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BREVE INTRODUZIONE
Le due Intifade
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sono state l’apice dello scontro tr a Palestinesi e Israeliani per il
possesso dello stesso pezzo di terra. Esse hanno rappresentato, attraverso la ribellione, il
desiderio degli arabi abitanti da sempre in Palestina, di potersi autogovernare e porre fine
all’occupazione militare israeliana iniziata con la sconfitta giordana nella guerra dei 6 giorni
nel 1967 e culminata nel dominio di Israele sui territori della West Bank, della striscia di
Gaza e di Gerusalemme Est.
Non sempre è facile districarsi tra le notizie sul Medio Oriente, né è facile avere un
opinione obiettiva sui fatti che accadono in quel piccolo lembo di terra che sono i territori
occupati, non sempre è facile distinguere le sfumature politiche e sociali che caratterizzano il
punto di vista israeliano e quello palestinese. Molto più semplice è invece porre, secondo una
visione molto grossolana, uno spartiacque tra buoni e cattivi. E’ questo ciò che accade spesso
in molti campi dell’informazione. In questo breve lavoro, metterò a confronto le due Intifade,
cercando di cogliere ogni singolo aspetto delle due ribellioni, paragonandole in ogni possibile
campo, sia esso sociale, politico o militare. I drammatici elementi che caratterizzano le due
rivolte sembrano assomigliarsi molto: giovani uomini armati di sassi che affrontano uno dei
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Intifada: lett. “scrollarsi di dosso”
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più forti eserciti del mondo, madri che piangono, simboli nazionalisti ai funerali con migliaia
di partecipanti. Questa però è solamente la superficie: molto profondo è stato, invece, il
cambiamento politico e diplomatico avvenuto in 12 anni.
Non tralascerò, inoltre, di analizzare l’impatto mediatico che le due ribellioni hanno
avuto dal punto di vista internazionale e come la maggioranza dell’opinione pubblica
mondiale ha giudicato l’Intifada “dei bambini”,quella del 1987 e l’Intifada dei “martiri”,
quella del 2000. Lo scopo del mio lavoro nasce da un interesse molto forte verso il destino
della popolazione palestinese: interesse, nato dal vedere il costante e impressionante sforzo
che questo popolo ha sempre portato avanti per poter ottenere un proprio Stato e che si è
sviluppato in maniere diverse, giuste o sbagliate, con buoni risultati o con clamorose disfatte.
Molta curiosità mi è stata suscitata anche dal constatare quanto comuni siano le drammatiche
vicende palestinesi da un lato ed ebree dall’altro: l’identico obiettivo di una propria terra, la
stessa enorme sofferenza per averla, il lungo vagare delle due leadership alla ricerca di
sostegno internazionale.
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Tutto ciò ha prodotto il mio breve lavoro con l’obiettivo di approfondire realmente le
vicende dei due popoli, inequivocabilmente uniti ed inequivocabilmente divisi, i cui destini
sono congiunti dallo scontro violento che sembra non avere mai fine a quasi sessanta anni dal
momento in cui l’Onu, nel 1948, proclamò la nascita dello Stato di Israele. La speranza è che i
due destini possano alla fine essere uniti anche in un comune destino di pace.
BREVE SVILUPPO STORICO DEGLI AVVENIMENTI
La prima delle due Intifade esplose il 9 Dicembre del 1987, dopo un lungo periodo di
restrizioni e repressione da parte dell’occupante israeliano; lo stallo diplomatico e, più di ogni
altra cosa, il mancato interesse internazionale per le vicende palestinesi
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, caratterizzarono quel
periodo. Una serie di drammatici eventi precedettero la ribellione e ne accesero effettivamente
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Basti pensare al lungo vagare della leadership de ll’ OLP(Organizzazione di liberazione della Palestina): Il
Cairo, Amman, Beirut, Tunisi, e alla ricerca di sostegno della leadership sionista in Inghilterra e Stati Uniti.
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All’epoca era il conflitto Iran-Iraq a dominare la scena.
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la miccia: nel 1987, un fallito summit arabo sulla questione dei territori occupati, l’uccisione
di una ragazza palestinese da parte di un colono ebreo e infine la morte di sette lavoratori
arabi in un incidente con un mezzo israeliano, fecero esplodere la situazione. Il primo focolaio
di ribellione si ebbe nella striscia di Gaza con manifestazioni di protesta da parte dei giovani
palestinesi, muniti di pietre e bottiglie molotov, le facce coperte dalle kefiyas. Fu una
ribellione del tutto spontanea, guidata solamente in un secondo momento dalla leadership
dell’ OLP, in esilio a Tunisi. Anzi, la leadership palestinese fu sorpresa dallo scoppio della
rivolta. Israele rispose duramente, e l’acme si ebbe con l’offensiva denominata “Pugno di
Ferro”, che però non riuscì a spezzare la ribellione. L’intifada sembrava non finire più e le
difficoltà israeliane erano notevoli soprattutto per la crescente simpatia dell’opinione pubblica
internazionale verso la causa palestinese
4
.
Nel gennaio del 1991 scoppiò la guerra del Golfo, al termine della quale, per
concretizzare il disegno di creare un nuovo ordine mondiale dell’allora presidente degli Stati
Uniti George Bush, ebbe luogo la prima conferenza di pace per risolvere la situazione Israelo-
Palestinese. Il negoziato si svolse a Madrid il 30 ottobre 1991
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, ma i colloqui furono
difficoltosi per la mancanza dei rappresentanti dell’OLP, cui Israele non aveva riconosciuto la
legittimità a sedersi al tavolo delle trattative. La svolta si ebbe nel luglio del 1992 con la
vittoria nelle elezioni politiche di Yitzhak Rabin, capo del partito laburista. Egli accettò di
incontrare segretamente a Oslo esponenti dell’OLP, guidati dal capo storico Yassir Arafat, e il
13 settembre del 1993 a Washington venne, ufficialmente sottoscritta, la Dichiarazione dei
principi tra le parti; garante dell’accordo fu l’allora nuovo presidente Usa Bill Clinton,
succeduto a Bush. Veniva così sancito tra Israele e OLP un reciproco riconoscimento come
interlocutori politici. La dichiarazione disegnava inoltre, un percorso di pace lungo cinque
anni e la creazione di uno Stato palestinese per gradi. Finì così la prima Intifada: nasceva
l’Autorità Palestinese.
Gli stessi accordi sottoscritti a Oslo furono però la causa, secondo molti, dello scoppio
della seconda Intifada: il principio fondamentale dei patti era quello di un graduale ritiro di
Israele, seguito da negoziati sugli spigolosi argomenti delle colonie, del ritorno dei rifugiati e
del possesso di Gerusalemme. Dopo l’iniziale ritiro da Gaza e Gerico vi sarebbero stati altri
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Per informazioni dettagliate sui singoli avvenimenti dal 1988 al 1990 nell’intifada guarda: Edgar O’Ballance,
The Palestinian Intifada, London, Macmillan, 1998, p. 26-50, 53-94
5
Ibidem, pp. 111-112, 114-115
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tre ritiri graduali in cinque anni. Non venne specificata, però, la quantità di territorio da cui
sarebbero venuti via gli israeliani e l’abbandono delle terre occupate, dipendeva molto
dall’orientamento politico del governo di Tel Aviv; non vi erano effettivi vincoli. Nei secondi
accordi di Oslo, si decise di dividere i territori occupati in tre aree:
Area A, sotto amministrazione e controllo di sicurezza palestinese
6
Area B, sotto amministrazione palestinese e controllo di sicurezza israeliano
Area C, sotto amministrazione e controllo di sicurezza entrambi israeliani.
Il quattro novembre del 1995, Rabin fu ucciso da Amir Ygal, fondamentalista ebreo, mentre
nel 1996 Benjamin Netanyahu, membro del Likud, fu eletto capo del governo. Questi due
avvenimenti portarono un radicale cambiamento nella politica israeliana: fu congelato il ritiro,
ampliate le colonie, rafforzato l’apparato militare.
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Con il ritorno di un rappresentante laburista a capo del governo nel 1998, le cose
sembrarono cambiare: due anni dopo essere stato eletto, Barak, militare laburista, ritirò
l’esercito dalla fascia di sicurezza del Libano e proprio nello stesso anno, spinto da Clinton, si
sedette nuovamente al tavolo degli accordi a Camp David per operare in modo definitivo con
Arafat su:
1- la spartizione della città di Gerusalemme.
2- il diritto al ritorno in Israele dei palestinesi fuggiti dopo la guerra arabo-israeliana del
1948,diritto sancito dalla risoluzione 194(111) dell’11 dicembre 1948 dell’Assemblea
Generale delle
Nazioni unite.
3- i confini del nuovo stato palestinese e il ritiro delle colonie ebree
4- lo sfruttamento delle risorse naturali, soprattutto per quanto concerneva l’uso dell’acqua.
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Ricordiamo che nel 2000 l’Autorità Palestinese possedeva solamente il 40% dei territori,
invece del 90% sperato
9
. Il governo israeliano considerava le proposte fatte a Camp David tra
6
era stata decisa quindi la creazione di una forza di polizia palestinese, armata con armi leggere.
7
Ricordiamo anche “la crisi del Tunnel” del 1997.
8
per quanto riguarda le singole proposte portate avanti dal governo israeliano e dall’ Autorità palestinese e
seguenti
disaccordi su ogni singola problematica guarda: Tim Youngs, “The Middle East crisis, the Al-Aqsa Intifada
and the
prospects for the Peace Process”, research paper 01/09, International Affairs and Defence Section-House of
common
library, 24 January 2001, pag.10-20.
9
Ibidem, p. 9
7
le più generose mai formulate, ma l’autorità palestinese vedeva le offerte israeliane
incomplete, non rispettose dei principi firmati a Oslo, completamente insoddisfacenti
soprattutto per quanto riguardava Gerusalemme Est: “Dal punto di vista palestinese, la
proposta israeliana di un controllo su ristrette parti di Gerusalemme est era inaccettabile”.
10
Per Barak le proposte avanzate furono le migliori possibili e sarebbero costate molti
sacrifici a Israele. In ogni caso il 25 luglio 2000 il summit si concluse senza alcun accordo,
vari furono i tentativi
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di ristabilire dialogh i costruttivi, ma il campo era più pronto a un
nuovo scontro che a un accordo; la scintilla che accese nuovamente la ribellione palestinese fu
la visita del capo dell’opposizione israeliana, Ariel Sharon, al complesso di Haram al–Sharif
sul Tempio del Monte a Gerusalemme, dove è situata la sacra moschea di Al-Aqsa
12
. Il
complesso raramente è visitato da ebrei israeliani per paura di violare la santità del sito.
Sharon, che fu accompagnato da altri 6 membri del Likud e scortato da centinaia di poliziotti,
insistette che la visita era necessaria per enfatizzare la sovranità israeliana sul sito.
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Il giorno
successivo, il 29 settembre 2000, esplose l’intifada denominata Al-Aqsa, in nome appunto
della sacra moschea di Gerusalemme: la ribellione a differenza della prima intifada nacque
nella West Bank e poi si sviluppò in tutti i territori occupati. Secondo tutte le fazioni
palestinesi, compreso l’ OLP, la passeggiata di Sharon fu una provocazione premeditata e le
conseguenti dimostrazioni furono quindi del tutto spontanee; diversa invece l’opinione del
governo israeliano che vide la nuova intifada com e una m o ssa di Arafat per avere una
posizione di forza maggiore in eventuali nuove trattative di pace: era quindi una rivolta
pianificata e non naturale.
La risposta israeliana fu terribile: sin dai primi giorni i cecchini israeliani inflissero
pesanti perdite ai dimostranti palestinesi, che nel primo periodo erano giovani senza armi che
sfidavano con lanci di sassi le forze degli occupanti, al sicuro nelle loro posizioni fortificate;
solo in un secondo periodo l’intifada divenne realmente armata, anche in risposta alla forza
usata da Israele. (Ovviamente, con questa affermazione, non si vuol minimizzare in nessuna
10
Ibidem, p. 21
11
Ibidem, pp. 22-24
12
Interessante è notare come anche ne l 1987, prima dell’intifada, Sharon fece visita agli stessi quartieri di
Gerusalemme creando notevole tensione nella comunità palestinese.
13
Tim Youngs, op.cit., pag. 25
8
maniera la tragedia e le sofferenze associate alle morti di innocenti in Israele, causate da
attacchi suicidi.)
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In ogni caso fu solo dopo i tragici avvenimenti dell’ 11 settembre 2001, con gli
attacchi suicidi al World Trade Center (New York) e Pentagono (Washington) che
l’atteggiamento di Israele si fece più duro nei confronti dei Palestinesi
15
. L’apice si ebbe nei
mesi di marzo e aprile 2002 con l’operazione “Scudo di Difesa”
16
-il cui obiettivo era
proseguire “l’estirpazione delle radici dell’infrastruttura del terrorismo” nei Territori
Palestinesi
17
. Fu durante questa operazione che si ebbe il tragico episodio dei guerriglieri
palestinesi arroccati nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Precedentemente il
capo del governo israeliano, Ariel Sharon, aveva rifiutato una proposta di pace saudita (fatta
propria dal vertice arabo di Beirut), per una soluzione globale del conflitto tra Israele e gli
arabo-palestinesi, sulla base dei principi del diritto internazionale.
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Nell’ottobre 2002 venne
presentato, un documento (USA) nominato “Elements of a Performance-Based Road Map to a
Permanent Two-State Solution to the Israeli-Palestinian Conflict”, più volte modificato, e
accolto definitivamente dalle due parti solamente il 30 aprile 2003. In esso si prefiggevano tre
fasi per arrivare alla pace.
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Il documento era di per sé piuttosto ambizioso, ma dopo una serie
di rotture della tregua (soprattutto per opera d e l l e f r a n g e e s t r e m i s t e p a l e s t i n e s i ) e d i
rappresaglie da ambo le parti, si ebbe il naufragio della proposta di pace statunitense. Nel
frattempo però non dobbiamo dimenticare che Israele stava iniziando a costruire un muro di
divisione tra i territori occupati della West Bank , i territori israeliani (la famosa Green line
del 1949) e le colonie. Questo muro
20
, oramai completato, ha portato alla frammentazione
14
Richard Falk, “Azmi Bishara, The Right of Resistance, and the Palestinian Ordeal” in Journal of Palestinian
Studies, vol. XXXI, n.2, Winter 2002, pag.26.
15
vedi il capitolo “Come il mondo giudica e ha giudicato le due intifade e perché: il ruolo del 11.9.2001 e la
guerra globale al terrorismo”
16
s p e c i f i c a z i o n i s u l l e m a n o v r e m i l i t a r i i s r a e l i a n e e sulla guerriglia palestinese verranno affrontate
successivamente.
17
R i c c a r d o B o c c o , I s a b e l l e D a n e e l s , M a t t h i a s B r u n n e r , J a m i l R a b a h , “ L ’operazione scudo di difesa e le
conseguenze sulla popolazione palestinese della West Bank” in Afriche e Orienti, 2002, pag.88.
18
Ibidem, p.88.
19
Phase 1: Ending Terror And Violence, Normalizing Palestinian Life, and Building Palestinian Institutions—
Present to May 2003
Phase 2: Transition—June 2003—December 2003
Phase 3:Permanent Status Agreement and End of the Israeli-Palestinian Conflict---2004--2005
20
Anche il muro fa parte della manovra israeliana per fermare l’azione di guerriglia palestinese: così come gli
argomenti inerenti alle strategie militari, anche questo sarà affrontato successivamente nel capitolo “Le reazioni
israeliane alle due intifade”.
9
della società palestinese e della sua economia, fortemente dipendente da Israele. I tentativi di
accordo tra le due parti che si ebbero successivamente non portarono a risultati.
Arafat non era più considerato dagli Israeliani un interlocutore affidabile, la sua
autorità era stata di fatto cancellata dall’assedio israeliano alla residenza di Ramallah; anche
gli americani non vedevano più Arafat come una legittima e credibile controparte. Si dovrà
aspettare la sua morte, avvenuta a Parigi l’undici novembre 2004, perché Israele, sotto spinta
statunitense, ricominci a trattare con il nuovo governo palestinese e con il nuovo presidente
Abu Mazen del movimento Fatah, che il 6 maggio 2005 ha vinto l’elezioni, anche se il
movimento islamico Hamas si è affermato in molte città.
La tregua stabilita, nonostante alcuni scontri e rappresaglie, sembra reggere e per
agosto 2005, dovrebbe iniziare il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, più volte rinviato e
posticipato per la coincidenza con alcune festività ebraiche. Il ritiro da Gaza è, dopo la tregua,
la prima tappa della nuova Road Map portata avanti dal quartetto Usa, Onu, Unione Europea,
Russia.
GLI OBIETTIVI DELLE DUE INTIFADE
Il primo elemento di riflessione riguarda la genesi delle due ribellioni palestinesi del
1987 e 2000. Più precisamente è interessante spiegare quali furono gli scopi e gli obiettivi che
si era prefisso chi si opponeva all’esercito israeliano. Sicuramente le due insurrezioni hanno
avuto un obiettivo comune: la fine dell’occupazione israeliana nei territori della West Bank e
della Striscia di Gaza, occupazione che dura sin dal 1967.
Nel periodo che precedette la prima Intifada, la maggior parte della popolazione era
stanca della presenza militare, delle gravi tasse israeliane, della costante paura in cui
vivevano. I palestinesi della West Bank e di Gaza vivevano in una sorta di limbo, non avendo
un loro stato ma non essendo neanche cittadini di Israele; lo stato ebraico infatti non era
disposto a concedere la cittadinanza, per questioni demografiche. Con l’annessione di tutta la
popolazione araba, Israele avrebbe perso la sua caratteristica di Stato a maggioranza ebrea, e