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INTRODUZIONE
Gli Exchange Traded Funds, o piø semplicemente ETF, sono degli strumenti finanziari molto inno-
vativi che hanno fatto la loro prima comparsa in America, nei primi anni ’90, per poi svilupparsi nei
principali mercati mondiali, in Europa, Asia e Australia. La loro diffusione è stata straordinaria
nell’ultimo decennio e ha portato alla creazione di prodotti sempre nuovi e diversi per caratteristi-
che e funzionamento. Lo scopo di questa tesi è rendere conto di questo processo di crescita, esami-
nando nel dettaglio le varie tipologie di ETF, in particolar modo quelle di nuova generazione, basate
su contratti derivati e per questo al centro di numerose critiche, provenienti sia dai mass media che
dalle maggiori istituzioni di regolazione dei mercati mobiliari. Tali giudizi, però, sono spesso dovuti
ad una scarsa informazione sullo strumento, oltre che ad un generale clima di sfiducia nei confronti
dei mercati finanziari durante l’attuale crisi economica, piuttosto che ad una reale consapevolezza
dei rischi, seppure esistenti, degli strumenti.
Gli ETF sono una categoria di fondi comuni di investimento che presenta numerosi caratteri di ori-
ginalità rispetto ai tradizionali mutual funds. Per prima cosa, le quote di un ETF possono essere
scambiate in Borsa come delle comuni azioni, ad un valore marked-to-market, al contrario delle
quote dei fondi comuni classici, il cui valore è determinato soltanto al termine del business day. Un
altro aspetto fondamentale degli ETF è la loro indicizzazione: gli Exchange Traded Funds, infatti,
sono index funds, o fondi indice, poichØ il loro portafoglio è costituito con lo scopo di replicare, in
modo perfetto o quasi, il rendimento di un indice di mercato; i fondi comuni tradizionali, invece,
possono anche avere finalità diverse e scostarsi dalla performance del benchmark.
Gli ETF di ultima generazione presentano alcune peculiarità rispetto a quelli tradizionali, però pos-
siedono allo stesso tempo le caratteristiche appena viste. Essi possono basarsi su indici di mercato
non tradizionali, su un’esposizione a leva attraverso l’impiego di derivati, su un tipo di gestione at-
tivo, oppure su una modalità di replica del benchmark diversa da quella consueta, fisica. La loro in-
troduzione è avvenuta nel 2008, in coincidenza con il picco della crisi, e ha rappresentato un tenta-
tivo, in parte riuscito, di lasciarsi alle spalle la tempesta dei mercati, offrendo una valida alternativa
ai prodotti finanziari strutturati sui derivati, in cui gli investitori negli ultimi anni hanno riposto una
fiducia sempre minore.
Nonostante sia gli ETF a replica sintetica, sia altri tipi di Exchange Traded Products come le
Exchange Traded Notes (ETN), titoli di debito il cui rendimento replica quello di un indice e privi
della protezione del capitale investito, o le Exchange Traded Commodities (ETC), titoli basati sui
prezzi delle materie prime, si avvalgano di contratti derivati, esistono alcune differenze cruciali fra
queste tipologie di investimento e i prodotti strutturati. Innanzitutto, mentre gli ETP sono facilmente
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scambiabili in Borsa, i prodotti strutturati non sono quotati e spesso possono essere comprati e ven-
duti solo tramite l’emittente. Gli ETF, poi, sono caratterizzati da un alto livello di trasparenza, in
particolar modo quelli europei, soggetti alle direttive UCITS
1
che specificano chiaramente quali ti-
pologie di costi sono incluse nel calcolo del Total Expense Ratio, una misura dei costi totali di un
ETF. Gli emittenti degli ETF, inoltre, sono tenuti a indicare nel prospetto informativo in quali asset
possono investire e il livello di diversificazione minimo che devono ottenere. Viceversa, in molti
casi i prodotti strutturati presentano carenze informative.
L’insieme di questi fattori può spiegare le diverse risposte degli investitori alla crisi seguente al fal-
limento di Lehman Brothers nel 2008: da una parte la crescita dell’industria degli ETP, dall’altra la
crisi del mercato degli strutturati
2
.
Nel 2011, però, il clima di sfiducia nei confronti dei derivati e, piø in generale, dei mercati finanzia-
ri, ha avuto ripercussioni anche sugli ETF sintetici, facendo segnare un livello di flussi in uscita dai
fondi superiore rispetto a quello dei flussi in entrata. Le cause di questo stop sono da ricercare
nell’accresciuta prudenza degli investitori che, spinti dalla crisi, sono diventati piø consapevoli del
rischio di default della controparte nei contratti swap, su cui si basano gli ETF sintetici, ma anche
nelle polemiche sollevate dai media e nelle crescenti preoccupazioni dei regolatori, con l’European
Securities and Markets Authority (ESMA) in primo piano
3
. I dati forniti da Morningstar Direct
sembrano comunque mostrare che tale inversione di tendenza sia stata soltanto temporanea, poichØ
nel primo trimestre del 2012 i flussi di ETF sintetici sono tornati in positivo.
La tesi è suddivisa in quattro capitoli:
- il primo riguarda i fondi comuni di investimento in generale: cosa sono, come funzionano e quali
sono i principali costi; viene inoltre accennato il tema del confronto fra gestione attiva e gestione
passiva;
- il secondo tratta della nascita e dell’evoluzione degli ETF nel mondo, con un occhio di riguardo al
caso italiano;
- nel terzo vengono esposti i principi base del funzionamento degli ETF e le loro caratteristiche
principali in termini di costi e fiscalità; il capitolo è suddiviso in due sottocapitoli, il primo sugli
ETF a replica fisica, il secondo su quelli a replica sintetica;
- nel quarto vengono proposti alcuni criteri di scelta degli ETF e alcune possibili strategie di inve-
stimento da adottare per sfruttare al meglio le potenzialità di questi strumenti.
1
Undertaking for the Collective Investments in Trasferable Securities, una serie di norme emanate dall’Unione Europea
con lo scopo di definire le forme di investimento collettivo autorizzate ad operare liberamente nella UE
2
Chris Flood, “ETFs gain as structured products flounder”, Financial Times, 11 maggio 2012
3
Elaine Moore, “Regulators worried about “synthetic” ETFs”, Financial Times, 14 ottobre 2011
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Nelle conclusioni, infine, vengono evidenziati i principali vantaggi e svantaggi degli ETF, tentando
di indicare le possibili prospettive e opportunità di sviluppo di questi prodotti.
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CAPITOLO 1: CENNI SUI FONDI DI INVESTIMENTO
1.1 Funzionamento dei fondi di investimento
I fondi comuni di investimento, assieme alle banche, rappresentano il piø importante canale attra-
verso cui le famiglie possono investire i loro risparmi
4
.
La struttura organizzativa dei fondi è basata su tre soggetti diversi: la società di gestione del rispar-
mio, al centro del sistema, la banca depositaria e la rete di vendita. A questi si aggiungono, nel caso
dell'Italia, la Banca d'Italia e la Consob, quali autorità di vigilanza preposte alla tutela del risparmio
e alla disciplina del mercato finanziario.
Il funzionamento di base dei fondi è semplice: gli investitori individuali sottoscrivono delle quote
con cui affidano i propri risparmi alla società di gestione che promuove e gestisce il fondo. La sot-
toscrizione delle quote da parte di tali soggetti non li rende proprietari del fondo, poichè tali quote
non trasferiscono gli stessi diritti delle azioni vere e proprie. Il possesso delle quote, inoltre, non dà
alcun diritto di interferire nella gestione della società, nØ durante la securities selection iniziale, os-
sia nella fase in cui il gestore del fondo seleziona i titoli da mettere nel portafoglio, nØ nell'elabora-
zione di quale strategia di investimento seguire: il mandato conferito alla società di gestione è quin-
di totale e incondizionato.
Il valore delle quote varia in base ai risultati economici della gestione del fondo, i quali a loro volta
dipendono dall'andamento di mercato dei titoli contenuti nel portafoglio, ma anche dalle capacità
dimostrate dalle persone e dalle strutture della società di gestione del risparmio nella securities se-
lection e nella scelta del momento in cui comprare e vendere (il market timing). Alcuni studi
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mo-
strano che i gestori, nello svolgere il loro operato, dimostrano di possedere delle doti relativamente
alla selezione dei titoli, mentre non si può dire altrettanto per quanto riguarda il market timing.
La performance del fondo, se positiva, porterà all'aumento del valore delle quote; viceversa, se ne-
gativa. E' importante poi confrontare la performance del fondo con i risultati raggiunti da un ben-
chmark di riferimento nello stesso periodo; questo è indicato dalla società di gestione nel prospetto
informativo ed è rappresentativo della composizione di portafoglio del fondo. Un obiettivo dei ge-
stori del fondo può essere proprio quello di battere il benchmark, cioè di ottenere un rendimento su-
periore rispetto a quello del parametro di riferimento. Come si vedrà piø avanti, lo scopo degli ETF
è invece quello di replicare, quanto piø fedelmente possibile, la performance di tale indice.
4
Francesco Cesarini, Paolo Gualtieri, I fondi comuni di investimento, il Mulino, 2005, pagg. 40-53
5
Roy D. Henriksson, “Market Timing and Mutual Fund Performance: An Empirical Investigation”, The Journal of
Business, vol. 57, n.1, gennaio 1984, pagg. 73-96; Kent Daniel, Mark Grinblatt, Sheridan Titman, Russ Wermers,
“Measuring Mutual Fund Performance with Characteristics-Based Benchmarks”, The Journal of Finance, vol. 52, n. 3,
luglio 1997, pagg. 1035-1058
6
Le sottoscrizioni e i rimborsi delle quote del fondo fanno capo ad un patrimonio che è separato e au-
tonomo da quello della società di gestione; ciò rappresenta una garanzia per gli investitori, se si
considera anche il fatto che il creditore particolare del socio può rivalersi sulla sua quota, ma non
può aggredire direttamente i beni del fondo comune
6
.
Il soggetto chiave dei fondi comuni è la società di gestione del risparmio (Sgr) che, oltre a gestire
tali fondi, può gestire portafogli di investimenti a livello individuale, istituire fondi pensione e svol-
gere altre attività accessorie e connesse alle precedenti. Proprio a causa della molteplicità di attività
che può trovarsi a svolgere, tale categoria di società è sottoposta a controlli continui ed è attenta-
mente regolata dalla Consob.
Il compito principale della Sgr è promuovere il fondo provvedendo alla sua costituzione e racco-
gliendo i mezzi finanziari necessari presso i risparmiatori tramite l'emissione e il collocamento delle
quote. In secondo luogo, essa deve investire le risorse finanziarie riscosse dal pubblico seguendo la
regolamentazione in materia della Banca d'Italia.
Il servizio fornito dalla società deve essere svolto, come prescrive il Testo Unico della Finanza,
"con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei partecipanti al fondo e dell'integrità del
mercato"
7
. Per garantire l'indipendenza del fondo, la gestione non viene eseguita su base individua-
le, ma tenendo conto di un insieme numeroso di soggetti, indefinito e mutevole; il patrimonio su cui
agisce la società è comune e sulle sue componenti i partecipanti non possono far valere alcun diritto
amministrativo. Un altro principio fondamentale è quello di trasparenza. Esso si realizza tramite la
pubblicazione di regolamenti e prospetti informativi in cui si specificano le classi di strumenti nelle
quali il gestore può investire il patrimonio e si descrivono le regole base che la società segue nella
costituzione del portafoglio.
Uno dei momenti piø importanti nella costituzione del fondo è la securities selection, cioè la scelta
dei titoli che andranno a costituire il portafoglio. Ad essa segue la definizione del tipo (acquisto o
vendita) e della dimensione dell'operazione; l'ordine viene quindi passato a degli intermediari. Una
buona Sgr dovrebbe cercare di limitare al minimo il ricorso agli intermediari, in modo da evitare
che i costi delle commissioni da questi richieste riducano troppo il rendimento delle quote.
Una volta costituito il fondo, la Sgr deve gestire il suo patrimonio. Nello svolgimento di questo
compito essa è coadiuvata ma anche controllata dalla banca depositaria, un soggetto esterno alla so-
cietà di gestione. Tale banca ha il principale compito di sorvegliare l'attività del fondo, in particolar
modo per quanto riguarda la composizione complessiva del portafoglio. Inoltre, essa si assicura che
le transazioni effettuate siano svolte seguendo le best practices del mercato e custodisce gli stru-
6
D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), art. 36, comma 6
7
D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.), art. 40, comma 1, lett. a
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menti finanziari e la liquidità del fondo, realizzando in tal modo la separazione anche fisica del pa-
trimonio del fondo da quello della Sgr.
1.2 Tipologie di fondi di investimento
Esiste un'enorme varietà di fondi di investimento
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. Grosso modo, essi si possono classificare in base
a tre caratteristiche:
- la modalità e la tempistica di emissione e riscatto delle quote;
- la tipologia di asset che costituisce il fondo;
- lo stile di gestione.
La prima distinzione differenzia i fondi chiusi dai fondi aperti. Mentre nei fondi aperti, infatti, le
quote sono emesse in modo continuo e i prezzi si formano e variano giorno per giorno, nei fondi
chiusi l'emissione avviene solo in determinati periodi ad un prezzo ed entro limiti quantitativi fissati
dalla Sgr. Anche le modalità di riscatto sono diverse nei due casi. Nei fondi aperti è possibile riscat-
tare in ogni momento la propria quota; gli ETF rientrano in questa categoria. Nei fondi chiusi, al
contrario, il riscatto totale della quota è possibile solo al termine della durata prevista dal fondo,
mentre sono possibili riscatti parziali se previsti dal regolamento del fondo; ciò rende questo tipo di
fondo meno liquidabile dell'altro e pertanto piø adatto ad investimenti in azioni e obbligazioni di
società non quotate e in immobili.
Il calcolo del valore unitario delle quote dei fondi chiusi avviene solo in determinati momenti; que-
sto fattore, unito alla scarsa liquidità e trasparenza nella valutazione e nelle informazioni relative,
rende tale tipologia di fondi relativamente piø rischiosa rispetto ai fondi aperti. Inoltre, il valore del-
le quote dei fondi chiusi riflette meno il valore corrente degli asset che compongono il patrimonio e
dipende maggiormente dalle stime della Sgr e della banca depositaria.
La seconda distinzione è relativa alla composizione del patrimonio del fondo: i fondi sono classifi-
cati in base all'asset class su cui viene investito il risparmio. Riferendosi alla classificazione di As-
sogestioni del 2003
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, si possono distinguere 5 categorie di fondi:
- azionari, che devono investire in azioni almeno il 70% del portafoglio;
- bilanciati, in cui la componente azionaria può variare tra il 10 e il 90% del portafoglio, a seconda
del bilanciamento;
- obbligazionari, in cui l’investimento prevalente è quello in obbligazioni;
- liquidità, a cui è preclusa la possibilità di investire in azioni;
8
Francesco Cesarini, Paolo Gualtieri, I fondi comuni di investimento, cit., pagg. 76-93
9
Assogestioni, Guida alla classificazione, 2003, pag. 8, http://www.assogestioni.it/index.cfm/3,139,565/07_40020.pdf
8
- flessibili, che non hanno alcun vincolo sull'asset allocation di base e non condividono pertanto al-
cuno specifico fattore di rischio.
La terza e ultima distinzione riguarda gli stili di gestione. Si possono distinguere fondi a gestione
attiva e fondi a gestione passiva. Esiste anche una terza categoria di fondi, gli hedge funds, che a-
dotta strategie di gestione flessibili e presenta una grande eterogeneità al suo interno. Gli unici ele-
menti comuni a tutti gli hedge funds sono il ricorso alla leva finanziaria, attraverso la vendita allo
scoperto e l’uso di strumenti derivati, e un profilo di rischio/rendimento molto elevato; la presenza
di questi fattori ha portato il legislatore italiano alla decisione di imporre un importo minimo di sot-
toscrizione delle quote pari a 500.000 euro
10
.
I fondi a gestione attiva sfruttano le inefficienze presenti nel mercato, cercando di ottenere rendi-
menti superiori a quelli di mercato.
Quelli a gestione passiva, invece, hanno lo scopo di replicare il rendimento di un indice di mercato,
mantenendo la stessa composizione di portafoglio per lunghi periodi di tempo, in modo da contene-
re, per quanto possibile, i costi di gestione.
I fondi indicizzati, o index funds, sono fondi a gestione passiva con lo scopo di replicare perfetta-
mente il rendimento di un indice di riferimento. All'interno di questa categoria rientrano a pieno ti-
tolo anche gli ETF.
La gestione passiva si basa su un'assunzione di base: il mercato è efficiente, non ci sono possibilità
di arbitraggio, e pertanto l'unico fattore determinante del rendimento conseguito dal fondo è la secu-
rities selection iniziale, la fase di scelta dei titoli su cui investire. Secondo questa ipotesi, infatti, non
è possibile ottenere una performance migliore modificando, in base all'andamento del mercato, la
composizione del portafoglio, come nella gestione attiva.
Una delle differenze principali tra i due stili di gestione è in termini di costi: un fondo attivo, infatti,
incorre in maggiori costi di ricerca e analisi, nel tentativo di selezionare i titoli migliori, e per questo
il suo costo complessivo, in termini di commissioni di gestione, è piø elevato di quello di un fondo
passivo o di un ETF, la cui strategia di investimento è piø semplice: il TER medio degli ETF azio-
nari europei è dello 0,37%, mentre per un fondo attivo è dell'1,75%
11
. In teoria, ai maggiori costi
dovrebbero corrispondere performance migliori di quelle del mercato: il fondo cioè dovrebbe essere
in grado, attraverso la gestione, di battere il mercato. I dati della tabella della pagina seguente, però,
sembrano mostrare una realtà diversa.
10
D. 24 Maggio 1999, art. 16, comma 3
11
B. Johnson, I costi bassi sono piø smart, 24/05/10, http://www.morningstar.it/it/412/articles/89292/I-costi-bassi-sono-
piø-smart.aspx