INTRODUZIONE
“Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” recita uno
dei più celebri aforismi di Fëdor Dostoevskij. Il progetto di ricerca presentato in
questo elaborato di tesi prende, parzialmente, le mosse da questo concetto. Qual è
lo stato di salute dei detenuti nelle carceri italiane? Purtroppo dall’esterno,
facendo riferimento ai mass media, ai dati forniti dall’Amministrazione
Penitenziaria e a quelli messi a disposizione dalle varie banche dati (ad esempio
l’Istat), gli unici (o comunque i più frequentemente diffusi) indici di qualità di vita
dei detenuti a disposizione sono relativi a tematiche con cui ormai, tristemente,
abbiamo familiarizzato. In primis i fenomeni del sovraffollamento e del suicidio
in carcere sono diventati la maggiore preoccupazione di chi ha a che fare con
l’amministrazione delle carceri.
La vittimologia si occupa della relazione tra vittima e aggressore, nella fattispecie
della vittimologia penitenziaria il detenuto il cui stato di salute subisce una
deflessione costituisce la vittima, e la causa di ciò può essere individuata, in alcuni
casi, nelle azioni e/o nelle omissioni esercitate dall’amministrazione penitenziaria.
Il concetto di salute ha notevoli sfaccettature e può riguardare diversi ambiti lungo
un continuum che va dalla sfera organica alla sfera psichica. Ciò significa che lo
stato di salute del detenuto deve essere tutelato tramite la cura di disturbi già
presenti e la prevenzione di malattie che non si sono ancora manifestate, senza
dimenticare l’attenzione rivolta all’incolumità fisica dell’individuo. Il carcere è
infatti un luogo in cui il rischio di subire o agire aggressioni è molto alto e, in
particolare, nello studio che verrà svolto in questo elaborato si focalizza
l’attenzione su una specifica forma di aggressione: l’aggressione autodiretta.
L’autoaggressività in carcere si può esplicare in diverse modalità, la forma di cui
siamo più a conoscenza, in quanto viene maggiormente veicolata dai mezzi di
informazione di massa, è il suicidio. Rimangono però nell’ombra un’altra serie di
atti anticonservativi che non sono diretti alla morte dell’individuo quali il
procurarsi tagli o l’astensione da cibi solidi e/o liquidi e tutti quei comportamenti
che, pur essendo diretti al decesso dell’individuo, non causano la morte, ovvero i
1
tentati suicidi.
Lo studio dei comportamenti anticonservativi in carcere, però, non si dovrebbe
soffermare esclusivamente sulla rilevazione dell’incidenza di questi e delle
diverse tipologie di atto agite. In questo modo, infatti, è possibile venire a
conoscenza del modo in cui si manifesta il fenomeno, ma non risulta possibile
comprendere le sue cause e, dunque, poco spazio è lasciato agli interventi mirati
alla gestione del rischio di autolesionismo. Generalmente si stabilisce una
connessione tra detenzione e suicidio, considerando la detenzione come causa di
tale gesto, tale conclusione è suffragata dalle statistiche che informano che in
carcere il suicidio è 19 volte più frequente rispetto all’ambiente non detentivo
(Ponti, Merzagora Betsos, 1999; Manconi, 2003). In un’ottica di prevenzione del
suicidio e di tutela della salute dei detenuti, non è utile rintracciare esclusivamente
i colpevoli, ben più funzionale è individuare le cause, i fattori intervenienti e gli
individui a rischio, al fine di attuare dei programmi mirati di contenimento del
rischio stesso.
I dati a disposizione possono essere interpretati in diversi modi. Da un lato vi è
l’ipotesi che il carcere induca al suicidio e che le condizioni che determina siano
la principale causa di questo, dall’altro che vada a esacerbare dei fattori di rischio
già presenti, e infine c’è l’ipotesi che il tasso di suicidi in carcere è maggiore
rispetto al resto della popolazione perché al suo interno sono reclusi individui
maggiormente a rischio.
D’altronde è necessario sottolineare che vi sono diverse tipologie di suicidio.
Esistono suicidi in cui il carcere diventa un agevolatore del comportamento
anticonservativo in quanto implica una serie di condizioni che rappresentano
fattori di rischio, i quali di per sé sono sufficienti per indurre l’agito di tali atti. Ma
non si può non considerare l’altra ipotesi fondamentale secondo la quale, in alcuni
casi, gli individui che si suicidano in carcere sono persone a rischio, in tal senso,
anche all’esterno, e dunque a prescindere dalla condizione detentiva.
Dire che la detenzione aumenta il rischio di suicidio è, di per sé, una conclusione
vacua. Si deve capire quali sono le componenti del carcere e quali sono le
condizioni che esso determina che vanno ad incidere sul comportamento
suicidario. Lo studio in questione, dunque, si struttura e procede verso questa
2
direzione, assumendo una doppia matrice. Da una parte, a partire dallo stato
dell’arte, si tenterà di individuare i fattori di rischio del suicidio e
dell’autolesionismo per poi confrontare la loro incidenza tra i detenuti che hanno
agito tali comportamenti; riscontrare la presenza di un’alta percentuale di detenuti
a rischio, ci porterebbe a ipotizzare che, effettivamente, la popolazione detentiva è
maggiormente a rischio di quella generale a prescindere dalla carcerazione.
Dall’altra parte, se si dovesse rintracciare nel campione la presenza di alcuni
fattori che non sono presenti in letteratura, si potrebbe incentivare l’analisi
dell’interazione tra talune variabili (di per sé non considerabili fattori di rischio) e
la detenzione.
Ovviamente la parte sperimentale non potrà riguardare l’intera popolazione
carceraria sul territorio nazionale, ma si focalizzerà sulla realtà specifica della
Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino.
L’articolo 27 della Costituzione Italiana afferma che la funzione della pena è di
carattere rieducativo. Presupposto fondamentale perché ciò possa avvenire è,
ovviamente, che il detenuto sia in vita. Un individuo che vuole porre fine alla sua
vita inevitabilmente non può avere come obiettivo il reinserimento in società, in
quanto viene a mancare una progettualità in grado di permettere al detenuto di
lavorare nell’ottica di futuri scenari possibili. Ecco che la tutela della salute del
detenuto corrisponde anche a una tutela della sicurezza sociale e, soprattutto,
diventa sintomo di attenzione, cura e protezione della dignità umana.
3
CAPITOLO I
EPIDEMIOLOGIA DEI COMPORTAMENTI AUTOLESIVI IN
CARCERE
1.1 L’autolesionismo in carcere: statistiche e inquadramento del fenomeno in
una prospettiva transculturale
La condotta suicidaria può essere interpretata in base alla valutazione di due
variabili sottostanti ad essa: il suicidal intent che è relativo all'intenzione e la
medical lethality ovvero la probabilità che i comportamenti messi in atto
determinino la morte dell'individuo (Beck, Beck, Kovacs, 1985). Tramite questa
valutazione possono essere distinte tre tipologie di condotte suicidarie (Beck,
Beck, Kovacs, 1985):
• il suicidio completo in cui la proporzionalità tra le due variabili è massima
(o mancato suicidio nel caso in cui non sopraggiunga la morte);
• il tentato suicidio in cui l'individuo non predilige alcuna ipotesi tra il
restare vivo e il morire;
• il parasuicidio in cui la proporzionalità tra le due variabili è minima
poiché l'individuo non considera effettivamente la morte come conseguenza del
gesto. In questo caso il comportamento suicidario potrebbe essere esclusivamente
strumentale.
Con terminologie differenti si ricalca dunque la differenza esistente anche in
ambito psichiatrico dove si distingue tra mancati suicidi, in cui l'intenzionalità
autosoppressiva è evidente, e tentati suicidi, commessi invece con altre intenzioni
(Ponti, Merzagora Betsos, 1999).
Le persone che infrangono la legge sono spesso sottoposte, anche in tempi
precedenti alla commissione del reato, all'esposizione a numerosi fattori di rischio
del comportamento suicidario e i tassi di suicidio sono elevati anche in coloro che,
dopo un periodo di detenzione, sono stati rimessi in libertà (World Health
4
Organization, 2007). A ciò si aggiunge la detenzione che è un evento altamente
stressogeno e che richiede capacità di coping spesso superiori rispetto a quelle in
possesso dall'individuo. E' bene inoltre ricordare che all'interno delle carceri sono
in ampia misura reclusi individui che rispondono al profilo maggiormente a
rischio di messa in atto di comportamenti anticonservativi, ovvero giovani uomini
(anche le donne in detenzione sono più a rischio delle donne in ambiente libero,
ma i tassi di suicidio rispetto ai detenuti di sesso maschile sono nettamente
inferiori a causa di una minore presenza di individui di sesso femminile all'interno
degli istituti penitenziari), individui con disturbi mentali, socialmente deprivati ed
isolati, con problematiche di abuso di sostanze e con un passato di comportamenti
anticonservativi (World Health Organization, 2007).
Nel caso dei suicidi in carcere si può fare riferimento a un “reato omissivo
improprio” in cui il detenuto “si sottrae all'obbligo giuridico di astenersi dal
togliersi la vita” (Ubaldi, 1997). Le prescrizioni dettate dagli artt. 5, 6, 7, 8, 9, 10
e 11 O.P. sono rivolte alla tutela preventiva della salute per cui, combinando
queste con l'art. 54 C.P. (stato di necessità) e gli artt. 589 C.P. (omicidio colposo) e
40 C.P. (rapporto causale dell'omissione di intervento con la morte e obbligo
giuridico di intervenire da parte del pubblico ufficiale che ha la responsabilità
della custodia), si può affermare che l'obbligo giuridico è destinato al personale
direttivo e sanitario degli istituti penitenziari al fine di garantire al ristretto
l'incolumità personale (Canepa, Merlo, 2004). Lo Stato, che priva l'individuo della
sua libertà, diventa a pieno titolo responsabile anche della sua integrità fisica
(Canepa, Merlo, 2004). Alla luce di ciò il Comitato Nazionale per la Bioetica
afferma che “[...] la prevenzione del suicidio passa innanzitutto attraverso la
garanzia del diritto alla salute (inteso, come oggi avviene, come promozione del
benessere psicofisico e sociale della persona) e del diritto a scontare una pena
che non mortifichi la dignità umana.” (2010)
Le statistiche ci dicono che il tasso di suicidi in carcere è 19 volte superiore
rispetto al tasso di suicidi registrato all'interno della popolazione generale (Ponti,
Merzagora Betsos, 1999; Manconi, 2003). Il fenomeno è in progresso, tanto che
nell'arco di venti anni l'Amministrazione Penitenziaria ha adottato diverse
5
direttive per arginare quella che viene definita da Pietro Buffa una delle
caratteristiche strutturali del sistema carcerario (Buffa, 2007). La tabella a seguire
presenta la serie storica degli atti di autolesionismo, tentati suicidi e suicidi
compiuti all’interno delle carceri italiane nel decennio che va dal 2000 al 2010.
TAB. 1.1. AUTOLESIONISMO E DECESSI – Serie storica dal 2000 al 2009
Anni Atti di autolesionismo Tentati suicidi Suicidi Decessi per cause naturali
2000 v.a. 6.79 892 56 104
% 12.7% 1.7% 0.1% 0.2%
2001 v.a. 6.35 878 69 108
% 11.6% 1.6% 0.1% 0.2%
2002 v.a. 5.99 782 52 108
% 10.6% 1.4% 0.1% 0.2%
2003 v.a. 5.8 676 57 100
% 10.4% 1.2% 0.1% 0.2%
2004 v.a. 5.94 713 52 104
% 9.3% 1.1% 0.1% 0.2%
2005 v.a. 5.48 750 57 115
% 9.3% 1.3% 0.1% 0.2%
2006 v.a. 4.28 640 50 81
% 8.3% 1.2% 0.1% 0.2%
2007 v.a. 3.69 610 45 76
% 7.6% 1.3% 0.1% 0.2%
2008 v.a. 4.93 683 46 96
% 9.1% 1.3% 0.1% 0.2%
2009 v.a. 5.94 944 58 100
% 9.4% 1.5% 0.1% 0.2%
Nota: I tassi sono calcolati rispetto alla popolazione detenuta mediamente presente nell'anno.
Fonte: D.A.P .- Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato –
SEZIONE STATISTICA
Emerge dalla tabella 1.1 che dal 2000 al 2007 il fenomeno dell’autoesionismo in
carcere ha subito una fluttuazione tendenzialmente costante verso il basso per poi
incrementare nuovamente nei successivi due anni. I tassi, registrati a partire da
una media della popolazione carceraria, indicano che suicidi e tentati suicidi sono
in netta minoranza rispetto alla più ampia classe di comportamenti
anticonservativi che, nonostante l’aumento registrato del biennio 2008-2009, si
6
attestano intorno a valori inferiori rispetto a quelli registrati nel 2000. La
situazione inerente a suicidi e tentati suicidi mostra invece come, dopo una
fluttuazione rilevata tra il 2002 e il 2008 con una tendenza predominante alla
riduzione di questi, tali comportamenti hanno subito un’inversione di marcia
verso l’alto nell’anno 2009. Ma prendiamo ora in considerazione una serie storica
più ampia dei comportamenti auto lesivi agiti in carcere, in grado di esplicare la
situazione vigente a partire dal 1992 fino al 2007.
TAB. 1.2. Gesti suicidiali e autolesivi per anno (1992 – 2007)
Anno Suicidi Tentati suicidi Autolesionismo Presenza detenuti
1992 47 531 4385 44134
1993 61 670 5441 50903
1994 50 639 4893 52641
1995 50 868 4763 50448
1996 45 709 4634 48528
1997 55 773 5706 49306
1998 51 933 6342 49559
1999 53 920 6536 51072
2000 56 892 6788 53322
2001 69 878 6353 55193
2002 52 782 5988 56431
2003 57 676 5804 56081
2004 52 713 5939 56068
2005 57 750 5481 59523
2006 50 640 4276 39005
2007 45 610 3687 49193
Fonte: Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria
L’andamento delle tre classi comportamentali prese in considerazione (TAB. 1.2)
è molto scostante. Indubbiamente emerge la peculiarità del 2006, anno in cui
suicidi, tentati suicidi e comportamenti anticonservativi in generale registrano un
notevole aumento (sempre considerando i dati in rapporto alla densità di
popolazione carceraria). Ancor più particolare è il fatto che ciò si è mantenuto
7
esclusivamente per quell’anno in quanto, già nel 2007, la prevalenza di tali
comportamenti diminuisce notevolmente fino a raggiungere minimi storici nel
caso dei suicidi e dell’autolesionismo. Anche i tentati suicidi in quell’anno
risultano attestarsi intorno ai minimi valori di prevalenza raggiunti, pur
mantenendosi superiori rispetto a quelli registrati all’inizio della serie storica,
ovvero nel 1992. Per quanto riguarda gli anni precedenti al 2006 i tentati suicidi
appaiono essere in aumento tra il 1997 e il 1999 per poi presentare un trend
tendenzialmente costante e in diminuzione fino al 2005. Gli atti di autolesionismo
mostrano una fluttuazione verso il basso tra il 1994 e il 1996, per i successivi
quattro anni il trend risulta invertito per poi ridirigersi verso un decremento tra il
2001 e il 2005; un andamento simile è inoltre evidenziato per quanto riguarda i
suicidi che, sempre in relazione alla numerosità della popolazione carceraria,
diminuiscono tra il 1994 e il 1997 per poi registrare un notevole aumento negli
anni successivi fino al 2001 compreso, dal 2002 emerge invece una nuova
diminuzione della prevalenza di suicidi che si mantiene, con leggere fluttuazioni,
fino al 2005.
Due direttive in particolare, emanate a distanza di venti anni, sono indicatori di un
fenomeno che non accenna a diminuire (Buffa, 2007). Queste sono la circolare n°
3233/5683 (30/12/1987) facente riferimento all'istituzione del “Servizio Nuovi
Giunti” allo scopo di ridurre gli atti di autolesionismo e i suicidi commessi dai
detenuti e gli atti di violenza da essi subiti, e la lettera circolare n°0181045
(06/06/2007) anch'essa relativa all'accoglienza dei nuovi giunti per ”prevenire il
rischio suicidario, particolarmente presente nei primi periodi di detenzione [...]”.
Nella circolare stessa si afferma che “[...] la riorganizzazione del servizio nuovi
giunti risulta oggi avere carattere prioritario proprio allo scopo di
ridimensionare tutti i rischi connessi alla fase iniziale della detenzione.”
L'allarmante aumento dei tassi di suicidi non è però un fenomeno trasversale alle
diverse culture. In America il Dipartimento delle Statistiche
Giudiziarie (BJS) ha registrato un declino dei tassi di mortalità all'interno delle
carceri: rispetto ai 151 decessi ogni 100.000 detenuti registrati nel 2000, nel 2007
8
viene evidenziato un tasso di mortalità pari a 141 decessi ogni 100.000 detenuti. Il
suicidio resta la prima causa di morte dei detenuti (il 29% dei decessi è
riconducibile a questo), ma dal 1983 al 2000 i tassi di suicidio si sono ridotti dai
129 ai 48 suicidi ogni 100.000 detenuti, per abbassarsi ulteriormente ai 36 suicidi
ogni 100.000 detenuti registrati nel 2007. Ma nonostante ciò, per quanto riguarda
la realtà americana è emerso, aggiustando i dati presi in considerazione tra il 2000
e il 2006 per età, sesso e razza, che il suicidio risulta essere l'unica causa di morte
con tassi maggiori nella popolazione detentiva rispetto alla popolazione generale
(57 ogni 100.000 rispetto a 13 ogni 100.000). Per quanto riguarda la variabile
razza il BJS
1
, disaggregando i dati che vanno dal 2000 al 2002, indica che i
detenuti di razza bianca sono sei volte più propensi a commettere suicidio rispetto
agli afroamericani e tre volte più propensi rispetto ai detenuti ispanici. I tassi di
suicidi dei detenuti di sesso maschile è pari a 50 ogni 100.000 detenuti mentre si
registrano 32 suicidi di donne ogni 100.000 detenuti e per quanto riguarda gli
offenders violenti si riscontrano tassi di suicidi tre volte maggiori rispetto agli
offenders non violenti (rispettivamente pari a 92 ogni 100.000 e 31 ogni
100.000). La riduzione dei suicidi nelle carceri americane nell'arco dell'ultimo
trentennio (riduzione pari a circa il 70%) è in gran parte dovuta ad un Ufficio
istituito dal Governo nel 1988 (Elaborazione del Centro Studi di Ristretti
Orizzonti sui dati del Ministero della Giustizia, del Consiglio d'Europa e dell'U.S.
Department of Justice – Bureau of Justice Statistics) che prevede attività di
formazione eseguita da 500 esperti e rivolta al personale penitenziario, proprio
con lo scopo di diminuire l'incidenza dei comportamenti suicidari. Degno di nota
e di considerevole importanza è, inoltre, un programma di sorveglianza e
prevenzione dei suicidi adottato nel 1991 dal King County Department of Adult
and Juvenile Detention in Washington State che comprende un training per agenti
e professionisti nelle relazioni d'aiuto, screening psichiatrico per la valutazione dei
detenuti considerati a rischio, comunicazione all'interno dello staff, speciali unità
di sicurezza e procedure di intervento a carattere medico (Goss et al, 2002).
1 Bureau of Justice Statistics
9
GRAFICO 1.1. Suicidi in carcere: grafico confronto tra l'Italia, i Paesi europei e gli Stati Uniti
Nota: Periodo di riferimento 2005-2007.
Fonte: Centro di Studi di Ristretti Orizzonti (da www.ristretti.it)
Come si evidenzia dal grafico 1.1 gli Stati Uniti riportano un’incidenza di
comportamenti suicidari nettamente inferiore rispetto a quella riportata in Italia e
in generale nel resto dell’Europa. Il confronto statistico in questione fa però
esclusivamente riferimento ai suicidi dei detenuti e non ai comportamenti
autolesivi da loro messi in atto e, come è stato appena detto, il fenomeno rimane
di importanza cruciale in quanto continua ad essere l’unico evento che, in base ad
analisi statistiche, conduce alla morte dell’individuo in misura maggiore
all’interno degli istituti penitenziari rispetto all’ambiente libero. Il grafico 1.1 può
essere ulteriormente integrato dalla tabella 1.3 che indica l’esatto valore numerico
della prevalenza di suicidi nella popolazione detentiva nel triennio che va dal
2005 al 2007.
10
Italia
Europa
Stati Uniti
0
2
4
6
8
10
TAB. 1.3. Suicidi in carcere: confronto statistico tra l'Italia, i Paesi europei e gli Stati Uniti
Anni Italia Europa Stati Uniti
2005 9.8 10.2 2.7
2006 10.1 8.1 3.1
2007 10.2 9.9 2.9
Media 3 anni 10 9.4 2.9
Nota: si fa riferimento al numero di suicidi su 10.000 detenuti.
Fonte: Centro di Studi di Ristretti Orizzonti (da www.ristretti.it)
Come già emerso in precedenza, l’Italia presenta tassi di prevalenza suicidaria in
carcere maggiori rispetto al resto dell’Europa e agli U.S.A. ma, è bene considerare
che i dati relativi all’Europa fanno riferimento alla media derivante dai dati dei
diversi paesi e dunque ci si deve soffermare su un’analisi in grado di garantirci la
disaggregazione dei dati relativi ai singoli stati europei. Un'analisi accurata dei
dati permette di affermare che l'Italia, confrontata con paesi come Gran Bretagna,
Francia e Germania, dove il numero dei detenuti è pressoché simile, presenta un
minor numero di detenuti suicidi (Centro Studi di Ristretti Orizzonti, 2010). In
realtà, confrontando la tabella 1.4 con la tabella 1.2 si nota che la popolazione
carceraria all’interno delle carceri inglese è maggiore rispetto a quella italiana, ma
si può ipotizzare che la precedente affermazione faccia riferimento ai tassi di
affollamento che dunque considerano la popolazione in relazione all’effettiva
capienza dell’istituto penitenziario. In linea di massima l’Italia presenta
effettivamente una minore incidenza di tassi suicidari rispetto alla Gran Bretagna
ma, a differenza di questa, non presenta un trend costantemente in crescita per
quanto riguarda il numero di detenuti reclusi all’interno delle sue carceri. In
seguito alla legge n. 241 del 31 Luglio 2006
2
la popolazione detentiva italiana
2 ART.1 COMMA 1: E’ concesso indulto, per tutti i reati concessi fino a tutto il 2 maggio
2006, nella misura superiore a 3 anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 europer
11
decrementa sensibilmente e insieme ad essa il numero dei suicidi che però, nello
specifico anno di approvazione della legge (2006), risultano addirittura avere una
prevalenza maggiore rispetto agli anni precedenti. Inoltre, negli ultimi anni
Inghilterra e Galles, negli ultimi anni, sembrano avere un andamento lineare che
presenta una fluttuazione verso il basso per quanto riguarda i suicidi agiti in
carcere (ad eccezione del 2007, anno in cui si registra uno dei massimi picchi di
suicidi in carcere) (TAB. 1.4).
TAB. 1.4. Suicides in prison in England and Wales 1996-2009, by gender and age
Year Male Female Total Population Rate/100k
1996 62 3 65 52256 118
1997 65 3 68 61467 111
1998 80 3 83 65727 126
1999 86 5 91 64529 141
2000 73 8 81 65194 124
2001 67 6 73 66403 110
2002 86 9 95 71218 133
2003 81 14 95 73657 128
2004 82 13 95 74488 128
2005 74 4 79 76190 102
2006 64 3 67 77962 86
2007 84 8 92 80689 114
2008 59 1 60 83240 73
2009 57 3 60 83611 72
Fonte: Ministry of Justice
E' però fondamentale effettuare un confronto rispetto alla media dei suicidi
all'interno nella popolazione generale ed è così emerso, nella ricerca Suicide en
prison: la France comparée à ses voisins européens condotta dall'INED (2009),
che l'Italia presenta lo scarto maggiore tra suicidi commessi dai detenuti e suicidi
commessi dagli individui in libertà (9,9:1,2), mentre il rapporto tra i due tassi è
pari a 5 in Gran Bretagna, 3 in Francia, 2 in Belgio e in Germania, 1 in Finlandia.
quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive.
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