoro
operaio è stato sempre il punto di riferimento per l’analisi della disoccupazione,
l’individuazione di queste diverse forme parte appunto dalla condizione
operaia”
6
.
Le tre forme sono le seguenti:
1) La disoccupazione di individui che non sono stati operai, ma tendono a
diventarlo. Per costoro, che provengono da contesti nei quali la
produzione capitalistica non è generalizzata, l’occupazione operaia è un
punto di arrivo.
2) La disoccupazione di coloro che sono già stati operai, vivendo nel
contesto della società industriale e poi hanno perso la loro occupazione.
In questo caso i moderni rapporti di produzione del capitalismo
industriale sono già generalizzati: la condizione operaia è una condizione
4
Pugliese E., Sociologia della disoccupazione, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 87
5
Ibidem, p.18
6
Mingione E., Pugliese E., Il Lavoro, Roma, Carocci, 2010, p.132.
13
normale per i proletari e la disoccupazione un incidente rispetto a questa
condizione. “Si tratta della disoccupazione prevalente studiata dai
sociologi”
7
.
3) La disoccupazione di soggetti che non sono mai stati operai e con poche
possibilità di entrare in quella fascia lavorativa, ma con un’occupazione
stabile e garantita. Si tratta della disoccupazione giovanile diffusa oggi in
tutte le società capitalistiche, comprendendo anche il nostro Paese, per
effetto del calo strutturale della domanda di lavoro industriale, e in
generale della domanda di lavoro per occupazioni definite stabili.
La forma di disoccupazione che prevale oggi è la terza: continua ad esistere la
forma tradizionale di disoccupazione riferita al settore dell’industria, ma quella
che caratterizza il modello di disoccupazione attuale è la disoccupazione dei
giovani precari e di chi non è stato e non sarà mai operaio. Oggi, a differenza del
modello di disoccupazione tradizionale, mancano esperienze lavorative
precedenti e prospettive di collocazione futura. L’aspetto prevalente è l’aumento
della precarietà che identifica la figura dei disoccupati come soggetti con
esperienza solo nell’ambito scolastico o formata da occupazioni occasionali e
informali e non da una precedente occupazione lavorativa stabile.
1.4 LA TERZA FORMA DELLA DISOCCUPAZIONE: I NUOVI POVERI
“La disoccupazione è grave ora come era grave prima. E’ invece cambiata la
situazione generale e di conseguenza la composizione e la struttura della
disoccupazione”
8
. Nasce un nuovo tipo di disoccupazione: la disoccupazione dei
giovani in condizioni di precarietà, mentre continua a perdurare con gravità il
modello di disoccupazione tradizionale. Questo modello era già presente in
passato, specialmente negli anni trenta, ma l’elemento di novità consiste nel
fatto che la difficoltà dei giovani ad entrare nel mercato del lavoro è diventata
strutturale. E’ proprio questa infatti la terza forma di disoccupazione, quella di
coloro che non avranno un tipo d’identità lavorativa forte che gli permetta di
conquistarsi una stabilità occupazionale (come contrariamente accadeva nella
vecchia classe operaia) e che avranno poche opportunità di uscire dalla
precarietà. La forma precedente di disoccupazione rappresenta un
7
Ibidem, p.133
8
Pugliese E., Sociologia della disoccupazione, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 40