5
1.Introduzione
Come attentamente osserva Stephen Yeazell
1
, uno dei massimi studiosi di
procedura civile americana, la class action, è “un’anomalia” nella società
statunitense cosi profondamente individualista, un atavismo che riesuma
regimi precedenti all’età moderna e cerca di adattarli ai nostri tempi.
Dall’altro lato però, l’azione di classe è anche considerata uno dei più
potenti strumenti processuali, “something out of the ordinary”
2
che
permette ad uno o più individui di agire in giudizio per conto di un’intera
categoria di soggetti. Si assiste ad un’aggregazione di causae petendi
individuali nei confronti del medesimo convenuto pur rimanendo l’azione
un “private enforcement of individuated private rights”
3
. Questa
aggregazione non rappresenta però in modo naturale e genuino gli interessi
della categoria: è piuttosto una “fictio” giuridica per ottenere vantaggi
procedurali e di policy.
4
Con la class action basta un querelante per
avviare il procedimento del cui esito positivo potranno avvantaggiarsi tutti
i membri della categoria. È come se l’individuo agisse per il ristoro del
danno che è collettivo. Questo meccanismo, permettendo la trattazione
congiunta di casi identici porta a ridurre i costi della litigation
aumentandone l’efficienza del procedimento giudiziale secondo logiche di
economia processuale e di uniformità di giudicato.
5
La possibilità del
1
Stephen C. YEAZELL, From medieval group litigation to the modern class action, Yale
university press, 1987, p866 ss.
2
Cosi scriveva YEAZELL. S. C. , Group litigation and social context: Toward a History of the
class action, in Colum. Law Rev. , 1977, p. 866
3
L’espressione è di R. B. CAPPALLI-C. CONSOLO, Class Action for Continental Europe, A
Preliminary Inquiry, 6 Temp. Int'l & Comp. L. J. 217 (1992), 224.
4
J. C. COFFEE, “Class action accountability: reconciling exit, voice and loyalty in representative
litigation”, in 100 Columbia Law Review, 2000, 401
5
P. RESCIGNO, “Sulla compatibilità tra il modello processuale della class action e i principi
fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano”, in Giur. it. , 2000, II, 2224
6
singolo del diritto di “avere il proprio giorno in corte”(right to have his own
day in court) e di avere un potere negoziale che altrimenti non avrebbe è
l’aspetto che ha più entusiasmato.
6
Uno degli scopi primari della tutela
collettiva è proprio quello di essere un “vehicle to promote access to
justice”
7
per rendere tutelabili in giudizio diritti con un modesto contenuto
economico che i rispettivi titolari difficilmente farebbero valere
individualmente per l’ovvia ragione che un’azione diventa vantaggiosa solo
quando raggiunge un certo valore tutt’altro che esiguo.
8
L’espressione
“l’unione fa la forza” per descrivere il fenomeno è senz’altro molto
esemplificativa.
9
Le class actions inoltre, hanno sortito importanti effetti di
deterrenza inducendo gli operatori economici a rispettare le regole di lealtà
e correttezza nelle relazioni economiche.
10
Rappresentano un rimedio
processuale moderno ma che ha origini in istituti assai antichi.
6
G. L. PRIEST, “Procedural versus substantive controls of mass tort class actions”, in 26 Journal
of Legal Studies, 1997, 521-523.
7
L’espressione è di H. LINDBLOM, “Individual Litigation and Mass Justice: a Swedish
Perspective and Proposal on Group Actions in civil Procedure”, 45 Am. f. comp. L. 805,
816(1997)
8
M. TARUFFO, “La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto”, in Riv. Trim.
Proc. Civ. , 61, 2007 pp531; Il professor Benjamin KAPLAN, Reporter della Civil Rules
Advisory Committee, ha descritto quali fossero le missioni principali della class action: “(1) to
reduce units of litigation by bringing under one umbrella what might otherwise be many separate
but duplicating actions; (2) even at the expense of increasing litigation to provide meansof
vindicating the rights of groups of people who individually would be without effective strength to
bring their opponents into court at all. ” Benjamin Kaplan, “A Prefatory Note, 10 B. C. INDUS.
& COM. L. REV. 497, 497 (1969). ”
9
P. FAVA”, L’importabilità delle class actions in Italia”, Contratto e Impresa, 20-I, 2004 pp. 187
10
N. TROCKER, Class action negli USA, e in Europa?, in Contratto e Impresa/Europa, n1, 2009,
220ss
7
2. Le origini storiche: le represesentative suits.
Per comprendere le problematiche attuali sull’istituto è necessario quindi
approfondire lo studio dell’evoluzione delle class actions e andare a cercare
a ritroso nel tempo le testimonianze storiografiche più importanti. Peraltro
lo studio in materia di strumenti processuali di tutela in forma aggregata
delle pretese seriali è recentissimo se si pensa che risale al 1974
11
. Un
grande contributo alla ricostruzione del background storico delle moderne
class actions è stato dato da Zechariah Chafee
12
il quale, ha dato organica
sistemazione alle teorie sulle origini dell’istituto. Egli individua come
paradigmatico l’esempio dei “bills of peace “ in cui, per motivi di
convenienza economica, si arrivava ad adire una sola corte e ad instaurare
una giurisdizione di equity da parte di più persone che erano interessate a
proteggere lo stesso interesse. Secondo una ricostruzione storica, tali azioni
si svilupparono anche in altri due settori principali: nelle liti riguardanti gli
affari delle società commerciali, le cosiddette “joint-stock companies”;
per i creditor's bill, i legatee bills e i vessel's cases. Ora come allora dice
Chafee, il risultato a cui si ambiva era quello di riunire più azioni legali in
una sola (to prevent a multiplicity of lawsuits).
13
L’istituto delle
“representative suits” trova la sua giustificazione su un legame di
responsabilità solidale che sorgeva per il pagamento dei balzelli sulla
produzione tra gli appartenenti ad un medesimo villaggio contadino. In
queste situazioni, il creditore poteva convenire presso le corti feudali locali
( le “manorial courts”) solo alcuni tra i soggetti più facoltosi e questi poi
avevano sugli altri membri assenti, diritto di regresso. L’impossibilità del
11
MARCIN, ”Searching for the origin of the class action”, 23 chatolic u. l. r. pp. 515ss. ha
ricondotto le representative suits alle corti di equity piuttosto che credere che l’istituto fosse stato
inventato ex novo.
12
Z. CHAFEE, “Some problems of equity “163-66, 200-02 Ann Arbor 1950
13
S. C. YEAZELL, “From medieval group litigation to the modern class action”, Yale university
press, 1987 pp 52
8
proprietario feudale di organizzare il lavoro di tutti i contadini, di calibrare
responsabilità e obblighi per ognuno di loro, lo portava a riunirli in gruppi.
Sul gruppo ricadeva l’onere di assumersi le responsabilità per conto di tutti
i membri cosi come la possibilità di rappresentare la comunità e di far
valere pretese e diritti nei confronti del padrone.
14
La vita sociale e politica
era concepita in termini collettivi;il lavoro, le regole, il vivere quotidiano
dipendevano dal grado di coesione che le organizzazioni riuscivano a
darsi
15
. Si è parlato giustappunto di “representative litigation”perché gli
individui tramite il gruppo hanno questa capacità di rappresentarsi, parlano
a nome degli altri. Scopo principale delle representative suits è stato
inizialmente quello di convenire in giudizio i soggetti più facoltosi che
potessero sobbarcarsi le tasse di produzione dei meno abbienti, i quali,
nonostante fossero il più delle volte assenti si vedevano estendere il
giudicato che li condannava alla debenza di una certa somma.
16
La prima
istituzione economica e sociale che ha costituito il modello per antonomasia
del gruppo è stata la corporazione. Essa, come entità artificiale è si creata
dallo stato ma trae la sua forza dall’accordo dei suoi membri, dal consenso
che essi le accordano più che dal riconoscimento che lo stato gli
concede
17
.La corporazione diviene una sorta di status che la legittima ad
intentare una causa. Altri gruppi, diversi da una corporazione, potranno
vedersi rifiutare questa possibilità a meno che la corte stessa non decida di
trattarli come una corporazione, come una vera“litigative entity”. Se per
alcuni le origini delle class actions si possono rinvenire nel medioevo
inglese è altrettanto vero che le corti medievali inglesi si occupavano di
group litigations che presentavano caratteri che sono totalmente assenti
15
S. REYNOLDS, ”Kingdoms and communities in western Europe”, 900/1300(oxford 1984)
16
A. GIUSSANI, “Studi sulle class actions”, Cedam 1996 pp 4
17
S. C. YEAZELL, “From medieval group litigation to the modern class action”, Yale university
press, 1987, pp 16
9
oggi. Basti solo pensare al contesto sociale - economico che rendeva
obiettivamente difficilissimo il solo spostarsi dei contadini per organizzarsi
politicamente o ancora agli ostacoli che lo status sociale frapponeva per
poter adire una corte. La stessa formazione culturale dei giudici riflette un
concetto di rappresentanza che differisce totalmente da quello moderno. Il
problema nell’affrontare le cause collettive nel medioevo, secondo
Yeazell
18
, sta nel capire come la società del tempo concepiva tre relazioni
fondamentali : i rapporti del gruppo con le autorità locali, con i suoi
membri e con i suoi rappresentanti. Dal XVII secolo i gruppi che potevano
aspirare a chiedere giustizia per la tutela dei loro interessi dovevano prima
avere il permesso reale di poter agire come tale a base corporativa,
dovevano ottenere quello status di corporazione ritenuto un prerequisito per
poter agire collettivamente
19
.
3.La funzione sociale del gruppo e un singolare concetto di
rappresentanza
Ogni livello della società medievale è organizzato in gruppo e sempre in
gruppo si svolgono le principali attività lavorative. Il villaggio è il fulcro
di questa collettività organizzata e i suoi abitanti, contadini e mercanti,
ne fanno parte. Ogni gruppo ha i suoi tribunali, le sue corti. L’autonomia
giurisdizionale è preminente ed esalta la forza del gruppo stesso, salvo
alcune volte porre problemi di relazione. Da queste premesse scaturisce
l’importanza del gruppo come organismo sociale, come unità primaria
18
Stephen C. YEAZELL, From medieval group litigation to the modern class action, Yale
university press, 1987, pp77
19
Stephen C. YEAZELL, From medieval group litigation to the modern class action, Yale
university press, 1987, pp88
10
del vivere quotidiano che permette ai suoi membri di comunicare, di
“avere un’opinione”
20
su gli aspetti più disparati che coinvolgono tutti e
necessitano di una discussione collettiva che prenda in considerazione i
vari punti di vista. Fin qui sembrerebbe si possa dire che il gruppo è
rappresentato dai suoi membri, come ha osservato Klonoff.
21
In realtà,
sono facilmente identificabili i veri rappresentanti. Erano i migliori, i
ricchi e discreti membri dei consigli della città o di altre organizzazioni
locali a parlare per il resto del gruppo. Ecco allora che riferirsi alla
coesività del gruppo significa studiare su quali basi poggia la teoria della
rappresentanza. Se a parlare erano i “ de ditioribus e discretioribus”
22
, era
perché erano stati eletti ? Oppure, avevano ottenuto il consenso del
gruppo? E se sì, quest’ultimo, quando intuiva la stridente divergenza tra i
suoi interessi e quelli che praticamente venivano fatti valere dai
rappresentanti, poteva richiamarli all’ordine ? I teorici si sono
concentrati sull’elemento della comunanza, sulla identità di interessi che
abilita i rappresentanti a parlare in nome dell’intero gruppo cosi da
perseguire interessi comuni. Quello che per il diritto moderno sarebbe
una questione prettamente procedurale, diventa sostanziale per il diritto
medievale. Quando nei documenti si parla di rappresentanza non si fa
mai riferimento a elezioni o consensi per parlare in nome di altri ma è il
re che, avuto riguardo alle qualità di alcuni dei cittadini, li chiama a
rappresentare l’intera comunità
23
.Tutto questo sembra stridere
palesemente con tutti i parafernali delle moderne democrazie che
20
KLONOFF, BILICH & MALVEAUX, Class Actions and other Multi-Party Litigation: Cases
and Materials (Thomson West 3d ed. ) pp. 19
21
KLONOFF, BILICH & MALVEAUX, Class Actions and other Multi-Party Litigation: Cases
and Materials (Thomson West 3d ed. ) pp. 20
22
Stephen C. YEAZELL, From medieval group litigation to the modern class action, Yale
university press, 1987, pp 95
23
Stephen C. YEAZELL, From medieval group litigation to the modern class action, Yale
university press, 1987, pp 95
11
legittimano ogni sorta di potere con le elezioni. Sintetizzando con una
frase si potrebbe dire che nel medioevo gli uomini più importanti
rappresentano l’intera comunità anche se non sono stati eletti. A
prevalere è sicuramente la leadership più che la volontà del popolo. È
una draconiana regola che da in mano a pochi il potere di decidere su
molti. La giurisdizione delle corti federali rimase invariata fino a quando
venne istituita la “Court of Chancery” organo autonomo a se stante in
grado di prevalere sulle manorial courts
24
. È il passo finale per ottenere
l’accentramento dei poteri, generalizzare la giurisdizione regia e
ampliare la potestà di indirizzo politico. Le funzioni del Chancellor
diventano cosi esclusivamente giurisdizionali e nascono i primi leading
cases. Inizia a delinearsi il problema di quali siano i limiti di questa
giurisdizione. Le azioni di equità vennero concepite come generali e
atipiche per evitare la riemersione dei poteri della nobiltà locale ma allo
stesso tempo si volle limitare l’incisività di queste azioni rendendole
costose e inefficienti. La giurisprudenza della Chancery Court si
caratterizzò per l’apertura al litisconsorzio necessario respingendo le
eccezioni di improcedibilità della domanda per incompletezza del
contraddittorio sul presupposto che l’adeguatezza della rappresentanza
degli interessi degli assenti bastava ai fini dell’estensione del
giudicato
25
.L’uniformazione del regime del litisconsorzio necessario
ridottosi a limitate situazioni giuridiche comuni ha determinato che
anche l’ambito delle representative suits si adagiasse sullo stesso schema
; la presenza di un”common interest” è elemento necessario ed esclusivo
per adire la corte. Vengono eliminate fattispecie legate ai bills of rights e
più in generale tutte le azioni risarcitorie (damages actions) per
l’impossibilità di affermare l’improcedibilità delle domande risarcitorie
24
Erano tribunali nobiliari che giudicavano applicando un diritto consuetudinario eminentemente
locale.
25
A. GIUSSANI, “Studi sulle class actions”, Cedam, Padova, 1996, p12
12
in forma rappresentativa, in quanto carenti del requisito della
contitolarità della situazione soggettiva azionata
26
. Questo esito è
esemplificativo dell’inadeguatezza delle representative suits. Di lì a poco
lasceranno progressivamente il posto allo strumento processuale della
relator action, azione popolare soggetta al controllo del pubblico
ministero.
4. Le azioni rappresentative fra equity e common law
L’ostilità dei coloni americani per il sistema dell’equity, visto come
principale potere della corona spiega il fatto che le representative suits in
America abbiano avuto una ricezione cosi tarda. Le controversie erano fino
ad allora risolte con le regole processuali proprie delle corti federali a cui si
affiancava la giuria popolare ritenuta la massima espressione di
democraticità. Joseph Story con la sua trattatistica
27
è stato pioniere
nell’operare una sistemazione in tema di azioni rappresentative presso le
corti federali e affrontò la problematica in chiave di eccezione alla cd.
Necessary parties rule.
28
Il primo caso giurisprudenziale che recepì
l’insegnamento di Story fu, nel 1853, Smith v. Swormstedt
29
, in cui la Corte
Suprema ritenne ammissibile la class action quale eccezione alla Necessary
Parties Rule e dichiarò la sentenza vincolante anche per i soggetti assenti
nel giudizio, purché i loro interessi fossero stati correttamente rappresentati.
Egli introdusse quella che è oggi la prassi più comune per il giurista
americano: la possibilità di derogare alla regola della necessaria
26
Caso markt &co ltd. V. knight steamship co. ltd, 2kb 1021, 1910
27
J. STORY, “Commentaries on equity pleadings”, Boston 1940
28
Cfr. GIUGGIOLI P. F. , ” Class action e azione di gruppo”, Padova, 2006, pag. 5
29
57 U. S. 16 How. 288 288 (1853)
13
partecipazione ad un giudizio dei soggetti aventi interesse. Suddivise in tre
categorie le azioni: azioni concorsuali con un common interest, le
unincorporated assiociations tramite le quali era possibile l’estensione agli
assenti del giudicato e infine, un’azione per cui operava l’estensione del
giudicato per tutti sempre in forza di un comune interesse. Si è però
osservato che la nozione di interesse comune cosi come interpretata da
Story non poteva giustificare l’estensione del giudicato. La semplice
presenza di un numero altissimo di interessati, infatti, non implica di per sé
l’esistenza di un comune interesse da tutelarsi con efficacia erga omnes.
30
5 La Moore Rule del 1938: applicazione e considerazioni conclusive.
Nel 1938 il sistema federale processuale fu riformato totalmente. In una
prima fase non si approfondì il tema delle representative suits e si previde
soltanto la possibilità di agire in favore dei litisconsorti purché li si
rappresentasse in modo adeguato ma senza stabilire quali sarebbero stati gli
effetti del giudicato nei loro confronti. Fu James Moore
31
che, criticando il
progetto del 1936, ideò una nuova disciplina e propose una classificazione
tripartita delle class actions. Nel 1938 veniva introdotta la Moore Rule, la
quale, sostituiva il requisito della questione comune con una classificazione
operata al “character of right” che concedeva la possibilità di esperire
“true-class action” o “spurious class action”.La categoria delle “true
class action”proponeva un’estensione completa degli effetti del giudicato.
30
Stephen C. YEAZELL, “From medieval group litigation to the modern class action”, Yale
university press, 1987, pp217
31
V. Moore, Federal Rules of Civil Procedure: Some Problems Raised by the Preliminary Draft,
25 Georgetown L. J. 1925, 570 e, successivamente, MOORE - COHN, Federal Class Actions, 32
Illinois L. Rev. , 307 e degli stessi autori, Federal Class Actions: Jurisdiction and Effect of
Judgement, 32 Illinois L. Rev. 1938, 555.
14
Queste ipotesi di class actions comprendevano le situazioni che
richiedevano il litisconsorzio necessario (joint rights) quali per esempio le
unincorporated associations in cui veniva richiesto un provvedimento per
l’intera categoria o ancora in presenza di un common right dipendente dalla
relazione fra la situazione soggettiva azionata e il provvedimento richiesto.
La seconda categoria, denominata delle “ibride (hybrid) class actions” in
cui il giudicato operava con salvezza dei diritti degli assenti e la terza ed
ultima categoria delle class actions dette “spurious”la cui funzione era si
quella di arrivare all’emanazione di un provvedimento comune ma con
esclusione di effetti ultra partes del giudicato. Il grado di rappresentanza nei
vari tipi di class actions è quindi massimo nelle “vere”class actions e
minimo nelle “spurie”. È sicuramente grazie a Moore se si assiste alla
nascita di uno studio pragmatico sull’argomento, una “congerie di
strumenti di ingegneria sociale”
32
che guarda alle esigenze concrete dei
singoli casi più che ad una classificazione teorica, sterile e senza
applicazione. È anche vero però che la forma rappresentativa dell’azione
risultava vanificata dalla regola dell’”adequacy representation” secondo la
quale una rappresentanza inadeguata comprometteva, di fatto, l’estensione
del giudicato e l’effettiva protezione degli assenti. Questo effetto appare
ancora più stridente ed inconciliabile se si pensa che la ratio dei processi
collettivi fosse proprio quella di “prevent multiplicity of actions involving
common questions”
33
. Quando nel 1912 la equity rule 48
34
venne riformata
32
A. GIUSSANI, studi sulle class actions, Cedam, Padova, 1996, pp44
33
KLONOFF, BILICH & MALVEAUX, Class Actions and other Multi-Party Litigation: Cases
and Materials (Thomson West 3d ed. ) pp 26
34
L ‟Equity Rule 48, con cui si ammettevano i “representative proceedings” in presenza di un
numero eccessivo di parti, a condizione che non fossero pregiudicate le ragioni degli assenti,
recitava: “Where the parties on either side are very numerous, and cannot, without manifest
inconvenience and oppressive delays in the suit, be all brought before it, the Court in its discretion
may dispense with making all of them parties, and may proceed in the suit, having sufficient
parties before it to represent all the adverse interests of the plaintiffs and the defendants in the suit
15
e rimpiazzata con la equity rule 38 che ometteva il riferimento agli effetti
sulla posizione delle parti assenti, la confusione continuò a regnare
35
. Nella
Federal Equity Rule 38 del 1912, erano fissati i seguenti requisiti per
l'accesso all'azione: impossibilità di far partecipare al processo tutti i
membri della classe; idonea rappresentanza della classe da parte dei
soggetti partecipanti al giudizio; questione di fatto o di diritto comune a
tutti i membri della classe, ritenendosi per tali tutti coloro ai quali è comune
la medesima questione. L’omissione sui limiti che la res iudicata aveva nei
confronti degli assenti cosi come sancita nella equity rule 48, non risolve il
problema e rincara la dose di incertezze circa l’applicazione della nuova
previsione. Solo nel 1921, in relazione al caso Supreme Tribe Ben-hur v.
Cable
36
, la corte suprema statuì che anche gli assenti erano vincolati
dall’esito finale della controversia e a loro dovevano estendersi gli effetti
del giudicato. Da queste premesse prende le mosse l’evoluzione storica
delle class actions che non può non essere caratterizzata da un
ampliamento dei limiti soggettivi del giudicato in ribaltamento rispetto
all’altalenante giurisprudenza britannica di equity secondo cui l’estensione
era prevista o esclusa senza stabilire se ciò dovesse accadere in materia di
common, general rights o di several rights. La versione originale della Rule
23 fu adottata nel 1938. La Corte Suprema degli Stati Uniti promulgò le
Federal Rule of Civil Procedure con lo scopo principale di unificare le
giurisdizioni di law ed equity. Nel 1966 si ebbe una riforma proprio in tal
senso e vennero progressivamente superate le difficoltà delle Moore
Rule.Si arrivò cosi ad avere la formulazione della federal rule 23 che ha
properly before it. But, in such case, the decree shall be without prejudice to the rights and claims
of all the absent parties”
35
Recitava la nuova Rule 38: “When the question is one of common or general interest to many
persons constituting a class so numerous as to make it impracticable to bring them all before the
court, one or more may sue or defend for the whole”.
36
Supreme Tribe of Ben-Hur v. Cauble, 255 U. S. 356 (1921)