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INTRODUZIONE
La mia tesi di laurea magistrale nasce con l’obiettivo di stabilire un confronto tra
due grandi testate, “la Repubblica” ed “El País”, su un tema di ampia rilevanza
storica e sociale: la laicità. Scopo del mio lavoro è analizzare e mostrare le ragioni
per cui esistono, se esistono, delle differenze peculiari tra il quotidiano spagnolo e
quello italiano e in che modo queste si esprimono nel giornalismo praticato dai due
fogli. Considerata la vastità dell’argomento trattato, ho deciso di restringere il
campo di analisi ad un periodo che va dal 2004 al 2011, anni in cui la politica
spagnola ha subito cambiamenti profondi sotto la guida dell’ex premier, José Luis
Rodriguez Zapatero. Questi mutamenti hanno riguardato principalmente il campo
dei diritti civili dei cittadini, ambito che stava molto a cuore all’ex primo ministro,
tanto da considerarlo tra gli obiettivi principali delle sue due legislature.
L’applicazione di nuove norme in materia di aborto, divorzio e matrimoni
omosessuali, ha scatenato polemiche appassionate all’interno di tutto il mondo
cattolico, spagnolo e non solo, ed è questo quindi uno dei punti chiave della mia
ricerca: mettere in evidenza in che modo la Chiesa si relaziona con la vita politica di
due Stati profondamente cattolici e di come si manifesti la sua influenza sulle
pagine di due quotidiani dichiaratamente laici ed indipendenti. L’analisi ed il
confronto tra queste due testate si realizza alla luce di una storia pregressa che le
unisce profondamente fin dalle rispettive fondazioni, 14 gennaio 1976 per “la
Repubblica” e 4 maggio 1976 per “El País”. Soprattutto i due quotidiani sono
analoghi tra loro e con orientamenti politici simili, per cui si è ritenuto utile
individuare diversità e affinità, considerando anche come sia radicalmente diversa
la storia dei due paese in cui vengono pubblicati.
Non è un discorso facile quello sulla laicità, poiché è un argomento complesso che
coinvolge molto della vita pubblica e privata delle persone e conseguentemente,
dello Stato in cui vivono. La laicità non si scontra con la fede, dal momento che non
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è il suo contrario: essere laico non vuol dire essere ateo, piuttosto vuol dire
rispettare il pensiero religioso, tanto da credere che la religione e la vita statale
debbano coesistere senza intralciarsi a vicenda; solamente nel rispetto di una
convivenza necessaria ed auspicabile, la Chiesa e lo Stato possono trovare la loro
massima espressione ed esercitare, sulle persone che credono in esse, il massimo
grado della loro influenza. Queste sono le premesse da cui parte la mia indagine e
ogni parte ha come filo conduttore l’analisi e lo studio dei quotidiani e del contesto
socioculturale di riferimento.
Pertanto la sequenza dei capitoli segue una linea ben precisa: nel primo, intitolato
“La Spagna dal franchismo a Zapatero, una lunga transizione democratica”, prendo
in esame, brevemente, tutti i momenti storici fondamentali che hanno portato la
Spagna al passaggio da una dittatura decennale, ad essere uno degli stati più
all’avanguardia nel campo dei diritti civili; quali e quanti fattori hanno contribuito
alla nascita di un nuovo paese e in questo senso il ruolo giocato dalla stampa come
promotrice di un pensiero nuovo e democratico. La nascita di “El País” subito dopo
la fine della dittatura franchista (Francisco Franco muore nel novembre del 1975),
segna lo stacco definitivo con un vecchio modo di pensare e di vivere e si intreccia,
indissolubilmente, con le vicende politiche del paese negli ultimi trentacinque anni.
Il secondo capitolo, “El País” es para ponerse a pensar”, tratta nello specifico la
storia di questo giornale, che si affaccia sulle scene con l’ambizione di essere una
testata libera ed indipendente, capace di risvegliare, attraverso la parola ed il
ragionamento, la vita di una nazione addormentata da una lunghissima dittatura
militare e coercitiva, che ha minato alla radice le basi democratiche su cui qualsiasi
nazione moderna dovrebbe poggiarsi. L’ex direttore e fondatore della testata, Juan
Luís Cebrían, ha potuto proporre un progetto concreto e solido, solo grazie alla
collaborazione e alla passione di un gruppo talmente affiatato, preparato e
volenteroso da fare in modo che il quotidiano continui ad essere uno dei più
importanti anche nella Spagna di oggi. La storia di “El País” è caratterizzata da una
sicura progettualità europeista e laica, ma la sua caratteristica principale è una forte
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spinta democratica, una fiducia cieca e totale nei valori che la democrazia difende e
tramanda, tanto da averlo portato a scontrarsi ed esporsi in prima persona, anche
in termini di vite umane, contro qualsiasi attentato terroristico che nel corso degli
anni ha tentato di minare le sorti di un nuovo e moderno paese civile. Il capitolo due
si occupa di sottolineare tutti questi aspetti per spiegare le ragioni che lo rendono il
giornale che è oggi, anche alla luce dei suoi rapporti con il clero e con la Chiesa in
generale. Rapporti questi, diversi rispetto a quelli del quotidiano “la Repubblica”,
ma questa è una delle peculiarità che differenziano la vita della stampa in Italia e in
Spagna, nel capitolo quattro vedremo come nel concreto avviene tutto ciò.
Il terzo capitolo, ““la Repubblica” delle idee”, ha lo scopo di tracciare una storia
dell’arrivo nel nostro paese di un quotidiano che tanto ha rivoluzionato la maniera
di fare giornalismo in Italia. Non è semplice delineare le linee guida della
“Repubblica”, poiché la sua è una storia complessa, che parte da lontano,
sostanzialmente dalla nascita di altre due pubblicazioni a stampa periodica: “Il
Mondo” e “L’Espresso”, settimanali che hanno interpretato la società e il tempo in
cui sono nati. Per “L’Espresso” questo percorso non è ancora finito, essendo
tutt’oggi uno dei principali settimanali economici, politici e sociali italiani. In
entrambe queste avventure è coinvolto il direttore-fondatore della “Repubblica”,
Eugenio Scalfari, ed è quindi importante inquadrare il contesto storico, politico ed
editoriale in cui “la Repubblica”nasce e si sviluppa, continuando a salvaguardare
tutt’oggi le sue basi liberali e laiche. E’ un percorso particolare il suo, nell’arco di più
di trent’anni di vita ha cambiato due soli direttori. Nel 1996 con l’arrivo di Ezio
Mauro, “la Repubblica” si è rinnovata, modificando alcune parti della sua struttura
stilistica e dell’impianto grafico, ma la sostanza, l’anima del giornale, è rimasta
invariata e continua ancora oggi. Però “la Repubblica” non è più solo il progetto di
uno sparuto gruppo di giornalisti uniti da ideali comuni, è diventato un vero e
proprio impero mediatico: il Gruppo L’Espresso, proprietario della testata, detiene
molte pubblicazioni a stampa, radio, canali web e tv, garantisce un’informazione
completa e continua, quasi totale, tanto da essersi guadagnato le critiche di molti
suoi detrattori.
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Il quarto e ultimo capitolo, ““El País” e “la Repubblica” a confronto sulle riforme del
governo Zapatero”, entra nel merito del lavoro giornalistico delle due testate,
andando ad esaminare gli articoli apparsi su entrambi i giornali in occasione delle
principali riforme in materia di diritti civili volute da Zapatero. La tesi vorrà
dimostrare come “la Repubblica” ed “El País” siano differenti nelle loro scelte e
quanto la presenza dello Stato Vaticano influenzi e come influenzi il tipo di articoli
pubblicati in Italia e in Spagna. Il mio lavoro non vuole essere critico o in qualche
modo formulare giudizi sull’operato dei due giornali o sulle loro scelte editoriali,
vuole solamente proporre un modello e uno spunto di riflessione sull’argomento,
basandosi esclusivamente su una racconta di articoli da me ritenuti maggiormente
significativi ai fini del mio lavoro.
Nei primi tre capitoli sono racchiuse le premesse necessarie e fondamentali per
poter effettuare il raffronto vero e proprio dell’ultimo capitolo. Tutta la tesi si basa
sulla ricerca e lo studio dei principali fatti storici, politici e sociali che hanno portato
“El País” e “la Repubblica” ad essere i giornali che sono, prestando una particolare
attenzione alle loro linee editoriali. Particolarmente importante sarà l’analisi del
cambiamento avvenuto in Spagna nel corso degli ultimi 36 anni, dal 1975, anno
della morte di Francisco Franco, al 2011, anno in cui finisce l’”era” Zapatero. In
questo arco temporale si trovano le radici della Spagna di oggi e le basi di questa
ricerca.
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1. LA SPAGNA DAL FRANCHISMO A ZAPATERO, UNA LUNGA
TRANSIZIONE DEMOCRATICA
1.1 Gli anni della dittatura e della transizione
Tutta la storia della Spagna contemporanea è segnata dal tragico scontro avvenuto
tra il 1936 e il 1939, tre anni di guerra civile che hanno portato al potere una
dittatura militare talmente forte e radicata, da durare fino al 1975. Capo indiscusso
dello stato spagnolo è Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y
Bahamonde, Salgado-Araújo y Pardo de Andrade, comunemente chiamato
Francisco Franco, el Caudillo de España, generale militare che con il suo alzamiento
si garantisce il controllo assoluto sul paese fino alla morte nel 1975. L’apparato
costruito dal Generalissimo durante gli anni della dittatura è rigido e coercitivo, egli
infatti capisce fin da subito che per avere stabilità di potere deve mettere in atto
una macchina di controllo che gli permetta di agire in assoluta libertà. Si deve
pensare che il paese sopravvissuto alla guerra è stremato, affamato, povero e
distrutto dalle macerie di una lotta fratricida che ha lasciato sul campo non solo
morti e feriti, ma anche la coesione di una nazione intera che non si riconosce più.
In questo senso la vittoria nazionalista è una vittoria di Pirro, poiché il prezzo pagato
è altissimo e destinato a trascinarsi per decenni, sia per le condizioni di arretratezza
economica del paese, che per le divisioni , i tumulti e l’odio intestino che continua a
spaccare a metà la Spagna come al tempo del conflitto. Per questo il programma di
Franco ha vita facile e ben presto la sua idea di stato diventa una vera e propria
dittatura, invasiva ad ogni livello di vita della società.
La lunga storia del regime franchista può essere divisa in due parti: la prima si
caratterizza per un fermo isolamento internazionale che tende ad escluderlo da
ogni contatto fuori dai suoi confini. D’altro canto i vincitori della guerra non hanno
ambizioni europeiste, anzi:
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“Vince un paese chiuso, geloso del proprio isolamento, convinto dell’inattaccabilità del proprio
corredo cromosomico. Potenza dei paradossi! Come dimenticare che per tre anni la penisola è stata
il luogo di incontro e di sconto di uomini ed eserciti provenienti da ogni parte d’Europa?”.
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Nel 1945 i membri delle Nazioni Unite si esprimono con un secco rifiuto alla
richiesta spagnola di entrare a far parte dell’ONU:
“Y en abril de 1946, las Naciones Unidas consagraban la excomuniόn política de España,
declarándola «peligro para la paz mundial». El hecho puede parecer extremoso, sobre todo si
tenemos en cuenta que aproximadamente la mitad de los países admitidos a concierto eran
dictaduras. Se explica por la forma concreta de la dictadura de Franco, mal vista tanto por parte de
las democracias occidentales como de los países comunistas. [...]Las condiciones impuestas fueron
excepcionalmente duras. Los embajadores fueron retirados de Madrid. Francia cerrό las fronteras de
los Pirineos. […]España quedaba condenada al ostracismo.”
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E con questo pongono un ferma opposizione al suo ingresso. Per alcuni anni è
questa la condizione politica internazionale del Generalissimo, isolata e defilata
dalla scenario mondiale, complice anche il conflitto che sta funestando l’Europa e il
mondo intero, da cui la Spagna si astiene. Il suo reinserimento nel contesto
internazionale avviene per gradi ed inizia nel 1950 quando è accettata a far parte
della FAO, a seguire nel 1952 entra nell’UNESCO e nel 1955 è finalmente ammessa
come membro dell’ONU.
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Come in tutte le dittature sviluppatesi durante il secolo scorso, anche Franco sa che
il controllo di una nazione passa inevitabilmente attraverso il dominio
sull’informazione e nel corso degli anni si susseguono due fasi scandite da
altrettante leggi. La prima è di giornalismo a senso unico, caratterizzata dal
controllo totale sull’opinione pubblica. La guerra civile si conclude nel 1939 ma fin
dal 1938 era iniziata un’era repressiva nella gestione dell’informazione su carta
stampata. Viene varata una legge dal ministro dell’informazione Ramόn Serrano, la
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P.L. Crovetto, Cultura spagnola, Roma, University Press, 2007, p. 243.
2
J.L. Comellas, Historia de España contemporánea, Madrid, Alianza Editor, 1993, p.513. (E nell’aprile
del 1946, le Nazioni Unite celebravano la scomunica politica della Spagna, dichiarandola «pericolo
per la pace mondiale». La cosa può sembrare estrema, soprattutto se teniamo conto del fatto che
più o meno la metà dei paesi ammessi all’accordo erano dittature. Si spiega a causa della forma
concreta della dittatura di Franco, mal vista sia dalle democrazie occidentali che dai paesi comunisti.
[…]Le condizioni imposte furono eccezionalmente dure. Gli ambasciatori furono ritirati da Madrid. La
Francia chiuse le frontiere dei Pirenei. La Spagna era condannata all’ostracismo. NdR).
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G. Salemi, L’Europa di carta. Guida alla stampa estera, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 140-142.
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quale si articola in diversi punti secondo cui nessun periodico o pubblicazione
alcuna può esistere senza l’autorizzazione del governo. La pubblicità massima
stabilita si fissa al 33%. Viene sancita una continuità tra tutti i giornali, che
diventano di fatto giornali di regime, uniformandosi tutti all’uso di un solo carattere
e di uno stesso corpo. Il direttore responsabile viene scelto direttamente dal
ministero dell’interno, quindi è una persona gradita al regime o per lo meno non gli
è ostile. Viene introdotta la censura preventiva, ossia qualsiasi pubblicazione prima
di essere diffusa al pubblico deve passare sotto il vaglio dei censori, che la epurano
di qualsiasi notizia non gradita al Generalissimo. Nasce un registro ufficiale della
stampa a cui devono essere iscritte tutte le pubblicazioni presenti sul territorio
nazionale.
Nella seconda metà della sua dittatura, Franco apre ad una serie di innovazioni
democratiche, sia in materia di stampa, sia nel campo della politica internazionale. I
cambiamenti sono tangibili, ma di certo non si può parlare di libertà di stampa,
quanto piuttosto di prove tecniche di apertura democratica. La seconda fase nella
storia del consenso si apre il 15 marzo 1966, quando il nuovo ministro
dell’informazione Manuel Fraga Iribarne, vara una nuova legge sulla stampa, un po’
più distensiva rispetto alla precedente. Viene abolita l’autorizzazione preventiva e,
per la prima volta in Spagna, nasce l’idea di un registro nazionale a cui devono
iscriversi tutte le imprese editoriali, di modo da avere sempre sotto controllo i
partecipanti al mondo mediatico. Resta nelle mani del governo il potere di punire
chi esce fuori dalle righe, ossia il diritto di sequestro e di sospensione delle
pubblicazioni rimane inalienabile, così come le multe in denaro per ogni tipo di
abuso commesso. Un cambiamento radicale avviene nella scelta del direttore, non
più nominato direttamente dal ministero, ma dalla società editrice, anche se resta
viva una clausola non negoziabile: chi si trova in posizioni di comando non può
avere alcun tipo di condanna. Chiaramente i crimini più frequenti sono nell’ambito
dell’opposizione al regime, quindi il direttore in nessun modo può macchiarsi di
reati di opposizione. Il governo gode di uno spazio fisso sui giornali, nel quale può
diffondere a proprio piacimento le notizie che preferisce. Nelle redazioni tutti i
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cronisti devono essere iscritti ad un registro speciale e viene anche introdotta una
giuria etica professionale, la quale vigila sull’operato dei giornalisti e sulle notizie
che trattano. Pur abolendo il ricorso alla censura preventiva, resta l’obbligo di
depositare una copia della pubblicazione al ministero dell’informazione prima di
uscire nelle edicole del paese.
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Come sempre, come la storia insegna, per la
costruzione del consenso è necessario, per non dire imprescindibile, il controllo
sull’informazione. Dal fascismo, al nazismo, passando per il comunismo e arrivando
ai giorni nostri, tutte le dittature hanno sempre intravisto nell’informazione libera e
nel pensiero partecipato, un pericolo per l’instaurazione del consenso, quindi il
controllo e la censura preventiva diventano un fatto pregresso, una condicio sine
qua non, senza la quale i regimi non avrebbero gambe su cui reggersi. Lo stato del
Generale ha forti punti di incontro con la Chiesa, Franco è un uomo profondamente
cattolico e crea un sistema di valori fortemente incentrato sulla fede e sul rispetto
della religione. Il 27 agosto 1953 la Spagna firma un concordato con la Santa Sede,
stringendo rapporti di collaborazione tra i due poteri. Questo patto pone regole
precise, articolate in trentasei punti, nei rapporti tra lo Stato Vaticano e quello
spagnolo. Gli accordi raggiunti riguardano innanzitutto la libertà di culto. Gli articoli
I e II affermano quanto segue:
Art.I “La Religione Cattolica, Apostolica, Romana continua ad essere l'unica religione della Nazione
spagnuola e godrà dei diritti e delle prerogative che le spettano in conformità con la Legge Divina e il
Diritto Canonico”.
Art.II 1.” Lo Stato spagnuolo riconosce alla Chiesa Cattolica il carattere di società perfetta e le
garantisce il libero e pieno esercizio del suo potere spirituale e della sua giurisdizione, nonché il
libero e pubblico esercizio del culto”.
2. “In particolare, la Santa Sede potrà liberamente emanare e pubblicare in Spagna qualsiasi
disposizione relativa al governo della Chiesa e comunicare senza impedimento con i Prelati, il clero e
fedeli del Paese, come questi lo potranno con la Santa Sede”.
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Gli accordi siglati hanno anche valore economico, perché gli interessi del clero sono
forti e si inseriscono a pieno titolo all’interno dell’organizzazione statale; Franco si
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Cfr. G. Dueñas, La ley de la prensa de Manuel Fraga, Parigi, Ruedo Ibérico, 1969.
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“AOL - Time Warner Corp.” Concordato tra la Santa Sede e la Spagna:
http://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-
st_19530827_concordato-spagna_it.htm (5 dicembre 2011)