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Introduzione
E’ difficile immaginare un mondo senza arte, eppure molte persone
rimangono senza argomenti alla domanda “a cosa serve l’arte?”. Se si
riuscissero a definire quali funzioni l’arte compie in seno alla società
potrebbe essere più chiaro anche il ruolo dell’artista all’interno di una
collettività. Principalmente l’arte è comunicazione: nessun artista dipinge
un quadro che non intende far vedere, nessuno scrittore scrive un romanzo
a suo personale uso e consumo; per agire come forma di comunicazione,
deve avere qualcosa da dire.
La Street Art è una forma di comunicazione sempre più presente
nell’ambiente sociale. E’ un’espressione nata autonomamente nei
sobborghi newyorkesi alla fine degli anni settanta. Alcuni ragazzi
iniziarono a firmare i muri dei loro quartieri, scegliendo uno pseudonimo e
affiancandolo ad un numero, il più delle volte coincidente con quello della
strada dove abitavano. La voglia di affermazione guidava questa loro
iniziativa; pian piano uscirono dai loro quartieri per conquistarne altri.
Dalle tag sui muri ai graffiti nelle metropolitane: in breve tempo si sviluppò
un movimento che divenne inarrestabile. Le autorità non riuscirono ad
arginarlo, pur applicando sanzioni, organizzando ronde e ripulendo tutto;
anzi il fenomeno sembrava trarre vitalità da questi impedimenti (Mininno,
2008).
La volontà di questi ragazzi coincise con una feroce critica alle istituzioni,
attraverso l’espressione della consapevolezza di potersi riappropriare degli
spazi pubblici. La questione venne affrontata con toni accesi da entrambe le
parti: le istituzioni dovevano reprimere questi gesti di disordine pubblico, i
ragazzi dovevano difendere i loro diritti. I giovani vivevano la pericolosità
delle loro azioni e il rischio delle multe alle quali andavano incontro, con
coraggiosa tenacia. E’ emerso, infatti, dall’analisi di testi e articoli, che
nella fase iniziale, coincidente con l’emergere dei graffiti, il fenomeno
aveva alla base soprattutto ideali da affermare; nacque dall’esigenza di
rivendicare la propria presenza all’interno della città (Lucchetti, 1999).
In seguito, questi giovani si organizzarono in gruppi (crew) e gradualmente
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il linguaggio divenne artisticamente più complesso, sia per la necessità di
meglio esprimere i loro pensieri, sia probabilmente per un senso rivalità tra
i gruppi. Quest’antagonismo portò alla formazione di diversi stili e,
presumibilmente, si persero anche sempre più le motivazioni iniziali. I
ragazzi che si avvicinarono al fenomeno quando già si era esaurito lo
stimolo iniziale, con ogni probabilità ne accolsero solamente i tratti
principali. In pochi anni, i graffiti diventarono una moda tra i giovani,
creando non pochi disagi alle autorità newyorkesi e alla compagnia che
gestiva le metropolitane, la MTA (Metropolitan Transit Authority). Furono
investiti parecchi fondi per la pulizia dei vagoni e per l’installazione di
dispositivi di sicurezza, come doppie recinzioni, torri d’illuminazione e
cani d’attacco. All’epoca regnava una forte ostilità nei confronti dei
graffiti, non solo da parte delle amministrazioni pubbliche, ma anche negli
ambienti artistici. Nel 1989 la MTA acquistò una nuova flotta di treni,
ricoperti con pellicola poliuretanica sulla quale la vernice non faceva presa.
La flotta era così numerosa da permettere di ripulire immediatamente i
vagoni, una volta dipinti. Ciò portò ad un cambiamento della vita sociale
dei writer, l’abitudine di riunirsi per guardare e commentare i treni dipinti,
venne infatti sostituita dallo scambio di foto e, in seguito, da internet
(Cooper, Chalfant, 2009).
In seguito la Street Art si propaga anche per pura imitazione, dall’America
arriva in Europa attraverso immagini e racconti. Probabilmente anche a
causa di ciò, non si è mai sviluppata come un movimento organizzato su
delle basi rigide e coerenti: ognuno ne ha captato l’essenza secondo le
proprie esigenze e le proprie idee.
“In modo del tutto inaspettato i graffiti presero piede in altri Paesi del
mondo; i giovani abbracciarono questa forma d’arte eleggendola a
strumento di rivolta degli oppressi, nuovo movimento di resistenza e mezzo
di espressione” (Cooper, Chalfant, 2009, p. 124).
Sulla base di queste premesse, la Street Art ha assunto, in ogni diversa
parte del mondo, una sua propria connotazione. C’è chi ha sposato
l’ideologia a livello concettuale portando avanti la critica alle istituzioni,
chi si è fermato all’aspetto estetico e conduce comunque un discorso
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conforme all’idea di riappropriazione degli spazi, unita alla volontà di
offrire arte alla società. Infine esiste anche una Street Art sviluppatasi per
imitazione, quindi senza precisi valori da esprimere; questa è quella che
potrebbe coincidere col vandalismo.
Le definizioni sono numerose e non sempre concordanti, nel primo capitolo
di quest’elaborato se n’è restituita una panoramica il più possibile
completa. Si è ritenuto necessario anche tracciare una breve storia,
cronologica e quindi concettuale, della Street Art ripercorrendo le
principali evoluzioni stilistiche ma soprattutto il ruolo ricoperto all’interno
della società nella quale opera. Si tratta, infatti, di un’espressione nata in
strada ed a questa consacrata; da qui le dispute sulla celebrazione della
Street Art all’interno di musei e gallerie d’arte.
Questo controverso rapporto tra la strada, la Street Art e le istituzioni
artistiche, viene affrontato nel secondo capitolo. E’ stato preso come
esempio il modus operandi dell’artista Blu, incentrato principalmente
sull’analisi del contesto nel quale sceglie di lavorare, piuttosto che
sull’opera in sé. Questa interpretazione rivela un particolare della filosofia
della Street Art che non si esaurisce nell’azione, ma che adotta l’atto del
dipingere sui muri per esprimere valori ed ideologie (Caccamo, Polo,
2008). “L’espressione artistica e culturale [...] più spesso, nasce in
opposizione o per contrastare la cultura comune o il sentire condiviso dalla
maggioranza, che non cerca approvazioni né conferme” (Taine H.A. in
Bordoni, 2005, p. 58). Un artista crea la sua opera per esprimere sé stesso e
le proprie idee.
Nello stesso capitolo si esamina, a grandi linee, l’ultimo decennio di questa
forma comunicativa, che non si esaurisce in un’unica tecnica o teoria.
Alcuni street artist la praticano come forma di disapprovazione nei
confronti delle istituzioni, come critica all’invasione dei brand; altri la
concepiscono solo come forma estetica narcisistica o rivolta
all’abbellimento della città; altri ancora trovano nella strada l’unico luogo
nel quale potere esprimere la propria arte.
Questi punti di vista sono emersi dallo studio di dati secondari, come le
biografie di Jean Michel Basquiat e Keith Haring, e dai dati empirici emersi
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dalle interviste semi strutturate a un writer bolognese, Simone Tosato, e
all’artista Clet Abraham.
La diversità di prospettive rispecchia anche l’utilizzo di svariate tecniche,
dallo stencil al collage, dallo sticker al trompe d’oeil, oltre a performance
ed installazioni. In questo capitolo è stato citato anche Banksy, artista di
importanza internazionale, di cui non si conosce però l’identità. Egli
utilizza diverse tecniche nei suoi lavori, anche se probabilmente quella che
si ritrova maggiormente è lo stencil. Banksy si schiera principalmente
contro i sistemi istituzionali, anche se diverse volte ha esposto le proprie
opere nei musei, pur scegliendo formule innovative, come quella per la
mostra “Banksy Vs Bristol Museum”, per la quale non si pagava il
biglietto.
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L’idea comune a tutte le varie forme di Street Art è quella di
reinventare il sistema dell’arte concependo una fruizione più democratica
da parte dell’intera società (Riva, 2007). Quindi nel secondo capitolo viene
affrontato anche il riconoscimento artistico della Street Art e la questione
della formazione del comune gusto estetico, sempre più orientato da critici
e curatori di mostre. E’ stato preso in considerazione anche il Fame Festival
di Grottaglie, evento alla sua quarta edizione che l’anno scorso ho deciso di
andare a visitare. E’ come trovarsi in un museo a cielo aperto, tutte le
strade sono intrise d’arte. Il festival si impone come tentativo di provocare
le istituzioni e stimolare la cittadinanza a nuove forme d’arte.
L’elaborato prosegue con il terzo capitolo, dedicato all’intervista fatta a
Clet Abraham, che da qualche anno si è imposto nella scena della Street
Art con il suo progetto sui cartelli stradali. L’artista reinterpreta i segnali
apponendovi degli stickers removibili, sostenendo che oggi ogni città è
invasa da una grande quantità di input visivi ed è compito dell’artista far
riflettere sulla questione, sia le istituzioni che i cittadini. L’incontro con lo
street artist Clet Abraham si è rivelato fondamentale soprattutto per meglio
comprendere la sua visione nei confronti delle istituzioni. Egli spiega che la
sua filosofia artistica ha come base la rivendicazione della libera
espressione individuale, grazie alla quale è possibile lo sviluppo del
pensiero autonomo. I suoi lavori, infatti, sono una critica alle istituzioni e,
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www.artsblog.it al 03/03/2012
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in particolare, alla religione, in quanto realtà “preconfezionate” ed
immutabili, sorde quindi all’evolversi della società contemporanea.
L’ultimo capitolo si basa proprio sul controverso rapporto tra Street Art e
istituzioni pubbliche e pone luce sulla sottile differenza tra arte e
vandalismo. Sottile a livello burocratico, perché sul piano concettuale e
visivo la controversia si risolve abbastanza intuitivamente.
Si tratta di una problematica che non riesce a risolversi in maniera
completa ed esaustiva, essenzialmente perché devono entrare in relazione
due ordini di grandezza differenti. La burocrazia deve razionalizzare e
regolare, l’arte deve manifestare le proprie idee ed esprimere i propri
sentimenti.
Motivo per cui, nel corso della storia, l’arte è entrata in collisione con la
politica in diverse occasioni, ma in questo caso risulta essere un attacco che
genera caos e confusione anche tra la società alla quale è rivolta, ovvero
quella abituata a non vivere la città, ma ad attraversarla velocemente a capo
chino. Le critiche più frequenti rivolte alla Street Art sono l’arroganza di
imporsi senza essere richiesta e l’illegalità di imbrattare gli spazi pubblici e
privati.
L’approccio nei confronti della Street Art sta tuttavia mutando. Si possono
riscontrare atteggiamenti di apertura e collaborazione da parte delle
istituzioni, comprese quelle artistiche. Proprio musei e gallerie, infatti,
l’hanno tirata fuori dall’esclusiva percezione di vandalismo nella quale
versava. Di fronte al riconoscimento artistico, la burocrazia ha cercato di
meglio valutare questa forma espressiva. Anche se, forse inevitabilmente,
questa comprensione si è risolta comunque in tentativi di controllo.
Principalmente si è cercato di formalizzare la Street Art incanalandola in
forme di legalità, che però le risultano strette.
Sicuramente sono utili gli interventi e gli incontri tra le parti, per meglio
comprendersi. Difficilmente, però, la Street Art si accontenterà e rinuncerà
ad uscire dalla superficie dei muri con permesso messi a disposizione dalle
amministrazioni comunali.
Per la realizzazione di quest’elaborato, attraverso l’osservazione
partecipante e interviste semi strutturate, sono stati presi in esame due casi
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studio: il laboratorio di Aerosol & Spray art in Salaborsa e la
riqualificazione della stazione di Casteldebole a Borgo Panigale, quartiere
di Bologna. E’ risultato fondamentale ai fini della ricerca confrontarsi con
coloro che sono partecipi al fenomeno. Gli educatori, gli insegnati e i
ragazzi hanno spiegato il loro modo di vivere la Street Art ed è emerso che
per i primi si riflette in uno strumento educativo molto importante, mentre
per i giovani è un mezzo per crescere e responsabilizzarsi.
Pensieri diversi, pareri contrastanti, invece, nei testi che trattano la materia,
sia sul piano semantico che concettuale e quindi artistico.
Internet è stato un ottimo strumento per raccogliere definizioni e opinioni
in merito, non ancora organizzati in una letteratura sistematica
sull’argomento. D’altra parte la Street Art, oltre ad essere un fenomeno in
divenire, è anche intrinsecamente effimero, motivi per i quali alcuni
passaggi storici o importanti strumenti di verifica sulla percezione delle
persone non sono ad oggi disponibili.
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Capitolo I
IL FENOMENO SOCIOLOGICO DELLA STREET ART
NON ESISTONO NÉ GRAFFITI NÉ STREET ART,
ESISTONO L’ARTE PUBBLICA E LE PERSONE CHE LA FANNO.
(BLU)
1.1 Interazioni tra arte e società
“Arte e Società sono due tra i più imprecisi concetti nel linguaggio
moderno” (Read, 1968, pp. 15). Da sempre entrambi sono stati alla base
della storia umana: lo sviluppo della società ha portato alla nascita di nuove
espressioni artistiche, così come alcune forme d’arte sono state alla base di
diverse evoluzioni sociali.
Sia l’arte che la società sono state da sempre vittime di incomprensioni ed
imprecisioni. Nel tempo, gli studiosi hanno analizzato le singole
caratteristiche dell’arte, ritrovandosi nell’area dell’estetica, della storia
dell’arte o, addirittura, della metafisica. La gente comune, invece, il più
delle volte, la identifica in una sola arte (principalmente la pittura) e fatica
ad includervi altre attività, come ad esempio l’architettura.
Della stessa indeterminatezza è affetto il termine “società”: può essere
inteso come l’insieme di abitanti di uno stesso paese, ma anche come la
totalità del genere umano; si può perfino riferire ad una società di animali
che condividono i medesimi comportamenti.
La questione sulla quale è stato però trovato un accordo unanime, è che i
due concetti siano inseparabili. In qualsiasi accezione si interpretano,
entrambi hanno origine dal rapporto dell’uomo con l’ambiente circostante.
Da sempre l’arte si è sviluppata all’interno della società, operando al suo
servizio oppure contestandola, avvicinandosi o allontanandosene. Così
come l’esistenza umana, con la complessità dei suoi contenuti e delle sue
necessità, si è sempre espressa nel mondo, soprattutto attraverso questa
forma espressiva. E’ quindi inconcepibile pensare ad una società senza arte,
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o ad un’arte priva di significato sociale.
La sociologia dell’arte è una disciplina volta allo studio dell’arte e
dell’estetica da un punto di vista sociologico. Analizza, da una parte, le arti
intese come attività o linguaggi aventi una dimensione estetica nella vita
sociale, dall’altra esamina l’attività e il mondo specifico degli artisti.
Tale disciplina si sviluppa nella seconda metà del novecento ma ancora
oggi risulta complesso delimitarne con precisione il campo d’indagine, dal
momento che non nasce all’interno della disciplina sociologica, bensì
nell’ambito dell’estetica e della storia dell’arte, per merito di studiosi decisi
a rompere il binomio artista/opera.
Carlo Bordoni in “Introduzione alla sociologia dell’arte” (Bordoni, 2005)
presenta questa disciplina come una scienza avente un’affascinante
approccio, fondato su una verità incontestabile, ovvero il considerare l’arte
come un fatto sociale, ma che tuttavia non riesce a decidersi su quali mezzi
utilizzare.
Si possono distinguere tre tendenze principali in cui operano gli studiosi
interessati all’arte e alla società:
L’estetica sociologica mette in discussione l’autonomia dell’arte,
attraverso la ricerca dei legami fra arte e società e l’analisi del
comportamento assunto dagli individui di fronte all’arte. Sviluppa un
approccio critico nei confronti dell’opera d’arte, che non considera
più solamente le categorie estetiche, sviluppa una visione globale
della cultura: si attua un rovesciamento di prospettiva.
La storia sociale studia l’arte nella società, ovvero il contesto di
produzione e ricezione delle opere. Gli studiosi che se ne occupano
hanno esaminato il funzionamento delle amministrazioni culturali, la
relazione tra produzione artistica e committenza e il formarsi dei
prezzi. Con tali studi è stata sottolineata l’importanza dell’influenza
del contesto politico e quella della gerarchia del pubblico.
La sociologia empirica ha per oggetto di studio l’arte come società.
Si basa sull’indagine empirica applicata al presente mediante la
statistica, l’econometria, le interviste, le osservazioni; viene studiato
l’insieme delle interazioni tra attori, istituzioni e oggetti, in un
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processo evolutivo teso a fare esistere l’arte stessa.
Nonostante il difficile cammino della disciplina, l’incontro fra un
insegnamento così giovane come la sociologia e una antica come l’arte si
rivela molto fecondo: la sociologia trova nell’arte un ottimo campo di
applicazione, mentre l’arte riceve utili nozioni circa i propri meccanismi
interni (Heinich, 2005).
La sociologia dell’arte sembra non aver ancora trovato un preciso
inquadramento, una definizione esaustiva, probabilmente rispecchiando il
carattere irrequieto del proprio oggetto di studio. “L’espressione artistica e
culturale [...] più spesso, nasce in opposizione o per contrastare la cultura
comune o il sentire condiviso dalla maggioranza, che non cerca
approvazioni né conferme” (Bordoni, 2005, p. 38).
Un artista crea la propria opera per esprimere sé stesso e le proprie idee.
1.2 Definizione del termine Street Art
La Street Art è un fenomeno artistico e sociale, interessante da analizzare in
quanto ben rappresenta l’individuo che si vuole riappropriare dello spazio
in cui vive. Questa espressione si scontra inevitabilmente con gli altri
membri della società, nonché con le istituzioni; nata circa quarant’anni fa,
ancora oggi è presente e attiva sia nei luoghi pubblici che nei musei e nelle
gallerie d’arte.
Nel lavoro di ricerca svolto per la stesura di quest’elaborato, sono state
riscontrate diverse definizioni del termine Street Art.
Secondo un ordine cronologico, tutto è da riportare al “Graffiti Writing”,
interpretato come atto di dissenso da parte di giovani americani negli anni
settanta, nei confronti della società alla quale appartengono.
Esclusione, disoccupazione, disuguaglianza e povertà possono rivelarsi
fattori determinanti per condurre i giovani sulla strada della violenza. In
quegli anni, molti di loro si rifugiano nella cultura urbana chiamata “hip
hop”, movimento nato nei quartieri disagiati di New York, che si è poi