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Introduzione
L’intento di questa tesi è di indagare il passato tedesco legato ai campi di
concentramento e alla Shoah, cercando di capire se e come questo tema è stato
rielaborato e affrontato dal popolo tedesco nella seconda metà del XX secolo. La
prospettiva che è stata scelta per questa analisi è quella della Germania Est, quindi dello
stato socialista fondato quattro anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Che
posizione prenderà la neo fondata Repubblica Democratica Tedesca nei confronti delle
azioni compiute dai nazionalsocialisti? In questa tesi inoltre, si è scelto di analizzare
questo argomento concentrandosi su uno specifico ambito della cultura della DDR: i
documentari. Si è scelto di trattare il campo dei documentari poiché quello letterario e
dei film di finzione è già stato ampiamente discusso, mentre la produzione
documentaria socialista ad oggi non è stata ancora sufficientemente indagata. I
numerosi studi sulla letteratura e cinema della DDR in merito al tema della Shoah e dei
campi di concentramento hanno evidenziato che questo complesso tematico non ha
ottenuto la giusta legittimazione in Germania Est. Il punto dal quale questa tesi trae le
sue origini è proprio questo, in altre parole cercare di capire se l’ambito
documentaristico ha seguito le stesse orme di quello letterario e dei film di finzione
oppure è riuscito a smarcarsi da questi due, dando un valido contributo alla
ricostruzione e alla trasmissione del passato nazionalsocialista.
Dopo aver dedicato uno spazio alla tradizione documentaria in DDR, con
l’intenzione di capire quale fosse la funzione che era stata attribuita a questo genere
cinematografico e aver mostrato in che modo il recente passato fosse stato trattato in
campo letterario filmografico, l’attenzione si focalizza definitivamente sui documentari.
Si è scelto di analizzare sette produzioni, coprendo in questo modo l’intero arco dei
quarant’anni di esistenza della DDR. I documentari sul nazionalsocialismo prodotti in
Germania Est sono in totale tredici. Non potendo, in questa tesi, analizzare
approfonditamente tutti i tredici documentari ne verranno analizzati solamente sette. Si
è scelto di prendere in esame un film per ogni decennio in modo da vedere il
cambiamento che intercorre tra un decennio e l’altro. L’unica eccezione è rappresentata
3
dagli anni Sessanta: di questo periodo verranno presi in considerazione tre documentari
poiché il primo grande spostamento della prospettiva socialista si verifica dalla seconda
metà di questo decennio e allo stesso tempo i due film del 1966 e 1968 sono entrambi
troppo importanti per dover rinunciare a uno dei due. Per quanto concerne gli anni
Quaranta e Cinquanta il problema della scelta non si è posto poiché – come si vedrà – è
stato prodotto solamente un documentario per ciascun decennio. Invece per gli anni
Settanta e Ottanta la scelta ricadrà sul film di Jurgen Böttcher e di Rosa Berger-Fiedler
per via dell’importanza del regista che lo produce – Berger-Fiedler è ebrea - e
dell’ulteriore cambio di prospettiva offerto. L’analisi che verrà proposta di questi
documentari terrà sempre in considerazione soprattutto il contesto politico nel quale
questi film sono stati prodotti, la funzione ad essi attribuita ma anche il contesto storico-
culturale che ne ha permesso la produzione. Si vedrà come nel corso degli anni e dei
decenni la prospettiva, attraverso la quale il tema è stato affrontato, è cambiata. Un
cambiamento che però non sempre è stato sinonimo di miglioramento.
Come si potrà notare sin da queste prime pagine, per delineare il tema cardine di
questa tesi è sempre stata usata l’espressione “campi di concentramento e Shoah”. La
scelta di usare questa doppia terminologia non è assolutamente casuale. I documentari
targati DEFA infatti, nel momento in cui provano ad affrontare o ripercorrere le azioni
compiute dai nazionalsocialisti lo fanno – soprattutto fino all’inizio degli anni Sessanta
– esclusivamente dalla prospettiva antifascista, in altre parole da quella dei prigionieri
politici. Ciò significa che scompare dalla loro visione del passato l’esperienza
prettamente ebraica dello sterminio e quindi quella che è definita convenzionalmente
con il termine “Shoah”. Per questo motivo, quando si parlerà di campi di
concentramento si intenderanno esclusivamente le esperienze dei prigionieri politici
durante gli anni del nazionalsocialismo. Alla luce di ciò, i documentari che verranno
presi in considerazione saranno analizzati anche in base a questa differenza. Si è deciso
pertanto di suddividere le sette produzioni prese in esame in tre differenti sezioni. La
prima include i documentari che affrontano esclusivamente il tema delle deportazioni e
dello sterminio dalla prospettiva degli antifascisti. La seconda comprende quelli che
invece trattano la Shoah e la terza e ultima sezione mostra quei documentari in cui il
passato è stato apparentemente marginalizzato. Inoltre queste produzioni DEFA saranno
messe a confronto con due documentari francesi di grande successo e fama: Nuit et
4
Brouillard (1956) di Alain Resnais e Shoah (1986) di Claude Lanzmann. Da questo
confronto sono state escluse tutte le produzioni americane, Holocaust compreso, perchè
sono state ritenute inadeguate al tema che affrontano, essendo state accusate di aver
romanzato un tema come quello della Shoah. La funzione di questo confronto è di
vedere e capire se e quali differenze ci sono tra le produzioni DEFA e quelle francesi e
infine il motivo alla base di queste possibili diversità.
Infine due parole sul titolo: “Costruire l’inimmaginabile: lo spostamento della
prospettiva dei documentari DEFA sull’orrore nazista”. Innanzitutto la scelta del
termine “costruire” è stata compiuta nell’intento di mostrare la difficoltà di parlare di un
tema come quello delle persecuzioni e dello sterminio nei campi di concentramento.
Affrontare l’argomento non significa riuscire a coglierlo nelle sue molteplici
sfaccettature, tanto meno riuscire a farlo nella sua interezza. Inoltre trattandosi di un
evento che ha avuto un numero di morti nettamente superiore a quello dei sopravvissuti,
mancano le testimonianze di tutti coloro che sono stati definitivamente privati della
parola. In questa prospettiva il termine “costruire” sembra rendere al meglio la volontà
di avvicinarsi gradualmente a questo tema, aggiungendo ogni volta un mattoncino in più
al processo di conoscenza del passato. In secondo luogo, il termine “inimmaginabile”,
utilizzato da Georges Didi-Huberman, serve a spiegare l’impossibilità, da parte di
coloro che non hanno vissuto la tragica esperienza delle deportazioni, di immaginare
tutto ciò che succedeva in quelle baracche. Non di meno, non essendoci immagini che
mostrano fucilazioni o scene all’interno di una camera gas in funzione, com’è possibile
immaginare cosa succedeva e soprattutto cosa si provava in punto di morte? Questo
tema legato all’inimmaginabile dei campi di concentramento verrà approfondito nel
corso dell’analisi di alcuni documentari. Infine si parla nel titolo di uno “spostamento di
prospettiva”, poiché si vedrà che il punto di vista dei registi DEFA non sarà sempre lo
stesso, ma a seconda del tempo trascorso dalla fine della guerra e a seconda del clima
politico che regnava in DDR, la prospettiva del documentario ha subìto delle variazioni.
I cambiamenti più significativi sono due: quello che permette di riportare alla luce la
Shoah all’intero dei documentari e quello che permette di mostrare l’orrore del passato
in modo completamente differente e senza alcuna implicazione propagandistica.
5
1. La tradizione dei documentari in DDR
Il genere cinematografico del documentario trova un terreno relativamente fertile in
DDR, dove la casa di produzione cinematografica, la DEFA, nel corso dei suoi
quarant’anni di attività ha realizzato all’incirca cento documentari. Il motivo di questa
produzione di tutto rilievo sembrerebbe essere dovuto alla funzione che la DDR gli
aveva attribuito, vale a dire quello di principale strumento di propaganda a servizio del
partito politico della SED. Proprio a causa di ciò, questi documentari sono stati
duramente criticati dai regimi occidentali e mai diffusi nella Repubblica Federale
durante gli anni della DDR. La realizzazione dei film faceva parte del piano economico
stilato dal partito. Pertanto prima che un film potesse essere realizzato, il progetto
doveva essere esaminato da una commissione nominata appositamente. Se otteneva
l’approvazione di quest’ultima il progetto veniva preso in esame dal ministero della
cultura che a sua volta doveva approvarlo. Solo a questo punto poteva iniziare la
lavorazione del progetto cinematografico. I documentaristi della DEFA godevano di una
posizione privilegiata rispetto a quelli della Repubblica Federale perché il loro contratto
prevedeva che fossero regolarmente pagati anche nel caso in cui non avessero prodotto
alcun film. I documentari erano proiettati sia al cinema, dove precedevano la proiezione
del film, fungendo quindi da Vorfilm, sia nei “Filmklubs” e nei “Kulturhäuser”, dove la
messa in onda era seguita da una discussione tra il pubblico e i produttori. La visione
dei documentari in questi ambienti non ebbe però molto successo, in quanto è stato
calcolato che nel corso dei primi cinquanta appuntamenti erano presenti in media poco
più di cento persone. In alcuni rari casi, soprattutto dalla fine degli anni cinquanta,
vennero prodotti documentari di maggiore durata perlopiù di soggetto storico, che
furono proiettati al cinema, non più come Vorprogramm – che per altro era seguito con
scarso interesse dal pubblico – bensì come film vero e proprio. Questa tipologia di
documentari ebbe maggiore successo tra il pubblico, probabilmente grazie alla
maggiore qualità della storia portata in scena.
1
1
Heinz Kersten, Erinnerungen an eine Landschaft in Peter Zimmermann (a cura di)
Deutschlandbilder Ost (1995). UVK-Medien, Konstanz. P.125.
È il caso questo di documentari quali,
Das russische Wunder (1963) di Annelie e Andrew Thorndike o Das Jahr 1945(1984)
6
di Karl Gass. Successivamente i documentari vennero diffusi anche in televisione. La
DEFA realizzava i documentari sulle pellicole nel formato da 35 mm e la loro durata
poteva variare dai quindici ai trenta minuti, arrivando in alcuni casi, seppur rari, a
raggiungere i cinquanta-sessanta minuti. Nonostante la breve durata, si tratta di
produzioni di tutto rispetto come sostiene Peter Zimmermann, il quale mette in evidenza
come “ein Zwang zu Kürze und ästhetischer Prägnanz, die der Qualität oft eher genützt
als geschadet hat.”
2
Durante i quarant’anni del governo DDR la produzione dei
documentari ha attraversato diverse fasi, a seconda del regista e dello sceneggiatore che
ne curava la produzione, ma soprattutto in relazione agli avvenimenti politici che
facevano da sfondo alla produzione documentaria. Pertanto il ritratto della società che
emerge dai diversi documentari è tutt’altro che statico e indistinto.
3
“film (per lo più cortometraggio) informativo o istruttivo su avvenimenti, luoghi,
attività, senza aggiunta di elementi inventivi o fantastici. Può essere distinto in categorie
che ne specificano le caratteristiche: di attualità (film-giornale, rassegna di fatti o
avvenimenti contemporanei in tutto il mondo), scientifico, didattico (per insegnare una
disciplina), culturale, turistico ecc. […] Il d. si contrappone di solito, come genere
minore, al film a soggetto o di finzione, di cui storicamente precedette o accompagnò la
nascita, influenzando poi in profondità il cinema in generale.”
Nel corso di questo
capitolo si cercherà di fornire un quadro completo della filmografia documentaria,
evidenziandone le evoluzioni e involuzioni che ha subìto a causa del rapporto di estrema
dipendenza che aveva con la politica governativa. Prima di iniziare questa analisi è
necessario definire il documentario in quanto genere, per capire quale sia il suo valore
intrinseco. L’enciclopedia del cinema Treccani riporta alla voce documentario la
seguente definizione:
Se da un lato questo genere cinematografico è alquanto duttile per la molteplicità di
temi che è in grado di affrontare, dall’altra però presenta una condicio sine qua non
valida per qualsiasi tematica: la rappresentazione del vero. Questo cosiddetto dogma su
2
Peter Zimmermann, Der Dokumentarfilm der DEFA zwischen Propaganda
Alltagsbeobachtung und subversiver Rezeption, in Peter Zimmermann (a cura di)
Deutschlandbilder Ost (1995). UVK-Medien, Konstanz. P.9.
3
Joerg Schweinitz, Hilde Hoffmann, Tobias Ebbrecht, Zur Einleitung – Die Erinnerung an die
DDR, der Dokumentarfilm und die Filmgeschichtschreibung in Joerg Schweinitz, Hilde
Hoffmann, Tobias Ebbrecht (a cura di), DDR – erinnern, vergessen (2009). Schüren Verlag,
Marburg. P.8.
7
cui si dovrebbe fondare ciascun documentario non è stato sempre rispettato, come è
avvenuto per esempio nel caso dei documentari nazisti prodotti e divulgati durante gli
anni della guerra. Kurt Maetzig in Vom Wesen des Dokumentarfilms (1946) spiega che
“das wesentliche Merkmal des Dokumentarfilms ist natürlich […] seine Echtheit, seine
Beweiskraft, aber lange Jahre hindurch zeigte man uns Tausende von echten Bildern
und entwarf doch ein ganz falsches Bild. Man sah den Krieg stets als siegreichen
Feldzug, die Wehrmacht erlitt niemals eine Niederlage, und man wählte nur solche
Bilder aus, die nicht di Schrecken des Krieges zeigten, sondern ein ins Optimistische
verzerrtes, nicht typisches Bild.”
4
A questa situazione non è del tutto estranea nemmeno la DEFA che secondo
Zimmermann mostrava nei documentari “Abbilder der Realität […], entwarfen sie nicht
selten allegorisch überhöhte Wunschbilder, die im Rückblick allerdings einen
eigentümlichen Reiz ausüben. [...] Dokumentation und Fiktion wurden nicht als
gegensätzliche, sondern als sich ergänzende Verfahren filmischer Gestaltung der
Wirklichkeit begriffen.”
5
“die stilistische, die er als Aufnahme mit vielen Kameras zum Erreichen eines
«Durchschnittsbildes» beschreibt. Die zweite ist für ihn der Weg der Auswahl des
Besonderen […]. Die dritte Methode ist der «Weg der Erfassung, Auswahl und
Darstellung des Typischen des Vorgangs».”
Stutterheim sottolinea che secondo Maetzig un documentario
per essere credibile doveva rispettare tre importanti dogmi:
6
Per quanto concerne i soggetti che erano affrontati nei documentari prodotti in DDR, si
potrebbe dire che negli anni quaranta e cinquanta presentano quasi esclusivamente
soggetti a sfondo storico e politico, che hanno a che fare con la memoria collettiva, ma
soprattutto con l’immagine e la narrazione di se stessi, in altre parole con la propria
rappresentazione in quanto individui facenti parte di quella determinata società, quale
4
Ibid., p.24.
5
Peter Zimmermann, Der Dokumentarfilm der DEFA zwischen Propaganda
Alltagsbeobachtung und subversiver Rezeption, in Peter Zimmermann (Hg.) Deutschlandbilder
Ost (1995). UVK-Medien, Konstanz. P.17-22.
6
Kerstin Stutterheim, Das Alte und das Neue: Nonfiktionaler Film der frühen Defa, in Joerg
Schweinitz, Hilde Hoffmann, Tobias Ebbrecht (Hg.), DDR – erinnern, vergessen (2009).
Schüren Verlag, Marburg. P.114.
8
era la DDR,
7
mentre a partire dagli anni sessanta iniziano a volgere l’attenzione anche
sulla quotidianità. Come è già stato accennato in precedenza l’immagine di se stessi che
viene veicolata attraverso i documentari ha subìto variazioni a seconda dell’epoca e del
contesto politico in cui il progetto cinematografico è stato girato. Ciò che invece è
rimasta invariata è stata la funzione che questi dovevano avere: “Die DDR sollte mit
ihrem Gesellschaftsmodell als Vollstreckerin von historischem Sinn verstanden,
entsprechend legitimiert und propagiert werden.”
8
7
Joerg Schweinitz, Hilde Hoffmann, Tobias Ebbrecht, Zur Einleitung – Die Erinnerung an die
DDR, der Dokumentarfilm und die Filmgeschichtschreibung in Joerg Schweinitz, Hilde
Hoffmann, Tobias Ebbrecht (Hg.), DDR – erinnern, vergessen (2009). Schüren Verlag,
Marburg. P.8.
A causa del loro scopo quasi
esclusivamente propagandistico, la produzione di documentari ha incontrato fin
dall’inizio non pochi problemi legati alla censura che così come avveniva all’interno
della sfera letteraria, poteva vietare la messa in onda di tutte quelle produzioni che non
erano ritenute conformi a quell’immagine, che il regime voleva dare di se stesso oppure
pretendeva determinati cambiamenti prima di autorizzarne la diffusione. Un esempio di
ciò è rappresentato dal film Erinnern heißt Leben (1987) di R. Berger-Fiedler. Da un
documento del Ministerium für Kultur HV-Film Sektor Filmzulassung und Kontrolle
emerge che il titolo originario del film non era quello sopra citato ma Weißenseer
Friedhof. Il permesso ottenuto nell’agosto del 1987 per la diffusione di questo
documentario era vincolato alla decisione presa il 30 luglio 1987 in merito al titolo con
cui il documentario sarebbe dovuto essere proiettato. Ogni produttore era tenuto sotto
stretto controllo, nonché pesantemente influenzato durante la realizzazione del
documentario. I numerosi veti posti dalla censura diminuiscono in parte solo nel corso
degli anni sessanta, con l’avvento della televisione come mezzo di divulgazione
primario. I programmi televisivi erano seguiti da un numero di telespettatori nettamente
superiore a quello dei film proiettati nei cinema. Pertanto il partito identifica la
televisione come il canale primario per influenzare la massa. Affinché il messaggio che
veniva trasmesso attraverso gli spettacoli televisivi potesse offrire un’immagine della
DDR e della sua politica alquanto positiva, le produzioni erano pesantemente
influenzate e rigidamente controllate. Siccome i documentari venivano proiettati
soprattutto al cinema piuttosto che in televisione, la censura si dimostra più indulgente
8
Ibid., p.10.
9
nei loro confronti, in quanto a partire da questo decennio l’attenzione degli organi di
censura si focalizza quasi esclusivamente sui programmi per la messa in onda televisiva.
Come accadde in campo letterario, anche l’ambiente cinematografico fu privato,
almeno inizialmente, di tutte quelle produzioni che avrebbero mirato alla cosiddetta
Vergangenheitsbewältigung, in altre parole alla rielaborazione del recente passato
tedesco. Il regime socialista voleva evitare qualsiasi punto di contatto e di continuità
con le atrocità compiute durante gli anni del nazionalsocialismo, privando il popolo
della neo-fondata repubblica di un confronto con esse. Pertanto letteratura e
cinematografia dovevano volgere lo sguardo al futuro senza voltarsi più indietro a
guardare il passato, ricercando la loro nuova identità esclusivamente nel presente e nelle
“Verheißungen des Morgens.”
9
9
Kerstin Stutterheim, Das Alte und das Neue: Nonfiktionaler Film der frühen Defa, in Joerg
Schweinitz, Hilde Hoffmann, Tobias Ebbrecht (a cura di), DDR – erinnern, vergessen (2009).
Schüren Verlag, Marburg. P.110.
A causa di questa politica portata avanti dagli esponenti
politici della SED, nel corso degli anni quaranta è stato prodotto un unico documentario
incentrato sulla Shoah, Todeslager Sachsenhausen (1946). Se la letteratura dovrà
attendere fino al 1969 prima di assistere alla pubblicazione di un romanzo – Jakob der
Lügner di Jurek Becker - che ponga al centro della narrazione il tema della Shoah, per
quanto riguarda i documentari, dovranno passare ben tredici anni prima che questo tema
sia nuovamente affrontato in un documentario. Nel 1959 viene girato da Rolf Schnabel
e Wolfgang Landvogt Mahnung für alle Zeiten, nel quale una voce fuori campo
racconta la storia del campo di concentramento di Buchenwald. Emblematica è la scena
finale in cui i nuovi capi di stato tengono un lungo discorso interamente volto a
mostrare il futuro del nuovo stato, senza accennare minimamente alla memoria del
passato. Se da un lato il tema della Shoah doveva essere allontanato dagli occhi del
popolo, doveva essere invece affrontato il tema dell’antifascismo e del passato
nazionalsocialista. Il motivo di questa necessità va ricercato nell’ideologia che sta alla
base della fondazione del nuovo stato socialista, cioè della costruzione della propria
immagine di stato antifascista. Affinché ciò fosse possibile, il popolo doveva avere ben
chiare quali fossero state le circostanze che avessero condotto alla nascita di una politica
spietata come quella del nazionalsocialismo, in modo da evitare che avvenimenti simili
potessero ripetersi nel nuovo stato. Pertanto negli anni cinquanta oltre ai numerosi film
10
antifascisti furono prodotti anche diversi documentari su questo tema. Maestri nella
realizzazione di questo soggetto furono Andrew e Annelie Thorndike. Du und mancher
Kamerad (1956), Urlaub auf Sylt (1957) e Unternehmen Teutonenschwert (1958) film
che rappresentano un valido tentativo di spiegare il passato. Judith Keilbach scrive in
merito a questi tre documentari:
“[sie] blicken [ ] jedoch nicht nur auf die deutsche Geschichte zurück, sondern beziehen
auch die Gegenwart beider deutscher Staaten mit ein. Sie verstehen den Faschismus als
Folge des Kapitalismus […] und warnen vor einem wiederauflebenden Militarismus in
der BRD, der aus der personellen Kontinuität der Machteliten in Politik, Militär und
Wirtschaft resultiere.”
10
Registi e sceneggiatori dovevano però collocare il soggetto anche all’interno
della loro quotidianità, cimentandosi quindi con temi legati alla politica della
ricostruzione (Aufbau), sulla quale si fondava principalmente la mentalità del nuovo
governo. Non a caso alcuni tra i primi documentari prodotti nel 1946 pongono l’accento
su questa ideologia fin dal titolo, come nel caso di Berlin im Aufbau, di Kurt Maetzig e
Potsdam baut auf, di Joop Huisken. Inoltre i documentari dovevano essere strettamente
legati al tema della “Arbeitsmoral, Vorbildfunktion, Ordnung und Sauberkeit im
Betrieb, Produktionssteigerungen und Ernteerfolge.”
11
10
Judith Keilbach, Archive sagen aus. Zum Stellenwert von Filmdokumenten in den Filmen von
Andrew und Annelie Thorndike, in Joerg Schweinitz, Hilde Hoffmann, Tobias Ebbrecht (a cura
di), DDR – erinnern, vergessen (2009). Schüren Verlag, Marburg. P.133.
Pertanto ciò che ne derivava era
una sorta di resoconto della vita quotidiana in DDR, con lo scopo di fare propaganda
politica. Il primo documentario in assoluto prodotto il 1 Maggio 1946 dalla DEFA fu
Einheit SPD-KPD che come suggerisce il titolo serviva per fare propaganda alla
fondazione del nuovo partito della SED, nato dalla fusione dei già esistenti partiti della
SPD e KPD. Inoltre al centro della scena, inserito nel contesto quotidiano, c’era
l’individuo dipinto come parte integrante della società, instancabile lavoratore che
contribuiva alla crescita economica del paese, nonché attivo esponente della nuova
classe sociale. La produzione documentaria, al pari degli altri campi della cultura,
doveva stimolare nel modo più concreto possibile il lavoro materiale, al fine di
11
Kerstin Stutterheim, Das Alte und das Neue: Nonfiktionaler Film der frühen Defa, in Joerg
Schweinitz, Hilde Hoffmann, Tobias Ebbrecht (a cura di), DDR – erinnern, vergessen (2009).
Schüren Verlag, Marburg. P.111.
11
innalzare il socialismo a sistema politico vincente in confronto con gli altri.
12
Al fine di
veicolare un messaggio che risultasse alquanto realistico, i produttori dovevano seguire
il cosiddetto “realismo socialista”, una corrente di pensiero introdotta in Unione
Sovietica da Stalin nel 1932 e successivamente formulata nel 1934 e nel 1946 da Andrej
Shdanow che durante gli anni della DDR, soprattutto all’inizio degli anni cinquanta, era
considerata sacrosanta.
13
“Nach dieser Doktrin soll der Künstler »das Leben kennen, es nicht scholastisch, nicht
tot, nicht als >objektive Wirklichkeit<, sondern als die objektive Wirklichkeit in ihrer
revolutionären Entwicklung darstellen. Dabei muss die wahrheitsgetreue und historisch
konkrete künstlerische Darstellung mit der Aufgabe verbunden werden, die werktätigen
Menschen im Geiste des Sozialismus ideologische umzuformen und zu erziehen«.”
Secondo Emmerich,
14
La vocazione al realismo socialista rimarrà alla base di tutti i documentari prodotti dalla
DEFA, con la sola differenza che dagli anni settanta in poi non sarà più inteso come uno
stile unico, bensì come una molteplicità di stili, in altre parole si rivelerà essere uno stile
alquanto duttile che potrà essere applicato in modi differenti a diverse tipologie
narrative.
Ernst Opgenoorth individua la presenza di tre differenti tipologie di soggetti che
hanno caratterizzato i documentari prodotti tra il 1946 e il 1959. La prima è quella che
lui definisce con i termini di “Selbstdarstellung” e “Volksdemokratie”, vale a dire la
rappresentazione della vita politica in tutte le sue sfaccettature, dalle dimostrazioni
politiche, alle assemblee e deliberazioni che ne seguivano. Der Weg nach oben (1950)
di Andrew Thorndike e Karl Gass rappresenta al meglio questa categoria. Come
suggerisce il titolo, il documentario racconta l’ascesa della DDR in ogni suo più piccolo
dettaglio, dalla fine della guerra, all’unificazione del partito, dalla costruzione delle
industrie alla produzione di acciaio, senza tralasciare gli aspetti culturali di cui si era
fatta promotrice. Non mancava mai in questo contesto la presenza di Wilhelm Pieck,
presidente della Repubblica Democratica Tedesca dal 1949, che veniva rappresentato
come figura paterna della società. Thorndike nel 1951 in occasione dei festeggiamenti
per il settantacinquesimo compleanno del presidente, realizza un film interamente
12
Wolfgang Emmerich, Kleine Literaturgeschichte der DDR (1996). Aufbau Verlag, Berlin.
P.115.
13
Ibid., pp.119-120.
14
Ibid., p.120.