1
Introduzione
Il lavoro qui presentato nasce per l’interesse rivolto al ‘tifoso’ di squadre calcistiche, in
particolar modo i tifosi dell’Atalanta. Obiettivo della ricerca sarà pertanto quello di
mettere in luce le modalità discorsive attraverso cui l’attuale comunità di parlanti
costruisce, attraverso il coro delle voci delle tre polarità riferibili alla Teoria dell’Identità
Dialogica, l’identità del tifoso. Collocandosi pertanto entro la cornice conoscitiva del
Paradigma Narrativistico e volendo raccontare il “tifoso” attraverso la Scienza
Dialogica, il presente lavoro ha necessità di condurre, anzitutto, alcune riflessioni di
ordine teorico e metodologico, poiché rispetto a tale realtà gli orizzonti conoscitivi
disponibili attualmente sono riconducibili a un vasto panorama di teorie differenti e tra
loro irriducibili.
A fronte di questo si sottolinea la necessità di costruire il presente lavoro di ricerca
secondo precisi criteri che ne possano garantire il rigore scientifico, discostandosi dalle
modalità di costruzione della realtà prodotte internamente a quello che verrà definito
come “senso comune”.
Tale necessità porta ad una ricerca che sia scientificamente fondata e
metodologicamente adeguata in riferimento all’ambito considerato, concretizzandosi
nell’esplicitare una proposta paradigmatica che si ponga come scarto rispetto all’attuale
paradigma (meccanicistico), e individuando nel Paradigma Narrativistico la possibilità
di render conto, in termini di ‘configurazione’, di una realtà costruita processualmente,
come, tra le altre, quella rappresentata dai ‘tifosi’.
Il presente lavoro si articola in quattro capitoli, per ognuno dei quali è possibile
individuare specifici obiettivi.
Capitolo 1: ha come obiettivo il mettere in evidenza la cornice epistemologica entro cui
si attesta il lavoro di ricerca, esplicitando le modalità attraverso cui è possibile
conoscere la realtà, la Scienza Dialogica, la descrizione del Paradigma Narrativistico,
assunto come cornice di riferimento per tale lavoro, la Teoria dell’Identità Dialogica e
l’emanazione di un modello operativo coerente. Infine, attraverso un breve excursus, si
porranno in luce le attuali teorie, prodotte in seno a Psicologia o Sociologia, riferentesi
alle persone denominate ‘tifose’ o ‘ultrà’.
Capitolo 2: ha come obiettivo la descrizione della ricerca empirica, condotta attraverso
la presentazione di una metodologia coerente con il piano epistemologico individuato,
2
ossia la metodologia M.A.D.I.T. Quindi il mettere in luce gli obiettivi che la ricerca si
propone di raggiungere, la strategia usata, gli strumenti adoperati e la presentazione del
gruppo di indagine.
Capitolo 3: ha come obiettivo la descrizione dei risultati ottenuti dall’analisi del
materiale raccolto, attraverso la presentazione dei grafici ottenuti con lo strumento
S.C.A.B.
Capitolo 4: ha come obiettivo la descrizione delle conclusioni argomentative rispetto al
lavoro condotto.
3
Cap. 1. Fondamenti epistemologici per l'analisi della realtà “tifoso”.
La presente proposta di ricerca si basa sulla descrizione del processo di costruzione
dell’identità dialogica del tifoso, a partire dai fondamenti epistemologici, teorici e
metodologici propri della Scienza Dialogica. Una ricerca che possa dirsi scientifica,
quindi replicabile, deve attuare una riflessione sui limiti, la tipologia e le condizioni di
validità del sapere scientifico che consenta di poter stabilire la fondatezza degli assunti
teorici cui si fa riferimento
1
. Si tratta pertanto di operare una riflessione epistemologica,
che sposti l'attenzione dal contenuto, ossia l'ente, per rivolgerla in prima istanza alla
conoscenza, al "come si conosce". Il passaggio che si viene a strutturare è da un piano
ontologico ad uno propriamente gnoseologico, cioè dalla realtà ai livelli di realismo
2
,
poiché viene effettuato un passaggio che, prima ancora di delineare un ‘piano
applicativo’, permette di individuare l’oggetto di indagine e soprattutto l’ambito di
pertinenza di una disciplina. A ciascun livello di realtà, pertanto, corrisponde un diverso
modo di conoscere, e ciò non va confuso con ciò che per senso comune si indica come il
‘reale’.
1.1 Livelli di realismo.
Allo stato attuale, la riflessione epistemologica sui criteri che consentono ad una
disciplina di essere annoverata tra le scienze, permette di individuare tre livelli di
realismo, ovvero tre differenti concezioni di ciò che si considera “realtà”, le quali
comportano altrettanti differenti “modi di conoscere”. Si può dire inoltre che i tre livelli
di realismo esemplificano un diverso rapporto tra 'osservatore' e 'osservato'
3
. Attestarsi
su uno di questi tre livelli, per una disciplina, è un atto che precede la configurazione del
proprio 'campo applicativo', delineando così l'oggetto d'indagine e legittimando, o
meno, alcune prassi di intervento. Infatti, proprio per le differenze che ogni livello
porta, nel considerare la relazione tra osservatore e osservato, ogni disciplina interverrà
variamente: solo sull'osservato (realismo monista), sulle teorie prodotte sull'osservato
(realismo ipotetico), sull'osservatore (realismo concettuale).
1
Turchi G.P. (2009), "Dati senza numeri", Monduzzi Editore, pag. 25.
2
Ibidem.
3
L'osservatore è definibile come portatore di categorie che consentono e su cui si fonda la conoscenza. L'
'osservato' è quanto scaturisce dalla conoscenza in quanto astrazione categoriale. Turchi G.P. (2009),
"Dati senza numeri", Monduzzi Editore, pag. 26.
4
Approfondendo nel dettaglio, la prima concezione che consideriamo, quella chiamata
realismo monista, vede la realtà come esistente perché data a livello ontologico. In
questo livello di realismo si individua l’oggetto di conoscenza come “ente fattuale”,
ossia esistente, a prescindere da chi conosce e dalle categorie usate per conoscerlo.
L’obiettivo della ricerca scientifica, su questo piano, è diretto alla conoscenza “ultima” e
all’essenza dell’oggetto stesso. Le discipline che si attestano su questo livello di
realismo vengono, per senso comune, considerate e si considerano 'oggettive'. Per
questo l’osservazione è lo strumento privilegiato per fotografare una realtà esistente di
per sé, sconnessa dal processo che sottende l’osservazione stessa. Vi è quindi una
sovrapposizione tra conoscenza e realtà. Il linguaggio formale
4
(si veda anche
successivamente) utilizzato da queste discipline è differente da quello comune; esse
operano in un mondo dominato da meccanismi lineari di causa-effetto. Esempi di
scienze che rientrano nel realismo monista sono la meccanica e la fisica classica, poiché
possono definire come oggetto d’indagine un ente fattuale. Infatti, nell’ambito della
fisica classica, vettori, velocità, legge di gravità sono intesi usando un linguaggio che li
denota come vero e proprio percetto, intendendoli pertanto come enti ‘che ci sono’.
Il realismo ipotetico, invece, considera sì la realtà come ontologicamente data, tuttavia
essa è inconoscibile direttamente. A questo livello la realtà è esterna e indipendente
dall’osservatore, ma può essere conosciuta solo attraverso le categorie concettuali e
teoriche utilizzate dal medesimo osservatore. Quindi non c’è un accesso diretto alla
realtà, se non attraverso la mediazione degli assunti paradigmatici, teorie, metodi e
strumenti adottati. Viene pertanto legittimato un pluralismo conoscitivo e una certa
relatività, perché è riconosciuto l'intervento delle categorie dell'osservatore, nel processo
di accostamento e di indagine del mondo. Il rapporto conoscenza-realtà è del tipo “come
se”
5
. Si va ad incrinare la supposta obiettività della 'scienza', o almeno quanto finora il
senso comune chiama tale, poiché questa lo è unicamente nel momento in cui si
abbracciano determinati criteri teorici e una specifico 'modo di vedere le cose', posto dal
ricercatore.
Il realismo concettuale, infine, postula che la realtà dei prodotti umani si configuri
4
I linguaggi formali sono tali poiché la valenza ostensiva è stata "blindata", per stabilire a priori le regole
d'uso, affinché il loro impiego non sia condizionato, appunto, dall'utilizzo che se ne fa. Turchi G.P.,
Celleghin E. (2010) “Logoi. Psicologia delle differenze culturali e clinica della devianza”, UPSEL,
Padova, pag. 75.
5
Turchi G.P., 2009, op. cit., pag.28.
5
tramite sistemi linguistici e quindi tramite astrazioni categoriali. Un esempio di scienza
che si attesta su un livello di realismo concettuale è la chimica: tutto si gioca sulla
formalizzazione di quanto asserito, per cui si hanno le condizioni per dire che i chimici
sanno perfettamente che l’atomo non è percettibile, quindi visibile come ente fattuale:
esso è pura astrazione categoriale, e non ha alcun riferimento sensoriale. Il linguaggio
umano ha quindi le caratteristiche fondamentali di essere un insieme di unità simboliche
e di avere delle regole di applicazione delle unità simboliche stesse. In base a questa
definizione, grazie al linguaggio, siamo in grado di descrivere (come avviene per
l’atomo) qualcosa che è indipendente dai dati percettivi che ci arrivano dagli organi di
senso; non solo, possiamo avere realtà generate proprio dall'espressione del linguaggio
stesso.
Ciò che differenzia le diverse comunità umane sono i codici, ossia le lingue, ma tutti
padroneggiamo il linguaggio. Per comodità esplicativa si distingue tra linguaggi formali
e linguaggio ordinario. I primi non sono connessi all'uso, poiché le unità simboliche e le
regole di applicazione vengono stabilite a priori. Il secondo invece è strettamente
connesso all'uso, ossia si modifica in virtù dell'utilizzo che se ne fa. Questo implica che
quanto viene affermato (regola d'uso dell'affermazione) nel linguaggio ordinario, diventi
un contenuto, un "detto", indipendente e riconosciuto come "reale", e tuttavia privo di
qualsiasi fondamento, se non per il senso comune. Per porre un fondamento scientifico
anche nel linguaggio ordinario, scientificità di cui i linguaggi formali si sono dotati
provvedendo, appunto, a "blindare" il valore d’uso delle unità simboliche, dunque reso
univoco, occorre padroneggiare la regola d'uso dell'asserzione, ossia l'esplicitazione dei
presupposti che stanno dietro quanto generato linguisticamente, ossia la regola d'uso.
Per il realismo concettuale tutta l'attenzione è sull'osservatore, sul conoscente, non c'è
più la pretesa di avere un fondamento fisico-percettivo dell'oggetto d'indagine, piuttosto
una rigorosa formalizzazione degli asserti prodotti. Non si parla più di realtà, bensì di
configurazione, in quanto non ci si riferisce a ‘fatti in sé’ ma a ‘costruzioni di realtà’.
Infatti la realtà è costruita nell’atto stesso del conoscere, è tutto processo. L’attenzione
va posta sulle modalità conoscitive messe in atto e non sui contenuti, sul 'come', non sul
'perché'. Gli oggetti non sono indipendenti dai discorsi che li generano; quindi la realtà
non è data aprioristicamente, bensì è costruita dalle categorie attraverso cui la si conosce
come tale. Ciò che viene a cadere, in questo livello di realismo, è l'esistente,
6
l'ontologico; manca perché il processo è puramente gnoseologico: una volta 'nominata',
la realtà esiste, ma discorsivamente, non empiricamente.
La psicologia dovrebbe attestarsi su questo terzo livello di realismo, poiché non può
certamente fare riferimento alla 'psiche' come un osservato dotato di valenza percettiva.
La psiche esiste solamente nel discorso, nel logos, esiste perché nominata. Occorre che
la psicologia ristrutturi la riflessione epistemologica che le dà fondamento come
disciplina. Finora si è attestata su un livello di realismo ipotetico, assistendo ad un
proliferare continuo di teorie. La proposta che ne risulta è di spostare l'attenzione dal
costrutto 'psiche' al discorso che lo ha prodotto, formalizzandolo. La psiche non è altro
che una teoria proposta dall'osservatore, per cui si rende necessario richiamare la
riflessione su quest'ultimo, passando ad un altro tipo di cornice conoscitiva. E ancora:
quello che la psicologia definisce come normalità, disagio o devianza sono, ancora una
volta, categorie applicate dall'osservatore su un'altra persona, delle semplici etichette.
Ricordando che tale disciplina non possiede dati percettivi 'fisici', non possiede
osservati, non può nemmeno attestarsi su un livello di realismo monista, equiparandosi,
come ha sempre fatto, alla medicina, e cercando di curare una supposta malattia. Con
l'unica differenza che la medicina si fonda su un modello eziopatogenetico, di causa-
effetto, la psicologia si muove su un livello puramente ipotetico. Ne deriva che una
persona malata 'psicologicamente' è malata più che altro di parole, di concetti, anche
perché la normalità, a contrario di quanto è malattia, continua a non essere definita, se
non tramite "qualcosa che non manca, non c'è", ma da ripristinare.
L'intento della presente ricerca è per l'appunto descrivere il processo che porta alla
costruzione di un'identità dialogica, quella del tifoso. Esplicitare i presupposti della
ricerca, dandole scientificità, significa raccogliere il processo che dà vita al costrutto
'tifoso' tramite gli occhi degli osservatori, lavorando sulle produzioni discorsive messe
da loro in atto per descriverlo. Il 'tifoso' non esiste percettivamente, ma come astrazione
categoriale proposta dal senso comune, che afferma, e quindi genera, realtà di fatto.
L'uso che si intende fare, in questa ricerca, del linguaggio ordinario, è puramente in
qualità di strumento di lavoro, per delineare come si verrà a creare quello spazio
discorsivo relativo a "tifoso".
7
1.2 La Scienza Dialogica.
La scienza che adotta tale prospettiva (il linguaggio ordinario come punto fondativo per
la definizione dello statuto epistemico
6
) non può che chiamarsi dialogica, perché
abbandona, in questa direzione, la concezione della realtà deterministicamente
considerata, in favore di un’ottica di casualità che comporta la necessità di attenersi a un
livello descrittivo, piuttosto che esplicativo, relativamente agli oggetti di indagine,
rappresentati dai processi conoscitivi (e quindi discorsivi) con cui vengono generati
dalle diverse voci coinvolte. Quindi oggetto d'indagine della scienza dialogica sono
'configurazioni' che si dipanano dall'impiego delle produzioni discorsive usate dai
parlanti in un dato momento storico-culturale
7
. Infatti non si tratta di manipolare enti
fenomenologicamente intesi, ma realtà discorsive, costruitesi e costruentesi all’interno
di una dimensione processuale. Non basandosi su legami di tipo empirico-fattuale, ossia
sui processi di evidenza di fatto e deduzione, i classici del procedimento scientifico che
si fonda sulla causalità e l‘osservazione, ne consegue che non è possibile prevedere
“cosa accadrà”; si può invece “anticipare” la realtà, in continua generazione a partire dai
processi discorsivi in atto, all’interno di uno specifico contesto, e che costruiscono a
loro volta la realtà.
La presente ricerca, con l'obiettivo di descrivere la configurazione discorsiva 'tifoso',
raccoglierà le produzioni discorsive utilizzate dai parlanti: i tifosi di una specifica
squadra relativa ad una specifica città, nella fattispecie Atalanta e provincia di Bergamo;
non-tifosi abitanti il medesimo territorio; gente comune, non risiedente in quel territorio,
che descrive i tifosi in generale. Il criterio di scelta dei parlanti aderisce alla Teoria
dell’Identità Dialogica (vedi successivamente, pag.10), ossia si fonda sul presupposto
per cui l’identità è discorsivamente costruita da persone che si descrivono in prima
persona, producendo resoconti (gli atalantini), persone che descrivono, narrando di
qualcun altro (bergamaschi non-tifosi), e dal senso comune, che mette a disposizione
tutte le produzioni discorsive e tutte le interazioni possibili tra isole di significato
relativamente al ‘tifoso’ in un livello più generale, rispetto a quello specificatamente
territoriale, all’interno di una dimensione di contesto linguistico. Le suddette produzioni
6
Turchi G.P., Monicelli M. (a cura di), (2011), “Giovani e territorio. L’esperienza di mappatura,
d’intervento e di rete sul territorio di Mantova”, UPSEL , Padova, pag.24.
7
Ibidem.
8
discorsive saranno rese disponibili da un protocollo, per indicare linguisticamente quella
data 'realtà'.
1.3 Il Paradigma Narrativistico e il modello dialogico.
Con la parola 'paradigma' si intende un insieme di assunti integrato e coerente
8
. Nella
storia della scienza si sono alternati diversi paradigmi. Il primo è denominato
percettivistico, poiché sfrutta la corrispondenza tra percetto e simbolo linguistico cui si
riferisce, rendendo disponibili regole d'uso come "vedi come stanno le cose", "vedi tu".
Storicamente successivo è il paradigma spiritualistico, per cui non si dispone del solo
percetto, ma anche di simboli, che operano uno scarto iniziale con il percetto. Le regole
d'uso possibili sono del tipo: "è la volontà di Dio", "il destino ha voluto così". La
suddivisione tra linguaggi formali e linguaggio ordinario (e quindi la possibilità di
asserire o di affermare), inserisce i paradigma meccanicistici e quello relativistici. Il
paradigma coerente con il realismo monista è detto meccanicistico, perché conosce la
realtà tramite la rilevazione di nessi causali, che hanno statuto empirico-fattuale. La
nozione principale è quella della 'causa', e l'asserto è sotto forma di legge. Il realismo
ipotetico abbraccia invece un paradigma relativistico, che presuppone la realtà legata a
sistemi concettuali di riferimento, validi relativamente. La forma dell'asserto è la teoria.
In seguito alla rivoluzione apportata da Heisenberg e dal suo Principio di
Indeterminatezza, il senso scientifico si differenzia ancor più dal senso comune,
attestandosi sulla pura astrazione categoriale. Poiché la realtà è in costante
modificazione, essa è inconoscibile se non per 'principio', vista la totale mancanza di un
ancoraggio al percetto. Vi è solo asserzione.
Il riferimento conoscitivo qui è al Paradigma Narrativistico (Turchi, 2002), legato al
realismo concettuale, che conduce ad assumere la realtà come generata a fronte delle
produzioni discorsive utilizzate, in virtù della coerenza narrativa delle stesse. A partire
da tale assunzione il fondamento del Paradigma Narrativistico è il “modo” di conoscere
ovvero la pratica discorsiva. La realtà è quindi costruita per mezzo del linguaggio, e
quindi non è separabile dalle produzioni discorsive che la nominano e la descrivono
come tale
9
. I legami sono di tipo retorico-argomentativo, perciò le produzioni discorsive
risultano essere narrativamente e intrinsecamente coerenti: “non è possibile generare
8
Turchi G.P., (2011), op. cit., pag.30.
9
Ibidem, pag.43.
9
una contraddizione in senso narrativo”
10
. I concetti e i costrutti divengono “discorsi”
che possono essere utilizzati come strumenti di conoscenza, e ciò implica la necessità di
spostare l’attenzione dalla dimensione di contenuto, ai processi di costruzione. Se
vogliamo trasporre questo paradigma in psicologia, definendo e assumendo la realtà
come generata dai discorsi, e ponendo dunque che non esista realtà al di fuori del potere
generativo dell’atto discorsivo stesso, è comprensibile che anche i costrutti di
“persona”, “normalità”, “malattia mentale” non si costituiscano come dato, o fattualità,
ma come processo discorsivo. Essi divengono “discorsi” coerenti che possono essere
utilizzati come strumenti di conoscenza, e ciò racchiude la necessità di spostare (scarto
di paradigma) l’attenzione dalla dimensione di contenuto, che alberga nel paradigma
meccanicistico, ai processi di costruzione di normalità e devianza, che diventano
costrutti e produzioni discorsive che generano la realtà così definita.
Gli assunti
11
paradigmatici su cui tale Paradigma si fonda sono:
-il discorso, ossia l’enunciato che si articola in frasi concatenate; è una trattazione
ordinata e diffusa intorno ad un argomento, effettuata ‘a voce’ o per iscritto;
-la coerenza narrativa, cioè la “proprietà dei discorsi a mantenere congruenza e
uniformità in modo tale che non sia possibile generare una contraddizione”; i discorsi
che si generano sono intrinsecamente coerenti tra loro, per cui la narrazione si dipana
in maniera coerente e tutti i discorsi sono prodotti per mantenere tale coerenza;
-il repertorio discorsivo
12
, definito come: “modalità finita di costruzione della realtà,
10
Ibidem, pag.43.
11
Turchi G. P.,(2009), "Dati senza numeri", Monduzzi Editore.
12
I repertori discorsivi possono essere suddivisi in tre classi: generativi, di mantenimento, a carattere
ibrido. Ogni singolo repertorio discorsivo appartiene ad una di queste tre classi a seconda della
capacità della regola d’uso di innescare un impatto trasformativo rispetto alle configurazioni discorsive
in corso di generazione nel processo dialogico.
La classe dei repertori discorsivi generativi raggruppa quelle regole d’uso del linguaggio ordinario
che consentono di produrre uno spostamento verso configurazioni discorsive “altre” da quelle che si
sono già rese disponibili nel processo dialogico; per riuscire a produrre uno spostamento verso
configurazioni discorsive “altre”, questi repertori discorsivi si caratterizzano per una coerenza
narrativa che apporta variabilità al processo dialogico in corso di generazione.
La classe dei repertori discorsivi di mantenimento raggruppa quelle regole d’uso del linguaggio
ordinario che non consentono di produrre uno spostamento verso configurazioni discorsive “altre” da
quelle che si sono già rese disponibili nel processo dialogico, bensì, consentono di mantenere “uguale
a sé stessa” la configurazione discorsiva; per riuscire a non produrre uno spostamento verso
configurazioni discorsive “altre”, questi repertori discorsivi si caratterizzano per una coerenza
narrativa che apporta stabilità al processo dialogico in corso di generazione.
La classe dei repertori discorsivi a carattere ibrido raggruppa quelle regole d’uso del linguaggio
ordinario che possono assumere sia una valenza di mantenimento che generativa in quanto, la
coerenza narrativa di tali repertori discorsivi, non apportando né la certezza della generazione di
10
linguisticamente intesa, con valenza pragmatica che raggruppa anche più enunciati,
articolata in frasi concatenate e diffusa con valenza di asserzione di verità, volta a
generare e/o mantenere una coerenza narrativa”; in tal senso la realtà è intesa come
costruzione mediata dal linguaggio, con valenza pragmatica in quanto una realtà esiste
nel momento in cui viene nominata da un discorso; i discorsi, coerenti di per sé
generano la realtà. Per questo esistono tante realtà, quanti i discorsi che la nominano;
-la dimensione processuale: non esiste una realtà da fissare in una spiegazione o
immagine, poiché la realtà modifica continuamente; si considera dunque una
dimensione diacronica, di costante cambiamento. La sfera narrativa è appunto vista
nella sua processualità e non nel contenuto;
-la descrizione: non costruendo l’oggetto conoscitivo in termini di “fenomeno da
spiegare”, si descrive la modalità con cui si genera il processo. Non ci si pone più la
domanda “perché”, ma si descrive il “come”;
- il legame retorico-argomentativo: è la forza della retorica che sostiene l’efficacia
del proprio discorso; sarà quindi “reale” il discorso che si impone con maggior
efficacia retorica in termini di pervasività, a fronte delle infinite possibilità di
generazione di discorsi;
- il senso comune: è il linguaggio ordinario, l’insieme dei discorsi comunemente intesi;
è qualunque affermazione di qualsiasi natura e tipologia che definisce e sancisce qual è
la realtà, oltre ad organizzare stereotipi e pregiudizi e ad essere trasversale a tutti i ruoli
e a tutti i contesti. E’ autoreferenziale, nel senso che si autolegittima, a prescindere dal
fondamento dell’affermazione, diventando immediatamente vero. Tutti i parlanti
utilizzano il senso comune; la differenza tra l’“uomo della strada” e lo psicologo, che
sceglie di collocarsi in questo paradigma, consiste nel fatto che il primo è pervaso di
senso comune, mentre il secondo ne è esperto;
-l’anticipazione: non essendoci causalità, lo psicologo non può fare previsioni certe, di
causa-effetto, ma nel ruolo di esperto di senso comune, può anticipare la generazione
dei discorsi possibili, attraverso l’uso dei repertori discorsivi;
configurazioni “altre” (variabilità del processo dialogico), né la certezza del mantenimento di quanto
si sta configurando (stabilità del processo dialogico), traggono valenza di generazione o di
mantenimento a seconda della classe di appartenenza dei repertori con cui questi interagiscono nella
configurazione, quindi, a seconda della coerenza narrativa complessiva della configurazione
discorsiva.