INTRODUZIONE
La società è un prodotto umano.
La società è una realtà oggettiva.
L'essere umano è un prodotto sociale
Berger e Luckmann
Tra natura e cultura vi è un rapporto dialettico. L'ordine sociale prodotto dagli
esseri umani viene in parte condizionato dalla natura, ma le norme sociali non
possono essere intese come riflesso o espressione del biologico. Allo stesso tempo,
la componente biologica degli individui non è fissa ed immutabile, ma è a sua volta
plasmabile, nel suo significato e nella sua materialità, dall'ambiente sociale
circostante. Per chiarire con un esempio: l'impulso sessuale fa parte della natura
dell'essere umano, tale natura però non ne stabilisce le modalità di espressione, è il
sistema sociale e culturale ad incanalare tale impulso in disposizioni socialmente
accettate (Berger e Luckmann, 1969).
Possiamo osservare, tuttavia, che le norme sociali non plasmano i corpi allo stesso
modo: i nostri corpi sono costruiti in funzione di particolari divisioni create da un
sistema di classificazione che non solo differenzia, ma contrappone e gerarchizza.
La distinzione più importante all'interno delle diverse società è quella tra donne e
uomini: due categorie sociali, definite anche “classi sessuali”, create attraverso la
costruzione di “corpi sessuati” (Guillaumin, 2006). Fin dalla nascita gli individui
sono immersi nel sistema di aspettative che vengono loro attribuite sulla base del
loro sesso biologico e sono così spinti, attraverso l'educazione e l'osservazione di
modelli standardizzati di comportamento, a rientrare nelle categorie sessuali
definite socialmente: divisioni che, pur ispirandosi a caratteristiche individuali di
tipo biologico (organi riproduttivi e caratteri sessuali secondari), non sono prodotte
dalla natura, ma sono, al contrario, costruite e sostenute dall'ordine sociale.
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La differenza che si crea tra i sessi si riferisce dunque non tanto alla differenza
biologica tra uomini e donne, ma piuttosto alla particolare lettura che noi diamo alle
numerose differenze tra gli esseri umani. La visione occidentale di tipo dicotomico
è un esempio evidente, tramite questa modalità di classificazione imponiamo il
nostro senso di opposizione (maschio/femmina, attivo/passivo,
razionale/irrazionale) ad un mondo che senza il nostro intervento sarebbe fatto di
sfumature continue.
Come avviene il processo di assegnazione di una determinata classe sessuale a un
corpo? Come si definiscono le caratteristiche appartenenti all'una o all'altra classe?
Cosa comporta tutto questo per gli individui? Queste sono le domande cui cercherò
di rispondere nel corso di questo elaborato, analizzando, in particolare, il sistema di
significati legati all'ideale di femminilità dominante nella cultura occidentale e il
suo ruolo nella costruzione di un corpo di donna fragile, debole e tendente verso
un'immobilità ideale. Per comprendere a fondo le modalità in cui avviene la
formazione di tale corpo, ho scelto di analizzare tre tematiche fondamentali: l'uso
dello spazio, la socializzazione primaria e l'oggettivazione sessuale, tre ambiti in
cui si diffondono, a livello discorsivo, i valori e gli ideali all'origine dell'inibizione
corporea femminile. Infine, mi soffermerò sul mondo dello sport, un'arena sociale
in cui questi valori sono continuamente riprodotti e dove gli eventuali varchi che si
aprono nel corso di tale riproduzione possono rivelarsi di fondamentale importanza
per la loro stessa ridefinizione.
La costruzione del corpo sessuato avviene attraverso diversi ambiti di
“fabbricazione” (ibidem). Esistono interventi diretti: da quelli più superficiali (la
moda che riguarda sia gli stili del vestire sia l'apertura di fori nelle orecchie, nel
naso e sulle labbra) a quelli più invasivi, che modificano il corpo in maniera
permanente (gli interventi di chirurgia estetica, la riduzione o l'allungamento di
alcune parti del corpo come i piedi e il collo, le mutilazioni genitali); e interventi
meno visibili, che si concretizzano in ingiunzioni verbali, sanzioni sociali, processi
mimetici e pratiche discorsive che portano i due sessi ad utilizzare il proprio corpo,
ad assumere una determinata postura e a muoversi nello spazio, in modalità
differenti. In questo lavoro prenderò in considerazione la seconda tipologia di
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interventi, perché, in quanto scarsamente visibili, permettono di plasmare il corpo
senza rendere evidente la vera natura del potere a cui rispondono: non un potere
repressivo e centralizzato, ma un potere creativo e capillare che produce e diffonde
conoscenza.
Partendo dal presupposto che il corpo nella sua esistenza sociale è sempre sessuato,
quindi fin dalla nascita suscettibile agli interventi normativi, non cercherò nel mio
lavoro di individuare i confini tra ciò che è naturale e ciò che è sociale, cercherò
piuttosto di mettere in luce come il corpo sia socialmente regolato e come gli
interventi su di esso siano implicati nelle relazioni di potere.
Ciò che intendo mettere in luce è la componente ideologica di qualsiasi concezione
sostenga l'idea che gli esseri umani abbiano una particolare natura fissa ed
immutabile e come questa concezione abbia degli effetti sul modo in cui le donne
vivono il proprio corpo e si pongono in relazione con lo spazio circostante. La
subordinazione femminile non può essere analizzata senza prendere in
considerazione la dimensione materiale e simbolica dei corpi, poiché i corpi che
abitiamo sono il risultato di costruzioni che fanno capo ad una concezione del
mondo fondata su uno squilibrio di potere tra uomini e donne.
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CAPITOLO I
IL CORPO COSTRUITO:
SOCIETÀ, CORPO, GENERE.
In natura niente è perfettamente chiaro
Simone de Beauvoir
1.1 Il tema del corpo nella teoria sociologica
Per molto tempo, la sociologia ha trascurato il tema del corpo considerandolo
appannaggio esclusivo delle scienze biologiche e mediche, da sempre chiamate ad
occuparsi della dimensione materiale e concreta dell'esistenza.
L'impostazione epistemologica basata sul dualismo tra natura e cultura, che ha
dominato gran parte del pensiero occidentale moderno, ha avuto implicazioni
profonde nella determinazione dei confini disciplinari, tracciando una netta
separazione tra il mondo reale e oggettivo di competenza delle scienze esatte e il
mondo del pensiero, della conoscenza e dei valori, appannaggio delle scienze
sociali (Sassatelli, 1999).
Questa impostazione teorica ha reso molto remota la possibilità che il corpo si
affermasse come oggetto di analisi del pensiero sociologico e ha contribuito a
radicare le dicotomie concettuali quali mente/corpo, natura/cultura,
materiale/immateriale, nelle concezioni di senso comune, oltre che in campo
accademico (ibidem).
Solo con l'affermarsi del paradigma costruttivista la realtà perde il suo carattere
oggettivo e si configura come esito di un processo di costruzione da parte
dell'individuo. Secondo questa prospettiva, il mondo reale può essere conosciuto
solo a partire dal processo di attribuzione di senso che i soggetti danno alla realtà
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stessa, escludendo la possibilità di giungere ad una conoscenza obiettiva (Toscano,
2006).
È in questo quadro che il dualismo mente e corpo viene meno e la materialità del
corpo viene osservata nella permeabilità dei suoi confini, fino a giungere ad una
definizione del corpo come costrutto sociale che, come tale, presenta caratteristiche
che variano a seconda delle diverse epoche e culture.
A partire dagli anni settanta del secolo scorso, grazie al lavoro delle teoriche
femministe e all'analisi storica delle diverse forme di potere di Michel Foucault,
fioriscono le problematiche del corpo in campo accademico. Il corpo inizia a
configurarsi come un'entità plastica, plasmabile nel suo significato e nella sua
materialità, fino a diventare sede di lotta politica, un luogo che incarna le
differenze di potere e in cui l'ordine sociale viene riprodotto (Sassatelli, 1999).
Tuttavia, anche nei classici del pensiero sociologico si possono individuare alcune
prospettive di analisi che hanno fornito importanti contribuiti alla tematica della
“politica del corpo” (Sassatelli, 1999, p. 627). Sia Marx che Weber hanno
analizzato le tecniche di disciplinamento diffuse nell'allora nascente società
industriale, interpretandole come forme di razionalizzazione del corpo. Karl Marx
si è occupato del rapporto tra il corpo del lavoratore e il sistema produttivo,
sottolineando le modalità di impiego del corpo nella vita di fabbrica e le
conseguenze psicologiche e fisiche che ne derivano: “Il lavoro alla macchina
intacca in misura estrema il sistema nervoso, sopprime l'azione molteplice dei
muscoli e confisca ogni libera attività fisica e mentale” (Marx, 1977, p. 467). Anche
Weber descrive il regime disciplinare delle fabbriche come un potere che adatta
“l'apparato psico-fisico degli uomini” alle esigenze produttive (Weber, 1999, p.
268).
Il primo a pensare al corpo come “principale veicolo di acculturazione dell'attore
sociale” (Sassatelli, 2002, p. 320) fu Marcel Mauss, che negli anni trenta del secolo
scorso definisce le tecniche del corpo come “modi in cui gli uomini, nelle diverse
società, si servono, uniformandosi alla tradizione, del loro corpo” (Mauss, 1965, p.
385). Queste tecniche, frutto dell'educazione ai valori della cultura di appartenenza,
depositate nella coscienza, diventano automatismi per mezzo dei quali il corpo si
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