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INTRODUZIONE
Il sistema previdenziale italiano è stato negli ultimi quindici anni al centro di un
estenuante processo di riforma, che se da un lato ha predisposto norme volte a
razionalizzare e riorganizzare il sistema pensionistico pubblico, dall’altro, al fine
di garantire l’adeguatezza della copertura previdenziale a tutti i lavoratori, ha
assegnato un ruolo da protagonista alla Previdenza Complementare.
Gli effetti della razionalizzazione del sistema pensionistico pubblico si risolvono,
infatti, nell’incapacità dello Stato di garantire ai lavoratori l’adeguatezza
economica della pensione pubblica, di qui la necessità di sopperire alle lacune
della previdenza di base attraverso strumenti, come i Fondi Pensione, che
assicurino l’erogazione di prestazioni previdenziali aggiuntive.
Il problema odierno è che l’adesione a tali strumenti è ancora modesta.
Ancora oggi, infatti, la percezione da parte della generalità dei cittadini
dell’esigenza pratica di realizzare, accanto alla previdenza di base, programmi
pensionistici complementari è ancora carente.
Eppure si tratta di tematiche alle quali nessuno può sentirsi indifferente: alla base
vi è, infatti, l’esigenza, per chiunque, di evitare che l’uscita dal mondo del lavoro
e, il raggiungimento dell’età pensionabile possa coincidere con l’apertura di un
nuovo ciclo di vita caratterizzato dalla drastica riduzione del proprio livello
reddituale.
La visione è ancora più drammatica se si considerano le quasi nulle iscrizioni ai
fondi da parte dei giovani lavoratori: per questi la non adesione ai fondi pensione
ovvero il ritardo nell’aderire assume un rischio molto più elevato, quello cioè di
affrontare un domani da pensionati con un reddito da pensione inferiore alla metà
del reddito percepito durante la propria vita lavorativa.
Con lo sguardo rivolto al futuro, il presente lavoro propone un’analisi dei Fondi
Pensione, attraverso l’esame della più recente normativa emanata in materia: il
D.Lgs. 252/2005, di attuazione della L. 243/2004, c.d. delega Maroni.
In particolare trattasi di una disciplina che entrerà pienamente in vigore solo dal
1° gennaio 2008, ma che sin da ora è importante considerare per gli importanti
effetti che è suscettibile di recare all’intero sistema economico italiano.
2
La nuova disciplina si propone, infatti, di stimolare lo sviluppo dei fondi
pensione, attraverso: l’equiparazione di tutte le forme di previdenza
complementare, l’incremento dei loro flussi di finanziamento e, il riconoscimento,
al lavoratore del settore privato, di una serie di diritti (alla portabilità, alla
trasparenza, alla confrontabilità dei costi) che possono con molta probabilità
attribuire un volano all’intero settore della previdenza complementare.
Il primo capitolo, in particolare, si pone come utile premessa delle
parti seguenti, in quanto offre uno quadro di sintesi dell’evoluzione normativa del
sistema previdenziale italiano fino agli ultimi interventi di riforma.
Il secondo capitolo esamina, più specificamente, il profilo
legislativo dei fondi pensione, alla luce delle nuove disposizioni contenute nel
D.Lgs. 252/2005, attraverso l’illustrazione delle principali classificazioni dei
fondi, del nuovo sistema di vigilanza, nonché dando una adeguata esposizione
della funzione generale assegnata ai fondi pensione rispetto all’intero sistema
economico e finanziario.
Il terzo capitolo, propone l’esame dell’attività svolta dai fondi
pensione mediante la sua suddivisione in fasi: la fase di finanziamento o di
accumulo delle risorse contributive, in cui si darà particolare attenzione al c.d.
meccanismo del silenzio-assenso; la fase di gestione finanziaria delle risorse; e la
fase finale di erogazione delle prestazioni.
Infine, il quarto capitolo, dopo aver esaminato la situazione attuale
del mercato dei fondi pensione, propone uno studio dinamico del settore
attraverso la previsione dei possibili scenari futuri conseguenti alla piena entrata
in vigore della nuova disciplina. In particolare, dopo aver considerato il rapporto
tra i fondi pensione e le generazioni future, considerate come le principali
destinatarie degli interventi riformatori degli ultimi anni; si analizzeranno le
prospettive di mercato, gli effetti della riforma del T.f.r. sulle imprese datrici di
lavoro e le potenzialità derivanti dagli investimenti socialmente responsabili dei
fondi pensione.
Nella trattazione dei contenuti non mancheranno riferimenti ad altre aree
disciplinari dalle quali lo studio dei fondi pensione non può prescindere.
3
L’osservazione dell’attuale assetto dei fondi pensione verrà condotta prendendo in
considerazione studi svolti da autorevoli società di consulenza finanziaria, mentre
le prospettive di mercato verranno tracciate anche sulla base di proposte di
miglioramento della normativa formulate da esperti della materia.
In ultimo, desidero rivolgere sentiti ringraziamenti al dott. Pasquale Di Biase,
assistente alla cattedra di Economia degli Intermediari Finanziari, per gli utili
consigli e il sostegno recatomi durante la stesura del presente lavoro.
M. Valeria De Mare
4
Capitolo1.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE IN ITALIA:
QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
Sommario: 1.1 Il sistema previdenziale italiano. – 1.2 La previdenza complementare.
1.1 Il sistema previdenziale italiano
1.1.1 Premessa
La necessità di circoscrivere l’analisi sui fondi pensione richiede il chiarimento di
alcuni concetti chiave essenziali, per la comprensione del tema trattato.
Innanzitutto per previdenza si intende l’accantonamento di una quota di reddito,
prodotto nel corso della vita lavorativa, da parte di ciascun lavoratore, al fine di
provvedere alle proprie esigenze di benessere che si manifestano nell’età
anziana
1
. Diversamente i vari Paesi hanno scelto di provvedere alle necessità
previdenziali dei propri cittadini lavoratori, infatti: taluni ordinamenti hanno
affidato allo Stato il compito di garantire un’assistenza minima, lasciando
all’autonomia privata l’offerta di forme previdenziali in grado di conservare lo
stesso tenore di vita; altri ordinamenti, come il nostro ante riforme anni novanta,
hanno deciso di affidare allo Stato il dovere di corrispondere prestazioni
pensionistiche in linea con il livello reddituale raggiunto nel corso della attività
lavorativa, relegando ad una posizione meramente residuale le forme
previdenziali di natura privata.
Occorre precisare che per legislazione sociale s’intende quel complesso di
norme, di natura pubblicistica, volte alla tutela dei lavoratori per fini di interesse
generale e di sicurezza sociale. Tali disposizioni si distinguono in: norme
preventive contro il rischio di eventi dannosi per i lavoratori; norme di assistenza
sociale; e norme di previdenza sociale. La previdenza sociale, in particolare, si
occupa di tutelare i lavoratori, che per qualsivoglia ragione abbiano perduto la
propria capacità lavorativa (per inabilità temporanea, invalidità permanente,
vecchiaia, disoccupazione involontaria, ecc.), attraverso l’erogazione di
1
Cfr. G. G. Balandi, “Riflessioni istituzionali sulla previdenza integrativa”, in AA. VV., in
Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1988, n. 3, p. 7 e ss.
5
trattamenti previdenziali(pensione di invalidità, di anzianità, di vecchiaia, ecc.)
tali da garantirgli il mantenimento di un adeguato livello reddituale
2
.
1.1.2 Il sistema pensionistico italiano: presupposti costituzionali
La «Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea», approvata nel vertice di
Nizza del dicembre 2000, all’art. 34 “riconosce e rispetta il diritto di accesso alle
prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in
casi quali[…]la vecchiaia”
3
. Tale principio trova corrispondenza nella
Costituzione italiana che, individua la previdenza sociale come un diritto
costituzionale, sancito dal combinato dell’art. 2 Cost. ( riportante il c.d. principio
di solidarietà sociale), l’art. 3 Cost., co. 2 (contenente il c.d. principio di
eguaglianza sostanziale) con l’art. 38 Cost., co. 2. Quest’ultimo, in particolare
afferma che:“[…]I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita[…]”.
Il principio dell’adeguatezza economica, sancito dal legislatore costituzionale,
definisce la finalità degli strumenti di previdenza. Essi, infatti, sono volti ad
assicurare al lavoratore mezzi adeguati alle sue esigenze di vita al verificarsi di
circostanze, come la vecchiaia, che fanno sospendere o cessare la capacità di
lavoro e di guadagno; tali, dunque, da garantire il mantenimento dello stesso
tenore di vita raggiunto nel corso della sua vita attiva. Tale garanzia si connette
con quanto disposto dall’art. 36 Cost., che si riferisce al concetto di retribuzione
proporzionale e sufficiente. Per molti anni la tutela di questo bisogno socialmente
rilevante, in quanto interesse pubblico, è stato per gran parte garantita dal sistema
di previdenza pubblica obbligatoria, fermo restando il principio di libertà di
assistenza e previdenza privata, fissato dal legislatore costituzionale all’ultimo
comma dell’art. 38 Cost., combinato con l’art. 47 Cost. (riportante una specifica
tutela del risparmio “in tutte le sue forme”), a cui possono essere ricondotte
quelle forme libere di previdenza privata, la cui tutela implica “l’esclusione di
2
Cfr. A. Marano, M. Solombrino, “Appendice I”, in La riforma delle pensioni, ed. Simone,
Napoli, 2004.
3
L’art. 25, in più, “riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e
indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale”.
6
qualsiasi ingerenza statale e soprattutto di forme di controllo che non siano quelle
di ogni altro ente di diritto privato”
4
. La previdenza privata per lungo tempo ha
assunto un carattere residuale, essendo regolata solo da norme del codice civile,
ex artt. 2117 c.c. , 2123 c.c. , che “a ragione del loro esiguo contenuto precettivo,
non erano idonee a garantire la soddisfazione delle aspettative dei lavoratori e dei
pensionati, assai spesso inevitabilmente condizionate dalla sorte e dalle vicende
del datore di lavoro”
5
. La previsione di questi due tipi di previdenza, da un lato la
previdenza pubblica obbligatoria, dall’altro la previdenza privata, è rivolta a
garantire la tutela della persona umana, ma su due piani diversi che non possono
trovare collegamento se non in “rispetto della previsione costituzionale, che
definisce lo spazio dell’intervento obbligatorio e quello dell’intervento libero”
6
.
Inoltre, l’art. 38 Cost., co. 4, prevede l’erogazione delle prestazioni previdenziali
da parte di “organi e istituti predisposti e organizzati dallo Stato”, per cui
l’ordinamento può dirsi caratterizzato dal c.d. pluralismo previdenziale. In Italia,
infatti, il sistema previdenziale, è stato strutturato in una pluralità di enti gestori
(principalmente l’INPS, l’INPDAP, ecc.), preposti a fornire prestazioni a diverse
categorie di lavoratori; nonché contrassegnato da regimi differenziati nelle
regole, spesso con situazioni di privilegio. Tutta la legislazione susseguente alla
Legge fondamentale, è stata rivolta all’allargamento della garanzia previdenziale
a tutti i cittadini: infatti, se nel primo novecento, solo i lavoratori subordinati,
pubblici e privati, godevano di un trattamento previdenziale, durante gli anni
1950-60, si è introdotta la tutela pensionistica anche per i lavoratori autonomi
(coltivatori diretti, artigiani, commercianti), e per i liberi professionisti.
1.1.3 L’evoluzione del sistema pensionistico italiano: dal regime a «ripartizione»
verso quello a «capitalizzazione»
La garanzia costituzionale posta a tutela dei bisogni previdenziali dei lavoratori,
ha fatto sì che il pilastro portante del sistema pensionistico italiano fosse
4
G. Ciocca, “La garanzia costituzionale della libertà della previdenza privata”, in La libertà della
previdenza privata, A. Giuffrè Ed., Milano, 1998.
5
M. Persiani, “Presentazione”, in G. Ciocca (a cura di), op. cit. , 1998.
6
G.Ciocca, “Decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124”, in op. cit., 1998.
7
rappresentato dal sistema di previdenza pubblica. Detto sistema, come per la
maggior parte dei sistemi pensionistici di welfare state, è stato caratterizzato, per
un’intera fase storica, dal principio della ripartizione: ai lavoratori in età di
pensione vengono garantite prestazioni pensionistiche basate sul reddito degli
ultimi anni lavorativi (c.d. metodo di calcolo retributivo), e ciò attingendo, non
alle risorse da questi accumulate nel tempo, ma a quelle raccolte a titolo di
contributi, attraverso un determinato organismo pubblico, dai lavoratori attivi
presenti nello stesso momento.
Lo scambio intergenerazionale di ricchezza, denota la matrice spiccatamente
solidaristica del regime a ripartizione che provoca una inevitabile assenza di
accumulo di ricchezza pro-capite nel tempo, a lungo andare gravosa per le casse
statali, qualora vengano meno i presupposti del regime in questione, in quanto si
finisce per chiedere alla finanza pubblica un sostegno non conciliabile con le
effettive forze del bilancio pubblico e con le compatibilità economico-finanziarie
fissate dell’Unione Europea. Verificati fattori di crisi del sistema a ripartizione,
sono infatti rappresentati da:
- innanzitutto, la variazione dell’andamento demografico, nel senso di un
aumento della longevità e di una bassa natalità (con un tasso vicino allo zero);
- la riduzione del saggio di sviluppo economico italiano (causato dallo shock
petrolifero degli anni settanta) seguita dall’aggravio del tasso di disoccupazione;
- la presenza di sperequazioni e anomalie nel sistema, e intense disuguaglianze
tra le varie categorie di lavoratori, in ragione dei diversi regimi esistenti e che
diversamente provvedevano ai bisogni previdenziali: ad esempio, la possibilità di
prepensionamenti per i dipendenti del settore privato, ovvero la presenza delle
cc.dd. pensioni baby per i dipendenti pubblici
7
, senza dimenticare la tarda
estensione della copertura previdenziale INPS a categorie di lavoratori autonomi i
cui versamenti contributivi sono risultati essere del tutto limitati;
7
Nel 1973,vennero introdotte le c.d. pensioni baby, cioè si permetteva ai dipendenti pubblici di
percepire la pensione di anzianità dopo soli 20 anni di contribuzione, ridotti a 15 per le donne,
rispetto ai 35 previsti per il regime generale privato. Peraltro anche nel settore privato si
verificarono i c.d. prepensionamenti, “[…]per cui sono state liquidate pensioni con anticipo fino a
10 anni, rispetto all’età legale, a circa 400.000 lavoratori”. Così G. Megale, F. Miglioli, S. Sorgi,
“La previdenza pubblica”, in Come pianificare la propria pensione, Il Sole 24 ore, Milano, 2004.
8
- infine, l’instabilità del rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo,
determinante la c.d. anomalia del sistema previdenziale italiano, oggetto di
critiche anche in ambito europeo, dato l’accento posto sul tema dell’equilibrio dei
conti pubblici dal Trattato di Maastricht.
A ben vedere i fattori di crisi del sistema pensionistico a ripartizione funzionante
con metodo retributivo, si riflettono sulla relazione tra entrate contributive e
uscite per pensioni, originando il c.d. disavanzo previdenziale pubblico.
L’eccessiva generosità del sistema pensionistico pubblico non era più accettabile
e, all’operatore pubblico si poneva una scelta circa il come sostenere nel tempo il
sistema pensionistico: “se pagare le pensioni facendo ricorso al bilancio pubblico
(con un aumento del deficit, o attraverso nuove tasse e/o minori spese),
aumentare i contributi per i lavoratori attivi oppure ridurre le prestazioni per i
pensionati”
8
.
La necessità di garantire la sostenibilità finanziaria delle pensioni, ha portato il
legislatore degli anni novanta ad operare importanti interventi di riordino del
sistema pensionistico nel suo complesso.
Innanzitutto, si è operato sul sistema previdenziale pubblico, disponendo, in una
logica contrattiva degli eccessi, l’introduzione delle cc.dd. riforme parametriche,
“ossia le modifiche dei parametri che possono riportare in equilibrio i flussi
finanziari di un sistema pensionistico, evitando che saldi negativi crescenti
debbano essere finanziati dalla fiscalità generale”
9
. La modifica dei parametri di
funzionamento del sistema pensionistico (cioè dell’aliquota contributiva, delle
soglie di età pensionabile, del metodo di computo delle pensioni, ecc.), concerne
sia il settore pubblico che quello privato, in un percorso di progressiva
armonizzazione e omogeneizzazione dei vari regimi esistenti, nonché di
riordino o soppressione di enti pubblici previdenziali.
8
M. Gabbrielli, S. De Bruno, Capire la finanza, Il Sole 24 ore, Milano, 1999.
9
G. Geroldi, “Sostenibilità finanziaria e adeguatezza delle pensioni”, in Supplemento di Rassegna
Sindacale, n. 40, 2005.
9
Le riforme più importanti
10
, infatti, recate dal D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 503
(c.d. riforma Amato), dalla L. 8 agosto 1995, n. 335 (c.d. riforma Dini) e dalla L.
27 dicembre 1997, n. 449 (c.d. riforma Prodi) hanno mirato, innanzitutto, a:
1) modificare il riferimento temporale per il calcolo retributivo delle pensioni,
non più consistente negli ultimi 5 anni, ma negli ultimi 10 anni per i lavoratori
dipendenti e 15 anni per gli autonomi, nonché all’intera vita lavorativa per i neo-
assunti;
2) introdurre il metodo c.d. contributivo di calcolo della pensione di vecchiaia,
basato sull’accredito del 32,7% della retribuzione per i lavoratori dipendenti,
ovvero del 20% circa per gli autonomi, pari all’ammontare dei contributi versati
in tutta la vita lavorativa, rivalutati di anno in anno attraverso l’applicazione dei
cc.dd. coefficienti di trasformazione (mix tra le aspettative di vita dei beneficiari e
l’incremento medio del Pil su base quinquennale). Tale metodo viene applicato
integralmente solo per chi inizia a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, mentre per i
lavoratori più avanti nella carriera è previsto un periodo transitorio di coesistenza,
in cui il criterio si applica secondo un metodo misto (retributivo/contributivo).
3) modificare la disciplina della pensione di anzianità, destinata a scomparire con
effetto dal 2009, con attuazione di un regime transitorio, nel periodo 1996/2008,
entro il quale si avrà una graduale evoluzione del requisito anagrafico, fino a che,
a decorrere da 2008 la pensione di anzianità potrà essere riconosciuta a coloro
che vanteranno almeno 57 anni di età e 35 anni di contributi oppure 40 anni di
contributi a prescindere dall’età anagrafica.
4) rendere flessibile e uguale per uomini e donne l’età pensionabile, per cui è
possibile scegliere quando andare in pensione dai 57 e i 65 anni, semprechè si
possa far valere almeno 5 anni di contribuzione effettiva.
Inoltre, con l’emanazione del D.Lgs. 509/1994, è stata disposta la trasformazione
in persona giuridica privata di alcuni Enti di previdenza ed assistenza eroganti sia
10
Per approfondimenti, P.Olivelli, Direzione generale per le politiche previdenziali del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ministero
dell’Economia e delle Finanze, COVIP, INPDAP, NVSP, “Profili storici e giuridici del sistema
pensionistico italiano”, in Annex 2: descriptin of the legal-institutional framework of the italian
pension system, 2002. http://www.welfare.gov.it.
10
trattamenti previdenziali c.d. sostitutivi dell’assicurazione generale obbligatoria
gestita dall’INPS (sono le c.d. Casse professionali istituite a favore di determinate
categorie di lavoratori autonomi), sia trattamenti aggiuntivi rispetto a quella
generale
11
; nonché, con il D.Lgs. 103/1996, in attuazione dell’art. 2, co. 25, della
L. 335/1995, è stata disposta la costituzione di Enti previdenziali privati, per le
categorie professionali la cui attività lavorativa, comporti l’appartenenza ad
elenchi od albi: trattasi di Enti (anche pluricategoriali) per la cui costituzione è
richiesta una dimensione minima di almeno 8.000 iscritti, esercenti la libera
professione, ovvero dipendenti che svolgano contemporaneamente l’attività
libero professionale
12
.
Occorre, però, evidenziare che l’intervento di riforma più profondo, si riconduce
alla modifica del nostro sistema pensionistico a ripartizione verso un modello a
«capitalizzazione».
Nel sistema a capitalizzazione opera un meccanismo di genere assicurativo-
finanziario, infatti, si ha la costituzione di posizioni previdenziali individuali, in
cui, ciascun lavoratore attivo, attraverso il versamento di risorse finanziarie a
titolo di contributi ad un soggetto, che ne cura la gestione e l’investimento sui
mercati mobiliari, si costituisce una riserva (c.d. riserva individuale) a cui
attingere nel successivo periodo post-lavorativo, al fine dell’ottenimento delle
prestazioni pensionistiche, in forma di montante finanziario (ad un’unica
scadenza) o di conversione dello stesso in rendita vitalizia, nella misura concessa
(contributi versati più rendimenti finanziari ottenuti) dai risultati della gestione di
quel portafoglio previdenziale.
Il «principio di corrispettività» tra contributi e pensione, sotteso al sistema in
parola, permette una migliore capacità di copertura finanziaria delle pensioni,
rispetto a quanto garantito dal sistema a ripartizione.
11
Come: l’ONAOSI, opera nazionale di assistenza agli orfani dei sanitari nazionali; e
l’ENASARCO, ente nazionale di previdenza ed assistenza per gli agenti e rappresentanti di
commercio.
12
Esempi di tali enti sono: l’ENPALS, per i lavoratori dello spettacolo e per gli sportivi
professionisti; l’ENPAIA, per i periti agrari e agrotecnici; e l’INPGI per i giornalisti autonomi.