Capitolo primo
IL BAMBINO A RISCHIO NEUROEVOLUTIVO
1.1 Il parto pretermine e il neonato prematuro
Il parto pretermine ossia un parto il cui travaglio ha luogo tra la 20esima
e la 37esima settimana completa di gestazione, rappresenta una
condizione patologica dell’ostetricia molto frequente al giorno d’oggi,
interessa tra l’8 e il 12% delle gravidanze ed è responsabile da solo di più
dei 2/3 della mortalità/morbilità neonatale. L’ipotesi patogenetica del
parto pretermine considerata più valida è quella unitaria, definita
sindrome della risposta infiammatoria intrauterinam (1), consistente
nell’attivazione della via del parto per mezzo della sintesi di
prostaglandine da parte del miometrio e delle membrane amniocoriali che
sono responsabili delle contrazioni uterine e delle modificazioni
cervicali; questa ipotesi spiega come possano agire i fattori di rischio
considerati più importanti per il parto pretermine come stress materno,
presenza di infezioni a carico delle vie genitali e basse condizioni socio-
economiche (2). Gli altri fattori di rischio, non meno importanti possono
essere classificati in (3):
- Fattori di rischio materni: età materna (al di sotto dei 18 anni o al di sopra
dei 40 anni), basso livello socio-economico, primi parità, peso
pregravidico, basso aumento ponderale, uso di droghe e alcool, fumo,
stress, malattie acute o croniche;
- Fattori di rischio ostetrici: precedente aborto spontaneo o precedente
parto pretermine (15-80% ricorrenza), anomalie cervicali o uterine;
- Fattori di rischio riguardanti la gravidanza in corso: gravidanza
gemellare, oli-poliamnios, malformazioni fetali, IUGR (ritardo di crescita
fetale), perdite ematiche, gestosi, infezioni.
Il non completo sviluppo degli organi e apparati comporta dei problemi
di adattamento alla vita extra-uterina: per questo motivo i neonati
pretermine hanno un rischio di mortalità più elevato rispetto a quelli nati
a termine. Il parto pretermine quindi può essere uno dei tanti motivi
scatenanti che può dare vita al quadro del neonato a rischio neuro
evolutivo, il quale infatti può aver subito anche altri tipi di eventi
traumatici pre-peri o post natali come ad esempio patologie gravidiche,
insufficiente crescita intrauterina e malformazioni. Il termine di neonato
prematuro è entrato infatti nel linguaggio medico alla fine dell’800
perchè prima questi bambini venivano nominati “congenitamente deboli”
e abbandonati alla loro sorte. Budin, uno tra i primi neonatologi,
successivamente dedicò un’intera opera alla assistenza del neonato
pretermine, avanzando l’uso importante e fondamentale delle prime
incubatrici e costituì nel 1895 la prima nursey per i neonati prematuri
all’ospedale di Parigi, permettendo poi la diffusione dei suoi studi anche
negli Stati Uniti (4). Fino agli anni 50 del secolo scorso l’assistenza al
prematuro si fondava quindi su manipolazioni minime e controlli delle
temperature corporee associate a costante controllo degli agenti infettivi:
gli ambienti della nursey erano quindi isolati e i genitori dei piccoli
bambini erano esclusi. Solo dagli anni ’60 quando la neonatologia
diventò una delle specialistiche della medicina, vennero aperte le prime
Neonatal Intensive Care Units ossia reparti specializzati, appositamente
creati per i neonati a rischio. Grazie alle continue scoperte scientifiche,
negli ultimi decenni la neonatologia e la perinatologia si sono avvalse
anche di altre competenze e discipline, concentrandosi sul processo
importante di sviluppo neuro-cognitivo e avvalendosi di modelli
assistenziali ottimali. Attualmente è necessario distinguere il neonato
pretermine da quello di basso peso che secondo la dizione anglosassone
LBW (Low birth weight) comprende tutti i neonati con peso alla nascita
inferiore a 2500g, indipendentemente dall’età gestazionale. In relazione
all’età gestazionale, il pretermine che si trova al di sotto del 10°
percentile nelle curve di crescita intrauterina viene definito piccolo per
l’età gestazionale (small for gestional age), mentre il pretermine che si
trova tra il 10° e 90° percentile viene definito appropriato per l’età
gestazionale (appropriate for gestional age). Tra i piccoli per l’età
gestazionale è opportuno distinguere i Low Birth Weight il cui peso è
compreso tra i 1501 e 2500 g da quelli il cui peso è minore di 1500 g
(Very Low Birth Weight) e dagli Extremely Low Birth Weight con peso
alla nascita inferiore ai 1000 g. (5).Il rischio di mortalità tra i LBW e
VLBW, a differenza dei neonati a termine, aumenta rispettivamente di 40
e 200 volte. L’incidenza dei parti prematuri è stata stimata tra il 6% e il
15% di tutti i parti e numerosi studi hanno mostrato forti incrementi dei
tassi di sopravvivenza: negli anni ’80 del secolo scorso riportavano per il
ELWB una percentuale di sopravvivenza del 30%;(6) successivamente
con l’attuazione di grandi cambiamenti delle strategie e terapie ostetriche
e neonatali, negli ultimi decenni è stato possibile un forte miglioramento
della sopravvivenza: informazioni importanti in merito infatti
provengono da uno studio condotto da David Field e colleghi e
pubblicato sul British Medical Journal nel quale sono stati confrontati i
tassi di sopravvivenza dei bambini nati tra la 22esima e la 25esima
settimana di gestazione nei periodi 1994-1999 e 2000-2005; il numero
dei parti e la proporzione dei neonati morti in sala parto sono risultati
simili nei due intervalli presi in considerazione, mentre si è assistito ad
un significativo miglioramento nella sopravvivenza dopo la dimissione
dall’unità di cura intensiva neonatale: dal 36% al 47 %.(7) Quindi negli
ultimi decenni la neonatologia è riuscita a portare il limite della capacità
di sopravvivenza di un neonato ad una soglia sempre più precoce di
gestazione:se negli anni Settanta e Ottanta si riteneva che per riuscire a
sopravvivere un neonato dovesse avere almeno 28 settimane di
gestazione ed un peso minimo alla nascita di circa 1000 grammi, oggi,
grazie alla profilassi della maturazione polmonare, alla somministrazione
di surfattante e alle nuove tecniche di respirazione artificiale, questa
soglia si è abbassata, di fatto, al di sotto della 25esima settimana con
sopravvivenza di neonati con peso inferiore ai 600 grammi. È vero anche
che con l’aumento del tasso di sopravvivenza dei nati pretermine c’è
stato un conseguente aumento di disturbi dello sviluppo più o meno gravi
evidenziabili durante il percorso evolutivo; infatti le anomalie neuro
comportamentali transitorie o persistenti in questi neonati, derivanti dagli
eventi traumatici che subiscono, possono rallentare e/o alterare la crescita
aumentando maggiormente il rischio di disturbi dello sviluppo neuro
psicomotorio, psicoaffettivo o neuropsicologico. Queste anomalie neuro-
comportamentali infatti possono con il tempo sfociare in sequele
patologiche a distanza tra cui possiamo evidenziare patologie
neuropsichiatriche più severe (paralisi cerebrale infantile, ritardo
mentale, deficit sensoriale ed epilessia etc), disturbi transitori
(ipereccitabilità, asimmetria posturale, ipercinesia, ipertono settoriale) o
disturbi neuropsicologici (diprassia, deficit attentivi, di linguaggio e di
coordinazione motoria)(8). Purtroppo infatti la morbilità, soprattutto
neurologica, dei prematuri non è migliorata di pari passo con la
sopravvivenza; la prematurità si pone come fattore predittivo essenziale
capace di aumentare in maniera esponenziale il rischio di tali disturbi,
tanto più il peso alla nascita è basso: infatti nella classificazione dei danni
che sono in grado di accrescere la distribuzione di frequenza di patologie
neuropsichiatriche gravi , tra cui danni prenatali (infezioni virali e
batteriche e effetti teratogeni, malattie genetiche) e quelli postnatali
(infezioni e traumi cranici), la prematurità viene raggruppata tra i danni
perinatale, insieme anche al basso peso alla nascita, all’encefalopatie
ipossico-ischemiche ed emorragie intracraniche. È un fattore che incide
in maniera importante sulla frequenza di diverse forme di PCI: le linee
guida PCI del 2005 infatti secondo la media dei dati rilevati in 9 paesi
europei identifica la diplegia spastica come la forma più frequente nei
neonati con peso inferiore a 2500 grammi con 45,5%; seguono la
tetraplegia con il 23% e l’emiplegia spastica con il 22% di frequenza e le
altre forme con il 9,5% (9). C’è da menzionare anche il notevole aumento
negli ultimi 20 anni delle gravidanze gemellari, i cui parti avvengono
prematuramente nel 50% dei casi.
1.2 Le caratteristiche e le competenze del prematuro
Per poter essere in grado di giungere a livelli di assistenza ottimali,
bisogna conoscere le caratteristiche del piccolo a seconda delle sue età
gestazionali: infatti quali sono le competenze dei prematuri? Partendo
dagli aspetti sensoriali, possiamo definire l’apparato uditivo umano
completo e fisiologicamente funzionante sono dalla 28esima settimana di
gestazione. Secondo quanto scriveva Gesell nel suo libro “The
embriology of behavior” il neonato prematuro di 28 settimane risponde
già agli stimoli uditivi, anche se la reattività e l’habituation risultano
deboli o assenti (10). A partire dalla 35esima settimana l’orientamento
verso gli stimoli uditivi comincia ad essere simile a quella del nato a
termine, anche se possono essere individuate differenze di reazione.
Giovannelli e colleghi invece in merito ad osservazioni in margine al
problema dell’elaborazione dell’informazione del neonato, hanno
verificato che i nati pretermine rispondono con variazioni della frequenza
cardiaca all’ascolto della voce materna arrabbiata con una reazione
decelerativa interpretabile come risposta ad uno stimolo conosciuto,
rispetto ai nati a termine invece con una reazione accelerativa cioè
risposta difensiva nei confronti di uno stimolo già riconosciuto come
negativo(11). Per quanto riguarda la vista, nel neonato pretermine non
sembra esserci una vera e propria attenzione visiva prima della 29esima
settimana e in merito a ciò Wilson-Costello e Borawski (12) individuano
come tali neonati giunti alla 40esima settimana si abituino più lentamente
agli stimoli visivi rispetto ai nati a termine: Rose infatti parlando degli
effetti della prematurità e degli interventi sulla reattività agli stimoli
sensoriali dimostrò che ancora a 6 mesi di vita i neonati avevano bisogno
di tempi di fissazione più lunghi non mostrando preferenze per stimoli
nuovi, rispetto ai nati a termine della stessa età (13). Il pianto è il primo
segnale che il bambino è in grado di emettere nei confronti dell’ambiente
sociale che non conosce e che lo circonda: a 26 settimane i nati
pretermine rispondono in seguito a stimoli dolorosi, con il pianto mentre
quello spontaneo compare solo dalla 32esima settimana. Il pianto nel
prematuro, secondo Golson è caratterizzato da frequenze molto più alte,
disfonazioni e cambiamenti improvvisi di tonalità rispetto a quello del
nato a termine (14). Invece l’ontogenesi del sorriso nel nato pretermine è
stata studiata in maniera approfondita da Emde che ha osservato i
comportamenti facciali di neonati prematuri durante il sonno attivo,
potendo confrontare che rispetti a quelli nati a termine, i pretermine
sorridono di più (bisogna comunque ricordare che il sorriso endogeno o
spontaneo è di origine sottocorticale mentre quello esogeno o indotto è
poi sostituito con l’avanzare dell’età dal sorriso sociale(15).
Una funzione, forse una delle più importanti perché funge da mezzo
d’interazione tra il neonato e chi se ne prende cura, è la suzione, prima
caratterizzata essenzialmente da un riflesso dato da una serie di
movimenti orali coordinati di rooting, apertura della bocca, afferramento
del capezzolo e deglutizione. Nel neonato prematuro la suzione assume
un’organizzazione ritmica solo dalle 32 settimane di età post-
concezionale, non permettendo perciò nessun tipo di alimentazione al
biberon o al seno prima di questo periodo. Infatti in questi neonati il
numero di suzioni per ogni scarica è minore e la variabilità delle pause
tra le scariche invece è maggiore: ciò può portare a difficoltà sia per la
madre a gestire tale compito ma anche nel bambino che può avere
difficoltà ad alimentarsi anche per tutto il primo anno di vita. Nella
popolazione dei nati prematuri l’alimentazione costituisce da sempre
un’area problematica: la letteratura sull’argomento fino ai contributi più
recenti (Forgada-Guex nel 2006) sottolinea come le difficoltà alimentari
già presenti nei primi mesi di vita e poi durante l’iter evolutivo possono
assumere un significato più ampio rispetto a quello di accrescimento
ponderale, nel contesto relazionale bambino-adulto. È stato infatti
sottolineato quanto l’alimentazione nei primi anni di vita assuma un
ruolo centrale nelle relazioni e ciò è ancora più vero quando un bambino
nasce pretermine ed il suo peso e la sua crescita sono strettamente
dipendenti alla sua sopravvivenza; nel neonato pretermine
l’alimentazione inizialmente si caratterizza come evento passivo: avviene
per via parenterale e tramite gavage. La fame quindi svanisce prima che
il bambino l’abbia provata e senza che egli abbia messo in atto un
comportamento attivo alla ricerca del seno; uscito dalla fase critica della
terapia intensiva, potrà essere allattato tramite biberon dalla madre. (16)
I neonati prematuri tendono ad essere ipotonici, scarsamente coordinati e
a muoversi meno rispetto ai nati a termine. Secondo Precthl dalle 36
settimane i loro movimenti però cominciano a divenire più coordinati,
con meno tremori e a 38 settimane compaiono la coordinazione mano-
bocca e la rotazione del capo verso una sorgente luminosa (17). Geerdink
JJ osservò che i nati prima della 32esima settimana specialmente se con
basso peso alla nascita, potevano persistere fino a 3 mesi di vita
movimenti anormali e poco coordinati, nella maggior parte dei casi,
predittivi di ritardi dello sviluppo (18).