6
Presentazione: Il sovraccarico politico-ideologico e i diversi contenuti della corrispettività
nel contratto di lavoro.(*)
Tutte le branche del diritto prestano, alcune più altre meno, il fianco alla politica. Come
evidenziato da un noto autore
1
, sarebbe vera ipocrisia negare quell’ovvietà, peraltro già messa
in luce dai primi teorici del diritto
2
, per cui quando si crea o si interpreta una norma lo si fa
anche e soprattutto alla luce delle idee di “appartenenza”
3
.
Le ideologie politiche si riflettono inevitabilmente nelle costruzioni dottrinali dell’interprete,
dirà uno dei “padri costituenti”
4
.
Il diritto del lavoro, però, è stato particolarmente “martoriato” in tal senso, dalle sue origini
fino ad oggi.
La prima grossa operazione politica compiuta a suo danno è stata messa in atto
paradossalmente quando esso neppure esisteva e manipolando proprio il concetto civilistico di
corrispettività. Ed infatti, come meglio si avrà modo di approfondire nel prosieguo,
approfittando del vuoto normativo del codice civile del 1865 che non disciplinava il lavoro
subordinato
5
, limitandosi a distinguere, in maniera, peraltro, scarsamente esauriente, fra la
“locatio operis” e la “locatio operarum”, un giurista esperto quale il Lodovico Barassi è
riuscito negli anni a cavallo fra i ‘20 e di ‘30 a stravolgere “ab origine” un diritto che per sua
natura doveva guardare alla società, ed essere in tal senso “sociale”
6
, per farne l’“ancella” del
diritto civile.
(*)Un particolare ringraziamento va al prof. Lorenzo Zoppoli – dalla cui Scuola fieramente provengo- per i
numerosi spunti di riflessione, la paziente lettura critica di quanto scritto e talune informazioni altrimenti
introvabili.
1
Ci si riferisce a U. Romagnoli, “La costituzione delegittimata”, in AA.VV.“Studi in onore di Giorgio Ghezzi”.
Milano, Cedam, 2005.
2
Fra cui il Tarello, Atteggiamenti culturali sulla funzione del giurista-interprete, in ID Diritto, enunciati, usi,
Bologna 1974.
3
In maniera molto efficace il prof. Romagnoli nella nota n. 14 contenuta alla pag. 1517 del saggio sopra citato
afferma che il giurista non può occultare le proprie opzioni di fondo perché non è un “paragonabile ad un
tecnico. Ad un idraulico, per esempio” ma è un “politico del diritto, come Giugni non si stanca di dire”.
4
Il riferimento è a Mortati, “Problemi di politica costituzionale”, in Problemi di politica costituzionale. Raccolta
di scritti, IV, Milano, 1972. p. 187 e ss.
5
Che tale codice fosse per lo più indifferente al fenomeno del lavoro subordinato appare dato certo ed acquisito
dalla maggioranza della dottrina. Lo stesso Romagnoli in op.cit., pag. 1513, considera il codice civile
ottocentesco come “un codice che elegge ad eroe il proprietario terriero e non l’imprenditore; un codice
dell’avere e non del fare che richiede un esteso impiego di manodopera salariata; un codice le cui molte e vistose
lacune in materia di lavoro non potevano essere colmate se non utilizzando materiali di riporto”.
6
Che il lavoro rappresenti per sua natura un fondamentale “punto di orientamento per una visione complessiva
degli interessi della vita associata e, quindi, uno strumento cardine per la formazione di un nuovo senso di
solidarietà sociale” è dato su cui in molti sono convenuti e fra i primi il Mortati a cui appartengono le espressioni
sopra riportate fra virgolette e tratte da Vardaro, Il diritto del lavoro, Milano, 1989, p. 41.
7
L’intento appare a chi scrive piuttosto chiaro: evitare l’emersione e, quindi, contribuire
all’ulteriore compressione di quel senso di solidarietà sociale che, specie in epoca pre –
costituzionale, era già scarsamente diffuso data la netta divisione “ di classe” fra nobili e/o
appartenenti all’alta borghesia da un lato e massa lavoratrice dall’altro.
Così si è voluto che il rapporto di lavoro si riducesse a nient’altro se non uno scambio,
oneroso e bilaterale, fra quantità e qualità di lavoro prestato versus retribuzione. Scambio
“puro”, comportante l’assenza di retribuzione ogniqualvolta fosse venuta a mancare per
qualsiasi ragione la prestazione lavorativa
7
. Il che è stato, poi, abilmente tradotto sul piano
giuridico dal Barassi in “sinallagma” o “corrispettività” , cosiddetta “biunivoca”, del contratto
di lavoro “fonte” del relativo rapporto.
Ora, a rendere evidente la natura più politica che giuridica di una simile operazione vi sono
almeno due circostanze di base. In primo luogo, nel diritto civile il sinallagma è qualcosa in
più di un mero scambio monetario, corrispondendo, infatti, ad un legame, o meglio ad
un’interdipendenza fra obbligazioni, e, dunque, fra adempimenti non scindibile, tanto che si
insinua il dubbio che Barassi parlava di corrispettività per intendere proporzionalità
8
. In
secondo luogo, non appare, poi, come un dettaglio trascurabile il fatto che il sinallagma si va
ad inserire, fino a caratterizzarlo, in un contratto, quale quello di diritto comune, che si
presuppone stipulato in maniera volontaria fra soggetti liberi ed in condizioni di parità
9
. Tutto
ciò, a meno di non voler forzare la mano, sarebbe ontologicamente non recepibile all’interno
di un “contratto – fonte” di un rapporto intrinsecamente squilibrato fra un datore ed un
7
Come meglio si avrà modo di approfondire più avanti il Barassi ha abbracciato la tesi della corrispettività
“pura” in tutti i suoi possibili corollari e dunque ha più volte affermato che come accade in qualsiasi altro
contratto sinallagmatico di diritto comune ove al venir meno di un adempimento cade anche l’altro, così anche
nel contratto di lavoro se viene meno l’adempimento del lavoratore all’esecuzione della prestazione, viene meno
anche l’adempimento datoriale all’obbligazione retributiva. Si veda in tal senso L. Barassi, Il contratto di lavoro
nel diritto positivo italiano. Milano, 1901.
8
Tale dubbio, in qualche maniera, ha già riguardato un illustre esperto in diritto civile quale il Di Majo che non
condivide affatto l’operazione, compiuta dal Barassi, di attribuzione al “diritto comune dei contratti” di una
regola che proprio non gli appartiene quale quella della corrispettività intesa come “corrispondenza biunivoca”
fra retribuzione e lavoro effettivamente svolto. Ed infatti, secondo Di Majo, se il contratto individuale di lavoro
subordinato fosse realmente un contratto corrispettivo al pari degli altri, avremmo che il datore di lavoro
dovrebbe adempiere all’obbligazione retributiva ogniqualvolta ciò gli viene richiesto e non, invece, in
proporzione alla quantità e qualità del lavoro ottenuto. Così Di Majo, I licenziamenti illegittimi tra diritto
comune e diritto speciale, in Riv. Giur. Lav, 1974,I, p. 265 e ss.
9
Riprendendo le parole di Romagnoli “dal momento che il diritto civile è tutt’uno con la nozione di contratto fra
soggetti liberi ed uguali ereditata dall’ideologia liberale della codificazione ottocentesca, come si può
condividere la granitica convinzione che il diritto del lavoro è fondamentalmente diritto civile?”, in op.cit,
p.1516.
8
prestatore di lavoro e dove lo spazio lasciato all’autonomia, alla libertà ed alla volontarietà,
specie del secondo, appare davvero esiguo
10
.
Ma la scelta politica viene fuori in maniera molto più evidente dopo l’entrata in vigore della
Costituzione.
Rileggendo la stessa, anche in parallelo con le varie relazioni illustrative e gli scritti di taluni
suoi illustri padri ed in primis del Mortati
11
, appare evidente che i costituenti avevano un
disegno ben preciso, ovverosia spostare l’asse e ricondurre il lavoro nell’ambito che più gli
era congeniale: il diritto costituzionale
12
.
Non a caso, dunque, la Repubblica è stata fondata proprio sul lavoro
13
e vari articoli della
Costituzione sono legati gli uni agli altri dal “lavoro” che diventa una sorta di “file rouge”
14
.
Si pensi, ad esempio, al rapporto di genere a specie sussistente fra gli artt. 3, 2° comma e 36,
1° comma, della Cost
15
.
Il primo, infatti, nel sancire il principio fondamentale dell’eguaglianza sostanziale, parla di
ostacoli di ordine economico e sociale da rimuovere in quanto “limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini” non consentono l’“effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il secondo individua tali “ostacoli
10
Ed in effetti non riconoscere o meglio tentare di celare, quasi ad ogni costo, le anomalie di un rapporto per sua
natura “squilibrato” equivale, per il celebre civilista Scognamiglio, a non far “camminare verso la libertà” un
diritto quale quello del lavoro “fatto di un’attitudine antiformalista, antilegalista ed antidogmatica”; come
riportato da Romagnoli, in op.cit, p.1516.
11
Il riferimento è a Mortati, Il lavoro nella costituzione, in Problemi di politica costituzionale. Raccolta di
scritti, IV, Milano, 1972.
12
Il Mortati volle così profondamente riportare il lavoro nell’ambito del diritto pubblico che, dopo aver dato un
tale imprinting alla Carta Costituzionale, alla cui stesura egli partecipò personalmente in qualità di deputato
dell’Assemblea costituente eletto nelle liste della DC come tecnico-indipendente, continuò ancor dopo il ’48 e,
specificatamente, negli anni compresi tra il ’53 ed il ’54 ad elaborare una sorta di inventario molto minuzioso
inerente alle risorse di cui poteva, a suo avviso, disporre il “diritto del lavoro post-costituzionale”. Così
Romagnoli, in op.cit., pag. 1530.
13
Si noti, peraltro, che, come messo in evidenza da larga parte della dottrina, solo per pochi voti non passò la
dicitura per cui la Repubblica italiana era dei “lavoratori”.
14
Un richiamo esplicito al lavoro è significativamente contenuto proprio nei primi 4 articoli della Costituzione
che si ritrovano esplicitati in molte altre norme costituzionali come, ad esempio, gli artt. 35,36,37,38, 39 e 40.
15
Sulla centralità attribuita dai padri costituenti all’articolo 3, 2° comma, della Costituzione, letto in combinato
disposto con l’art. 36 Cost., si esprime, come riportato dal Romagnoli in op.cit. p. 1529, il Lelio Basso che in più
occasioni pubbliche affermerà: “la ragione per cui ci tenevo ad inserire nel testo costituzionale una norma come
il capoverso dell’art. 3 era proprio questa: che essa smentisce tutte le affermazioni della costituzione che danno
per realizzato quello che è ancora da realizzare”. Come a dire, e riportando l’espressione di Romagnoli, che: “se
la costituzione formale rifiutava il modello di società esistente” quella materiale si spingeva ben oltre a fornire
precise indicazioni su come strutturare il “nuovo modello di società”.
9
di ordine economico e sociale” nella mancanza di congrua disponibilità monetaria che può
privare non un cittadino qualsiasi bensì “il cittadino - lavoratore” - stante la combinazione di
parole non a caso utilizzate all’interno dello stesso art. 3, 2° comma, Cost.- della sua libertà e,
conseguentemente, allontanarlo dalla vita “politica, economica e sociale del Paese”. Così
l’art. 36 in esame, pone l’accento su di una retribuzione che deve essere non solo e non tanto
proporzionata alla quantità e qualità del lavoro effettivamente svolto, ma soprattutto “in ogni
caso sufficiente ad assicurare al dipendente ed alla sua famiglia un’esistenza libera e
dignitosa”.
16
Se, dunque, ancora dopo il ’48, il Barassi ed i suoi “discepoli”
17
, incuranti delle evidenti
discrasie con il sistema costituzionale, palesemente all’opposto rispetto a quello liberale
ottocentesco, hanno persistito nella tesi della “privatizzazione del lavoro” sorretta
dall’argomentazione circa la corrispettività “pura” del contratto individuale di lavoro
subordinato e sono riusciti ad elevarla a “dogma”, di fatto mai messo in discussione almeno
fino agli anni ’70; se, per dirla con i termini del prof. Romagnoli, si è arrivati alla
“delegittimazione della costituzione” medesima, ciò può avere solo una spiegazione storico -
politica.
Ritenendo i principi costituzionali di libertà e di valorizzazione del “cittadino-lavoratore”, di
cui sopra, pericolosi, in quanto potenzialmente in grado di generare un conflitto di classe,
Barassi ed i suoi allievi più influenti
18
diffusero, principalmente tramite il canale
dell’insegnamento universitario
19
, l’idea che, mettendo da parte la Carta Costituzionale
20
, in
16
Come affermato da parte della dottrina ed il riferimento va principalmente al prof. Zoppoli, da un’attenta
lettura dell’art. 36, 1° comma, della Cost. non può non evidenziarsi l’esistenza, accanto ad un’obbligazione
retributiva corrispettiva, che paga il lavoro effettivamente realizzato in proporzione alla sua quantità e qualità, di
un’obbligazione retributiva solidale che è qualcosa in più del minimo necessario al sostentamento, consistendo,
piuttosto, in quella parte di retribuzione da dare, a prescindere da quanto e da come si è lavorato, per permettere
al lavoratore di essere libero e di poter, quindi, partecipare attivamente alla vita della società in cui è inserito.
Zoppoli, La corrispettività nel contratto di lavoro, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1991, p. 273 e ss.
17
Fra cui si ricorda principalmente il Santoro Passarelli.
18
Capeggiati dal Santoro Passarelli che ebbe un ruolo chiave.
19
Non a caso negli anni cinquanta le cattedre di diritto del lavoro furono tutte affidate a professori di diritto
privato come, oltre al Barassi stesso, il Santoro Passarelli e la Riva Sanseverino e ciò anche perché dopo
l’esperienza del corporativismo erano ancora molto forti le paure di un ritorno a regimi totalitari pure per il
tramite di un rinnovato ruolo centrale dello Stato nella materia del lavoro. Così P. Ichino, “Il percorso tortuoso
del diritto del lavoro tra emancipazione dal diritto civile e ritorno al diritto civile” in atti del convegno
dell’Associazione dei civilisti italiani e in www.pietroichino.it
20
La cui inattuazione si è poi vista anche nel congelamento di vari istituti quali l’Alta Corte ed il Csm. Il tutto
non senza denunce di taluni costituzionalisti, fra cui principalmente il Mortati, che ammonivano sul rischio di un
incremento sempre maggiore del distacco fra il testo della Costituzione e la realtà del Paese quanto più si
allungava il periodo di inattuazione medesimo; come riportato da Romagnoli in op.cit. p.1532.
10
fondo nemmeno troppo sentita dalla maggior parte degli italiani
21
, il rapporto di lavoro
dovesse continuare ad essere disciplinato esclusivamente dal diritto civile, perché esso “è oggi
nella sua struttura intima quello che era ieri, quello che era duemila anni orsono”
22
ovverosia
una relazione fra privati portatori di interessi contrastanti che solo uno strumento “neutro”,
quale il contratto di diritto comune, è in grado di risolvere in maniera pacifica
23
. Bisognava,
dunque, evitare la conoscenza e l’interiorizzazione nei lavoratori subordinati dei diritti loro
riconosciuti dalla Costituzione ed in primis del diritto di sciopero visto come una “piaga
sociale” o meglio come “un’arma nelle mani di un fanciullo”
24
. Parimenti appariva
indispensabile ridimensionare il possibile ruolo di forme di contrattazione differenti da quella
individuale e, principalmente, della contrattazione collettiva nazionale
25
. Non a caso il Barassi
afferma: “questi concordati collettivi non sono altro che limitazioni di concorrenza…che sono
a loro volta limitazioni di autonomia, e ciò dispiace agli industriali che vedono eliminata in
questi accordi la possibilità di trattare a condizioni differenti dall’ottimo…Ma si vegga anche
l’altro lato: questo dovere di fedeltà allo scopo collettivo si spingerà fino a piegare la volontà
individuale al volere dei più”
26
.
Contemporaneamente veniva demonizzato qualsiasi tentativo, scaturente dalla Costituzione,
di attrarre il lavoro nella sfera pubblica portando il “cattivo esempio” dell’esperienza
realizzata dal regime fascista e facendo leva sulle paure, ancora molto vive in un periodo in
cui la democrazia era appena risorta, di un ritorno a regimi totalitari.
La strumentalizzazione di siffatti timori appare evidente almeno sotto due aspetti: 1) il
fascismo, dapprima con l’abolizione delle commissioni interne a base elettiva e relativa
espulsione del sindacato dai luoghi di lavoro, avvenuta nel 1925 con il cosiddetto “Patto di
21
Parla di “analfabetismo costituzionale” e di scarso coinvolgimento popolare rispetto alla nascita della
Repubblica ed ancor di più rispetto all’entrata in vigore della Costituzione, Romagnoli in op.cit. p. 1521
riassumendo, peraltro, l’analisi storica degli anni ’50 effettuata dallo Scoppola in La costituzione contesa,
Torino, 1998.
22
Cfr. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano, 1915, p. 575 e ss.
23
Tale è la sintesi del pensiero di Santoro Passarelli effettuata da Romagnoli, in op.cit., p. 1524.
24
Entrambe le espressioni sono del Barassi, in op.cit., p. 611 e ss.
25
L’opposizione rispetto a forme di contrattazione collettive nazionali era basata principalmente sul timore che
esse, regolando anche le ipotesi sospensive di cui già agli artt. 2110 e 2111 del c.c. ed altre simili fattispecie,
potessero togliere spazio proprio alla corrispettività “pura” del contratto individuale di lavoro, per come intesa
dal Barassi, ovverosia allo scambio fine a se stesso di retribuzione versus quantità e qualità di lavoro. Sulle
analogie con l’attualità, ed in particolare con l’art. 8 del d.l. n. 138/2011 convertito in l. n. 148/2011, ci si
soffermerà nelle conclusioni al presente lavoro di ricerca. Appare ora appena il caso di sottolineare che la
motivazione usata dal governo in carica nel 2011 per “giustificare” l’enfasi posta su forme di contrattazione di
secondo livello, a cui è consentito “in esclusiva” di derogare a leggi oltre che ai contratti collettivi nazionali,
risiede paradossalmente sempre nello stesso motivo del Barassi: avere un rapporto di lavoro ridotto ad un mero
scambio dove la persona non entra.
26
Cfr. Barassi, in op. cit. p.101 e ss.
11
Palazzo Vidoni”, e poi con la progressiva dissoluzione del diritto del lavoro “trasformato in
altro da sé”
27
, ha finito “con l’essere solo un supporto ideologico all’interno di una struttura di
produzione e di scambio saldamente ancorata ai principi della libera iniziativa privata e
dell’assoluta autonomia nella gestione delle imprese”
28
; 2) risulta davvero singolare la critica
all’opera “distruttiva” di presunta attrazione del diritto del lavoro nell’ambito pubblico
realizzata dal fascismo, mossa da chi fascista lo era stato non tanto per opportunismo ma per
convinzione, ovverosia il Barassi. Ed in effetti, come evidenziato da larga parte della dottrina
29
, ad oggi non residuano dubbi circa il ruolo attivo da egli svolto in qualità di fiduciario del
partito fascista (PNF) presso l’Università Cattolica di Milano, tanto che “per lunghi anni esso
ha rappresentato il solo canale attraverso il quale passavano le comunicazioni tra il PNF e
l’università”
30
. Di qui a maggior ragione si ha la conferma che il Partito Fascista, che
evidentemente non lasciava margini di spazio a quanti volessero dissentire dalle sue
ideologie
31
, non solo non ha mai voluto apporre ostacoli alla privatizzazione del lavoro ma al
contrario voleva rafforzarla, avvalendosi proprio di giuristi che in essa già credevano
fermamente come il Barassi.
Le circostanze appena brevemente descritte sono tutte confermate: a) in necrologi, che
sovente ricordano proprio l’impegno politico del Barassi nelle fila del PNF; b) nel carteggio,
rinvenuto presso gli archivi dell’Università Cattolica, intercorso fra il Barassi e Padre
Gemelli, rettore della medesima università, dal 1923 in poi; c) nella testimonianza, parimenti
rinvenuta presso i medesimi archivi universitari, secondo la quale Padre Gemelli nell’ottobre
del 1938, in occasione della sollecitazione di un’onorificenza al Barassi, parlò espressamente
dell’iscrizione di quest’ultimo al PNF sin dal 19 luglio 1924; d) nel ruolo ad egli
pubblicamente assegnato di “membro del Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale”,
ovverosia dell’organo cui era demandato il governo delle università attraverso l’esercizio di
un ampio numero di poteri come: l’approvazione degli statuti e degli ordinamenti universitari,
il controllo disciplinare sul personale e la formazione delle commissioni concorsuali.
32
Non pare, dunque, vi sia il bisogno di aggiungere altro materiale per sostenere la tesi
dell’avvenuta manipolazione dello stesso concetto di “corrispettività” a fini politici.
27
Riprendendo le parole di Romagnoli, in op.cit., p. 1522.
28
Così Zagari, Corporativismo e teoria economia, in Diritto, economia e istituzioni nell’Italia fascista, a cura di
Mazzacane, 2002, p.67.
29
Ed in primis dal Ferrante, Lodovico Barassi e l’Università Cattolica, in La nascita del diritto del lavoro. Il
contratto di lavoro di Lodovico Barassi cent’anni dopo, a cura di M. Napoli, Milano, 2003.
30
Così Ferrante, in op. cit.
31
Tanto che aveva provveduto all’emanazione di un decreto che consentiva la soppressione delle Università la
cui attività appariva non in linea con le direttive statali.
32
Cfr. Ferrante, in op.cit., p.80.
12
Anche dopo la morte del Barassi avvenuta nel ’61
33
, la corrispettività nel contratto individuale
di lavoro subordinato diventa una sorta di “concetto-bandiera” da cui è possibile far
discendere, a seconda delle esigenze, “una gamma talmente ampia di significati e di accezioni
e con una tale diversità di prospettive”
34
che sembra essere divenuta un indumento buono per
tutte le stagioni e qualcosa di sempre diverso rispetto alla nozione civilistica
35
.
Così c’è chi la invoca per non riconoscere tutele al dipendente al di là del mero scambio
retribuzione vs. lavoro
36
; chi, al contrario, la usa per affermare l’introduzione di nuovi criteri
sociali o economico-organizzativi di valutazione della prestazione del singolo
37
; chi ne fa un
proclama per evitare costi ritenuti non un corrispettivo del lavoro ma fonti di finanziamento
improprie per servizi rivolti alla collettività
38
; chi, ancora, attraverso di essa chiede il
passaggio da un criterio temporale-monetario ad uno “partecipativo” per la definizione della
retribuzione
39
; e chi in un’ottica di “corrispettività dei sacrifici” talvolta nega la legittimità dei
cosiddetti “scioperi anomali” talaltra ritiene illegittimo togliere retribuzione allo scioperante
in misura maggiore rispetto all’effettiva durata della sua assenza.
Come sottolineato da un noto autore
40
è vero che qualsiasi categoria giuridica per non
risultare anacronistica deve avere una certa “elasticità” intesa come capacità di ampliare il
proprio raggio d’azione e di essere sensibile alle evoluzioni sociali ed economiche, a patto che
“i suoi confini non si amplino e deformino al punto tale da rendere la categoria stessa
indefinita e perciò buona ad un tempo a tutto e a niente”
41
.
Per capire, dunque, se ed in che misura entra il concetto civilistico di corrispettività nel
contratto individuale di lavoro subordinato, al netto delle pressioni politiche e delle numerose
33
Vedi Ferrante, in op.cit.
34
L’espressione è di L. Zoppoli,in op.cit., p.14.
35
Un illustre autore ed il riferimento è al prof. Zoppoli, in op.cit., p. 26, parla del concetto giuridico di
corrispettività nei termini di una “fisarmonica” che invece di guidare le danze “insegue le figure cui i ballerini
danno vita”.
36
Oltre al Barassi, si è mosso in tal senso il Santoro Passarelli.
37
Tra gli altri Carinci e Grandi.
38
Tale è la posizione della Confindustria e degli esponenti datoriali.
39
Accogliendo le tesi di Weitzmar fondate sull’assunto che l’unico modo per uscire dalla stagflazione sia quello
di agganciare i salari direttamente ed automaticamente agli indici di andamento dell’impresa, buona parte della
dottrina fra cui Castiglione, Produttività, efficienza, qualità, in In.sind., 1987 e Cerruti, La qualità nella strategia
dell’impresa, Roma, 1985 ha avanzato la proposta di rendere la retribuzione realmente corrispettiva al lavoro
svolto legandola a criteri quali il profitto aziendale per lavoratore o il prezzo per prodotto.
40
L. Zoppoli, in op.cit., p. 26.
41
L. Zoppoli, in op.cit, p.26.
13
fuorvianti accezioni “guadagnate sul campo” e fin qui viste, è apparso necessario: 1) ripartire
dall’anno zero ovverosia dalle norme del codice civile sui contratti sinallagmatici; 2) valutare
la loro applicabilità al fenomeno del lavoro; 3) guardare a cosa accade nei casi di sospensione
della prestazione lavorativa e 4) ricostruire l’evoluzione avvenuta sia rispetto al concetto di
corrispettività che rispetto a quello di sospensione.
L’analisi svolta seguendo le suddette “linee guida”, ha condotto ad un punto in cui i percorsi
evolutivi dei due concetti appena detti sembravano quasi essersi incontrati sulla stessa strada
di valorizzazione della persona del lavoratore ma, e come meglio si capirà oltre, per
l’ennesima volta saranno forzature o meglio “manipolazioni” politiche di concetti giuridici a
prendere il sopravvento per arrivare alle attuali forme di lavoro cosiddette “altamente
flessibili”, quali lo job sharing, il lavoro intermittente o a chiamata, il lavoro accessorio, nelle
quali paradossalmente scompaiono sia la “corrispettività” civilistica sia le tutele connesse alle
fattispecie sospensive.
14
Capitolo Primo: Il concetto di corrispettività tra diritto civile e diritto del lavoro.
Parte Prima: La corrispettività nel diritto civile: problemi di adattabilità.
1.1.1 Il sinallagma e la corrispettività nel diritto civile.
In base alla definizioni contenute in uno dei più noti manuali per l’insegnamento accademico
del diritto privato
42
, il sinallagma è: “il legame reciproco che in alcuni contratti esiste tra la
prestazione e la controprestazione. Legame tanto forte da rendere le obbligazioni stesse
interdipendenti”.
La corrispettività è: “il segno di un rapporto tra prestazione e controprestazione più stretto
della semplice coesistenza reciproca”.
I contratti sinallagmatici o a prestazioni corrispettive sono: “quei contratti dai quali,
nell’ambito di uno stesso strumento negoziale, sorgono contemporaneamente nell’una e
nell’altra parte obblighi e diritti a prestazioni reciproche collegate tra loro da un rapporto di
interdipendenza”.
Volendo schematizzare, le parole chiave sembrerebbero essere, dunque: “interdipendenza” fra
obbligazioni e “reciprocità” fra prestazioni.
Il sinallagma, in effetti, pur nella sua unicità vive due momenti: è “genetico” all’atto di stipula
del contratto quando sorge proprio un’interdipendenza fra obbligazioni, ed è “funzionale”
nella fase esecutiva contrattuale dove prestazione e controprestazione devono essere parimenti
garantite, dato il loro reciproco legame.
Detto in altri termini, nel diritto civile un contratto è considerato “corrispettivo” non perché
“bilaterale”, in quanto tale caratteristica appartiene a qualsiasi contratto in quanto negozio
giuridico
43
, e neppure perché “oneroso”
44
ma quando esiste un legame: 1) tra obbligazioni,
42
Ci si riferisce ad A. Trabucchi,Istituzioni di diritto civile, Padova, Cedam, 2001, p. 713 e ss.
43
In particolare il Trabucchi, in op.cit., p. 713 sottolinea che: “il contratto, in quanto negozio, è sempre negozio
bilaterale o plurilaterale. Contratto, consenso, accordo, sono tutti concetti che richiamano una pluralità di parti…
Pertanto, se si vuole ripetere una terminologia tradizionale che distingue i contratti unilaterali dai contratti
bilaterali, bisogna intendere bene che si vuole fare una distinzione sempre nell’ambito dei negozi bilaterali;
anche i contratti unilaterali sono necessariamente negozi bilaterali. La bilateralità del contratto si riferisce non
alla pluralità dei voleri che pongono in essere il negozio, ma agli effetti obbligatori che ne sorgono”.
44
Esistono, infatti, contratti definiti da parte della dottrina “bilaterali imperfetti” che restano di fatto unilaterali e
non possono divenire corrispettivi anche quando sono a titolo oneroso perché non c’è vera controprestazione: è il
caso del deposito e del mandato nonché del mutuo oneroso.
15
aventi per contenuto diverse prestazioni collegate tra loro da una medesima giustificazione
causale
45
; 2) tra prestazioni, che devono essere effettuate simultaneamente
46
e comunque in
maniera tale che l’una rimanga sempre in vita grazie al perdurare dell’altra attraverso il
relativo adempimento.
Non a caso, il contratto sinallagmatico va risolto se, nella sua concreta attuazione, una delle
due obbligazioni viene a mancare (risoluzione per inadempimento) o non può essere più
eseguita (risoluzione per impossibilità sopravvenuta).
Da tutto quanto fin qui detto si desume che entrambe le “tipologie” di sinallagma in esame
sono necessarie alla vita del contratto a prestazioni corrispettive, come, d’altra parte, sempre
evidenziato dalla dottrina civilistica
47
, in quanto: a) dal sinallagma genetico dipende la causa
del contratto, sicché se ad un’obbligazione non ne corrisponde altra interdipendente viene
meno lo stesso scopo immanente del contratto
48
; b) dal sinallagma funzionale dipende la
causa dell’obbligazione o dell’attribuzione patrimoniale
49
, nel senso che l’impegno
all’adempimento o, come meglio detto da un noto autore
50
, “la possibilità di adempimento”
della controprestazione è la causa che ha portato l’altra parte ad obbligarsi alla reciproca
prestazione
51
.
45
Si noti, peraltro, che come sottolineato da A. Trabucchi, in op.cit., p.171 la causa del contratto non va confusa
con lo scopo individuale o “motivo” inteso come l’impulso che induce il soggetto al negozio, essendo, invece, lo
scopo immanente del contratto ovverosia la sua ragione e funzione economico-sociale.
46
La simultaneità delle reciproche prestazioni che si vogliono eseguite “mano contro mano” nasce, secondo il
Trabucchi, in op. cit., p. 715, anche dall’esigenza di ovviare a problemi di mancata attuazione del contratto
corrispettivo per inerzia delle parti che non adempiono, ciascuna in attesa dell’adempimento dell’altra. Tanto è
vero che in caso di inadempimento reciproco il giudice dovrà effettuare un’indagine comparativa delle condotte
al fine di comprendere quale inadempienza abbia avuto significato preponderante e determinato la crisi del
contratto con relativo rifiuto della controparte ad aderirvi.
47
Tra cui il Trabucchi in op.cit. ma anche il Gorla in “Del rischio e pericolo nelle obbligazioni”, Milano, 1934.
48
Scolasticamente si porta l’esempio della vendita nella quale se manca il prezzo non c’è la giustificazione
dell’obbligo di consegnare la cosa ed il contratto è nullo. Così in A. Trabucchi, op.cit., p. 714.
49
Si veda in tal senso la posizione acquisita dalla dottrina ed in primis dal Trabucchi che in op.cit. p. 714, ritiene
il sinallagma genetico rispondente al “cur contractum est” ed il sinallagma funzionale al “cur debetur”. Di
medesima opinione è il Gorla che, in op. cit., invita proprio a non confondere il sinallagma genetico con quello
funzionale facendo divenire causa del contratto lo scambio di prestazioni che è, invece, causa dell’obbligazione
contrattuale.
50
Ci si riferisce ancora al Trabucchi, in op. cit. , p.714.
51
Come evidenziato dal Trabucchi, in op.cit. p. 714, se così non fosse, ovverosia se bastasse il solo sinallagma
genetico a configurare un contratto come corrispettivo avremmo quel paradosso per cui le obbligazioni nate
“interdipendenti” diverrebbero prestazioni autonome e quindi sganciate l’una dalla vicende dell’altra in fase di
attuazione del contratto.
16
Non solo, dunque, non esiste alcuna rigida distinzione fra queste due “dimensioni” della
corrispettività
52
- ragion per cui diventa impossibile sostenere che un contratto sia corrispettivo
anche se in esso è presente solo il sinallagma genetico e non anche quello funzionale o
viceversa -ma la loro necessaria coesistenza è stata in qualche maniera rafforzata dal
legislatore del 1942 nel momento in cui, all’interno del codice civile vigente, ha predisposto
appositi rimedi per i contratti sinallagmatici, in un’ottica di difesa dei contraenti, posti in
condizioni di parità
53
, legati l’uno al comportamento dell’altro.
Esiste, pertanto, una disciplina specifica in materia che completa le stesse definizioni di cui in
apertura, dando una “precisa rilevanza normativa della corrispettività”
54
dalla quale non si può
prescindere in un’analisi relativa alla corretta attribuzione del carattere corrispettivo al
contratto individuale di lavoro subordinato.
Ed infatti, anche gli stessi maggiori interpreti del diritto civile
55
concordano nel ritenere che
possono essere considerati contratti a prestazioni corrispettive solo “quelli che risultano
disciplinati dalle norme che attribuiscono rilevanza alla corrispettività delle prestazioni”.
Appare evidente, da quanto fin qui detto, che non basta, quindi, soffermarsi su di un piano
meramente descrittivo
56
ma, al contrario, è necessario passare attraverso un “profilo
normativo” in termini di verifica di compatibilità ed applicabilità delle norme ad hoc, per
valutare l’appartenenza di un contratto, come quello individuale di lavoro, alla categoria
civilistica dei “sinallagmatici”.
52
Come, invece, hanno talora affermato alcuni giuslavoristi caduti nell’errore di confondere i piani al punto tale
da far divenire causa del contratto ciò che causa non è ovverosia la reciprocità delle prestazioni in luogo
dell’interdipendenza delle obbligazioni. Si veda in tal senso, L. Zoppoli, op.cit., p. 213.
53
Ogni contratto di diritto comune si presuppone, infatti, stipulato fra soggetti liberi che versano in condizioni di
parità. Già solo per tale ragione, e come in precedenza detto, è sembrato a taluni giuslavoristi ed in primis al
Romagnoli, in op.cit., impossibile ricondurre un rapporto per sua natura squilibrato quale quello di lavoro
all’interno di un contratto di diritto privato.
54
L’espressione è di L. Zoppoli, in op. cit., p. 214.
55
Tra cui certamente il Rescio ed il Grasso “Successione particolare nel debito corrispettivo, successione nel
sinallagma e regime delle eccezioni”, in Rass. dir. lav. 1982.
56
Che potrebbe essere addirittura fuorviante in quanto se ci si fermasse ad esso, il contratto di lavoro subordinato
potrebbe effettivamente apparire come “corrispettivo” in quanto capace di far sorgere al momento della stipula
obbligazioni interdipendenti quali quelle alla retribuzione ad allo svolgimento del lavoro rispettivamente per il
datore di lavoro ed il prestatore le cui prestazioni sarebbero, poi, reciproche in fase di attuazione.