3
1. INTRODUZIONE
In questo studio si è cercato di fornire un’analisi globale dell’opera in versi di
Giuseppe Conte, con particolare attenzione al “trattamento” che subisce l’io del
poeta. Sono stati analizzati tutti i libri di poesia che Conte ha scritto, da Il processo di
comunicazione secondo Sade a Ferite e rifioriture; un breve accenno viene fatto alle
lettere in versi Épater l’artiste e Sulla divisibilità dell’io, pubblicate rispettivamente
su rivista e in antologia, e alla poesia Una mezza palinodia estiva, uscita su rivista
con altre liriche non ancora raccolte in volume. Vengono anche riportati degli estratti
dai saggi e dalle altre opere in prosa di Conte, nella misura in cui essi risultano utili
per definire la poetica dello scrittore.
Sono stati affrontati gli aspetti peculiari del lavoro di Conte: il “ritorno” alla
natura come soluzione alla crisi della civiltà occidentale, l’innovativo utilizzo del
mito e della metafora, il rinnovato impegno civile dello scrittore. Parallelamente si è
tentato di contestualizzare il lavoro di Conte parlando del rapporto che il poeta
instaura con la neoavanguardia; è stata approfondita la sua proposta rivoluzionaria
che tende ad identificare l’origine della poesia nel desiderio, una forza che sta al di
fuori dei codici linguistici e che pertanto non può essere spiegata in modo esaustivo
dall’analisi testuale.
È stato dedicato un paragrafo ad ogni opera in versi di Conte. Fanno
eccezione i due paragrafi che comprendo l’uno le lettere in versi e il Processo di
comunicazione secondo Sade, l’altro L’ultimo aprile bianco e L’Oceano e il
Ragazzo. Nel primo caso, i testi sono stati considerati insieme perché la loro brevità
non richiedeva una trattazione separata; nel secondo caso, gli strettissimi legami che
uniscono i due libri hanno impedito la stesura di due paragrafi indipendenti, a meno
che non si volesse correre il rischio di incappare in continue ripetizioni.
Si è cercato infine di elaborare alcuni giudici critici su Conte che, pur
rappresentando una delle voci più significative nel panorama europeo, continua a
costituire un “caso letterario”, perché inattuale e sostanzialmente estraneo al clima
culturale contemporaneo. In modo particolare, si è tentato di investigare la forza
della proposta di Conte, che vede nella poesia una forma di conoscenza del mondo
empatica, vicina allo “sciamanesimo” dei popoli primitivi e tendenzialmente
4
contrapposta all’approccio razionalistico che domina la cultura occidentale. Allo
stesso tempo, è stato indagato lo strettissimo rapporto che Conte instaura con la
grande tradizione della poesia occidentale, di cui si sente erede, e soprattutto con
Shelley, Lawrence, Whitman e Borges. In questa prospettiva si colloca anche
l’analisi del lavoro stilistico di Conte, che tende ad un parziale recupero della forme
metriche della tradizione.
Ampio spazio è stato dedicato all’analisi dei modi in cui il poeta tratta il
proprio “io biografico”. Con questa espressione si vuole intendere l’insieme di
sentimenti, affetti e ricordi dell’uomo Conte, e infine dei suoi stessi dati anagrafici,
che assumono a mano a mano un’importanza basilare. Nelle prime raccolte il poeta
tende a rifiutare questi elementi “identificativi” per immergersi nel ciclo di
metamorfosi in cui si svolge la vita anonima della natura; poi si registra un
progressivo recupero di essi, che si traduce in una poesia più lirica e intimistica. Il
libro Dialogo del poeta e del messaggero è stato trattato come il momento decisivo
di questa svolta. Si è cercato di sottolineare come la riscoperta dell’io raggiunga uno
straordinario equilibrio con quell’anelito di ricongiungimento e fusione con le forze
cosmiche che rappresenta una costante per tutta l’opera di Conte.
5
2. NOTA AL TESTO
Nelle note che si riferiscono alle opere in versi di Giuseppe Conte, si
utilizzano generalmente le seguenti abbreviazioni:
Il processo di comunicazione secondo Sade Processo
L’ultimo aprile bianco Aprile
L’Oceano e il Ragazzo Oceano
Le stagioni Stagioni
Dialogo del poeta e del messaggero Dialogo
Canti d’Oriente e d’Occidente Canti
Ferite e rifioriture Ferite
6
3. BIOGRAFIA DI CONTE
Giuseppe Maria Silvio Conte nasce a Porto Maurizio il 15 novembre 1945.
Sua madre Anita è ligure, suo padre Franco siciliano; i due si sono conosciuti alla
fine della seconda Guerra mondiale, quando Franco Conte, ufficiale dei Granatieri di
Sardegna, si trovava in Liguria.
Conte frequenta le scuole elementare e media a Porto Maurizio; prosegue gli
studi al ginnasio e al liceo classico “De Amicis” di Oneglia. S’interessa alla
letteratura, ma anche a geografia, astronomia e musica (soprattutto jazz). Incomincia
a scrivere testi teatrali, poesie e romanzi che non pubblicherà; leggendo Baudelaire,
Lawrence, Mallarmé e Miller incomincia a desiderare di diventare uno scrittore.
Ottenuto il diploma di Maturità classica nel 1964, si iscrive alla Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università Statale di Milano. Studia il formalismo russo, lo
strutturalismo, la semiotica, il neopositivismo logico, la psicoanalisi freudiana.
Tramite il docente di Estetica Gillo Dorfles, suo professore, si avvicina alla
neoavanguardia. Pur non partecipando alle contestazioni del Sessantotto, è spinto dal
clima culturale a mettere in discussione i valori della civiltà occidentale e soprattutto
le forme di autorità patriarcale. Sempre nel 1968, si laurea con una tesi sulla
metafora nella poetica barocca.
Incomincia ad insegnare negli istituti superiori e tiene due corsi di Estetica
all’università di Milano; incontra Luciano Anceschi, in cui riconosce un maestro di
letteratura. Ritorna ad interessarsi alla poesia, che negli anni della formazione
universitaria ha parzialmente trascurato. Collabora con numerose riviste. Nel 1975 si
sposa con Maria Rosa, la donna cui è legato da anni.
Nel 1978, l’uscita de La parola innamorata, antologia in cui i suoi testi
svolgono un ruolo di punta, presenta Conte come una voce emergente della poesia
italiana. La pubblicazione de L’ultimo aprile bianco nel 1979 e de L’Oceano e il
Ragazzo nel 1983 segnano l’affermazione di Conte, anche per il giudizio favorevole
che del suo lavoro in versi danno Italo Calvino e Pietro Citati.
Nel 1984 Conte comincia a collaborare con importanti quotidiani; nel 1986
viene chiamato, con Valerio Magrelli, alla guida della collana di poesia della
Guanda. Compie numerosi viaggi. Nel 1988 pubblica Le stagioni.
7
Dal 1990 intensifica il suo lavoro, sia in versi che in prosa; compie numerosi
viaggi, anche per partecipare a reading di poesia. Nel 1992 pubblica Dialogo del
poeta e del messaggero. Il 4 ottobre del 1994, promuove un’occupazione simbolica e
pacifica della Chiesa di Santa Croce a Firenze, dove legge con altri poeti e
intellettuali italiani I Sepolcri davanti alla tomba di Foscolo: i partecipanti vogliono
ribadire così il valore sociale e spirituale della poesia che la società tende ad
ignorare. Sempre nel 1994, Conte stende con Stefano Zecchi il Manifesto del
mitomodernismo, movimento letterario e filosofico che punta a riscoprire il ruolo del
mito nel mondo contemporaneo. Nel 1997 pubblica Canti d’Oriente e d’Occidente;
nel 2001 Nuovi canti, i cui testi confluiscono in gran parte in Ferite e rifioriture,
attualmente ultima opera in versi di Conte.
8
4. ASPETTI GENERALI
DELLA POESIA DI CONTE
4.1 Il rifiuto della neoavanguardia
L’esordio di Conte avviene in contrasto con la neoavanguardia e vuole
rappresentare un indirizzo poetico alternativo ad essa. Stefano Giovanardi definisce
la poesia di Conte come «la risposta generazionale più decisa e organizzata
all’eredità della neoavanguardia e alla tradizione sperimentale nel suo complesso»
1
;
Marco Forti, scrivendo di Conte negli anni Settanta, sottolinea «la determinazione»
con cui rifiuta «le punte più evidenti (e anche sfruttate) del lavoro poetico dell’ultimo
decennio, da quello della neoavanguardia alla poesia di “movimento” e di
provocazione»
2
; Giulio Ferroni accenna alla «poetica del positivo»
3
di Conte, che si
oppone all’atteggiamento nichilista e dissacrante della neoavanguardia.
Il distacco dagli esponenti del Gruppo 63 si avverte già agli esordi, tra il 1973
e il 1975, quando Conte pubblica le lettere in versi – Épater l’artiste e Sulla
divisibilità dell’io – e il suo primo libro – Il processo di comunicazione secondo
Sade; si definisce meglio nel 1979, anno in cui escono sia La parola innamorata,
antologia che cerca di esprimere una nuova tendenza poetica, sia L’ultimo aprile
bianco, opera decisiva di Conte, che confluirà poi ne L’Oceano e il Ragazzo, libro
del 1983.
Tra gli anni Settanta e Ottanta, Conte svolge così un ruolo precipuo nel
definire un indirizzo poetico che si opponga alla neoavanguardia. Alla spinta
rinnovatrice del suo lavoro si aggiungono molti altri fermenti che provengono da un
contesto i cui confini appaiono sfuggenti. Tra il 1977 e il 1980 viene pubblicata la
rivista «Niebo» di Milo De Angelis, che cerca a sua volta di elaborare una nuova
linea letteraria. L’antologia La parola innamorata e la rivista «Niebo» costituiscono
1
MAURIZIO CUCCHI – STEFANO GIOVANARDI (a cura di), Poeti italiani del secondo Novecento, vol. II,
Mondadori, Milano 2004, p. 871.
2
MARCO FORTI, «Lontano noi saremo topi meduse fiori», in «Tuttolibri», 28 luglio 1979, p. 14.
3
GIULIO FERRONI, Storia della letteratura italiana, vol. IV, Einaudi, Milano 1995, p. 721.
9
così un nucleo intorno al quale gravitano i poeti che puntano a rinnovare la poesia
italiana emancipandosi dalla eredità neovanguardista. Questo filone di ricerca viene
generalmente definito «neo-orfico», espressione che, alludendo al mito di Orfeo,
esprime il tentativo di restituire alla poesia una funzione di conoscenza simpatetica e
intuitiva della natura.
Gli scrittori neo-orfici non si organizzarono in un movimento che presentasse
una poetica nettamente definita; non a caso, ne La parola innamorata confluirono,
come nota Giovanardi, autori diversi, «persino gli incolpevoli Cucchi, Magrelli,
Santagostini, Scalise e Viviani»
4
. Altrettanto riduttivo sarebbe spiegare l’attività di
Conte e dei neo-orfici solo in relazione alla neoavanguardia e agli sperimentalismi: la
loro sfida era rivolta a tutta la cultura occidentale.
Conte, studente all’università statale di Milano, era maturato nel clima della
neoavanguardia. Sul suo sito internet scrive: «Allora vidi [il Gruppo 63] con
entusiasmo. Eco Arbasino e Sanguineti svecchiavano, erano brillanti, colti, pop,
cosmopoliti, e io che ero studente in Statale a Milano ne seguivo, anche tramite il
filtro aristocratico di Gillo Dorfles, mio professore, le tante imprese»
5
. Il rapporto era
però duplice, segnato già da una certa diffidenza. Prosegue Conte: «Viaggiavo già
per altri mondi, Shelley, Whitman, Lawrence, Miller, Hillman, Eliade, il mito,
l’Induismo, l’Islam... Non avevo più niente da spartire con un fenomeno come la
neoavanguardia, che avevo studiato, metabolizzato e superato»
6
.
Alla rottura di Conte con la neoavanguardia corrisponde un nuovo approccio
con marxismo, strutturalismo e freudismo. Scrive Conte:
Mi piacerebbe parlare dello sfondo culturale mutato su cui la poesia oggi si colloca: la fine
dell’egemonia marxista, dell’ondata strutturalistica, dell’impero freudiano; la lotta per la
salvezza della specie e dell’equilibrio cosmico che ormai rende arcaica e frivola la lotta di
classe; il bisogno di risacralizzare il mondo che ormai si avverte anche al di fuori di religioni
e chiese; il rilievo tragico assunto dai temi della natura e degli dei: la riscoperta del mito, che
non è certo un espediente formale o escapist, e che ci consente di riappropriarci del destino e
della bellezza alla cui assenza è imputabile gran parte della vergogna, della violenza e della
bassezza che ci circondano
7
.
4
CUCCHI – GIOVANARDI, Poeti italiani del secondo Novecento, op. cit., vol. I, p. XXXVIII.
5
www.giuseppeconte.eu.
6
Ibidem.
7
GIUSEPPE CONTE, Non è vero, non ho nipotini, in «la Repubblica», 22 luglio 1989, p. 10.
10
Conte ritiene che il contesto degli anni Settanta – dominato da marxismo,
strutturalismo e freudismo – sia ostile alla poesia. L’emancipazione da questo
retaggio culturale è decisiva per lo sviluppo del suo lavoro in versi. Aggiunge Conte
nella nota scritta per l’edizione più recente de L’Oceano e il Ragazzo:
Mi ribellavo a un’Europa isterilita, inaridita, avvelenata, a una cultura analitica
(sociologismo, freudismo, strutturalismo, semiotica) che strozzava ogni slancio creativo e
rendeva impossibile pensare a nuovi scenari di canto, a una poesia sempre più astratta,
intellettuale, ideologica o intimistica, priva di energie cosmiche e di divinità
8
.
Conte sintetizza la svolta auspicata nella formula secondo cui «di fronte al
linguaggio della poesia occorre una disposizione non più solo a descrivere o a capire,
ma a liberare e amare»
9
. Scrive Niva Lorenzini: «Nell’Ultimo aprile bianco la
scrittura si pone contro e oltre il formalismo, affidandosi al mito, al canto, allo
spessore del simbolo contro le griglie strutturali»
10
.
È questa la premessa necessaria per la riscoperta del desiderio come motore
primo della poesia: l’originalità e la forza della proposta di Conte stanno proprio
nell’identificare, come origine del verso, il desiderio che, per la sua natura fluida e
cangiante, non può essere spiegato in modo esauriente da nessun approccio analitico.
Più precisamente, Conte afferma:
La poesia produce se stessa attraverso il desiderio di se stessa: il processo di produzione non
finisce, trova i suoi nodi visibili, li fa emergere in quelle che la fenomenologia critica chiama
«istituzioni»; un testo non è che l’interpunzione istituzionale di questo processo di
produzione: margine visibile di una pulsazione, non vale in quanto oggetto ma in quanto
flusso: vulcani e crochi corrono nel testo, attendono il gesto di dedizione e di amore che non
chieda nulla e li riaccenda e li riapra, nell’estati di una continuazione irresponsabile della
prima primavera del mondo, pericolosa e cangiante
11
.
L’accenno ai vulcani e ai crochi sposta il discorso sulla realizzazione
“concreta” del testo, imponendo il confronto diretto con la pagina. La
neoavanguardia aveva rifiutato il linguaggio attuale, perché manipolato dai mass-
media, e al tempo stesso aveva tentato di distruggere la tradizione, ritenendola
incapace di interagire con i repentini e profondi sviluppi delle scienze e della
8
Oceano, pp. 5-6.
9
TOMASO KENEMI – CESARE VIVIANI (a cura di), Il movimento della poesia italiana negli anni
Settanta, Dedalo libri, Bari 1979, p. 106. I due studiosi conducono un’indagine sulla poesia degli anni
Settanta chiedendo di esprimersi a vari poeti, fra cui Conte.
10
NIVA LORENZINI, Il presente della poesia: 1960-1990, il Mulino, Bologna 1991, p. 141.
11
KENEMI – VIVIANI, Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, op. cit., p. 106.
11
tecnologia che caratterizzano il “secolo breve”. Come avrebbe chiarito Umberto Eco
nel saggio Del modo di formare come impegno sulla realtà
12
, una rottura con il
“sistema” implicava la creazione di un nuovo linguaggio. Se però la realtà che questo
nuovo linguaggio vuole denunciare è caotica e paradossale, allora anch’esso deve
risultare labirintico e destrutturato. I testi della neoavanguardia sono così accumuli
casuali di parole con frammenti di conversazione quotidiana, slogan pubblicitari,
titoli di giornale e citazioni colte, o giochi di combinazione e variazioni sul
significante fonico delle parole stesse, che vengono realizzati in modo del tutto
indipendente dal significato del lessema. Si profila così un netto rifiuto di qualunque
intento comunicativo: i testi neoavanguardistici suggeriscono piuttosto un
atteggiamento di ironia e straniamento.
Opposto l’approccio alle lettere che propongono Conte e i neo-orfici.
Parlando de La parola innamorata in un seminario che tenne nel 2000 alla scuola
Holden, Aldo Nove afferma che «questo testo nasce come rivolta nei confronti
dell’avanguardia italiana, in una sorta di tabula rasa della tabula rasa»
13
. «Il titolo –
spiega Nove – è già indicativo dell’operazione: la parola innamorata, ovvero
qualcosa di assolutamente soggettivo, impalpabile e indefinibile come
l’innamoramento, contrapposto alla parola estremamente ideologizzata della poesia
nata fra gli anni Sessanta e Settanta»
14
.
Il rifiuto della poesia ideologizzata si traduce in un dirompente bisogno di
evasione, che trova nella natura il suo esito. Spiega infatti Giovanardi che
«fondamento di quella poetica era una sorta di identificazione mistica con la natura,
indotta dal pieno dispiegarsi della sensualità e del desiderio su territori lontani dalla
ragione organizzata»
15
. Nel caso di Conte, l’obiettivo polemico di questa operazione
viene identificato nel predominio dello spirito cristiano-platonico, che ha permeato
anche la cultura borghese e illuministica. Esaltando l’approccio razionalistico alla
realtà e stigmatizzando la carne e il desiderio, questo “spirito” ha progressivamente
negato all’uomo la possibilità di conservare la comunione con la natura che era
12
UMBERTO ECO, Del modo di formare come impegno sulla realtà, in «Il Menabò», 1962, n. 5, pp.
198-237.
13
ALDO NOVE, La poesia dopo la fine della poesia. Tradizione letteraria e happening, Baci Perugina
e rap (seminario tenuto alla scuola Holden nel 2000), disponibile all’indirizzo:
http://www.sparajurij.com/tapes/deviazioni/AldoNove/HASCRITTOholden.htm.
14
Ibidem.
15
CUCCHI – GIOVANARDI, Poeti italiani del secondo Novecento, op. cit., vol. I, p. XXXVII.
12
appannaggio delle civiltà primitive. Di qui nasce l’interesse per culture estranee a
quella occidentale: nella poesia di Conte si trovano elementi della mitologia classica,
delle civiltà azteca celtica e pellerossa, dell’Induismo e dell’Islam.
La riscoperta del desiderio, il rifiuto della poesia ideologizzata, il ritorno alla
natura e l’apertura a culture esotiche sono quindi i diversi aspetti di un medesimo
intento, che consiste nel superare quella particolare condizione in cui l’uomo è
«rimuginante sulla propria infelicità intellettuale e storica, incapace di dono, di
leggerezza, di debolezza, di amare tutto senza chiedere niente»
16
. Nel contesto che
Conte ha delineato anche la poesia è risultata inefficace, perché non ha saputo uscire
da «un ego in cui è sedimentato un pensiero di dominio come quello occidentale: un
ego nemico della disperazione, dell’ebbrezza, dell’aprile, del fiammeggiamento
d’amore che attraversa il corpo vivente del cosmo»
17
.
Ne nasce una sorta di profezia. Scrive Conte:
Il grande desiderio di vita, fluida, nomade, corporale, presa dal movimento della rinascita,
che ci investe quando lo «spirito» e i suoi ultimi travestimenti (ideologie, passioni,
inconscio) cadono, investirà la poesia, la libererà dalle sue ultime canaglie sanguinati, quelle
della coscienza infelice, che vorrebbero farle portare dei pesi. La poesia sa la dedizione, ma
quella che nasce dall’impossibilità e dall’estasi: conosce la danza: l’irresponsabile debolezza,
l’energia delle vibrazioni che il nostro corpo ha in comune con quelle della terra e del sole
18
.
Da questo punto di vista, la poesia neoavanguardistica è un assurdo, che i
posteri condanneranno in toto. Prosegue Conte:
Quando non c’è più in noi né l’ombra di Faust, né quella di Edipo, né quella di Prometeo,
quando non bruciamo più per la volontà, per la ricerca, per la lotta, allora siamo fuori anche
dal nostro linguaggio: l’ego eguale a se stesso o la mimesi dell’ego schizoide, la politica
dell’inconscio, appariranno come ricordi incomprensibili e lontani
19
.
4.2 Il post-Sessantotto
Pur presentandosi in opposizione alla neoavanguardia, l’esperienza poetica di
Conte si svolge nel post-Sessantotto, dunque in un contesto molto diverso da quello
16
KENEMI – VIVIANI, Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, op. cit., p. 109.
17
Ivi, p. 108.
18
Ivi, pp. 108-109.
19
Ivi, p. 109.