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INTRODUZIONE
L’idea di realizzare questo progetto di tesi nasce tra il 2009 e il 2010, durante il
mio ultimo anno di tirocinio formativo, che ho svolto interamente presso il
Centro di Salute Mentale di Grugliasco. Fin da subito il mio interesse si è
concentrato sulle modalità del lavoro di rete, prima a livello generale seguendo
vari ambiti di applicazione, come per esempio gli inserimenti lavorativi o
abitativi, poi anche e soprattutto nei casi di maltrattamento e abuso. Ho
iniziato, così, a seguire l’equipe interna al Servizio che si occupava di tali
situazioni, formata da un medico psichiatra, un’assistente sociale e
un’infermiera, partecipando ad alcuni colloqui e alle riunioni con gli altri
Servizi del territorio coinvolti nella gestione del caso. Ciò che mi ha spinto a
interessarmi a questo ambito, fin dall’inizio, è stata la complessità, intesa non
come difficoltà, che pure è presente quando si parla di abuso e maltrattamento,
ma come molteplicità di elementi da considerare e di aspetti non univoci da
analizzare. Non solo, il concetto di molteplicità e quindi di complessità
coinvolge il paziente o il nucleo familiare preso in carico, ma anche la realtà
del Servizio e dei Servizi, che collaborano sinergicamente allo stesso progetto:
realtà territoriali che lavorano conciliando le proprie responsabilità
professionali verso l’utente, verso il proprio Ente o Servizio di appartenenza e
verso la professione stessa. È, dunque, diretta e irrinunciabile conseguenza di
questo insieme di problematiche e aspetti peculiari, che gli attori di tali percorsi
terapeutici siano portati a una continua riflessione circa il proprio operato,
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specialmente quando si tratta di situazioni così delicate e che spesso pongono
problemi deontologici ed etici. Gli spazi utili a tale scopo possono essere
individuali, ma anche e soprattutto di gruppo durante le riunioni di rete,
momenti di scambio di informazioni, aggiornamento e condivisione di obiettivi
comuni. Sul territorio dell’Asl To3 la rete creata per situazioni di
maltrattamento e abuso si chiama Melograno e, di solito, coinvolge Servizi
Sociali, Dipartimento di Salute Mentale, Psicologia dell’Età Evolutiva e
Dipartimento per le Dipendenze (Se.R.T.): la segnalazione del caso può
arrivare dai Servizi stessi oppure dal Tribunale, dei Minori o Ordinario, il quale
richiede la presa in carico e successiva relazione, per stabilire se vi sia luogo a
procedere in sede penale o civile. Orientando il mio tirocinio in questa
direzione, ho partecipato spesso a questi incontri di rete, cercando di aumentare
le mie conoscenze riguardo ai tipi di intervento possibili e alle modalità di
approccio a queste situazioni: ho partecipato a seminari e convegni e, in vista
dello svolgimento di questa tesi, ho effettuato una lunga ricerca sulla letteratura
esistente, davvero molto vasta, per capire i meccanismi dinamici e cognitivi
sottesi al comportamento abusante e le conseguenze di esso sulla vittima. In
ragione di ciò i primi cinque capitoli del presente lavoro sono un excursus di
alcune delle teorie elaborate nel corso degli anni, specialmente da quando è
stata posta maggiore attenzione riguardo ai temi della violenza all’interno delle
mura domestiche, problema che fino a poco tempo fa era considerato un affare
privato e non sottoponibile ad alcuna indagine proveniente dall’esterno. In
particolare, nel primo capitolo, attraverso una breve storia dell’emancipazione
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femminile, soprattutto dal Novecento in poi, sarà spiegata anche l’evoluzione
legislativa in generale e nello specifico del diritto di famiglia che, in Italia, ha
portato solo negli ultimi decenni all’emanazione di provvedimenti volti alla
protezione delle vittime di violenza. Un esempio su tutti è rappresentato dal
cosiddetto “delitto d’onore”, che depenalizzava il crimine commesso in difesa
della propria moglie, figlia o sorella attraverso un semplice matrimonio
riparatore, e che venne abolito solo nel 1981. Il secondo paragrafo del primo
capitolo analizza la condizione femminile nel mondo attuale, in particolare in
Italia, un Paese che sta attraversando una grande crisi, non solo economica, ma
anche intellettuale, morale e di valori comuni e in cui le difficoltà individuali
portano pericolosamente a una regressione collettiva, accettando che il rispetto
per l’essere umano e la donna siano sacrificati in favore della preservazione di
un egoistico benessere. Il secondo capitolo entra maggiormente nello specifico
del campo di indagine di questa tesi, concentrandosi sul fenomeno della
violenza sulle donne da parte del partner. A partire da una ricerca dell’Istat,
effettuata nel 2006 e che a oggi è ancora l’unica disponibile in Italia, secondo
cui le donne che subiscono violenza all’interno delle mura domestiche sono
all’incirca sei milioni, mi sono soffermata sui diversi tipi di violenza, fisica,
psicologica, economica e sessuale, cercando di evidenziare le dinamiche
relazionali che si instaurano tra vittima e carnefice e le loro conseguenze a
livello psichico. Una particolare rilevanza è stata data a un fenomeno
decisamente in crescita negli ultimi anni, ovvero lo stalking, quel particolare
comportamento che porta, di solito, un ex fidanzato o ex marito a controllare
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morbosamente e in modo molesto la vita della ex compagna, o viceversa. Le
leggi che si occupano di perseguire lo stalker e di proteggere la vittima sono
relativamente nuove e sono nate in seguito alla massiccia attenzione dedicata a
questi avvenimenti da parte dei mass media e della collettività in generale,
specialmente quando queste storie sfociano in tragedia. Il terzo capitolo,
invece, è incentrato sul maltrattamento ai danni di minori, spiegando, anche
qui, le varie forme, dalla violenza assistita all’abuso fisico, psicologico e
sessuale fino all’incuria o neglect e soffermandomi sulle conseguenze
psicologiche ed evolutive della violenza subita in tenera età. Se sull’argomento
trattato nel secondo capitolo si poteva fare riferimento ai dati dell’Istat, che per
quanto scarni e non molto aggiornati danno comunque un’idea a livello
statistico della situazione, nell’ambito del maltrattamento su minori non vi
sono ricerche o stime attendibili circa l’estensione del fenomeno e, se anche ci
fossero, sarebbero viziate dall’enormità di casi non denunciati e di cui, perciò,
non si è a conoscenza; questo per sottolineare quanto ancora sia difficile e
lungo il processo di sensibilizzazione e civilizzazione della società rispetto a
temi del genere, per fare in modo che da fatto privato diventi responsabilità
comune. L’ultimo paragrafo di questo capitolo si concentra su una modalità
particolare attraverso cui poter apprendere dal bambino stesso di un avvenuto
abuso o maltrattamento: il disegno. Spesso quando si chiede di rappresentare
una famiglia o una situazione intima vissuta in casa la disposizione delle
figure, i colori e l’uso degli spazi raccontano una storia, che le parole
renderebbero troppo dolorosa e difficile. Saper leggere tra le righe di quella
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storia può fornire informazioni, sospetti o purtroppo certezze circa l’abuso,
diventando per l’operatore un punto di partenza importante per
l’individuazione del problema. Il quarto capitolo, dopo aver analizzato le
situazioni di violenza sui singoli, prende in esame il nucleo familiare per intero,
ponendo l’attenzione sulla genitorialità a rischio, ovvero quei genitori che, per
disturbi psichiatrici, uso di sostanze o alcol e patologie riguardanti la
gravidanza, sono considerati a rischio di abuso e per cui monitorati dai Servizi.
In particolare mi sono soffermata sulla correlazione tra disturbi mentali e
rischio di maltrattamento e abuso, documentando l’argomento con i numerosi
studi effettuati da diversi Autori e osservando una spaccatura quasi
perfettamente longitudinale tra coloro che sostengono una diretta causalità tra i
due fenomeni e chi invece conclude che ciò che pone a rischio di abuso è
soprattutto l’ambiente in cui il bambino vive e cresce, ovvero per così dire un
rischio psicosociale, determinato da condizioni di isolamento, conflittualità,
basso livello economico e intellettuale che non necessariamente è legato alla
presenza di patologie psichiatriche. A conferma di questa seconda tesi, posso
affermare che anche nei casi osservati partecipando all’equipe Melograno, la
maggioranza erano situazioni più di disagio sociale che di franco disturbo
psichico, in cui il Centro di Salute Mentale concorreva all’obiettivo di
supportare psicologicamente le vittime e, eventualmente, intraprendere un
percorso per il raggiungimento di una migliore consapevolezza da parte
dell’abusante. Il quinto capitolo espone, prima a livello teorico, poi nello
specifico della mia esperienza, il concetto di rete e di lavoro condiviso e
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coordinato tra professionisti e professioni, spiegando cos’è l’equipe Melograno
e come avviene la gestione dei casi al suo interno, in base anche alle Delibere
Regionali che l’hanno istituita, di cui se ne riportano alcune in originale nella
sezione Allegati che si trova al fondo. Il sesto capitolo è il cuore vero e proprio
del mio lavoro, poiché espone i risultati della ricerca effettuata nei due
ambulatori territoriali del Dipartimento di Salute Mentale 5B dell’Asl To3,
situati uno a Grugliasco e l’altro a Orbassano. L’obiettivo di questa indagine è
quello di fornire una fotografia della capacità del Servizio di intessere reti
internamente ed esternamente ad esso, in un ottica non solo di collaborazione,
ma anche di evoluzione professionale. La raccolta dati è avvenuta tra il 2011 e
il 2012, attingendo agli archivi dei rispettivi CSM e prendendo in
considerazione solo le pazienti che effettivamente erano state prese in carico
tra il 2007 e il 30 giugno 2012, indipendentemente che i loro fascicoli fossero
ancora attivi. Il numero totale delle cartelle esaminate, come si vedrà, varia
molto da un Servizio all’altro, forse perché mentre a Grugliasco le pazienti
inserite nella lista d’attesa per il solo supporto psicologico non sono in carico al
CSM, a meno che non vi sia la necessità di una terapia farmacologica, a
Orbassano è prevista la figura dello Psicologo interna e pertanto la presa in
carico avviene a tutti gli effetti. Il settimo capitolo, infine, propone il Tecnico
della Riabilitazione Psichiatrica come facilitatore all’interno della relazione
terapeutica e nel reperimento, gestione e collegamento di risorse necessarie,
traslando principi teorici di riabilitazione nella pratica professionale quotidiana,
attraverso tecniche di colloquio facenti parte di un processo maieutico, faticoso
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e non obbligante rivolto al paziente e alla sua rete primaria. L’augurio e la
speranza è che i risultati emersi da questo lungo lavoro di ricerca possano
portare a una riflessione comune sull’importanza di allargare il proprio campo
d’azione, condividendo progetti e obiettivi di una presa in carico in un ambito
che, per le condizioni in cui versa il mondo di oggi, è sempre più protagonista
dell’accoglienza di patologie reattive a situazioni di disagio e smarrimento.
L’aumento dei Disturbi d’Ansia e di Personalità, l’integrazione con soggetti
extracomunitari, la velocità dei cambiamenti che avvengono all’interno delle
città e i tassi di stress a cui tutti sono sottoposti, rendono la Psichiatria non solo
una disciplina scientifica e clinica, ma anche sociale ed etnoculturale, che,
senza un’adeguata apertura dei propri orizzonti verso il territorio di
appartenenza e le sue risorse, non può far fronte da sola alle esigenze
dell’utenza.
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CAPITOLO 1
LA CONDIZIONE FEMMINILE NEL TEMPO
1.1 Dagli inizi al Novecento
La condizione delle donne, fin dall’antichità, è sempre stata caratterizzata da
sottomissione e subalternità rispetto all’uomo, che la considerava una proprietà
e un oggetto totalmente privo di diritti e potere contrattuale, quindi un soggetto
socialmente, giuridicamente e politicamente inesistente. Le tracce esilissime
lasciate dalla loro presenza provengono non tanto da esse stesse quanto dallo
sguardo degli uomini che le rappresentano, prima ancora di descriverle o
raccontarle. La donna immaginata, immaginaria, anzi fantasticata, sommerge
ogni cosa. E infatti nell’arte e nella cultura è stata spesso protagonista, fin dalla
Preistoria, delle rappresentazioni di poeti, letterati, pittori e scultori di tutto il
mondo. Donna come corpo, bellezza, dea, santa, madre, moglie o amante; si
“Io dedico questa canzone ad ogni donna
pensata come amore in un attimo di libertà, a
quella conosciuta appena, non c’era tempo e
valeva la pena di perderci un secolo in più.”
Fabrizio De Andrè, Le Passanti
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può dire che l’arte abbia colto ogni suo aspetto, ma mai la sua interezza, anche
perché la donna stessa si esprime mediante aspetti differenti e parziali, come
ogni individuo, ma, forse, particolarmente in virtù di quella lunaticità che tanto
spesso le viene attribuita e che la rende un caleidoscopio di manifestazioni,
un’altalena di stati d’animo, un dilemma tra bisogni e desideri, sempre diversa
dalle altre donne e persino da sé stessa, eppure polarità altrettanto salda e
necessaria di quella maschile per l’equilibrio e l’armonia di questo mondo
duale. Inoltre per il pittore la donna è anzitutto forma. E’ il simbolo della
figurazione di tutti i tempi, è l’archetipo della dimensione umana, della sua
trasparente profondità, del suo glorioso intelletto, della sua perfezione assoluta,
sopra ogni altra forma vivente. E’ alla forma della donna che l’artista consegna
il giudizio estetico dell’arte. Un artista, inoltre, spesso cerca il suo ideale
femminile nel corpo di una donna e lo confronta con le proprie lacune interiori,
così da poter definire, attraverso una personale interpretazione, quella metà di
sé che vuole trovare nell’oggetto del suo desiderio. Si potrebbe quasi osare
dire, forse, che se le donne avessero avuto le stesse libertà degli uomini, non
ci sarebbe stata in loro quella fatalità che tanto ha ispirato artisti di tutti i tempi.
Sarebbe sicuramente troppo lungo, ai fini della mia indagine, ripercorrere tutte
le tappe della Storia Umana che illustrano il percorso di emancipazione
femminile, ottenuto grazie all’impegno quotidiano, silenzioso e costante di
molte donne: per quanto concerne la storia più antica, quindi, userò
l’espediente della narrazione di una novella che possa almeno riassumere dal
punto di vista culturale la visione comune del ruolo femminile, mentre mi
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soffermerò maggiormente sulle tappe fondamentali del Novecento e della
Storia Contemporanea che hanno permesso alle donne di ricoprire ruoli sociali,
culturali e politici fino a quel momento occupati solo da uomini. La vicenda di
Griselda, raccontata nella Decima e ultima giornata del Decamerone, viene
riassunta così da Giansandro Cattaneo, nella sua riedizione del 1527.
“Questa fanciulla che si chiamò Griselda, è fama che vivesse in
Villanovetta, e fosse figlia di un certo Gianucolo, uomo che non aveva
altro al mondo tranne le sue braccia e una meschina capanna. Or
venne che il Signor di Saluzzo, il notissimo Gualtiero che menava vita
libera per la grande ragione, diceva egli, che non era a contare sulla
stabilità delle donne, le quali nubili ancora prometton bene, fatte mogli
diventano il tormento dei poveri mariti, e d’altra parte veniva dai
cortigiani caldamente stimolato a torsi moglie, un bel giorno, recandosi
a caccia pei boschi, capitò a una fonte nei pressi di Villanovetta. La
figlia di Gianucolo, la virtuosa e timida Griselda stava là appunto,
intenta più che mai, a diguazzar pannilini, allorchè il marchese
sopraggiunto allora allora, e rapito da quella celeste figura, poiché
disse ‘mi vogliono ammogliato, sarò tale, e la mia scelta è già fatta’.
Già si informa,già sa a chi appartiene la donna del suo cuore, già
bussa alla capanna di Gianucolo, già la richiede in moglie […].
Nacque da tal matrimonio una figlia, che il marito fece tosto
scomparire sotto poco plausibile pretesto; certo per avere una prima
prova della fortezza d’animo di Griselda. L’anno dopo diede alla luce
un figlio, che il marito Gualtiero mostrandosi dapprima oltremodo
contento, poco dopo lo si fece ugualmente scomparire, affermando alla
povera madre desolata esser egli morto, quando che la figlia e il figlio
erano stati mandati dal marchese a Bologna presso il conte Panico, suo
congiunto. Del resto Gualtiero mostrava di amarla davvero la sua
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donna, e di amarla sempre più, ma capriccioso nel suo amore e, starei
per dire, crudele, dopo diciott’anni di suo matrimonio le fece subire
l’ultima prova. Le disse pertanto che non avendo più prole, morta
quella prima, la ragion di stato richiedeva un divorzio, sebbene amaro,
con lei, e la scelta di altra sposa tolta da famiglia di gran affare e
principesca, onde soddisfare al popolo, e raffermare il soglio
marchionale; si dovesse rassegnare, pensasse a ripigliar le umili vesti
già smesse, provvedesse a far ritorno quando che fosse, alla capanna
paterna. […] Poco stante si annunciò l’arrivo della novella sposa con
gran corteggio, accompagnata da tal giovanotto che era una delizia il
vederlo; bello, alto, gentile, un paladino infine de’ più colpiti, e che
tolta l’aria e l’abito virile, pareva il ritratto della sposa. S’allestirono
le mense, e l’ottima Griselda disposta ogni cosa senza un lamento al
mondo, assistè ai convitati in contegno e costume di fantesca, e
prestava di molti servigi alla stessa sposa; e questo era l’ultimo
esperimento cui Gualtiero sottometteva l’amore e la virtù della sua
eccellente donna. Impaziente, commosso oltre misura, e intenerito fino
alle lagrime, fece alfin cessare questa lunga tormentosa commedia.
Levandosi in piedi e tolto per mano la sposa e il giovinetto suo
compagno di viaggio, diedeli a conoscere all’intera adunanza quali
suoi figlioli, indi dolcemente li spinse tra le braccia della povera
Griselda che per la tanta sorpresa, abbandonato d’un subito il capo sul
petto del marito, si svenne. Le feste così cominciate si celebrarono
ugualmente, ma per festeggiare il ritorno di due cari figlioli creduti
morti dalla loro madre Griselda, e che ora le si avvinghiavano talmente
al collo, e la coprivano di tanti baci, che non rimaneve più posto pel il
marito.”
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I. MERZAGORA BETSOS, Uomini violenti, Milano,RAFFAELLO CORTINA EDITORE,2009,pp.53-
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Questa novella, nel corso dei secoli, è stata oggetto di diverse interpretazioni,
soprattutto di tipo sociale ancor prima che sul ruolo della donna. Infatti nella
metà del Trecento, ovvero l’epoca boccacciana, e per molti secoli a seguire,
Griselda rappresenta in generale una figura femminile sottomessa al padre e al
marito, dedita alla cura della famiglia e della casa, perno nella gestione
dell’economia domestica. Una donna devota e pudica, il cui destino, era deciso
dal patriarca capo-famiglia in base alle esigenze finanziarie e politiche della
consorteria di appartenenza. Spesso, inoltre, ove non vi era obbedienza e
sottomissione al proprio uomo erano giustificati atti di violenza fisica, come
sancito per esempio nello Statuto di Lucca nel 1563, che permetteva agli
uomini di frustare, percuotere, ledere e castigare mogli, figli e domestici,
purchè non se ne provocasse la morte o lesioni personali gravi. D’altronde in
Italia, il famigerato “delitto d’onore”, che depenalizzava attraverso il
cosiddetto matrimonio riparatore il crimine commesso per difendere un
oltraggio subìto dalla propria moglie, sorella o figlia, venne abolito solo nel
1981. Questo ci indica come non sempre dietro ad atti di violenza o
prepotenza si cela necessariamente una patologia psichiatrica, ma che, anzi,
può esserci semplicemente una distorta visione delle relazioni affettive e
interpersonali tra i generi, quindi un fatto di tipo culturale, che comunque oggi
sembra essersi ridotto al punto da essere idiosincrasico e da poter essere
ascritto alle cosiddette “patologie sottoculturali”.
Il Novecento ha segnato, in Italia e in Europa, l’ingresso a pieno titolo delle
donne come cittadine nella storia ufficiale. Anche la storiografia più reticente a