Introduzione
E' opportuno iniziare questa trattazione dal suo titolo, chiarendone gli
elementi. Quello qui esaminato è il tema delle politiche per l'energia dell'Unione
europea. La scelta di utilizzare questa espressione, rispetto a quella affine di
“politica energetica”, deriva dalla constatazione che, nel periodo preso ad esame,
l'Unione europea non aveva una propria politica energetica compiuta, ma era
altresì capace di porre in essere una serie di interventi riguardanti il campo
dell'energia. Solo di recente (con il Trattato di Lisbona) l'Unione europea si è
dotata di competenze specifiche sulla materia e ancora oggi, dopo che si è a lungo
lavorato nel senso di una convergenza delle politiche energetiche nazionali dei
membri dell'UE, è difficile dire se si possa parlare di una vera politica energetica
europea.
Il secondo elemento di questa tesi è l'area del Mar Caspio, intesa in senso
ristretto come il gruppo di tre Stati, Azerbaijan, Kazakhstan e Turkmenistan, che
occupano le rive occidentale e orientale del mare chiuso, o in senso più ampio a
ricomprendere tutti i cinque Stati rivieraschi, inclusi Russia e Iran, ed anche i
Paesi vicini. Il tratto che unisce questo secondo al primo elemento è evidente: si
tratta delle grandi riserve di gas e petrolio presenti nel sottosuolo di quei Paesi,
rimaste per lungo tempo sottoutilizzate e riscoperte dall'occidente sul finire del
secolo passato.
Il terzo elemento riguarda l'arco storico analizzato, gli anni dal 1989 al
1999. Quel primo anno segnò l'inizio di un periodo estremamente dinamico per
l'evoluzione delle politiche per l'energia nella Comunità europea e fu testimone
dell'adozione dei primi provvedimenti intesi a far avanzare l'integrazione del
mercato energetico interno. Vedremo come questa fase evolutiva interna si
intrecciò con le azioni intraprese dalla Comunità sul piano esterno, influenzandole
e ricevendo ulteriore stimolo da esse. Il 1989 è anche l'anno della caduta del muro
di Berlino e l'anno in cui l'attenzione della Comunità europea si volse ad est, verso
la metà del continente dalla quale era rimasta per decenni divisa e, ancora più ad
3
oriente, verso l'Unione Sovietica in una fase di profonda trasformazione.
L'assistenza tecnica divenne da quell'anno uno strumento di fondamentale
importanza mediante il quale perseguire gli interessi comunitari, che fu utilizzato
anche nei rapporti con l'area del Mar Caspio. L'anno conclusivo del periodo
scelto, il 1999, fu segnato da due eventi principali riguardanti il tema del trasporto
degli idrocarburi, che furono il compimento di una parabola durata alcuni anni: il
primo, la conclusione di un accordo modello, sviluppato nell'ambito di uno
specifico programma comunitario di assistenza tecnica, con lo scopo di agevolare
la realizzazione di progetti di sistemi di trasporto interstatale; il secondo fu la
firma di un accordo intergovernativo tra Azerbaijan, Georgia e Turchia che diede
il via libera alla costruzione dell'ultimo dei grandi progetti di oleodotto che
caratterizzarono il decennio. L'importanza di questi due fatti è connessa al ruolo
centrale che le rotte d'esportazione giocarono nella partita sullo sviluppo delle
risorse del Mar Caspio.
I tre elementi appena elencati tracciano i confini di questo lavoro, mentre il
filo conduttore che lega gli eventi passati in rassegna è il tema della sicurezza
energetica, nella sua declinazione particolare come sicurezza degli
approvvigionamenti.
Quella della sicurezza energetica è una questione particolarmente sensibile
per Paesi importatori d'energia, quali sono ancora oggi i membri dell'Unione
europea insieme considerati. La dipendenza da fonti esterne nel 1990 era pari al
78% del consumo di petrolio e al 41% del consumo di gas naturale complessivo
dei 15 Paesi membri, una dipendenza che, data la rilevanza dell'energia per il
funzionamento di tutti gli altri comparti dell'economia di uno Stato, costituiva un
fattore di debolezza non trascurabile. L'economia europea risultava
particolarmente esposta alle fluttuazioni del prezzo del petrolio sui mercati
internazionali e alle possibili interruzioni delle importazioni di greggio, una
condizione alla quale la Comunità era chiamata a trovare delle risposte. Nel corso
di questa trattazione va dunque tenuto presente come le vicende dell'area del Mar
Caspio e le politiche per l'energia dell'Unione europea si intrecciarono entro
l'orizzonte della ricerca, da parte dell'UE, di un miglioramento della propria
4
sicurezza energetica.
Per quanto riguarda la struttura dello scritto, questa tesi si divide in due
parti, ciascuna comprendente quattro capitoli. Nella prima parte il focus è
sull'Unione europea e sullo sviluppo delle politiche per l'energia, nella seconda
parte si sposterà sugli Stati del Mar Caspio e sul complesso delle relazioni tra
questi e l'UE.
In entrambe le parti si valicano inizialmente i limiti temporali dell'analisi per
andare ad indagare i precedenti: nel capitolo 1 daremo uno sguardo all'evoluzione
storica delle politiche per l'energia della Comunità per meglio comprendere il
percorso che ne ha determinato la forma nel periodo di nostro interesse; nel
capitolo 5, il primo della seconda parte, sarà dato conto della storia delle risorse
petrolifere del Mar Caspio, di come abbiano perso il ruolo di primaria importanza
per l'industria mondiale del petrolio e siano state a lungo trascurate, per essere
infine riscoperte nel periodo qui esaminato.
Il capitolo 2 è dedicato al fermento che coinvolse il settore energetico nelle
politiche comunitarie tra fine anni '80 e inizio anni '90, una vitalità che portò il
tema dell'energia a tracimare in molteplici ambiti d'azione della Comunità, incluso
quello delle relazioni esterne. Nei capitoli 3 e 4 saranno indagate due iniziative
dell'UE, centrali per quanto trattato in questa tesi, rispettivamente il programma di
assistenza tecnica TACIS e il processo della Carta Europea dell'Energia. Si tratta
di due iniziative che non ebbero come solo interlocutore l'area del Mar Caspio, ma
coinvolsero l'Europa centro-orientale e tutta l'ex Unione Sovietica. Il programma
TACIS, e il suo omologo PHARE, furono gli strumenti messi in campo dall'UE
per sostenere il processo di transizione degli ex Paesi comunisti verso l'economia
di mercato, programmi nei quali all'energia fu riservato un ruolo importante. Il
processo della Carta Europea dell'Energia, invece, integrò il medesimo scopo di
sostegno alla transizione, favorendo nel contempo gli investimenti occidentali nel
settore energetico dell'ex Unione Sovietica.
Nella seconda parte saranno affrontate, nei capitolo 6 e 7, la nascita e lo
sviluppo delle relazioni dell'Unione europea con i nuovi Stati indipendenti che dal
1992 si affacciarono sul Mar Caspio e la competizione internazionale che
5
interessò le risorse di quei Paesi prima e dopo la loro conquista dell'indipendenza.
L'oggetto dell'ultimo capitolo sarà il programma dell'UE denominato INOGATE,
che ebbe lo specifico obiettivo di favorire l'esportazione di gas e petrolio del
Caspio verso l'Europa.
6
PARTE PRIMA
L'ENERGIA IN EUROPA
Capitolo 1
Il tema dell'energia nel processo di integrazione europea
L'accordo internazionale col quale iniziò nel 1951 la costruzione dell'attuale
Unione europea istituiva, com'è noto, la Comunità Europea del Carbone e
dell'Acciaio
1
.
La “Dichiarazione Schuman” del maggio 1950 aveva meglio chiarito il
senso del dar vita a una tale struttura internazionale: tramite la messa in comune
delle due risorse, carbone e acciaio, mediante una gestione sovranazionale, si
voleva impedire che ancora una volta le nazioni europee, e prime tra queste la
Francia e la Germania, potessero piombare in un conflitto armato devastante
com'era accaduto già per due volte dall'inizio del secolo.
Oltre che per il valore strategico che avevano per l'industria bellica, le due
materie prime oggetto dell'accordo furono scelte anche per la loro primaria
importanza economica. La CECA, nelle intenzioni francesi, avrebbe aiutato lo
sviluppo dell'industria siderurgica consentendo un più agevole accesso del Paese
alle riserve carbonifere della Ruhr; allo stesso tempo avrebbe reso disponibile il
minerale di ferro della Lorena per la rinascita dell'industria tedesca.
Delle due risorse sottoposte alla regolamentazione espressa nel trattato
CECA, il carbone è ascrivibile al settore dell'energia primaria. Il tema dell'energia
1 Il Trattato sulla Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) fu firmato nell'aprile
1951 a Parigi.
7
fece quindi il suo ingresso (parziale) nella dimensione dell'integrazione europea
fin dai suoi albori, a motivo del ruolo giocato dalle risorse carbonifere nelle
relazioni tra le due nazioni, Francia e Germania, al centro dell'accordo
2
.
Nel 1957 si realizzò a Roma il secondo fondamentale passo della
costruzione europea, la firma dei due trattati che istituivano la Comunità
Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea dell'Energia Atomica
(Euratom). Ancora una fonte di energia primaria, l'energia nucleare, era l'oggetto
centrale del Trattato Euratom, che provvedeva alla creazione di un monopolio
degli approvvigionamenti di materiale fissile, ovvero la materia base per poter
provocare la reazione atomica con la quale produrre energia elettrica, e stabiliva
inoltre, per gli organi convenzionali, il compito di stimolare e diffondere la ricerca
in campo nucleare e di incentivare gli investimenti.
Sembrerebbe potersi desumere, quindi, che la materia energetica sia stata
individuata come fondamentale fin dagli inizi del processo di integrazione
europea, però a questo apparente ampio interesse non corrispose, se non molto
tempo dopo, la formulazione di una più completa e puntuale politica energetica
europea (del 1995 è il Libro Bianco della Commissione intitolato “Una politica
energetica per l'Unione europea”).
La ragione di questo sfalsamento tra la presenza del tema dell'energia e una
sua elaborazione compiuta va individuata, in primo luogo, nella resistenza da
parte degli Stati membri a delegare le scelte in una materia considerata di interesse
strategico
3
. La storia dell'integrazione europea si snoda lungo il percorso di un
progressivo spostamento di competenze dagli Stati membri alle istituzioni
comunitarie, accompagnato dalla contemporanea resistenza da parte degli Stati a
rinunciare a fette di sovranità. Per lungo tempo gli Stati membri avrebbero
preferito conservare per sé, nonostante gli sforzi per far convergere le singole
politiche energetiche, le scelte relative al mix energetico nazionale o alle fonti
d'approvvigionamento.
2 Desmond Dinan, Origins and evolution of the European Union, Oxford University Press,
2006, pp. 127-128.
3 Andrea Prontera, “La politica energetica: concetti, attori, strumenti e sviluppi recenti” , in
Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, n. 1, 2008, p. 43.
8
La riluttanza dei governi non va però additata come la sola causa della
mancata strutturazione di una politica energetica completa. Il modo stesso nel
quale il tema dell'energia divenne parte del processo di integrazione europea
costituì, infatti, un ostacolo al suo sviluppo coerente.
Con la stipulazione dei trattati di Roma, CEE ed Euratom, la materia
energetica risultò divisa tra diversi organi competenti e diverse regolamentazioni a
seconda della fonte energetica: i combustibili solidi sottoposti alle disposizioni del
trattato CECA; l'energia atomica regolamentata dal trattato Euratom in maniera
differente rispetto a quanto previsto per il carbone (nel caso dell'energia atomica,
infatti, l'obiettivo dell'accordo internazionale non era la creazione di un mercato
comune); infine ogni altra fonte energetica, e in particolare gli idrocarburi,
ricadeva idealmente nell'alveo delle disposizioni del trattato CEE.
In effetti il trattato di Roma che istituiva una Comunità Economica Europea
non faceva menzione esplicita di fonti d'energia, ma si poteva ritenere che queste
fossero da assimilarsi ad altri prodotti e di conseguenza fossero anch'esse oggetto
della creazione di un mercato comune aperto
4
. Inoltre il trattato CEE, a differenza
degli altri due accordi, dava vita a un corpus normativo che fondava un “sistema
generale di integrazione” e stabiliva “regole fondamentali del processo
integrativo” che potevano pertanto essere estese e applicate anche al settore
energetico nei casi in cui non fosse già prevista una normativa specifica.
A quel punto la competenza per la materia energetica era assegnata, con
estensione e confini differenti, a organismi distinti facenti capo a Comunità
distinte, non esenti dall'ambizione di preservare ognuno le proprie prerogative in
materia
5
.
I sei Stati membri delle Comunità (tanti sarebbero rimasti per circa due
decenni fino al primo allargamento) differivano tra loro ampiamente con riguardo
alla dotazione energetica e, di conseguenza, alle scelte operate in materia di
politica energetica. I Paesi Bassi erano l'unico Paese dei Sei a ospitare una
4 Guy de Carmoy e Georges Brondel, L'Europe de l'énergie: objectif 1992 et perspectives 2010,
Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 1991, pp. 59-61.
5 Armelle Demagny-Van Eyseren, “L'Europe à la recherche d'une politique pétrolière commune
du Traité de Rome au premier choc pétrolier”, in Bulletin de l'Institut d’histoire du temps
présent, n. 84 novembre 2004, p. 3.
9
compagnia petrolifera rilevante a livello internazionale ed erano pertanto molto
legati a proposte economiche liberiste. La Germania dal canto suo era
maggiormente preoccupata della sorte del carbone, materia prima della quale era
particolarmente ricca e che, in quanto strettamente connessa all'interno della
nazione tedesca a questioni di politica sociale, era spesso regolata in maniera
confliggente con i principi del liberalismo economico. La Francia, ancora, aveva
una posizione divergente rispetto a quella olandese in merito alle regole valevoli
per il petrolio: essendo fortemente dipendente dalle importazioni, il Paese
auspicava la netta distinzione, ai fini dell'applicazione delle tariffe doganali, tra il
greggio prodotto sul suolo comunitario e quello proveniente dall'esterno, ma
questa soluzione si rivelava controproducente per i Paesi Bassi e il greggio che
questi estraevano nelle Antille Olandesi
6
.
Dal 1959 venne creato un “gruppo di lavoro interesecutivo”, composto da
membri delle tre Commissioni (l'Alta Autorità CECA, la Commissione CEE, la
Commissione Euratom), incaricato di collaborare nell'ambito delle questioni
energetiche; una collaborazione segnata da profonde divergenze di obiettivi tra
chi, da una parte, era orientato alla tutela degli interessi carboniferi e coloro che,
dall'altra, si ispiravano all'idea di apertura del mercato dei prodotti petroliferi ed
era quindi più vicino agli interessi delle major del petrolio
7
. Pur nelle difficoltà, la
scelta di istituire una tale collaborazione era segno della consapevolezza che il
tema dell'energia difficilmente poteva essere affrontato in maniera proficua
mantenendo una artificiosa suddivisione delle sue branche. Il tentativo, positivo,
voleva dare un minimo di unitarietà.
Il prodotto del “gruppo di lavoro interesecutivo” fu un Memorandum sulla
politica energetica sottoposto alla valutazione del Consiglio della CEE il 25
giugno 1962. Nel documento si proponevano una serie di provvedimenti di
stampo decisamente liberista, con alcuni correttivi e restrizioni riguardo ai
rapporti economici con l'Europa dell'est e con accanto la previsione di
sovvenzioni all'industria del carbone interna. Presentato a più riprese ed oggetto di
6 Armelle Demagny-Van Eyseren, “L'Europe à la recherche...” cit., p. 6.
7 Ivi, p. 3.
10
accese discussioni, il Memorandum non sarebbe sfociato in alcuna misura
concreta
8
.
Il Consiglio subì, negli anni seguenti, pressioni costanti da varie direzioni,
in particolare dal Parlamento europeo e dalla Commissione, affinché fossero
adottate delle linee guida in materia energetica. Questo obiettivo fu raggiunto nel
1964 con l'adozione di un testo intitolato “Protocollo d'accordo sui problemi
energetici”, con il quale si definivano i grandi principi guida di una futura politica
energetica: approvvigionamenti a buon mercato, sicurezza e stabilità
dell'approvvigionamento, progressività delle sostituzioni, libera scelta del
consumatore ed equa concorrenza sul mercato tra le diverse forme di energia
9
.
Quello che pareva un buon risultato fu però vanificato dalla coincidenza con
una scelta operata nello stesso momento a livello comunitario. Il 24 febbraio
1964, due mesi prima dell'approvazione del documento appena citato, era stata
infatti firmata la decisione di fusione degli esecutivi, che sarebbe avvenuta
concretamente nel 1967, una volta superato l'ostacolo della “crisi della sedia
vuota”
10
. In attesa che la fusione degli esecutivi fosse realizzata, e tenuto conto
della diversità delle regolamentazioni convenzionali dei tre trattati, tutte le
decisioni in materia di politica energetica furono congelate per alcuni anni.
Una volta realizzata la fusione degli esecutivi, un unico soggetto, la
Commissione, poteva finalmente adoperarsi per garantire il coordinamento delle
politiche energetiche settoriali. Era necessario un piano, che ancora mancava, per
definire chiaramente gli obiettivi che la Comunità nel suo insieme avrebbe dovuto
perseguire nel campo energetico. Il punto d'incontro raggiunto dal Consiglio tre
anni prima non era certamente sufficiente. Come esplicitato in una Risoluzione
del Parlamento Europeo riguardante il Protocollo d'accordo del 1964, se dal
documento era possibile evincere che “si sta[va] formando la volontà politica di
8 Ivi, p. 4.
9 Consiglio delle Comunità Europee, Protocollo di accordo sui problemi energetici, del 21
aprile 1964, in G.U.C.E. del 30.04.1964, p. 1099/64.
10 La Francia, contraria alle proposte della Commissione volte a rafforzare i poteri in capo alla
Comunità, boicottò per circa sei mesi i lavori del Consiglio di fatto bloccandone l'operatività.
La crisi fu superata con il “compromesso di Lussemburgo” che, conferendo un diritto di veto
ad ogni Stato anche in caso di votazioni a maggioranza, perpetuava di fatto il principio
dell'unanimità.
11
attuare un mercato comune dell'energia” (corsivo aggiunto), il Parlamento
sottolineava come ancora “i Governi si limitano troppo ad emettere dichiarazioni
di intenzioni” e deplorava la mancanza di impegni per l'attuazione delle proposte
contenute nel Memorandum degli Esecutivi del 1962, nonché l'assenza di ogni
“altro progetto di politica energetica comune, connesso a termini di esecuzione
prestabiliti”
11
.
Il piano mancante fu presto redatto e presentato nel dicembre 1968 con il
nome di “Primo orientamento per una politica energetica comunitaria”. In questa
Comunicazione della Commissione al Consiglio, per la prima volta erano fissati
degli obiettivi concreti anziché delle semplici elencazioni di principi guida,
accompagnati da un'analisi approfondita della situazione energetica della
Comunità. Concepito come un “piano d'azione politica”, nel documento la
Commissione affermava di non ritenere necessario “definire nuovamente gli
obiettivi di una politica comunitaria dell'energia, quali sono stati concordati tra gli
Stati membri nel Protocollo di accordo del 1964”; piuttosto, partendo dai dati
concreti del settore dell'energia, si avanzavano proposte a breve e medio termine,
mettendo in luce gli strumenti normativi comunitari già a disposizione per il
perseguimento dei fini individuati.
Una prima importante misura di politica energetica prese corpo appena due
giorni dopo la presentazione della Comunicazione: si trattava di una Direttiva (la
numero 68/414/CEE del 20 dicembre 1968) che fissava l'obbligo del
mantenimento di una quantità minima di prodotti petroliferi come stock di
sicurezza, una quantità pari almeno al consumo medio per 65 giorni riferito
all'anno precedente. La direttiva intercettava le preoccupazioni scaturite dalla
recente crisi internazionale che, a seguito del conflitto tra Israele e Paesi arabi (la
“guerra dei 6 giorni”) aveva portato nel 1967 al blocco del canale di Suez per un
certo periodo e allo stop degli approvvigionamenti provenienti dal Medio Oriente.
Questa misura si inseriva nell'obiettivo di garantire la sicurezza degli
approvvigionamenti (o tra quelli che il Primo orientamento definiva “interventi in
11 Parlamento Europeo, Risoluzione sulla politica energetica nella Comunità, in G.U.C.E. Del
27.05.1964, pp. 1278 – 1279.
12
caso di difficoltà di approvvigionamento”), in particolare ponendo rimedio all'urto
di possibili crisi. Era quindi una misura di carattere emergenziale da affiancare ad
altre azioni di carattere strutturale per assicurare la continuità degli
approvvigionamenti ad un costo ragionevole. Accanto alla politica di stoccaggio,
che doveva riguardare nelle proposte della Commissione il petrolio greggio, i suoi
derivati e i combustibili nucleari, l'altra proposta era infatti un esame permanente
delle possibilità di approvvigionamento, dei rischi d'interruzione e delle possibilità
per porvi rimedio.
La Direttiva venne in seguito rivista e aggiornata con una nuova Direttiva
del 1972 con la quale l'obbligo di scorte minime venne portato da 65 a 90 giorni.
Si giungeva così alle soglie del periodo più critico, che avrebbe ulteriormente
elevato la centralità del tema della sicurezza degli approvvigionamenti.
Il 1973 è ricordato, almeno da parte dei Paesi occidentali, come l'anno della
prima crisi petrolifera (dal lato dei Paesi produttori di petrolio la crisi aveva
piuttosto il volto di un'opportunità), un vero e proprio shock economico. Nel corso
di alcuni mesi i prezzi dei prodotti petroliferi crebbero fino a quattro volte il loro
livello iniziale mentre, seconda faccia dello shock, fu imposto un embargo
selettivo sui prodotti petroliferi verso alcuni Paesi del blocco occidentale, ovvero
gli Stati Uniti e i Paesi Bassi, colpevoli di aver dato il loro sostegno ad Israele
nella guerra dello Yom Kippur scoppiata ad ottobre dello stesso anno e divenuta il
pretesto per il precipitare della crisi.
Lo scoppio della crisi mise in luce e portò a compimento alcune dinamiche
in corso. Innanzitutto rese ancor più chiaro il processo di progressivo aumento del
costo dei prodotti petroliferi, che già si era manifestato in ambito Opec nel 1971,
con gli accordi di Teheran e Tripoli che stabilivano un rialzo dei prezzi. L'altra
dinamica che si palesava nel '73, strettamente connessa al rialzo dei prezzi, era lo
spostamento da un mercato dei compratori a un mercato dei venditori, ovvero il
potere di decidere l'andamento del mercato passava solidamente in mano ai Paesi
produttori di petrolio e l'approvvigionamento petrolifero si faceva naturalmente
più costoso
12
.
12 Giuliano Garavini e Francesco Petrini, “Continuity or change? The 1973 oil crisis
13
La crisi petrolifera minava alle base la stessa crescita economica che in
qualche modo poteva essere assunta tra le sue cause; ovvero la crescita economica
e l'aumento del fabbisogno energetico che lo sviluppo industriale aveva portato
con sé, avevano costituito i presupposti perché potesse darsi l'aumento del prezzo
di una risorsa scarsa come il petrolio. Questo aumento del costo a sua volta era
elemento di freno alla crescita economica.
La produzione industriale subì una brusca frenata. L'inflazione negli Stati
della Comunità, che non aveva mai superato il 4% dal dopoguerra, crebbe sino ad
una media del 12% su base annua nel periodo 1973-1975
13
. La crisi portò con sé
uno sconvolgimento delle bilance dei pagamenti e un forte aumento della
disoccupazione, facendo piombare le nazioni occidentali nella prima vera
recessione dal dopoguerra.
I detentori dei giacimenti di greggio mediorientali avevano lanciato una
sfida complessa, che meritava una risposta decisa e possibilmente unitaria, una
sfida importante anche per la politica energetica comunitaria in costruzione. Tra le
nazioni europee e più ampiamente nel blocco occidentale prevalse invece
l'attenzione per il singolo interesse nazionale e per le esigenze domestiche.
Nel 1973 la geografia della Comunità era cambiata, in quell'anno si
assistette al primo allargamento con l'ingresso di tre nuovi Stati membri: Regno
Unito, Irlanda, Danimarca - che, avendo siglato il trattato di adesione il 22
gennaio 1972, divennero effettivamente membri della Comunità il 1 gennaio
dell'anno seguente, portando a nove il numero delle nazioni parte. Da un punto di
vista di politica energetica si trattò di un allargamento molto importante, poiché il
Regno Unito nella sua adesione alla Comunità portava in dote risorse energetiche
di tutto riguardo, sepolte nei giacimenti nel Mare del Nord. Inoltre facevano capo
alla Gran Bretagna due delle grandi major internazionali del petrolio, la British
Petroleum (BP) e l'anglo-olandese Shell (britannica per un 40%). Lo sviluppo
della politica energetica comunitaria risultò in parte danneggiato dalla maggiore
reconsidered”, in Antonio Varsori e Guia Migani (a cura di), Europe in the international arena
during the 1970s, Bruxelles, P.I.E. Peter Lang, 2011.
13 Commissione europea (DG «Informazione, comunicazione, cultura», divisione
«Pubblicazioni»), L'energia nella Comunità europea, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
Comunità Europee, Lussemburgo, 1991, p. 18.
14