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INTRODUZIONE
I MUSEI CONTEMPORANEI. DA SEPOLCRI DELL'ARTE A
CATTEDRALI DELLA POSTMODERNITA'.
In un saggio del 1955
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, il filosofo e sociologo tedesco Theodor Adorno
rifletteva sulla assonanza tra museo e mausoleo, sostenendo che tra i due
termini esistesse una somiglianza non solamente a livello fonetico ma
anche, e soprattutto, in termini di ruolo, e arrivando a definire i musei
come dei veri e propri sepolcri delle opere d'arte.
Posizioni piuttosto simili sono peraltro riscontrabili in altri pensatori di
primissimo piano: secondo Hans-Georg Gadamer il museo determina
una separazione assoluta dell'arte dalla vita
2
, Heidegger allargava la
critica al concetto stesso di collezione, a suo giudizio responsabile di un
allontanamento delle opere dal loro reale mondo
3
, mentre l'esistenzialista
francese Maurice Merleau-Ponty arrivava a definire le istituzioni museali
come delle lugubri necropoli, davvero ben lontane dal poter essere
considerate come i luoghi ideali per l'arte
4
.
Da tutte queste considerazioni emergeva così un'immagine dei musei
piuttosto negativa: quelli che sarebbero dovuti essere i templi della
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Theodor Adorno, “Valery Proust Museum”, 1955 in Prismen, traduzione italiana “Valery,
Proust e il museo”, in Prismi – Saggi sulla critica della cultura, Giulio Einaudi Editore, Torino
1972
2
Hans Georg Gadamer, “Verità e Metodo”, Bompiani Editore, Milano 2001
3
Martin Heidegger "L'origine dell'opera d'arte", Edizioni Marinotti, Milano 2000
4
Maurice Merleau-Ponty, ”Il linguaggio indiretto e le voci del silenzio”, in Segni, Net Libri,
2003
2
cultura e delle arti si rivelavano in realtà dei retaggi del passato in stato
comatoso, dei luoghi chiusi e totalmente isolati, caratterizzati da una
eccessiva autoreferenzialità e dall'incapacità cronica ad aprirsi al mondo
esterno.
Non solo filosofi, ma anche sociologi, artisti e gli stessi museologi
esprimevano giudizi piuttosto duri, sostenendo l'assoluta necessità di un
radicale ripensamento dell'intero sistema museale, al fine di garantirne la
sopravvivenza.
Oggi, a distanza di qualche decennio, la maggior parte di queste critiche
e perplessità appare ormai superata e smentita dalla realtà dei fatti: ben
lungi dall'essere caduti in disgrazia, infatti, i musei vivono un periodo di
grande salute e vitalità, tanto da essere globalmente considerati come uno
dei pilastri più solidi "dell'organizzazione culturale e sociale della tarda
modernità, segnata da quella che Remo Guidieri non ha esitato a
definire un vero e proprio fenomeno di museofilia."
5
L' idea di luoghi oscuri e sommersi dalla polvere del tempo è così venuta
definitivamente meno, lasciando spazio ad una immagine che non
potrebbe essere più diversa: i musei attuali sono infatti percepiti come
luoghi prestigiosi ed esclusivi, ma allo stesso tempo aperti ed accessibili
a tutti, impegnati in un dialogo reale e continuo con quel mondo esterno
rispetto al quale, per lungo tempo, essi si erano posti in una posizione di
esilio volontario.
5
Stefania Zuliani, “Il museo all’opera”, Bruno Mondadori, Milano 2006, p.2
3
Sembra dunque che quel processo di radicale rinnovamento e
ripensamento circa il ruolo e l'essenza stessa dell'istituzione museale, che
in molti avevano auspicato, si sia effettivamente verificato.
Ruth Rentschler e Anne Marie Hede ne collocano gli inizi attorno alla
metà degli anni Settanta.
6
Secondo le due autrici australiane è infatti proprio in questo periodo che
emerge e va diffondendosi sempre di più una nuova consapevolezza:
affinchè un museo possa continuare ad esistere non è più sufficiente
limitarsi a radunare, conservare e studiare gli oggetti che ne costituiscono
la collezione.
Istituzioni senza fini di lucro, in gran parte dipendenti da finanziamenti
governativi, i musei si ritrovarono infatti coinvolti in una lotta per la
sopravvivenza contro un numero sempre maggiore di enti no-profit
ugualmente bisognosi di sovvenzioni pubbliche, e furono pertanto
chiamati a dimostrare di "valere" tutti i fondi a cui ambivano: il poter
contare su un pubblico numeroso e fedele venne a rappresentare, in
questo senso, una delle migliori garanzie che essi potessero offrire.
Questa tesi è confermata da Neil e Philip Kotler, i quali evidenziano
inoltre come a partire dai primi anni Ottanta si sia verificata una
diminuzione quantitativa degli stessi fondi, cosa che ha portato ad una
6
Ruth Rentschler - Anne Marie Hede "Museum Marketing", Butterworth-Heinemann, Londra
2007, p.15
4
considerevole riduzione dei finanziamenti governativi destinati ai musei
7
.
Si è pertanto diffusa la necessità vitale di incrementare il numero dei
propri visitatori, cercando al tempo stesso di trovare nuove soluzioni per
riuscire a coprire tutti i crescenti e pesanti costi di gestione.
E’proprio per provare a risolvere questi nodi che tecniche e concetti
mutuati dal marketing fanno allora il proprio ingresso nel mondo dei
musei, diventando sempre più utilizzati e andando a modificarne a fondo
sia gli obiettivi fondamentali che l’organizzazione interna, la quale
diventa più complessa e stratificata.
Nascono nuove figure professionali, i musei assumono in pianta stabile
esperti di marketing, comunicazione e fund raising e gli stessi direttori,
fino ad allora considerati più che altro dei "custodi della cultura",
vengono ora chiamati a dotarsi di una visione manageriale dalla quale
non si può più prescindere.
L’attirare e il fidelizzare i visitatori, elementi a lungo considerati
marginali rispetto ad aspetti come le collezioni o la ricerca,
rappresentano oggi degli obiettivi primari per tutti i musei del mondo,
ragion per cui diventa indispensabile studiare e conoscere al meglio tutti
i soggetti con i quali essi entrano continuamente in contatto.
Il concetto di "pubblico generale", ormai vetusto e del tutto inadeguato a
spiegare la realtà attuale, lascia così spazio a differenti tipologie di
7
Neil Kotler – Philip Kotler, “Marketing dei musei”, Einaudi, Torino 2004, pp.62-63
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visitatori, classificabili sulla base di molteplici criteri
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e caratterizzate da
differenze di desideri, bisogni e aspettative anche piuttosto consistenti.
Dalle scolaresche ai turisti, dagli habituè alle famiglie, ogni giorno i
musei vengono visitati da un popolo estremamente eterogeneo,
considerazione che costringe gli addetti ai lavori a pianificare e proporre
un’offerta culturale alquanto varia e differenziata, adeguatamente
costruita sulla base dei reali interessi di ognuno di questi segmenti.
E' proprio per riuscire ad aumentare al massimo la conoscenza dei propri
visitatori, in modo da poter fornire loro il miglior servizio possibile, che
le indagini su di essi, i cosiddetti visitor studies, vengono sempre più ad
assumere, agli occhi degli addetti ai lavori, nuova e fondamentale
importanza. Se gli studi su comportamento e attese del pubblico dei
musei non sono una novità assoluta, dal momento che negli Stati Uniti
essi son stati condotti regolarmente fin dagli anni Venti, quello che è
cambiato, oltre naturalmente al miglioramento degli strumenti e
all'aumento delle conoscenze, è stata soprattutto la prospettiva, i fattori
oggi reputati fondamentali e magari un tempo più trascurati.
In particolar modo è fondamentale sottolineare la grande importanza che
è sempre più venuto ad assumere l'aspetto motivazionale, la
comprensione delle ragioni che spingono le persone a dedicare parte del
proprio tempo libero alla visita di un museo piuttosto che a tante altre
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Le classificazioni maggiormente utilizzate suddividono i visitatori ad esempio per fascia di
età o reddito, piuttosto che non per etnia, estrazione sociale o background culturale.
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attività: sempre più, infatti, i musei sono sottoposti alle pressioni
competitive introdotte da un'offerta ricreativa, culturale ed educativa che
si fa costantemente più eterogenea e ricca.
In questo scenario così complesso i musei faticano molto spesso a
trovare un pubblico costante e patiscono appunto fortemente la presenza
di numerose altre possibili fonti di svago per il tempo libero, anche se
molto diverse rispetto a loro
9
.
Tutto questo ha quindi avuto un'altra importante conseguenza: non basta
più concentrare l'attenzione solo sui visitatori effettivi, reali, bensì
bisogna anche studiare con estrema attenzione il segmento opposto, ossia
tutte quelle persone che per un motivo o per un altro trascurano
completamente l'offerta proposta da queste istituzioni culturali, e
possono quindi essere considerate a tutti gli effetti dei non-visitatori.
Sempre di più, quindi, gli esperti si concentrano proprio su questa
tipologia di persone, cercando di comprendere al meglio quelle che sono
le "barriere" che determinano in loro un distacco e un totale disinteresse
nei confronti delle attività museali. Numerose ricerche condotte a livello
internazionale hanno evidenziato come il non-pubblico dei musei sia
9
In questo senso emblematico è uno studio IBM del 2004, realizzato attraverso l'elaborazione
di dati ISTAT del 2003, che evidenziava come i musei risultassero in Italia la forma di
occupazione del tempo libero in assoluto meno fruita, sia a livello di soldi spesi, che di
numerosità del pubblico complessivo, che della spesa pro-capite per servizio. La situazione
non sembra peraltro particolarmente diversa neanche a livello continentale, come emerso da
un'indagine Eurostat realizzata nel 2007. Eventi sportivi o musicali, piuttosto che non cinema,
teatri e discoteche sono gli "antagonisti" del museo in questa continua lotta per riuscire ad
attirare le persone nel proprio tempo libero, e le ricerche di cui si è qui fatta menzione
dimostrano proprio come, rispetto ad essi, i musei siano quelli che più faticano ad imporsi.
Fabrizio Baldassarre, "Il museo:organizzazione, gestione, marketing", Franco Angeli, Milano
2009, pp.250-251
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generalmente costituito da individui caratterizzati da un livello culturale
più basso, elemento probabilmente ovvio e noto da tempo ma che non
manca di creare una sorta di cortocircuito su cui direttori e responsabili
sono chiamati a riflettere a fondo. Se infatti uno dei ruoli storicamente
fondamentali dei musei è sempre stato quello di educare e far "progredire
culturalmente" il proprio pubblico, il fatto che la grande maggioranza dei
visitatori attuali sia costituita da persone di livello culturale già medio
alto rappresenta in qualche misura anche un problema, dal momento che
indica in modo abbastanza evidente sia come la "funzione pedagogica"
sia andata un po'perdendosi col passare del tempo, sia come sia
necessario un profondo lavoro per modificare questa percezione, ancora
diffusa benchè non più particolarmente veritiera, dei musei come luoghi
elitari.
Aprirsi all’esterno, aumentare il numero di visitatori ed ampliare la
propria offerta culturale sono dunque diventati gli obiettivi
imprescindibili di questo nuovo paradigma nella gestione museale: prima
conseguenza di ciò è che i musei hanno cessato di essere solamente dei
luoghi deputati alla conservazione di arte e cultura, per diventarne essi
stessi attivi produttori.
Accanto alle mostre temporanee vengono così continuamente organizzati
eventi quali conferenze, proiezioni o happening musicali, mentre
l’esigenza di formare il pubblico del futuro ha determinato un rilevante
8
aumento di importanza delle attività didattiche, per le quali tutti i musei
stanziano oggi una consistente fetta del proprio budget.
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Si tratta, come detto, di un percorso di modernizzazione e rinnovamento
piuttosto recente e ancora ben lontano dall’essere terminato, e sarebbe
altamente fuorviante pensare che esso sia avvenuto, e stia continuando ad
avvenire, in modo del tutto lineare e privo di ostacoli o critiche.
La stessa Ruth Renschler
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mette ad esempio in evidenza come la parola
marketing rimanga tuttora "a dirty word to some in museums", un
concetto in grado di far storcere il naso a tutti quelli che continuano a
collegarlo esclusivamente alle strategie di vendita delle macchine di
seconda mano, piuttosto che non ad altri settori commerciali comunque
troppo lontani e diversi dall'universo museale.
Non è allora difficile comprendere come questi punti di vista conducano
inevitabilmente a conclusioni pessimistiche: se gli strumenti del
marketing sono infatti qualcosa di incompatibile con la museologia, il
continuare ad utilizzarli non potrà che avere delle gravi ripercussioni
sugli stessi musei, la principale delle quali è senza dubbio una loro totale
crisi di identità. Secondo questa prospettiva, infatti, la crescente
applicazione di dottrine e tecniche di mercato al fine di attirare visitatori
e renderne più accattivante l’immagine, avrebbe portato ad un graduale
allontanamento dei musei da quelli che fino ad allora ne erano stati i
10
Adriana Polveroni, “This is contemporary!”, Franco Angeli, Milano 2007, p.82
11
Rentschler – Hede, op. cit., p.12
9
compiti fondamentali, la cosiddetta mission costitutiva.
Anche l'istituzione museale sarebbe così entrata in quella fase di
"iperconsumo” che sembra caratterizzare l’intera società attuale, subendo
una netta trasformazione e diventando qualcosa di radicalmente diverso:
un ibrido per molti aspetti simile ad un centro commerciale, uno spazio
aperto caratterizzato dalle molteplici possibilità d’uso, nel quale la stessa
posizione di assoluta centralità dell’arte e della cultura sembra non essere
più così salda e indiscutibile.
La grande attenzione dedicata dagli attuali direttori a concetti come il
branding o il merchandising, piuttosto che non l’ingente spazio fisico
occupato nei musei contemporanei da caffetterie, ristoranti e shops
stanno in effetti a dimostrare la reale esistenza di un rapporto tra mondo
museale e logiche commerciali e consumistiche piuttosto stretto e
probabilmente destinato a stringersi ulteriormente nel futuro prossimo.
Se su queste tematiche ci possono dunque essere opinioni anche molto
diverse e contrastanti, appare comunque davvero eccessivo sostenere che
tutti questi cambiamenti abbiano avuto effetti esclusivamente negativi
sullo sviluppo attuale e futuro dei musei, i quali, come detto, sembrano
godere di buona salute nonostante tutte le possibili derive
iperconsumistiche e le presunte crisi di identità.
I musei che più di tutti gli altri meglio simboleggiano questa nuova
condizione di luoghi di sperimentazione e di apertura, di tendenza e
10
contaminazione con il mondo esterno sono senza ombra di dubbio quelli
di arte contemporanea: l’enorme crescita quantitativa che essi hanno
avuto nel corso degli ultimi decenni
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ne è la miglior testimonianza, uno
sviluppo che può essere spiegato sostanzialmente in due modi.
Innanzitutto esso ci fa comprendere come le diverse ricerche artistiche
contemporanee, originariamente nate come avanguardie, siano ormai
diventate a tutti gli effetti delle realtà consolidate, si potrebbe quasi dire,
usando un termine tipico dell'industria musicale, di mainstream, capaci
di suscitare un forte interesse a livello di pubblico e di occupare una
posizione di totale dominio all'interno di quel mercato dell'arte che nel
solo 2009 ha avuto, nonostante la recessione economica globale, un giro
di affari stimabile attorno ai 45 miliardi di dollari.
In secondo luogo è altrettanto fondamentale evidenziare ancora una volta
il forte valore simbolico che lo stesso "contenitore" dell'opera artistica, il
museo, è venuto sempre più ad assumere, al punto da essere diventato un
vero e proprio "status symbol culturale"
13
, un qualcosa che "preferisce
oggi esibire prima di tutto se stesso”
14
e che, in questo modo, “entra in
qualche modo in competizione diretta con l'opera d'arte facendosi opera
d'arte esso stesso."
15
12
Attualmente si contano circa duecento musei di arte contemporanea negli Stati Uniti, circa
centocinquanta in Europa, senza contare che questo forte incremento numerico ha
interessato anche nazioni come Giappone, Cina e Sud America. Dati presi da:
Francesco.Poli,” Il sistema dell'arte contemporanea”, Editori Laterza, Bari 1999, pp.123-125
13
F.Poli, op. cit., p.123
14
Stefania Zuliani, op. cit. , p.5
15
V. nota 13
11
La struttura architettonica è senza dubbio uno degli elementi che meglio
simboleggiano questo tentativo dei musei stessi di farsi opera d’arte:
progettati dagli architetti più quotati a livello internazionale,
16
caratterizzati da una immagine chiamata ad essere immediatamente
riconoscibile ed unica, essi "sembrano accentrare su di se le stesse
attenzioni destate ad esempio in passato dalle spettacolari fontane
barocche collocate nei punti cruciali delle città"
17
.
Tra città ospitanti e musei si viene così a creare un rapporto piuttosto
stretto che peraltro non si esaurisce assolutamente nel solo valore estetico
e simbolico della architettura di questi ultimi. Enormi sono infatti anche
le ricadute in termini economici, di prestigio e di impatto turistico di cui
le città spesso beneficiano, motivo per cui, negli ultimi anni, un numero
sempre maggiore di amministrazioni guarda all’edificazione di nuovi
musei contemporanei come possibile strada per avviare un processo di
sviluppo, piuttosto che non di riqualificazione, del proprio territorio.
Per tutta questa serie di fattori, diversi studiosi hanno ribattezzato gli
attuali musei di arte contemporanea come “cattedrali della
postmodernità”: proprio come queste, secoli fa, avevano un’enorme
importanza non soltanto dal punto di vista religioso, così oggi i musei
riescono ad oltrepassare la mera dimensione artistica diventando
16
Come esempi possiamo tra gli altri citare il Guggenheim Bilbao (Frank Gehry), il MACBA di
Barcellona (Richard Meier), la Tate Modern di Londra (Herzog & de Meuron)o il Centre
Georges Pompidou di Parigi (Renzo Piano)
17
Stefania Zuliani, op. cit., pag 107
12
qualcosa di più.
Due esempi evidenziano bene questa capacità del museo contemporaneo
di farsi portatore di molteplici significati e di riuscire a trasformare in
modo positivo il territorio che lo ospita.
La Tate Modern di Londra, realizzata dallo studio svizzero Herzog & de
Meuron attraverso il completo recupero di una vecchia centrale elettrica
ed inaugurata nel maggio del 2000, ha totalmente rivitalizzato e
riqualificato l'intero quartiere di Southwark. Dati forniti dalla stessa Tate
raccontano di come essa abbia contribuito a creare tra i duemila e i
quattromila nuovi posti di lavoro nei primi cinque anni dall'apertura,
portando all'intera città benefici economici stimabili tra i settantacinque e
i centoquaranta milioni di sterline
18
. Oggi, a dieci anni esatti dalla sua
inaugurazione, la Tate Modern ha assunto un valore simbolico che va
ben oltre le sue dimensioni o le sue collezioni artistiche: come lo
scrittore svizzero ha sottolineato in un articolo recentemente apparso sul
The Daily Telegraph, la galleria è oggi "uno spot di quello che la Gran
Bretagna dovrebbe essere", un edificio che riflette alla perfezione i valori
della nazione, cosa che un tempo avevano provveduto a fare l'abbazia di
Westminster o Buckingham Palace
19
. Nuovi enormi ritorni, sia in termini
economici che occupazionali, sono peraltro attesi dall’espansione del
18
Erminia Sciacchitano, “I musei di architettura e arte contemporanea nel mondo”, Baldi,
2006, p.128
19
http://www.telegraph.co.uk/culture/art/art-features/7623851/Tate-Modern-a-symbol-of-
Britain-as-it-would-like-to-be.html