Introduzione
Il presente lavoro si propone di esaminare la funzione svolta dal -
l’omertà nell’ambito della comunicazione mafiosa e di analizzare il
ruolo che hanno avuto i media nel costruire l’immagine sociale del
mafioso e quali sono le caratteristiche di quest’ultima.
L’ipotesi di partenza consiste nel considerare l’omertà come uno
degli elementi fondamen tali, se non il principale, dell’influenza e
dell’identità del fenomeno mafioso. In tale ottica, esso viene visto
come un fenomeno “linguistico”, in quanto trae il proprio potere e la
propria protezione proprio dall’assenza di comunicazione, di conse -
guenza si distingue dallo Stato principalmente per la segretezza delle
proprie dinamiche e trova la propria protezione e stabilità precisa -
mente nell’atteggiamento omertoso dei propri affiliati.
Per quanto riguarda i media, invece, possiamo dire che sono stati
fondamentali nella definizione della figura del mafioso e nella comu -
nicazione presso il vasto pubblico di alcuni aspetti del fenomeno,
svolgendo più facilmente un ruolo che per lo Stato si sarebbe dimo -
strato assai più arduo incarnare, cioè quello di “sensibilizzatore” del -
le coscienze.
Dunque due profili diversi: da una parte la mafia alle prese con la
comunicazione al proprio interno e al proprio esterno, dall’altra parte
i media intenti a delineare le caratteristiche del personaggio mafioso
e a comporre un catalogo di giudizi di valore da sottoporre alla platea
dei fruitori.
Data la diversità di queste due tematiche, s’è deciso di utilizzare
due differenti metodologie. Per la prima parte la ricerca si svolge es -
senzialmente servendosi di contributi scritti di vario genere, primo
fra i quali il libro di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta , va-
gliati e analizzati per desumerne un modello comunicativo di massi -
ma; per la seconda parte ci si è serviti quasi esclusivamente di contri -
1
buti audiovisivi di diversa natura (fiction televisive, interviste e in -
chieste giornalistiche, film, etc.) allo scopo di rintracciare le compo -
nenti di questo “mafioso mediatico”.
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Premessa metodologica
Prima di procedere, però, riteniamo doverosa una premessa che
appunto definiamo “metodologica” per la sua natura esplicativa sul
metodo con cui questa ricerca è stata portata avanti.
La domanda fondamentale che ci si dovrebbe porre prima di ap -
procciare qualsiasi lavoro di ricerca di una qualche complessità do -
vrebbe essere proprio quella inerente al metodo, ovvero non tanto
quella sul “come?” quanto quella sul “perché così?”. In ossequio a
questa impostazione, diciamo subito che la domanda che per prima ci
si è presentata in questo caso specifico prima ancora di “cos’è l’o -
mertà?” è stata: cos’è la mafia? La risposta più immediata è quella
che possiamo trarre dall’art. 416-bis del Codice Penale: «L'associa -
zione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono
della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione
di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti,
per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il
cont rollo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti
per sé o per altri».
Tuttavia, questa domanda, rimane tremendamente problematica.
Inevitabilmente ci si è dovuti rifare a quanto è più noto di esso, cioè
la sua natura criminosa, e al contempo alle altre caratteristiche che lo
cont raddistinguono: la sua storia secolare, la sua apparente indistrut -
tibilità, la sua flessibilità, la sua pervasività, la sua pericolosità. Tali
caratteristiche sono anche facilmente desumibili da quanto dice John
Dickie nel Prologo del suo Cosa nostra: «Nel 1890 la mafia era già
un’associazione criminale omicida e sofisticata, provvista di potenti
legami politici e con un raggio d’azione internazionale»
1
.
Tuttavia, lo stesso Dickie afferma nella parte centrale del suo stu -
dio: «L’autobomba di Ciaculli fu un punto di non ritorno. Fino allora,
1 John Dickie, Cosa nostra, Laterza, Roma-Bari, 2009, pag. XIV .
3
ciascuna generazione di italiani sembrava condannata a “scoprire” la
mafia come se nessuno ne avesse mai sentito parlare»
2
. L’episodio cui
si fa riferimento, che segna la cesura fra il “mai sentito parlare” e
l’oggi, risale al 30 giugno del 1963, quindi ben lontano dal 1877,
anno in cui presso l’editore Barbera di Firenze usciva il libro La Sici-
lia nel 1876 ad opera di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino in cui
si descriveva la mafia nei termini in cui ancora oggi la conosciamo.
È evidente un paradosso: pur nota e consolidata fin dalla metà
dell’Ottocento, la mafia era rimasta fino al 1963 sostanzialmente
un’enti tà ectoplasmatica. Aveva prosperato e si era ingigantita alle
spalle dello Stato e, quando quest’ultimo aveva deciso di accorgerse -
ne creando una commissione parlamentare in materia, aveva continua -
to a eclissarsi in luoghi comuni del tipo “la mafia è un’invenzione del
nord per calunniare i siciliani”.
Ne consegue che, se questo è il punto di partenza, la domanda che
ci si è posti subito dopo è stata: come si è arrivati a tal punto?
Certamente le storie di corruzione di cui traboccano le cronache e
i libri di storia hanno avuto la loro preponderante influenza in questo
successo e sicuramente troveranno il loro – anche minimo – posto in
questo lavoro, ma per ora si sappia che la risposta non poteva che
coincidere col nostro primitivo oggetto d’interesse: l’omertà.
Le dinamiche mafiose sono perennemente avvolte dal segreto e il
modo con cui la mafia si protegge è proprio il silenzio. Non si può
mai avere una visione d’insieme del fenomeno mafioso poiché esso si
manifesta solo attraverso pochi e spesso indecifrabili atti, principal -
mente rimane nell’ombra. L’omertà, in quanto modalità della discorsi -
vizzazione, non opera un ostacolamento della comprensione dei mes -
saggi della mafia da parte degli esterni servendosi solo del silenzio,
ma anche tramite l’utilizzo di codici sconosciuti o incomprensibili
per i destinatari, come per esempio l’ironia o l’ambiguità. O, certe
volte, ma più nel caso del pentitismo, della menzogna.
2 John Dickie, Ivi., pag. 324.
4
Ma perché l’omertà è così importante per i mafiosi?
Perché svolge la funzione di muraglia di difesa più che di arma
d’attacco: non disponendo di infrastrutture come quelle statali, ovvia -
mente la mafia non può disporre delle stesse difese, e quindi l’unico
muro che può innalzare è quello della non-comunicazione. Non per
nulla, se ci si pensa bene, l’insulto più feroce che si possa rivolgere a
un “uomo d’onore” è quello di essere un infame
3
, il cosiddetto pentito
altri non è se non uno che ha deciso di “parlare” e i boss non fanno
altro che inveire contro l’art. 41-bis della legge 354/75
4
. Se la vedes -
simo in termini militareschi, l’infame sarebbe il soldato che non sor -
regge la muraglia, il pentito è un disertore se non un collaborazioni -
sta e il 41-bis è l’interruzione di ogni mezzo di fortificazione della
muragli a.
La somma di questi presupposti non ha potuto che condurre a un
restringimento del campo d’interesse di questo lavoro all’omertà
come strategia discorsiva da cui la mafia trae il proprio potere e la
propria difesa. L’omertà è parte integrante dell’identità e della so -
pravvivenza della mafia. Infatti, il mafioso infame è spesso come
morto anche per i propri parenti più prossimi, il pentito trae il pro -
prio potere nei confronti dei magistrati proprio grazie alla quantità e
alla veridicità delle proprie dichiarazioni e i mafiosi odiano il 41-bis
per la sua natura restrittiva (soprattutto comunicativamente restritti -
va).
Dunque l’omertà come requisito fondamentale per l’“uomo d’ono -
re”, la sospensione dell’omertà come moneta di scambio con lo Stato,
il silenzio imposto ai mafiosi dallo Stato come troncamento del loro
potere (silenzio imposto, ovviamente, nei confronti degli altri mafiosi
e che non sempre riesce a essere perfetto o efficace).
3 Cfr. Ciccio Salina, L’infame. Confessione di un mafioso pentito di Ciccio Salina, Apocrifi, 2007.
4 Sebbene il 41-bis, più che aggredire l’omertà, altro non faccia che aumentare il potere dello Stato nei confronti dei
galeotti, esso rappresenta uno strumento fondamentale ad appannaggio delle istituzioni per combattere il fenomeno
mafioso: se da un lato la mafia si protegge col silenzio, dall’altro ha bisogno di parlare (come dimostra il caso
Provenzano). Ne consegue che, se lo Stato ha i mezzi per proibirle di parlare, inevitabilmente la colpisce duramente.
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A questo punto, potrebbe sembrare un paradosso servirsi princi -
palmente di fonti scritte per descrivere un fenomeno di comunicazio -
ne non-verbale che per di più trova le sue radici nel campo dell’orali -
tà più che della scrittura, ma il paradosso è solo apparente: trattando -
si di una modalità fondamentale della discorsivizzazione nell’ambito
del fenomeno mafioso sarebbe stato molto difficile se non impossibile
trovare fonti diverse da quelle accademiche riguardanti la storia della
mafia, le sue modalità comunicative, lo studio del linguaggio in gene -
re. Curiosamente, ed è forse uno dei motivi per cui l’omertà è una fi -
gura così interessante, del silenzio non si può che parlare e poiché un
mezzo audiovisivo non può che arrendersi davanti al silenzio, poten -
dolo esclusivamente immortalare, solo la scrittura può penetrarlo.
Più chiaramente possiamo dire che, del cospicuo repertorio audio -
visivo esaminato, pochissimo riesce a dare conto di cosa sia l’omertà,
e principalmente ci riesce solo nel momento in cui ne parla. Ne con -
segue che, per la maggior parte, di omertà, più che parlato, si è scrit -
to. Ovviamente ciò non comporta che nella prima parte di questo la -
voro siano esaminati esclusivamente documenti scritti e nella seconda
esclusivamente audiovisivi. Semplicemente: nel caso dell’omertà ab -
biamo provato a studiare un fenomeno con degli strumenti analitici,
che tendenzialmente erano per lo più in forma scritta; nel caso del
“mafioso mediatico” abbiamo utilizzato un approccio etnologico e
dunque utilizzato largamen te i prodotti culturali della società, che
erano nella maggioranza dei casi degli audiovisivi, visto che negli ul -
timi sessanta anni gli audiovisivi hanno avuto una diffusione e un’in -
fluenza schiaccianti.
La prima parte di questo lavoro, quindi, si divide come segue.
Nel primo capitolo si analizzerà l’omertà in quanto atteggiamento
sociale a partire dal libro di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta .
Si proveranno a investigare le influenze di questo libro sul vasto pub -
blico e, utilizzando queste come punto di partenza, a vagliare le vena -
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ture omertose all’interno della cultura di massa e degli atteggiamenti
sociali più frequenti.
Nel secondo capitolo si tenterà di capire in che modo l’omertà
funga da barriera nei confronti di entità esterne alla mafia, come lo
Stato, e da “scettro del potere” in detti rapporti o nei rapporti all’in -
terno di se stessa. Tutto ciò servendoci del libro-intervista rilasciato
da Giovanni Falcone a Marcelle Padovani Cose di cosa nostra come
cont rappunto.
Nel terzo capitolo si esaminerà l’omertà come fenomeno narrati -
vo. Servendoci per lo più degli strumenti della semiotica generativa,
in particolar modo della semiotica narrativa, si cercherà di definire il
ruolo narrativo dell’omertà e la sua importanza nella definizione del
tipo mafioso. Più chiaramente, si cercherà di capire quali sono i valo -
ri e i disvalori che, dal livello profondo, affiorano al livello superfi -
ciale al momento della messa in scena dell’omertà, e dunque anche
capire quali sono i valori e i disvalori che a livello profondo attivano
l’omertà.
Nel quarto capitolo si proverà a contestualizzare l’omertà, collo -
candola – attraverso il riferimento ad articoli e saggi – nel colloquio
con lo Stato.
Nel quinto capitolo si proverà a definire quella che abbiamo chia -
mato “omertà derivata”, ossia le variazioni sul tema dell’omertà, che
si realizzano con l’uso di figure come l’ironia, l’ambiguità o l’uso di
idioletti o di mezzi come “pizzini” e “papelli”.
Nel sesto capitolo, infine, si cercherà di rispondere alla domanda
“cos’è l’omertà” e si proverà, alla luce della risposta, a tracciare i
contorni del “mafioso mediatico”.
Come “vertice/base di piramide” della messe di scritti esaminati
in tema di mafia e omertà abbiamo scelto un libro di narrativa: Il
giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Lo abbiamo scelto come
filo conduttore e serbatoio cui attingere immagini e metafore per la
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sua indubbia qualità letteraria e per la chiarezza luminosa con cui
vengono descritte le implicazioni sociali e non dell’omertà.
Nella seconda parte di questo lavoro si proverà a capire in che
modo il fenomeno mafioso venga recepito dalla società: se il suo po -
tere si basa sulla sua silenziosità, in che modo la collettività riesce a
farsene un’idea?
La risposta più immediata è: anche attraverso i media. Negli anni
una vasta quantità di film, fiction televisive, articoli e approfondi -
menti giornalistici (specie telegiornalistici), casi mediatici, esterna -
zioni istituzionali hanno contribuito a formare presso il grande pub -
blico un’idea di cosa sia il fenomeno mafioso e conseguentemente chi
siano i mafiosi.
Per comprenderlo si è trovato decisamente più adeguato una me -
todologia di tipo etnologico in cui i media fossero valutati nel loro
contesto d’origine e inseriti strettamente nel tessuto sociale.
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